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IN COLLABORAZIONE
CON LE RESIDENZE SACCARDO
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CON IL CONTRIBUTO DEL CONSIGLIO DI
ZONA 3
UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ
IN ZONA TRE
CORSO
I BARBARI, MIGRANTI CHE FECERO
L’EUROPA: AMORI, INTRIGHI, OPERE
PUBBLICHE
RELATRICI:
Emilia Borghi, Elisa Long, Cristina Mondini
Mercoledì 4, 11, 18 marzo 2009
ore 15.30
PRESSO IL TEATRO
DELLE RESIDENZE SACCARDO VIA SACCARDO 47 Milano
ANNO ACCADEMICO 2008/2009
Emilia Borghi
Presidente Auser Volontariato Forlanini Onlus
Elisabetta Clerici
Direttrice Residenze Saccardo
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I BARBARI,
MIGRANTI CHE FECERO
L’EUROPA
L’ARTE A RAVENNA NEL VI SECOLO
L’ARTE DEI LONGOBARDI
Milano, 18 marzo 2009
a cura di emilia borghi
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LA DIVISIONE DELL’ITALIA DOPO LA CADUTA DELL’IMPERO ROMANO
D’OCCIDENTE FINO ALLA CONQUISTA DI CARLO MAGNO
A PROPOSITO DI ARTE
SIGNIFICATO DEL TERMINE:
TRADIZIONE LATINO-BIZZANTINA
L'arte bizantina si è sviluppata nell'arco di un millennio, tra il IV ed il XV secolo, nell'impero
bizantino, di cui Costantinopoli era la capitale.
In senso più stretto si parla di arte bizantina a partire dalla definitiva separazione dell'Impero
romano in una parte occidentale ed una orientale, quindi dal V secolo, perché le architetture
antecedenti rientrano ancora nello stile dell'arte tardoantica e paleocristiana. Le caratteristiche più
evidenti dei canoni dell'arte bizantina sono l’appiattimento e stilizzazione delle figure, volte a
rendere una maggiore monumentalità ed un'astrazione soprannaturale e nelle decorazioni l’uso del
mosaico.
SIGNIFICATO DEL TERMINE:
TRADIZIONE GERMANICA
Arte derivata dalle popolazioni nomadi asiatiche.
Motivo caratteristico è la deformazione decorativa degli elementi naturali, molto stilizzati, a volte
ridotti a ornato geometrico ed applicata a sculture, gioielli, armi, mosaici.
Fu in particolare in oreficeria che vennero raggiunti i migliori risultati artistici, con notevoli apporti
originali.
Le principali produzioni riguardano fibule, diademi, else, fibbie di cinturoni.
Si definiscono due stili: stile policromo e stile animalista
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IL REGNO DEGLI OSTROGOTI ALLA MORTE DI TEODORICO (526)
L’ARTE A RAVENNA
Teodorico, che prima assunse il titolo di Dominus e poi di Rex, fu un sovrano saggio ed illuminato.
Egli diede grande impulso all'attività edilizia, intraprese grandi lavori di bonifica delle paludi
circostanti e restaurò l'acquedotto traianeo, tanto è vero che alcune fistulae plumbee (tubi per
condurre le acque) ritrovate nel 1938 recano la seguente iscrizione a rilievo: D (omi) n (us) Rex
Theodoricus civitati reddidit.
Intorno al 520 il re goto Teodorico, fa costruire il proprio monumento funerario a Ravenna, città
divenuta capitale nel 490.
Il MAUSOLEO viene collocato tra la laguna e le mura della città, in una zona non particolarmente
propizia alla stabilità della struttura, ma comoda per il trasporto dei materiali da costruzione
provenienti dal mare.
L'imponente mole, realizzata in pietra aurisina, raggiunge i 15.41 metri di altezza ed è composta di
due celle sovrapposte a pianta decagonale: quella inferiore, alta 6.50 metri, fa da base a quella
superiore, arretrata di 1.30 metri a formare un ballatoio esterno. La copertura è costituita da un
enorme monolite a forma di cupola ribassata, di 10,76 metri di diametro, 3,09 metri di altezza e di
circa 230 tonnellate di peso, voluto dallo stesso Teodorico quale simbolo di potenza, oltre che per
esigenze statico-costruttive.
Nella cella superiore e sul bordo verticale del monolite, si notano elementi decorativi con un motivo
a tenaglia, probabilmente derivato dai disegni dell'oreficeria germanica, e una serie di dodici
modiglioni con incisi i nomi dei quattro evangelisti e di otto apostoli
All'interno dell'aula superiore di forma circolare, si trova una vasca di porfido che potrebbe essere
servita da sarcofago per Teodorico, morto a Ravenna nel 526. Le sue spoglie sono andate smarrite
nel 540, dopo la conquista di Ravenna da parte dei Bizantini.
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Nel Medioevo il mausoleo è ancora un luogo cimiteriale e di culto; poi viene inglobato in altre
costruzioni e, a partire dal IX, secolo diventa una chiesa dedicata a Santa Maria della Rotonda.
I lavori di isolamento dell'edificio iniziano nel 1719 e i restauri si susseguono fino ai giorni nostri.
Fra gli edifici innalzati in questo periodo è da ricordare la residenza di Teodorico, il Palatium, del
cui aspetto esterno una qualche idea ci è data dal mosaico che lo raffigura all'inizio della parete
destra di S. Apollinare Nuovo;la sua planimetria ci è nota grazie agli scavi effettuati all'inizio dello
scorso secolo dal Ghirardini.
Teodorico era ariano come il suo popolo e per questo fece costruire dei luoghi di culto ariani. Sorse
l'Anastasis Gothorum, oggi chiesa dello Spirito Santo, in funzione di cattedrale; vicino fece
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costruire il Battistero Ariano. Accanto alla sua reggia Teodorico fece innalzare la stupenda basilica
dedicata inizialmente al Salvatore, oggi S. APOLLINARE NUOVO.
PLANIMETRIA
Si tratta di un edificio a tre navate preceduto dal solo
nartece.
La navata centrale, larga il doppio di quelle laterali, termina
con un'abside semicircolare, ed è delimitata da dodici
coppie di colonne poste una di fronte all'altra che
sorreggono archi a tutto sesto.
MOSAICI
Come tutte le chiese di Ravenna dei periodi imperiale (fino
al 476), ostrogotico (fino al 540) e giustinianeo (dal 540 in poi), anche Sant'Apollinare Nuovo è
decorata con meravigliosi e coloratissimi mosaici. Tuttavia essi non risalgono alla stessa epoca:
alcuni sono teodoriciani, altri risalgono alla ridecorazione voluta dal vescovo Agnello, quando
l'edificio venne riconsacrato al culto cristiano cattolico
.
Le contrapposte processioni di Santi Martiri e Sante Vergini, sempre nel registro inferiore, furono
eseguite nel periodo di dominazione bizantina (quando Ravenna era un Esarcato dipendente da
Costantinopoli) ed evidenziano alcuni dei caratteri dell'arte propria dell'Impero d'Oriente quali: la
ripetitività dei gesti, la preziosità degli abiti, la mancanza di volume (bidimensionalità delle figure).
E ancora: l'assoluta frontalità, la fissità degli sguardi, la quasi monocromia degli sfondi (tessere
d’oro), l'impiego degli elementi vegetali a scopo puramente riempitivo e ornamentale, la mancanza
di un piano d'appoggio per le figure che, pertanto, appaiono sospese come fluttuanti nello spazio.
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A Ravenna non vi furono mai gravi contrasti tra cattolici e ariani, solo verso la fine del regno di
Teodorico sorsero conflitti significativi quando il Sovrano, non soddisfatto del risultato della
missione di Papa Giovanni in Oriente presso l'Imperatore Giustiniano, al quale si era rivolto per
ottenere favori per gli Ariani, fece prigioniero il papa, il quale, morendo nel maggio del 526, fu
considerato una victima Christi. Tre mesi più tardi morì anche Teodorico.
Nel 540 Belisario, generale di Giustiniano, entrò in Ravenna, così la città passo ai Bizantini e nel
554 fu fatta sede della prefettura d'Italia.
Giustiniano, poco dopo, attraverso un editto concesse tutti i beni immobili degli Ariani ai cattolici:
il Battistero fu trasformato in chiesa di S. Maria e la chiesa dedicata da Teodorico al Salvatore fu
riconciliata al culto cattolico e dedicata a Vescovo S. Martino, che aveva combattuto strenuamente
gli eretici.
I
principi
basilari
della
dottrina
cattolica
furono
vigorosamente
riaffermati.
Di questo periodo sono le chiese di S. Vitale (iniziata sotto i Goti ma terminata sotto i Bizantini) e
S. Apollinare in Classe
SAN VITALE
La chiesa segna un distacco dalle tipiche basiliche
longitudinali di Ravenna e, nella pianta a base centrale
(ottagonale), ricorda la chiesa dei Santi Sergio e Bacco a
Costantinopoli.
A pianta ottagonale (l'otto era simbolo di Resurrezione perché
era sette, il tempo, più uno, Dio), con cupola inglobata e
nascosta dal tiburio, si presenta all'esterno in laterizio, con la
consueta semplicità disadorna. Ogni faccia è collegata con
quella attigua mediante contrafforti.
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PULVINO
CAPITELLO
Del resto tutto contribuisce ad
alleggerire il peso delle masse
strutturali: I PULVINI che staccano
l'arco,
quasi
sollevandolo
e
sospingendolo in alto, e soprattutto I
CAPITELLI, scolpiti a Bisanzio, i
quali, persa la forma classica grecoromana, assumono quella di cesti,
traforati come se fossero fragili trine
marmoree sulle quali non gravi alcun
peso.
Oltre
ai
celeberrimi
mosaici,
completano la decorazione interna i
marmi policromi, gli stucchi e le
balaustre del matroneo, traforate
finemente.
Sui pulvini sono raffigurate figure
zoomorfe e la Croce.
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S. APOLLINARE I CLASSE
La basilica di Sant'Apollinare in Classe è una basilica situata a circa 5 chilometri dal centro di
Ravenna. È stata costruita nella prima metà del VI secolo, finanziata da Giuliano Argentario per
il vescovo Ursicino; fu consacrata nel 547 dal primo arcivescovo Massimiano ed è stata dedicata
a sant'Apollinare, il primo vescovo di Ravenna.
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L’ARTE DEI LONGOBARDI
L'arte longobarda comprende le manifestazioni artistiche realizzate in Italia durante il regno dei
Longobardi, giunti in Italia nel 568 e sconfitti nel 774, con residuale permanenza nell'Italia
meridionale fino al X-XI secolo.
I Longobardi giunsero in Italia passando dal Friuli sotto la guida di re Alboino. Velocemente
conquistarono ampi territori, anche per la poca resistenza operata dalle città da poco ritornate sotto
dominio bizantino (Milano nel 569, Pavia, futura capitale longobarda, nel 572). I territori
conquistati, divisi dalla sottile striscia di territori pontifici dal Lazio alla Romagna e con l'esclusione
degli avamposti bizantini, si distinguevano in una parte a nord più compatta (la Langobardia
Major) ed una a sud divisa in ducati frammentari e indipendenti (la Langobardia Minor).
Al loro ingresso in Italia, i Longobardi portarono con sé la propria tradizione artistica di matrice
germanica. Tale matrice rimase a lungo visibile soprattutto negli elementi ornamentali dell'arte
(simbolismo, decori fitomorfi o zoomorfi).
In seguito al radicarsi dello stanziamento in Italia, ebbe inizio un vasto processo di fusione tra
l'elemento germanico e quello latino-bizantino, dando vita a una società sempre più indistinta
(quella che, da lì a breve, sarebbe emersa come sic et simpliciter "italiana").
In un simile contesto, per "arte longobarda" si intende genericamente l'intera produzione artistica
prodotta in Italia durante il dominio longobardo, soprattutto durante il VII-VIII secolo:
indipendentemente, quindi, dall'origine etnica (tra l'altro, spesso impossibile da definire) dei vari
artefici.
OREFICERIA
Già prima della discesa in Italia la principale espressione artistica dei Longobardi è quella legata
all'oreficeria, che fonde le tradizioni germaniche con influenze tardo-romane della provincia della
Pannonia [ La Pannonia era un'antica regione compresa tra i fiumi Danubio e Sava, che
comprendeva la parte occidentale dell'attuale Ungheria, Land austriaco, fino a Vienna, la parte nord
della Croazia e parte della Slovenia.].
Risalgono a questo iniziale periodo le crocette in lamina d'oro sbalzate, presero il posto delle
monete bratteate di ascendenza germanica, già ampiamente diffuse come amuleti.
Le crocette, secondo una tipologia di origine bizantina, erano usate come applicazioni
sull'abbigliamento. Negli esemplari più antichi presentavano figure di animali stilizzati ma
riconoscibili, mentre in seguito furono decorate da intricati elementi vegetali all'interno dei quali
comparivano talvolta figurine zoomorfe.
Rientrano nella produzione di alto livello le croci gemmate, come la Croce di Agilulfo, al Museo
Serpero di Monza (inizio del VII secolo), con pietre dure e di varie dimensioni incastonate a freddo
in maniera simmetrica lungo i bracci. Un altro esempio simile è la copertura dell'Evangeliario di
Teodolinda (Monza, Tesoro della Basilica di San Giovanni Battista), dove sulle placche d'oro sono
sbalzate due croci con un motivo decorativo simile. Era in uso anche una tecnica di incastonatura a
caldo, dove si usavano pietre e paste vitree fuse e versate in una fitta rete di alveoli.
Altri capolavori, anche se di datazione più discussa, sono la Chioccia con i pulcini o la Corona
Ferrea.
ARMI
La produzione e la decorazione di armi prese in prestito alcuni stilemi dell'oreficeria e sviluppò
anche caratteri propri. Grazie a corredi funebri ritrovati, si è venuti a conoscenza di grandi scudi da
parata in legno ricoperto di cuoio, sui quali potevano venir applicate sagome in bronzo: per esempio
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nello scudo di Stabio (Historisches Museum di Berna) erano inchiodate figurine di animali e figure
equestri senza precedenti, di immediato e raffinato dinamismo.
Talvolta si cercava di recuperare modelli classici, come nella lastra frontale di elmo della Val di
Nievole, detta Lamina di re Agilulfo ed oggi al Museo del Bargello (inizio del VII secolo), dove
alcune figurine compongono una parata regale, che rappresenta simbolicamente il potere sovrano,
con due vittorie alate quasi caricaturali, ma che testimoniano lo sforzo di riusare modelli antichi
secondo il sintetico sentire longobardo.
L’armamento tipico del guerriero longobardo era costituito da:
la spada (spatha) in ferro a due tagli che si portava legata al fianco con un cinturone, in un
fodero di legno o di cuoio, la lama era larga circa 5 cm e lunga 65/100, l’impugnatura era di cuoio,
di legno o di corno;
la sciabola (scramasax) corta circa 30/50 cm ad un solo taglio curvata in punta, era usata
per il combattimento a cavallo, il fodero conteneva spesso anche un coltellino;
lo scudo circolare del diametro di 60/70 cm di legno, era ricoperto di cuoio e con parti di
metallo;
la lancia era l’arma offensiva più usata, sia dai cavalieri che dalla fanteria, era di legno con
cuspidi e puntali metallici, la lunghezza era molto variabile;
l’elmo (lamellaro) si componeva di piastre di spessa lamina di ferro, legati con lacci di
cuoio passati in appositi fori, una piastra frontale copriva il naso e le sopraciglia, all’intero vi era
un’imbottitura di cuoio e di pelo. Dalla metà del VII secolo i nobili longobardi cominciarono ad
utilizzare le armature e gli elmi (lamellari) di raffinata finitura e di origine orientale;
l’arco e le frecce erano le armi della fanteria, l’arco e la faretra erano appesi alla cintura, di
solito l’arco era di legno;
le cinture erano fondamentali nell’abbigliamento del guerriero, sia per portare le armi, sia
per il valore magico e protettivo, veniva decorata con pezzi e borchie metallici, di solito cinque. I
motivi decorativi raffiguravano solitamente animali o disegni geometrici o floreali;
le selle erano di cuoio. Negli anni seguenti andò sostituendosi la sella a bordo rialzato di
legno ricoperto in cuoio.
La nuca era coperta da una fitta maglia di ferro, le corazze lamellari erano composte di 600-700
piastre di ferro, sovrapposte in strati orizzontali e collegate con strisce di cuoio, una parte inferiore
copriva il bacino e le cosce, mancavano le maniche.
Così Paolo Diacono ne descrive i costumi dell’epoca:
“Si rapavano la fronte e si radevano tutt’intorno sino alla nuca, mentre i capelli divisi in due
bande, spiovevano ai lati sino all’altezza della bocca.
Indossavano vestiti ampi per lo più di lino, ma balze più ampie e variopinti, calzari aperti sino
all’alluce con lacci di cuoio intrecciati, in seguito per andare a cavallo indossarono una specie di
calzoni di panno rossiccio (moda presa dai romanici”).
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ARCHITETTURA
Le strutture architettoniche associano elementi bizantini e gusto longobardo.
L’architettura longobarda determinò il sorgere e il definirsi dello stile romanico, che avrebbe
accolto anche influssi orientali di provenienza armeno-caucasica.
Inoltre i campanili furono introdotti nell’architettura occidentale proprio dai Longobardi e
nell’architettura religiosa di grande importanza è la creazione della (cripta) sacello sotterraneo
ubicato nella parte più sacra dell’edificio.
Dal punto di vista politico le capitali del Regno sono, in ordine cronologico: Verona, prediletta da
Alboino; Milano, prediletta da Agilulfo e Pavia.
I Ducati principali del Regno sono, ovvero le principali organizzazioni politiche di governo del
territorio furono 36 di cui : del Friuli con Cividale, di Brescia, di Spoleto e di Benevento.
PAVIA
Uno dei centri importante della cultura longobarda fu Pavia, capitale del loro regno dal 625 al 774,
dove però la maggior parte degli edifici eretti tra il VII e l'VIII secolo è andata distrutta o ha subito
modifiche radicali. Restano però alcuni frammenti architettonici nel Museo Civico, che, con
ricostruzioni grafiche e i resti ancora visibili, hanno permesso di valutare l'architettura longobarda
come decisamente anticlassica.
La distrutta Chiesa di Santa Maria in Pertica (fondata nel 677) aveva una pianta circolare con un
deambulatorio che formava un anello delimitato da sei colonne. Il corpo centrale, a differenza di
altre basiliche a pianta rotonda di Costantinopoli o di Ravenna, era estremamante slanciato ed fu il
riferimento più immediato per architetture successiva come la Cappella Palatina di Aquisgrana o la
Chiesa di Santa Sofia a Benevento. Un esempio longobardo della stessa tipologia pervenutoci è il
Battistero di Lomello.
A Pavia invece è interessante la Chiesa di Sant'Eusebio, già costruita come cattedrale ariana da
Rotari (636-652) e fulcro della conversione al cattolicesimo dei Longobardi promossa da
Teodolinda. Del VII secolo resta oggi la cripta, che, sebbene rimaneggiata nell'epoca romanica,
mostra ancora dei rarissima capitelli, senz'altro dall'aspetto grezzo, ma fondamentali per capire
l'allontanamento dall'arte classica, con forme originali desunte dall'oreficeria. Forse addirittura in
antico erano ricoperti da paste vitree o grosse pietre colorate, che avrebbero dato un aspetto più
maestoso ed aggraziato. Uno è diviso in campi chiusi triangolari, che ricorda le coeve fibule
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alveolate, mentre un secondo presenta ovali longitudinali, assimilati a grandi foglie d'acqua, che
sembrano derivare dalle fibule "a cicala", usate in tutta l'oreficeria barbarica da modelli orientali.
Se Pavia come capitale del Regno fu importante ad essa si affiancano altre città sede di Ducati come
ad esempio Brescia e Cividale del Friuli.
BRESCIA
Una volta crollato l'Impero Romano d'Occidente (476), Brescia subì la dominazione barbarica da
parte degli Eruli (guidati da re Odoacre) e, in seguito, dagli Ostrogoti di Teodorico che, battuto
Odoacre nel conflitto per il Regno d'Italia, gli successe nel controllo.
Successivamente Brescia dovrà conoscere anche il giogo bizantino, che durerà fino al 568 quando
la calata dei Longobardi assicurò loro, in pochi anni, il controllo su tutte le città più importanti
dell'Italia dell'epoca.
Brescia fu dai Longobardi considerata una delle città più importanti del Regno costituito da Alboino
e fu scelta come sede di uno dei suoi 36 ducati; il centro politico-amministrativo fu portato quindi
dal Foro alla Curia Ducis, eretta tra le attuali Piazza Vittoria e Piazza Loggia a questo scopo, e
sempre nelle vicinanze (a sud cioè di Piazza Vittoria) venne creato il quartiere militare poi
denominato "Serraglio".
Re Rotari, prima di essere nominato re fu duca di Brescia.
L'ultimo regnante Longobardo fu Desiderio (anch'esso insignito del titolo di duca), passò alla storia
per aver costruito due importantissimi monasteri benedettini: uno maschile a Leno e un secondo,
femminile, che trovò luogo in città col nome di S. Salvatore (più tardi S. Giulia), e che ospita oggi
un importante museo di grande richiamo.
Qui il Manzoni ambientò la splendida tragedia in versi dell'Adelchi (figlio di Re Desiderio) e qui
come da lui narrato, davvero trovò la morte la sorella di Desiderio Ermengarda, moglie di Carlo
Magno e da lui sacrificata alla ragion di stato.
Carlo Magno, sconfitti definitivamente i Longobardi nel 774, si proclamerà Re dei Franchi e dei
Longobardi e nell'800 sarà incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero.
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S. GIULIA A BRESCIA
L'edificazione (753) del monastero benedettino femminile di S. Salvatore (successivamente
chiamato di Santa Giulia) risale al tempo dei Longobardi e la sua fondazione è specificatamente da
riferire a Desiderio, tre anni prima di divenire re, ed alla sua consorte Ansa.
Il sovrano longobardo dotò il cenobio benedettino (governato dalla figlia badessa Ansilperga) di un
notevolissimo patrimonio fondiario ed immobiliare, esteso ben oltre i confini bresciani; al
monastero faceva capo un'intensa attività di scambi commerciali.
Questo fervore economico radicatosi intorno al monastero trovava la sua ragion d'essere nel ruolo
chiave, sia politico che sociale, da esso ricoperto come monastero "regio".
Il complesso comprende la basilica di S. Salvatore, a tre navate con colonne parzialmente
recuperate in loco da edifici romani, senza abside e senza facciata, che però - come provano i più
recenti studi e scavi - non è quella voluta originariamente da Desiderio ma una edificazione
successiva (inizio IX secolo), sovrapposta ad una chiesa preesistente ad una navata e tre absidi questa sì - corrispondente all'originale chiesa di San Salvatore a sua volta soprastante un edificio di
epoca romana: la casa del ninfeo (presumibilmente costruito nel I secolo d.C. ed abbattuto nel V).
Il campanile costruito tra il XIII e il XIV secolo fu affrescato intorno al 1520 dal Romanino
In San Salvatore si possono ammirare alcuni affreschi di Paolo da Caylina il Giovane (XVI sec.)
oltre ad alcuni frammenti di affreschi risalenti all'epoca carolingia.
BASILICA DI S.
SALVATORE
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CIVIDALE DEL FRIULI
Il Ducato del Friuli o di Cividale fu il primo ducato istituito dai Longobardi in Italia. Venne
costituito nel 569 da Alboino e affidato a Gisulfo I del Friuli.
Il ducato fu tra i più influenti della Langobardia Major e dell'intero regno longobardo; più di un suo
duca aspirò al trono di Pavia, sia ribellandosi (senza fortuna) al sovrano legittimo, sia venendo
regolarmente investito (fu il caso di Rachis e Astolfo).
Ultimo duca longobardo di cui si ha notizia è Rotgaudo, che regnò fino al 776. Capitale del ducato
era Cividale, l'antica Forum Iulii. In seguito alla caduta del regno longobardo e alla sua inclusione
nei domini di Carlo Magno, nel 781 venne riorganizzato su base comitale nel Regnum Italiae
affidato da Carlo al figlio Pipino.
Il monumento longobardo più famoso e meglio conservato si trova comunque a Cividale del Friuli,
ed è il cosiddetto Tempietto longobardo, edificato verso la metà dell'VIII secolo dove un tempo
sorgeva la gastaldia, ovvero il palazzo del gastaldo, signore della città, e quindi probabile cappella
palatina (per Cappella Palatina si intende la cappella privata di un palazzo di un regnante. Sono
esistite molte cappelle palatine, in gran parte riconvertite poi in chiese aperte al pubblico).
Quando la gastalderia venne trasformata in monastero il tempietto assunse la denominazione di
Oratorio di Santa Maria in Valle.
Per quanto riguarda lo sviluppo artistico la cosiddetta Rinascenza liutprandea è un periodo della
storia dell'arte longobarda situato all'inizio dell'VIII secolo, in particolare nel decennio 730-740
circa.
Venne così chiamata la tendenza, nota appunto a partire dal regno di Liutprando, volta ad introdurre
nell'arte longobarda influssi dell'arte romana. Questo recupero di forme e stili antichi, pur sempre
interpretati secondo al sensibilità "nordica" dei longobardi, si inserì a pieno titolo nel filone che
segna la continuità dell'arte classica anche nell'alto medioevo, che proseguì con l'arte carolingia e
ottoniana, grazie anche alla presenza di artisti di formazione longobarda nei grandi cantieri dell'VIII
e IX secolo.
La "rinascenza" ebbe come centro la città di Cividale del Friuli, dove resta il capolavoro
architettonico di questa epoca, il cosiddetto Tempietto longobardo.
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TEMPIETTO LONGOBARDO
L’oratorio di Santa Maria in Valle, noto come tempietto
longobardo, rappresenta il monumento più completo ma anche più
complesso dell’Alto medioevo occidentale.
Molto discusse, infatti, sono la datazione, funzione ed attribuzione
stilistica.
Per quanto riguarda la datazione le ipotesi più accreditate
propendono per gli anni attorno al 760o attorno all’810.
Anche la funzione originaria dell’oratorio presenta teorie
discordanti: alcuni sostengono che si trattasse di una cappella
palatina, altri lo ritengono cappella di un monastero benedettino
femminile.
L’ edificio, costituito da un’aula quadrata con volta a crociera e dal
presbiterio (parte di chiesa che circonda l’altare) con tre navatelle a botte, si caratterizza per la
straordinaria decorazione a stucco, data dall’archivolto vitineo e dalla teoria delle sei sante (VIII
secolo), impreziosita, in origine, dall’inserimento di paste vitree.
Artisticamente interessanti anche l’affresco, collocato all’interno dell’archivolto vitineo,
rappresentante il Cristo tra gli arcangeli Michele e Gabriele (VIII secolo), e gli affreschi coevi
presenti sulla medesima parete occidentale.
La realizzazione di tali opere è attribuita ad artisti bizantini.
Nell’aula si trovano, inoltre, gli stalli lignei datati XIV secolo e decorati con motivi fogliati e
raffigurazioni di animali fantastici.
La volta a botte centrale, nella zona presbiteriale, presenta invece un affresco trecentesco
raffigurante il Cristo Pantocratore all’interno di una mandorla, affiancato da una teoria di santi
(Elisabetta d’Alessandria, Maria Maddalena, Giovanni Battista, Antonio Abate e Benedetto) e da
un’Adorazione dei Magi.
Il tempietto è particolarmente importante perché segna la convivenza di motivi prettamente
longobardi (nei fregi per esempio) e una ripresa dei modelli classici, creando una sorta di continuità
aulico ininterrotto tra l'arte classica, l'arte longobarda e l'arte carolingia (nei cui cantieri lavorarono
spesso maestranze longobarde, come a Brescia) e ottoniana.
I MONASTERI
Notevole, in ambito religioso, fu l'impulso dato da diversi sovrani longobardi (Teodolinda,
Liutprando, Desiderio) alla fondazione di monasteri, strumenti al tempo stesso di controllo politico
del territorio e di evangelizzazione in senso cattolico di tutta la popolazione del regno. Tra i
monasteri fondati in età longobarda, spicca l'Abbazia di Bobbio, fondata da san Colombano.
L'abbazia del monastero di San Colombano è un monastero fondato da San Colombano nel 614,
nella città di Bobbio, in provincia di Piacenza, dove ora vi è il Castello Malaspiniano.
L'Abbazia aveva la protezione imperiale e papale e diventò un feudo monastico come Abbazia
territoriale.
L'abbazia fu abolita sotto l'amministrazione francese nel 1803, anche se molte delle costruzioni
furono destinate ad altri usi.
È famosa per la resistenza all'eresia ariana e per una delle più grandi biblioteche del medioevo ed
anche per essere il monastero usato come modello per il romanzo di Umberto Eco Il nome della
rosa.
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L'abbazia territoriale è definita dal Codice di diritto canonico al canone 370:
« La prelatura territoriale, o l'abbazia territoriale, è una determinata
porzione del popolo di Dio, circoscritta territorialmente, la cura della
quale viene affidata, per circostanze speciali, ad un Prelato o ad un Abate
che la governa a modo di Vescovo diocesano, come suo pastore
proprio. »
In pratica è una forma di chiesa particolare, equiparata alla diocesi. Si
definisce grazie al suo territorio e grazie alla presenza di una abbazia
(o monastero) di tipo benedettino. Storicamente, infatti, le abbazie più
grandi ed importanti estendevano il proprio influsso anche al di fuori
delle mura del monastero, abbracciando campi, possedimenti e anche
piccoli villaggi, in cui dimoravano le persone che lavoravano nei fondi o nelle altre attività
dell'abbazia. Tutto questo territorio e queste persone erano sottratte all'autorità del vescovo e della
diocesi e facevano diretto riferimento all'abbazia e all'abate. Quindi l'abate di una abbazia
territoriale deve:
- governare la vita dell'abbazia, i rapporti tra i monaci, le questioni interne;
- dirigere le parrocchie e i preti del territorio facente parte dell'abbazia territoriale,
esattamente come se fosse un vescovo che dirige la propria diocesi.
MINIATURA
La miniatura in età longobarda conobbe, soprattutto all'interno dei monasteri, un particolare
sviluppo, tanto che è definita Scuola longobarda (o "franco-longobarda") una peculiare tradizione
decorativistica.
Questa espressione artistica raggiunse la più alta espressione nei codici (un codice è un libro
manoscritto. L'origine del nome deriva dal latino caudex "tronco d'albero", poi contratto in codex e
riferito all'uso antico di scrivere su tavolette di legno ricoperte di cera, unite insieme da anelli
metallici o da una striscia di cuoio) redatti monasteri dalla seconda metà dell'VIII secolo.
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Rachis rappresentato in una miniatura
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