Informa Supplemento Notiziario per i soci della Società Italiana di

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Supplemento Notiziario per i soci della Società Italiana di Sociologia n.2 anno IV 2003
Registrazione n.341 del 15.5.1998 c/o Tribunale di Trani
Direttore: Marina Ruggiero
rubrica
PROFESSIONE SOCIOLOGO
La Pedofilia:
Dinamiche socio culturali e indagini sociali
di
Elisabetta Russo
La Pedofilia: Dinamiche socio culturali e indagini sociali
di Elisabetta Russo
1. Introduzione
La storia dell’umanità è molto segnata da forme e da episodi di violenza e
sopraffazione nei confronti dei bambini. Questi ultimi hanno infatti rappresentato, per un
periodo di tempo, una categoria non protetta dalle leggi e sono stati spesso sottoposti ad abusi
e violenze, attraverso vari tipi di brutalità, di segregazioni di sfruttamento. In questi ultimi
anni, va sempre più emergendo la consapevolezza che le continue violenze che si abbattono
sui minori deviano e distruggono il regolare sviluppo umano.
Si sente più spesso parlare di genitori che avendo deciso di rinunciare alla vita
ritengono di potere o dovere coinvolgere in questa “situazione” anche i loro figli; di bambini
seviziati; di minori venduti come merce o sfruttati nella prostituzione o nella pornografia o
ancora rapiti per ottenere “pezzi di ricambio” da utilizzare per un congruo guadagno.
Questi sono soltanto alcuni casi che costellano la cruda realtà dell’infanzia, ma molte
altre violenze nascoste si abbattono in continuazione sui membri più deboli della nostra
società, anche perché tale violenza segnerà pesantemente tutta la vita futura del ragazzo.
Cercherò di dimostrare nel corso di questo lavoro che ciò che emerge è solo la piccolissima
punta di un iceberg e che il fenomeno pone l’attenzione, non solo sulle violenze fisiche, ma
anche su quelle psicologiche non meno struggenti.
La condizione dei fanciulli attraverso i tempi dimostra che l’aggressività e la
distruttività inflitta dalla specie umana ai propri figli è una costante che ritroviamo in tutti i
tempi, poiché essa è un fatto sociale e si tiene conto che si sviluppa in un’interazione tra
individui.
2.
Infanzia – Abusi: tutto comincia da qui
Ogni giorno nuovi terribili episodi trasmessi dai telegiornali e pubblicati sui quotidiani,
invadono le nostre case, provocando un senso d’indignazione comune. Ma che persone sono
queste che s’approfittano fino a tal punto dell’ingenuità dei piccoli? Perché lo fanno? E
come?
La pedofilia è un comportamento così ributtante per la sensibilità comune che la gente
tende a rimuoverlo, quasi a proteggersi da una realtà che appare disumana, pertanto “saperne
di più serve a difendersi”. Parlarne in termini d’analisi e terapia è fondamentale, se non altro
per togliere l’atmosfera di fatalità che circonda un comportamento che si vorrebbe legato a
vecchie interpretazioni demoniache pur di non considerarlo “umano”.
In un epoca di caduta di barriere storiche e psicologiche, i freni inibitori sembrano
essere scomparsi e cosi ci si comporta seguendo i desideri e le fantasie, anche le più perverse.
In questo modo, il bambino come oggetto sessuale trapassa dallo spazio mentale al
territorio
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della cronaca come non vi fosse più niente di proibito e l'uomo avesse acquisito il diritto di
fare ciò che vuole, che gli piace.
Una sorta di "anarchismo comportamentale". Non vi e dubbio che il bambino come
oggetto d'amore fa parte di quel mondo sommerso che ciascuno di noi porta dentro di sé, che
ritorna alla luce attraverso le mitologie, i sogni e, appunto, le fantasie. Per esempio gli
"Amorini” bambini nudi in atteggiamento d’affettuosità, pronti a giocare con 1'adulto e con le
caratteristiche mature del suo corpo. Quando si va a visitare un museo, in molti quadri
d'autore vi è rappresentata la nudità infantile curata nei minimi particolari; tutto ciò sta ad
indicare che il bambino come oggetto sessuale ha una dimensione persino dentro la cultura e
che quindi può farsi “tentazione”, ma è pur vero che all’interno di una convivenza sociale
devono essere messi in atto i freni inibitori quindi “certe cose non si devono fare anzi, sono
proibite”.
Per cui pensando all’uomo con le sue ombre, sono fondamentali tali “freni”, tanto che il
singolo li faccia propri, controllando tendenze o desideri che non sono accettabili. Non si
tratta di moralismo “retorico”, ma di rispetto per la convivenza sociale; regole che vanno
difese da autorità preposte, ma anche da tutta la comunità.
La pedofilia, quindi, non si riesce a dominare solo con la legge, la società difatti deve
educare ed educarsi alla relazione tra i singoli, poiché la sessualità è comunicazione tra
persone e quindi non potrà mai essere impostata e neppure diventare violenza. Da qui
l’indispensabile necessità di un’educazione sessuale.1
Il desiderio pedofilico è già presente nell’età adolescenziale e quindi dopo la pubertà.
L’aspetto obbrobrioso di tale comportamento ha portato a censurarlo, come non esistesse, un
fenomeno imprevisto e sconosciuto. E’ necessario tenere presente che vi è un tipo di
pedofilia, quella “latente”, molto pericolosa poiché rimane per lo più nascosta nella testa dei
singoli. Essa pertanto è assai diffusa e va attentamente considerata a livello di rapporto
individuale e sociale. Questo tipo di atteggiamento pedofilico ha alle spalle una storia di gravi
carenze affettive, difatti in termini comportamentali si tende a distinguere: la morbosa
attenzione nei confronti dei bambini, accompagnata da fantasie erotiche; un comportamento
di vero abuso, caratterizzato da espressioni varie di rapporto sessuale; il comportamento
estremo finale in cui si giunge ad uccidere il bambino (quindi il passaggio da pedofilia latente
ad agita).
Solitamente la fantasia del pedofilo lo porta ad immaginare di trovarsi con un bambino
nudo, mentre lo accarezza, gioca, lo bacia. In quest’ideazione avverte una certa eccitazione e
un forte desiderio. Anche quando esce da casa è attratto dai bambini e li guarda con una certa
malizia, fino a raggiungere una vera e propria frenesia, eccitazione, come se avesse trovato
l'oggetto d'amore.
Occorre
dedicare
maggiore
attenzione
a questo serbatoio di comportamenti
pedofilici,
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sia perché è importante scoprirli il prima possibile, sia per sollevare un atteggiamento sociale
di indignazione e di condanna in grado di aiutare ad arginare il passaggio tra pedofilia latente
a quella agita.
Di particolare significato è il gruppo dei pedofili killer, termine utilizzato per una
categoria di individui, il cui godimento sessuale raggiunge il livello più elevato, quando
l’eiaculazione si accompagna alla morte della vittima. E' la pedofilia associata al
sadomasochismo. Si tratta di una sindrome dell'omicida sadico che e descritta da Robert
Brittain.
Egli difatti sottolinea che manca, in questi casi, una storia sia personale sia familiare di
malattie di mente: "Gli omicidi sadici, non sono schizofrenici e non lo diventano nemmeno in
seguito... frequentemente hanno una forte ed ambivalente relazione con la propria madre,
amandola e odiandola".2 La ragione è offuscata e gli stimoli sessuali, il desiderio di possedere
prendono il sopravvento nel controllo delle loro azioni, fino a raggiungere uno stato di
eccitamento che trova il suo culmine durante 1'uccisione;
Le modalità d’uccisione sono rappresentate dall’asfissia, ciò può essere spiegato dalla
posizione in cui si trovano la maggior parte delle vittime, per questo lo strangolamento
manuale è predominante; tutto ciò evidenzia il fatto che s'impedisce alla vittima di
piangere.
Attraverso alcune interviste effettuate su un campione di pedofili killer che si trovano
in prigione si è riscontrato che molti di loro affermano che è irresistibile andare alla ricerca di
bambini
per
farne
degli
oggetti
su
cui
sfogare
il
proprio
sadismo,
e
si
ritengono certi di ripetere questo comportamento se fossero rimessi in libertà. D’altra
dar loro una opportunità è come permettere ancora di uccidere, essi sanno perfettamente
questo, c'è quindi il rischio che possano essere liberati quando sono ancora pericolosi.
Talvolta, magari a causa di una legislazione carente.
3.
“La Famiglia” e il sonno della RAGIONE
Ferenczi, che allora non dimentichiamolo era allievo di Freud, alla fine della sua vita si
era reso conto che in realtà l’etiologia delle nevrosi infantili era davvero da considerarsi di
natura sessuale. Egli aveva dunque capito che i disturbi di carattere nevrotico erano in realtà
addebitabili a molestie sessuali vissute durante l’epoca dell’infanzia. Ebbene, quest’idea è
congeniale per approfondire il tema di cui intendo occuparmi. Anzitutto, per affrontare
l’argomento ‘pedofilia’, occorre impiegare una disposizione d’animo non indifferente, non
avere timore di guardare in faccia la realtà, anche quando essa può suscitare il nostro sdegno
e orrore .
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Quando sentiamo parlare di pedofilia, il nostro immaginario si sintonizza su un unico
elemento: un altro bambino è stato vittima di un'orribile violenza perpetrata da un mostro. Ma
mentre 1'identità della vittima è sempre certa, lo stesso non si può dire circa quella del
mostro. Per lo più la gente tende a ipotizzare che un estraneo, un malato di mente, si sia
approfittato dell'innocenza e ingenuità della piccola vittima inducendola a cadere nella sua
rete criminale. Ha cosi inizio una vera e propria caccia alle streghe, animata dal legittimo
bisogno di "fare giustizia". La domanda a questo punto dovrebbe essere: da dove andrebbe
iniziata la ricerca del mostro? Come abbiamo capito, Ferenczi tendeva a delimitare il
"territorio di caccia", giacche era dell'opinione che il regno delle violenze sessuali fosse la
famiglia. Ebbene, per quanto possa apparire orribile e inaccettabile, non è affatto raro che le
cose stiano in questo modo. In verità sono molti i capi d'accusa che possono essere mossi nei
confronti delle famiglie. Il più importante di questi implica che nella famiglia della vittima si
annidi il mostro. Ma non dovremmo trascurare il fatto che molto spesso i restanti membri
della famiglia diventano, volenti o nolenti, complici del crimine. II nucleo familiare può
dunque essere considerato una vera e propria “associazione per delinquere”, nel senso che
ogni suo singolo componente si stringe attorno al crimine con il silenzio, con la paura, con il
volere tenere unito quella che - nonostante tutto - è pur sempre una famiglia. Non è raro che
le coscienze vengano messe a tacere con frasi del tipo: "denunciare significherebbe
distruggere papà, rovinare la vita degli altri bambini; diventeremmo tutti dei mostri...". Sono
molteplici le motivazioni che possono spingere la famiglia di una vittima abusata a tacere,
motivazioni che si accentuano fortemente quando il crimine viene compiuto tra le mura
domestiche. Ma i capi d'accusa mossi nei confronti della famiglia di una vittima della
pedofilia non finiscono qui. Spesso infatti si rimprovera ai familiari delle piccole vittime di
non essere stati abbastanza vigili, di avere trasmesso valori sbagliati, di avere adottato un
sistema educativo inappropriate. Comprendiamo che simili accuse si trasformano in spietati
strumenti di tortura quando la famiglia è essa stessa una vittima, ossia quando il crimine è
stato davvero compiuto da un estraneo. Ecco, in questi casi il dito puntato contro i familiari o
anche solo 1'ombra del sospetto, può davvero risultare insostenibile per queste persone che
sono anch'esse vittime della pedofilia.
Tuttavia, è importante non ignorare il fatto che la violenza può nascere - e di fatto nasce
- in seno alla famiglia. La vera follia infatti non sarebbe quella di credere in questo tipo di
ipotesi, bensì rifiutarsi di valutarla o accettarla. Ogni tanto però i muri cadono e i veri
responsabili dei crimini più mostruosi vengono individuati. Si tratta di quelle situazioni in cui
apprendiamo dai mass-media che una madre ha denunciato il proprio marito per avere abusato
delle loro bambine e non è raro che si tratti di violenze di antica data. Quando leggiamo sui
giornali notizie di questo tipo, abbiamo la sensazione - del tutto errata - che si tratti di
casi
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orribili ma del tutto eccezionali, nel senso che si è portati a pensare che crimini tanto atroci
non rientrino nella 'norma'. In realtà, le notizie che giungono a noi non sono che una minima
parte di una realtà grave e molto più diffusa di quanto si possa pensare.3
Le mura domestiche, dunque, come scenario di violenza, di una violenza quotidiana che
miete vittime tanto nel mondo dell'infanzia, quanto in quello delle donne. Volendo portare il
discorso alle conseguenze estreme, dobbiamo affermare che la nostra esperienza clinica ci
porta in contatto con famiglie nelle quali non esiste più un sentimento che unisce ma è 1'odio
l’elemento che cementa i rapporti. Tutti i componenti della famiglia, dai genitori ai figli, sono
in realtà delle bombe che possono esplodere in qualsiasi momento.
Sociologi e psicologi si trovano spesso nella condizione di dover rispondere ai
numerosi “perché” inerenti ai tanti atti di violenza di cui la cronaca ci parla. Prostituzione,
omosessualità, pedofilia, sono solo alcuni degli argomenti-protagonisti delle pagine di
cronaca che stimolano interrogativi destinati per lo più a rimanere insoluti. Dinanzi allo
sgomento che un atto di violenza suscita, si rimane attoniti e ci si chiede “perché”. La gente
ha bisogno di capire come sia possibile che un padre di famiglia “giunga a tanto”, come possa
essere spiegato un atto di violenza nei confronti di un bambino e delle persone più indifese.
A volte però le spiegazioni date sembrano essere troppo riduttive, altre volte lo sono
solo se si tiene conto del fatto che la pedofilia è un tema complesso, che non può essere
affrontato con spiegazioni scarne ed essenziali, ma presuppone l’individuazione di cause,
radici, di un determinato comportamento. Si deve quindi riuscire a leggere il senso
dell’accaduto, cogliere il significato di un determinato gesto e, soprattutto, individuarne la
matrice psicologica. Ciò non è un compito semplice, soprattutto nel caso della pedofilia.
Occorre partire da un dato fondamentale: i rapporti tra persone sono, in genere, sempre
molto difficili. La difficoltà è molto maggiore nel momento in cui si cerca di instaurare
rapporti con i propri pari. A tutte le età, intessere relazioni significative con il cosiddetto
“gruppo dei pari” può risultare davvero molto difficile. In casi estremi la difficoltà può
diventare insostenibile e sfociare nell'insana ricerca di un rapporto “semplificato” sotto tutti i
punti di vista. La pedofilia può allora essere considerata come una particolare dimensione
all'interno della quale il rapporto interpersonale non fa paura, non suscita quelle emozioni che
invece il rapporto adulto-adulto può comportare. II bambino rappresenta per il pedofilo la
possibilità di non correre il rischio di subire nuove umiliazioni, rifiuti o resistenze. II bambino
è per definizione “arrendevole”, giacché inconsapevole del significato di determinati gesti. Ed
è proprio quella arrendevolezza a rassicurare il pedofilo e a spronarlo a cercare altre piccole
vittime.4
Uno dei fattori che complicano il tentativo di descrivere il pedofilo utilizzando
parametri per lo più generalizzabili, è quello del “limite”, della “linea di demarcazione”
tra ciò che è
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lecito, “normale”, e ciò che invece risulta essere un atto libidico e criminale. Questa difficoltà
è alimentata da un elemento comune tanto alle situazioni “normali”, quanto a quelle
“patologiche”. L’elemento al quale ci stiamo riferendo è l’eros. L’eros caratterizza moltissimi
tipi di rapporto, essendo presente tanto nei legami sentimentali, quanto nella relazione
interpersonale fra maestro e allievo. Possiamo osservare che l’eros è proprio l'elemento che
permette di trasmettere e assimilare la conoscenza con grande passione, con un’intensità che
non potrebbe assolutamente sussistere se l’eros venisse a mancare. Come sempre accade però,
tutto dipende da un “gioco”di incastri fra qualità e quantità. Se è vero – come è vero – che
l’eros rappresenta un’intensa energia, di essa può essere fatto un ottimo o pessimo uso. L’eros
impiegato per intensificare un’attività creativa o produttiva, ad esempio, può rilevarsi utile ma
l’energia erotica può sfociare in direzione di mete del tutto negative.
La pedofilia costituisce in questo senso uno degli esempi più eclatanti di ciò che un
cattivo impiego dell’energia erotica può comportare. Tutte le perversioni sessuali, in fondo
altro non sono che il risultato di un impiego errato smodato o patologico, di un'intensa energia
erotica. In tutte le situazioni in cui 1'eros e chiamato in causa, 1'attenzione della gente è
sempre molto intensa, spesso eccessiva, morbosa, e non è raro che venga impiegato con
estrema disinvoltura l’etichetta di “perversione sessuale”. La difficoltà che i pedofili
incontrano nel chiedere un aiuto dipende proprio da questo, ossia dal fatto di ritrovarsi
“appiccicata” addosso un’etichetta che li fa sentire anormali, colpevoli, diversi. II pedofilo
non parIa mai volentieri delle sue azioni, non se ne vanta affatto e, piuttosto, si sforza di
velarle con un silenzio assoluto.
Per tutte queste ragioni e davvero difficile riuscire a trovare una soluzione al problema
e persino individuare la strategia migliore per affrontarlo. La violenza è violenza, su questo
aspetto non si discute e, per fortuna, esistono specifiche leggi predisposte a tutelare le
numerose vittime che ogni giorno vengono strette tra le sue spire. Ma al di là di quello che la
legge stabilisce, esiste comunque un'altra possibilità di affrontare il problema della violenza
in generale e della pedofilia in particolare. Si tratta del colloquio, ossia della possibilità che
tutti i bambini dovrebbero avere di parlare - in ambito familiare e scolastico - di quanto può
preoccuparli, spaventarli, di ciò che succede loro e del loro vissuto in seguito a determinate
esperienze. Ma la possibilità di colloquio può sussistere per un bambino soltanto nei caso in
cui 1'adulto sappia offrirgliela. Ecco allora che la capacità del genitore, dei familiari e degli
insegnanti, di instaurare un rapporto di fiducia con il bambino, diventerà essenziale per far sì
che il bambino stesso riesca ad aprirsi e a comunicare i suoi pensieri. Se il rapporto non sarà
basato sulla fiducia, allora questa possibilità di colloquio non potrà mai nascere e con essa
verrà negata al bambino anche la possibilità di ricevere un aiuto.5
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4.
Indagine Sociologica: “Male estremo”
La storia riguarda un giovane di 29 anni che ha mostrato atteggiamenti preoccupanti
durante lo sviluppo infantile e che, nella prima adolescenza, è stato preso in carico da uno
psichiatra per comportamenti aggressivi verso persone e cose. Pur a periodi alterni, ha
manifestato una psicopatologia, che ha portato anche a formulare la diagnosi di «disturbo
asociale di personalità».
Da alcuni anni, questo individuo raccoglie riviste pornografiche il cui oggetto erotico è
il bambino e naviga su siti Internet che riguardano la pedofilia. Le fantasie non sono solo sui
bambini vivi, quanto sulla possibilità di poter godere di un corpo di bambino ucciso.
Sulla scorta di queste fantasie, e alla ricerca d'esperienze in cui il godimento (orgasmo)
e raggiunto soltanto attraverso i maltrattamenti.
Il giovane si trova ora in carcere per aver provocato lesioni in un bimbo sul quale
spegneva le sigarette nella zona attorno al pube. In questi casi si sommano l'attrazione per i
bambini e, nello stesso tempo, il desiderio di distruggerli. Spesso la storia personale rivela, a
sua volta, abusi e violenze.
Al di fuori della violenza specifica, egli, in questo momento, appare tranquillo e persino
gentile, e come se l'oggetto ora scelto risolvesse tutta la sua aggressività. 6
Riferisce che è per lui irresistibile andare alla ricerca di bambini per farne degli oggetti
su cui sfogare il proprio sadismo e si ritiene certo di ripetere questo comportamento se
venisse rimesso in libertà.
NOTE
1
Pitch, La devianza, La Nuova Italia, 1975
Corriere Salute/1997 (http://www.res.it/corriere/salute)
3
Aldo Carotenuto (http://www.agora.stm.it/pedofilia-internet/carotenuto.htm)
4
Chi Kempe e coll., 1962 The Battered Child Synohore, Journal of the American Medical Association, 1962.
5
Aldo Carotenuto (http://www.agora.stm.it/pedofilia-internet/carotenuto.htm)
6
Corriere Salute, www.tes.it/corrieresalute/1997
2
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Fine lavoro 20/04/2003 Messina
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