Feudalesimo Il feudalesimo, detto anche "rete vassallatico-beneficiaria", era un sistema politico prima che sociale che si affermò nell'Europa occidentale con l'Impero Carolingio, IX secolo, fino alla nascita dei primi Stati nazionali, anche se i suoi strascichi si protrassero fino al XVIII secolo, agli albori dell'età contemporanea. In senso sociale ed economico fu un'evoluzione della società curtense. Il feudalesimo è un fenomeno politico, economico e sociale tipico del Medioevo. Con Carlo Magno si ha l’inizio del feudalesimo vero e proprio, perché lui organizza il suo impero spartendolo tra i suoi compagni di guerra. Il Sacro Romano Impero era diviso in contee e marche, ognuna rispettivamente donata a conti e marchesi. Queste persone avevano ricevuto questo beneficio dal sovrano, ovvero potevano sfruttare quelle terre in cambio di fedeltà e appoggio militare in caso di guerra. Questo beneficio era però revocabile, quindi alla morte dei feudatari il feudo tornava nelle mani di chi lo aveva concesso. Questa era la teoria, in pratica andò molto diversamente, perché finché ci fu Carlo Magno la sua autorità teneva legati al potere centrale i feudatari, ma con i suoi successori e la divisione dell’impero i grandi feudatari ottennero un potere sempre maggiore e cominciarono a trasmettere i loro possedimenti ereditariamente. Allo stesso momento essi cominciarono a suddividere i loro feudi dando il beneficio ad altri, i vassalli che a loro volta se il feudo era abbastanza grande lo concedevano ai valvassori, e questi ai valvassini. Nell’877 con il capitolare di Quierzy i feudi maggiori divennero ereditari, seguiti da quelli minori nel 1037 con la Constitutio de feudis. Quindi ci fu una suddivisione notevole del potere, che rese ancora più statica e frastagliata questa società. Le invasioni barbariche peggiorarono la situazione: infatti per difendersi i signori costruirono castelli sempre più simili a fortezze e organizzarono possenti eserciti (questo fenomeno viene chiamato incastellamento). Ma per affermare anche il loro potere su un altro feudatario, essi non esitavano a muovere guerra, che in genere si concludeva con un assedio, distruggendo il contado del feudo e quindi la sua economia. Quindi guerre interne, invasioni esterne e frammentazione del potere concorsero a formare la società feudale come la conosciamo, che toccherà il suo apice dopo l’anno mille. La società feudale dell’alto Medioevo * Nella parte più bassa di questa piramide troviamo i poveri, che erano oggetto delle elemosine che si dovevano prestare nel Medioevo. Nella rappresentazione del mito del buon governo, all’immagine di nobili e ricchi borghesi si contrappone quella dei nulla tenenti al bordo della strada. * I servitori anche erano nella stessa infima condizione dei servi, con l’unica differenza che il loro duro lavoro non era poi ricompensato da una paga equa, per cui erano ridotti quasi nella stessa condizione dei poveri. * I servi della gleba erano dei contadini che erano legati a vita al lavoro della terra e i loro figli erano costretti a praticare il loro stesso mestiere. Questa norma era stata istituita per la mancanza di manodopera terriera, per cui i signori avevano sentito il bisogno di tutelarsi e di impedire ogni qualsiasi fuga da questa infima categoria. Infatti questi non si potevano affrancare, la terra che coltivavano era di proprietà del signore, era costretti a lavorare un certo numero di giorni presso le terre direttamente gestite dal feudatario (corvées) e spesso la scarsità del raccolto e le tasse da versare al signore (le decima del raccolto e così via). * I pochi uomini liberi era costituita da quei piccoli artigiani, molto ricercati dai signori, che lavoravano presso il castello nel feudo per renderlo indipendente, infatti esso disponeva delle materie prime ma non di chi potesse lavorarla. Perciò i feudatari gli diedero la possibilità di lavorare all’interno del castello e di vivere nel borgo attorno al castello in cambio di protezione. Questi piccoli artigiani commerciavano sia con il basso, ovvero con in servi della gleba oppure con il feudatario, sicuramente con lui barattavano appunto la protezione in cambio di lavoro. * I piccoli feudatari a questa categoria appartenevano tutti i feudatari minori che godevano dei privilegi feudali ma erano sottoposti all’autorità di quelli maggiori. * I grandi feudatari erano quei signori che possedevano feudi tanto grandi che a volte erano per estensione più importanti rispetto a quelli posseduti dal re stesso. A loro volta essi concedevano queste terre in “subappalto” a vassalli/valvassori/valvassini, ai piccoli feudatari, ricreando spesso una situazione interna al feudo simile a quella della nazione, con un potere centrale poco ascoltato e tanti feudatari che operano a loro piacimento. In alcuni casi (guarda i feudatari di Baviera e Sassonia nel Sacro Romano Impero di nazione germanica) questi così potenti da poter influenzare la scelta del sovrano e da legittimare il suo potere Enrico VI Il re bambino Enrico VI di Lancaster fu l'unico figlio ed erede di Enrico V di Inghilterra. Nacque a Windsor il 6 Dicembre 1421 e salì al trono all'età di nove mesi, il 31 agosto 1422, quando il padre morì. Il parlamento stabilì un consiglio di reggenza: Humphrey, Duca di Gloucester, il più giovane figlio di Enrico IV, fu nominato protettore e difensore del regno e della chiesa; il fratello maggiore ancora vivente di Enrico IV, Giovanni, Duca di Bedford, ebbe l'incarico di condurre la guerra in corso. Assunto il potere nel 1437, a causa del suo carattere facilmente influenzabile, permise alla sua corte di essere dominata da pochi favoriti. Il Cardinale Beaufort convinse il re a sposare la nipote di Carlo VII, Margherita d’Angiò, per ottenere la pace con la Francia. Il monarca francese approvò il matrimonio, a condizione di ricevere in cambio i territori della Maine e dell'Anjou dagli inglesi. Il matrimonio avvenne nel 1445 e Margherita si rivelò pronta a prendere delle decisioni e dimostrò grandi capacità di comando molto di più del marito, sebbene all'epoca ella avesse soltanto 16 anni. Enrico fu deposto il 4 marzo 1461 da suo cugino Edoardo di York. Questi non riuscì a catturare Enrico e la regina, i quali riuscirono a fuggire all'estero. Durante il primo periodo del regno di Edoardo IV, la resistenza dei Lancaster proseguì soprattutto sotto la guida della Regina Margherita e di pochi nobili fedeli. Enrico fu catturato da Edoardo nel 1465 e successivamente imprigionato nella Torre di Londra. La Regina Margherita con l'aiuto di Re Luigi XI di Francia formò pertanto un'alleanza con il Conte di Warwick, il quale tornò in Inghilterra, sconfisse gli York in battaglia, liberò Enrico VI e lo rimise sul trono il 30 ottobre 1470. Questo regno durò molto poco, infatti il re venne rinchiuso nella Torre di Londra, dove fu assassinato il 21 maggio 1471. Si pensava che Riccardo, Duca di Gloucester avesse ucciso sia Enrico sia Edoardo di Westminster. Enrico VI fu succeduto da Edoardo IV, figlio di Riccardo, Duca di York. La figura di Enrico VI Enrico VI fu un uomo molto devoto, infatti non dichiarò mai guerra ai suoi fratelli cristiani, benchè il suo regno fu uno dei più sanguinari della storia inglese, inoltre fu desideroso che fosse fatta giustizia nel suo nome regalando terre e titoli ai suoi consiglieri. Il sovrano appariva come un uomo onesto, ma completamente inadatto al potere regale, poichè era una persona molto indecisa e influenzabile, difatti permise di essere dominato dalle varie fazioni assetate di potere, che lo circondavano a corte. Jane Austen, La storia d’Inghilterra dal regno di Enrico IV alla morte di Carlo I, 1787-1793. Prima edizione marzo 2007, Milano, casa editrice “la vita felice”. “Fu durante il regno di Enrico VI che Giovanna d’Arco visse e provocò tanto scompiglio tra gli Inglesi.Non avrebbero dovuto bruciarla, ma lo fecero.” La Guerra dei cent’anni La guerra dei cent'anni fu un conflitto tra il Regno d'Inghilterra e il Regno di Francia che durò, non continuativamente, 116 anni - dal 1337 al 1453 - e che si concluse con l'espulsione degli inglesi da tutti i territori continentali, fatta eccezione per la cittadina di Calais. Il conflitto fu costellato da tregue molto brevi e interrotto da due veri e propri periodi di pace della durata rispettivamente di 9 e 26 anni, che lo dividono in tre fasi principali, la guerra edoardiana (1337-1360), la guerra carolina (1369-1389) e la guerra dei Lancaster (1415-1429), alle quali deve essere aggiunta la fase conclusiva della guerra (1429-1453). La guerra dei cent'anni segnò l'apice delle tensioni tra Francia e Inghilterra, iniziate nell'undicesimo secolo e finite nel 1748, dopo il fallito tentativo d'invasione dell'Inghilterra da parte dei francesi a sostegno degli scozzesi rivoluzionari. La fase edoardiana Le armate di re Edoardo inflissero a Filippo VI la sconfitta nella battaglia di CrÈcy (1346), conquistarono Calais (1347) e, agli ordini del principe del Galles sconfissero a Poitiers la cavalleria pesante del nuovo re di Francia, Giovanni II di Francia che fu catturato e liberato solo dietro il pagamento di un pesante riscatto (1356).Tuttavia la Francia non disponeva delle ingenti somme richieste dagli avversari cosÏ re Giovanni II lasciÚ i suoi due figli nelle loro mani fnchË non avrebbe pagato. Uno dei due figli fugge, e Giovanni per suo senso dell'onore torno indietro per ritornare cosÏ di nuovo prigioniero e infine morire lÏ. In seguito alla disfatta, la Francia sprofondÚ nel caos: scoppiarono numerose rivolte di contadini (Jacqueries) e Parigi si ribellÚ (1358, rivolta di …tienne Marcel). Questa situazione disperata costrinse il regno a scendere a patti con gli Inglesi concedendo a re Edoardo III, nella pace di BrÈtigny (1360), l'intera parte sudoccidentale della Francia in cambio della sua rinuncia alle pretese al trono. 1365: La Francia dopo il trattato di BrÈtigny. Guerra carolina Carlo V di Francia fu uno dei figli di Giovanni II che non fuggì dalla prigionia, una volta salito al trono, si ritrovò a fronteggiare una situazione difficile: la Francia era nel pieno di una vasta crisi economica, un terzo del regno era controllato dagli inglesi e le rivolte contadine ed autonomiste (come quelle fiamminghe) si susseguivano senza sosta, anche a causa degli aiuti inviati dall'Inghilterra agli insorti. Carlo V, stabilì che occorreva riprendere le armi per riconquistare le terre perdute e, per fare ciò, fece ricorso ad un pretesto. Una condizione degli accordi di pace prevedeva che, in cambio della rinuncia inglese al trono di Francia, il re francese avrebbe perso la sovranità su tutte le terre cedute. Carlo V, tuttavia, volle ignorare il fatto pretendendo che il Principe Nero, feudatario in Aquitania, gli prestasse giuramento di fedeltà. Al rifiuto del Principe la Francia rispose con la dichiarazione di guerra ed il conflitto con l'Inghilterra riprese (1369). Questa volta la superiorità militare inglese non fu più tanto netta: la nuova tattica francese, ideata da Bertrand du Guesclin e consistente nel cosiddetto "sciopero delle armi", ovvero nell'evitare lo scontro campale prediligendo una guerra di logoramento, colse del tutto impreparati i nemici che, abituati alla vecchia guerra d'incursione, si prodigavano in lunghe e infruttuose spedizioni di devastazione. Carlo V, perciÚ, riuscÏ a conseguire innumerevoli successi e a riconquistare la maggior parte delle terre precedentemente perse. Nel 1380 gli inglesi conservavano solo Calais, Cherbourg, Brest, Bordeaux e Bayonne. La vittoria sembrava a portata di mano, soprattutto quando la Francia fu scossa da nuove rivolte. Oppresse dal peso di una pesante fiscalit‡, le citt‡ delle Fiandre si ribellarono e pretesero il riconoscimento dell'indipendenza (1378). La rivolta fu probabilmente, come gi‡ detto, finanziata dagli inglesi che da sempre avevano interessi in quella regione e che speravano in una nuova vittoria delle milizie cittadine fiamminghe contro la cavalleria pesante francese, come era gi‡ avvenuto nella battaglia di Courtrai o degli "Speroni d'Oro". La Francia, tuttavia, con l'aiuto di Filippo II di Borgogna, sconfisse i ribelli a Roosebeke (1382). Il duca borgognone fu ricompensato dal Re con l'annessione delle Fiandre ai propri domini. Gli inglesi cercarono una soluzione al conflitto. La prima proposta fu presentata da Edoardo III che proponeva di trasformare l'Aquitania in un principato soggetto alla Francia, ma governato dal nipote del sovrano inglese, il futuro re Riccardo II. La cosa, tuttavia, fu accantonata in breve. Ma Riccardo II non si arrese: infatti, appena salito al trono d'Inghilterra (1377), ripropose la tregua, convinto della necessit‡ della pace. Non ebbe successo, però e, nel 1381, si ritrovò a fronteggiare una serie di rivolte contadine scoppiate in seguito alla predicazione di John Wyclif. Giovanna d'Arco e la vittoria francese Quando tutto sembrava perduto, una giovane contadina lorenese, Giovanna d'Arco, si recÚ da Carlo VII dichiarandosi inviata da Dio per risollevare le sorti dei Valois (1429). La ragazza sosteneva di essere stata spinta ad agire in prima persona per il bene della Francia dalle voci dell'arcangelo Michele e delle sante Caterina e Margherita. Sebbene gli storici inglesi minimizzino il ruolo che ella ebbe nello svolgersi degli eventi, Ë tuttavia impossibile ignorare che, da quel momento in poi, la guerra registrÚ una svolta di non poco conto. Le truppe del delfino, infatti, guidate da Giovanna, ruppero l'assedio di OrlÈans (da tale impresa derivÚ il soprannome di "Pulzella d'OrlÈans") infliggendo una pesante sconfitta alle forze inglesi e portando alle stelle il morale dei francesi che, imbaldanziti, sconfissero una seconda volta l'esercito del Bedford nella battaglia di Patay e riuscirono a liberare tutti i territori occupati fino a Reims, dove Carlo VII si fece incoronare. Mentre per Giovanna sarebbe stato opportuno continuare la guerra fino alla totale cacciata degli inglesi, il sovrano preferÏ intavolare delle trattative col nemico. La Pulzella, allora, continuÚ le proprie spedizioni fino al 1430, quando, catturata dai Borgognoni a CompiËgne, fu consegnata agli inglesi per 10.000 scudi d'oro, processata per stregoneria e infine, condannata a morte (1431), senza che Carlo VII intervenisse. La figura di Giovanna fu riabilitata solamente al termine della guerra (1456), divenendo cosÏ un personaggio mitico e leggendario della storia francese e uno dei simboli pi˘ significativi della Francia monarchica e cristiana. Con la Rivoluzione francese del 1789, anche questa immagine, come tantissime altre dell'ancien regime, sar‡ spazzata via o, perlomeno, oscurata dai nuovi simboli della rivoluzione. Solamente nel 1920, Giovanna d'Arco fu santificata dal papa Benedetto XV, a 489 anni di distanza dalla sua morte, e, nello stesso anno, la Francia le dedicÚ una festa nazionale, tuttora in vigore. Pace di Arras e fine delle ostilità Finita la guerra e scacciati gli Inglesi da quasi tutto il territorio (Calais rimase inglese), Carlo VII, "re di Francia", convocÚ una riunione ad Arras per stipulare gli accordi per poter costituire il Regno di Francia e rendere definitiva la pace tra armagnacchi e borgognoni. La Conferenza di Arras Ë ricordata per esser stata la prima conferenza europea. Ad essa presero parte i francesi, i borgogni, i lussemburghesi e i savoia. Carlo VII cedette a Filippo III la Contea di M‚con e le citt‡ della Somme, che costituirono con l'Olanda settentrionale e quella meridionale gli Stati Generali dei Paesi Bassi, uno Stato nazionale basato (come oggi) sul modello francese. Inoltre, il duca di Borgogna, rimane vassallo del monarca francese, ma diventÚ ufficialmente indipendente da questo. Questo trattato pone finalmente fine alla guerra "civile" tra armagnacchi e borgognoni. Fu firmato il 21 settembre 1435. L'Inghilterra, cosÏ, rimasta isolata sul continente, subÏ ripetute sconfitte da parte delle truppe di Carlo VII. Nel 1436 perse Parigi, mentre, in seguito alle campagne avvenute tra il 1448 ed il 1453, culminate nella battaglia di Castillon, il controllo della Guienna e della Normandia passÚ definitivamente ai francesi. Agli Inglesi rimase solo il porto di Calais che sarebbe caduto solo nel 1559. La pace di Brétigny Nel 1360 la pace di Brétigny confermò a Edoardo III il possesso di gran parte dei territori centro-occidentali della Francia, del ducato d’Aquitania e di Calais in cambio della sua rinuncia alle pretese sul trono di Francia. Nel 1369 il nuovo sovrano di Francia Carlo V riprese però le ostilità, adottando una strategia d’azione che evitava le battaglie di tipo tradizionale, sfinendo le truppe nemiche con attacchi continui ai distaccamenti isolati o alle linee di rifornimento. In questo modo i francesi riuscirono a recuperare gran parte dei territori persi con la pace di Brétigny e a riguadagnare posizioni sull’avversario, in difficoltà anche per la morte di Edoardo III (1377) e per il fatto che il successore Riccardo II era ancora un bambino. A partire dal 1380 si susseguirono alcune tregue, la più duratura delle quali, siglata nel 1396, avrebbe dovuto avere validità trentennale, ma fu interrotta nel 1414. GIOVANNA D’ARCO LA VITA Giovanna d'Arco, in francese Jeanne d'Arc, o Jehanne Darc nella versione più arcaica è l'eroina nazionale francese, proclamata santa nel 1920 da Papa Benedetto XV e patrona della Francia. È oggi conosciuta come la Pulzella di Orléans. Ebbe il merito di riunificare il proprio Paese contribuendo a risollevarne le sorti durante la guerra dei cento anni. (Dipinto di J.B. Lepade) Nacque nel villaggio di Domremi in Lorena,figlia di due contadini molto religiosi:Giacomo D'Arc e la moglie Isabella Romée. Giovanna aveva tredici anni quando disse di udire voci celestiali spesso accompagnate da visioni dell'Arcangelo Michele, di Santa Caterina e di Santa Margherita che secondo Giovanna erano stati mandati dal suo Signore per guidarla e aiutarla. Nell'estate del 1428 la sua famiglia fugge dalle devastazioni provocate dalle truppe di Giovanni di Lussemburgo ed Antonio di Vergy, capitano borgognone nella valle della Mosa. Era da poco iniziato l'anno 1429 quando gli inglesi erano ormai prossimi ad occupare completamente Orléans; per Giovanna, che sarebbe diventata una figura emblematica della storia di Francia, fu quello il momento - sollecitata dalle voci che diceva di sentire - per correre in aiuto di Carlo VII, Delfino di Francia e futuro re, estromesso dalla successione al trono a beneficio dei sovrani inglesi. Le gesta belliche Ritratto di Giovanna d'Arco, dal registro del Parlamento di Parigi (1429) Presentandosi come inviata di Dio, Giovanna sostenne di aver ricevuto l'incarico celeste di salvare la Francia; la sua buona fede fu affermata da un gruppo di teologi che a lungo l'interrogarono accertandosi inoltre che ella avesse ascoltato la voce di dio dall'orecchio destro visto che la sinistra era vista come la parte del diavolo. Si narra, tuttavia, che il Delfino nella città di Chinon, non fidandosi di lei, le si fosse presentato mescolato tra gli altri presenti. Ella però, pur non avendolo mai visto, lo riconobbe. Carlo, allora, convintosi, decise di affidarsi alla sua guida per riscattare le sorti della Francia. Iniziò pertanto la riforma dell'esercito trascinando con il suo esempio le truppe francesi e imponendo uno stile di vita rigoroso e quasi monastico, molto simile allo stile che adottarono i cavalieri templari, circa tre secoli prima. I soldati, trascinati dal carisma della giovane, si esaltarono e si prepararono alla riscossa. L'Assedio d'Orléans (Giovanna d'Arco) Sebbene non le fosse stata affidata formalmente nessuna carica militare, Giovanna divenne ben presto una figura centrale nelle armate francesi: vestita da soldato, impugnando brando e bandiera bianca con raffigurato Dio nell'atto di benedire il fiordaliso francese, comunemente la pucelle d'Orléans raccolse un gran numero di volontari da tutto il regno e guidò le truppe infervorate in battaglia contro gli inglesi. Questi erano ormai arrivati a porre l'assedio ad Orléans, chiave di volta della valle della Loira, nella Francia centrale. Se Orléans fosse caduta, l'intera Loira meridionale sarebbe stata presa; la stessa Chinon, corte del futuro Carlo VII, non era molto lontana da Orléans. La città era accerchiata dagli inglesi, che controllavano quattro grandi fortezze intorno alla città e dalle quali tenevano l'assedio. Giovanna attaccò quelle maggiormente fortificate a sud del fiume, e l'8 maggio 1429 riuscì a rompere l'accerchiamento dopo aver portato rifornimenti alla popolazione affamata. È qui che il popolo, in festa, le diede il nomignolo di "pulzella d'Orléans". Il suo successo fu fondamentale per le sorti della guerra, poiché esso impedì che gli anglo-borgognoni potessero occupare l'intera parte settentrionale del paese e marciare verso il Sud fedele a Carlo e, inoltre, diede inizio a un'avanzata nella valle della Loira culminata nella battaglia di Patay. Dipinto di J.A.D. Ingres, esposto al Museo del Louvre Consacrazione del re ed altri successi Il 17 luglio 1429 scortò Carlo VII a Reims dove il sovrano fu incoronato. Da questo momento incominciò la riconquista che nel 1437 l'avrebbe portato fino a Parigi. Tuttavia, la figura di Giovanna, ormai leggendaria, divenne improvvisamente ingombrante per l'aristocrazia che cominciò a temere di vedere offuscato il proprio prestigio da una pastorella lorenese. Anche Isabella di Baviera madre di Carlo VII, turbata dalla diceria popolare "una Vergine ci salverà dalla regina madre svergognata" per le sue discutibili pratiche amorose, contribuì a fomentare dubbi e sospetti a corte. Inoltre, le casse del nuovo re non permettevano di continuare la guerra come avrebbe voluto Giovanna, e senza fondi Carlo VII temeva di perdere troppo presto la corona appena ottenuta. Ma Giovanna era una donna determinata e, grazie alla sua fama ed al suo carisma, aveva radunato intorno a sé un vero e proprio esercito privato, con il quale attaccò Parigi l'8 settembre 1429. Forse anche spaventato da questa sua forza sul campo, Carlo VII decise allora di togliere di mezzo la scomoda pulzella; non inviò infatti i rinforzi promessi a Giovanna, che vide così capitolare il suo esercito e fallire l'assedio di Parigi. La cattura e il processo Interrogatorio di Giovanna L'eroina non voleva abbandonare quella che considerava una missione divina e, di conseguenza, continuò con pochi volontari la guerra contro gli Inglesi. La scarsità numerica e l'ostilità che la circondava, tuttavia, la misero subito in una situazione difficile. Nel 1430, durante la battaglia di Compiègne, vicino a Parigi, venne ferita e catturata dalle forze borgognone,che la imprigionarono e le pregarono inutilmente di togliersi gli abiti femminili,poi dopo che la vendettero per la somma di diecimila franchi tornesi agli alleati inglesi,Giovanna non potendo sopportare la prigionia si gettò dalla torre di Beaurevoir;i guardiani la ritrovarono in un fosso gravemente ferita. Nonostante fosse disarmata e in prigione la giovane ispirava agli inglesi un terrore profondo. Così la processarono per eresia e stregoneria a Rouen, senza che Carlo VII muovesse in suo soccorso. Il processo a Giovanna ebbe inizio formale il 21 febbraio 1431. Contro di lei, da parte degli accusatori rappresentati da Cauchon e Estivet, furono usati diversi tranelli al fine di farla crollare emotivamente (come non permetterle di vedere nessuno tranne inquisitori e giudici )e furono usati toni violenti. Nonostante le prove raccolte contro Giovanna d'Arco fossero oggettivamente assai deboli,il 12 aprile venne emesso un verdetto di colpevolezza per una lunga lista di imputazioni, le più gravi delle quali erano la blasfemia, l'idolatria e la superstizione. Seppure stremata nel morale e nel fisico, Giovanna d'Arco continuò a professarsi innocente anche nelle settimane successive, e ad affermare la veriticità delle voci che continuava ad udire. Il 18 aprile 1431 Giovanna fu colpita da un grave malessere accompagnato da un violento stato febbrile, che fece temere per la sua vita, ma si riprese nel giro di pochi giorni. Nel frattempo gli inglesi facevano pressione su Pierre Cauchon perché accelerasse l'esecuzione della sentenza, ma il vescovo di Bauvais, forse non del tutto convinto della regolarità formale del processo, né della effettiva colpevolezza della ragazza, continuò a prendere tempo. Del resto, Cauchon era sottoposto alle pressioni contrapposte da Giovanni Lancaster,duca di Bedford, da un lato, che auspicava una rapida messa a morte della condannata, e da Filippo III di Borgogna dall'altro, che, pur avendone richiesto la condanna, non voleva la morte di Giovanna, forse perché ne aveva pietà ma soprattutto perché temeva di farne una martire. Dall'abiura al rogo Il 23 maggio 1431 fu data lettura pubblica della sentenza di condanna nel cimitero di Rouen, e Giovanna d'Arco, fisicamente stremata e terrorizzata dalla prospettiva di morire bruciata, non reagì, né controbatté alla lunga e infamante lista di imputazioni. Sulla promessa di aver salva la vita e di restare in mano francese, accettò quindi di sottoscrivere l'atto di abiura, segnando il documento con una croce o con un cerchio (fatto che molti studiosi hanno ritenuto insolito, perché la donna, pur priva di qualsiasi istruzione formale, sapeva scrivere il proprio nome, cosa che fece praticamente in tutte le occasioni in cui le fu richiesto, tracciando a fatica la firma "Jehanne"). Giovanna fu quindi reintegrata nel seno della Santa Chiesa Cattolica di Roma e condannata alla carcerazione perpetua. Tuttavia, il giorno successivo, durante una cerimonia solenne in cui dava notizia dell'abiura e della conseguente condanna all'ergastolo di Giovanna d'Arco, Pierre Cauchon la consegnò di fatto ai carcerieri inglesi. In realtà l'abiura, se da un lato favorì la commutazione della pena di morte in quella dell'ergastolo, dall'altro ebbe però l'effetto di legittimare sotto ogni profilo il processo. Infatti, se non avesse abiurato, Giovanna d'Arco avrebbe potuto appellarsi direttamente alla Santa Sede, chiedendo che il processo fosse dichiarato illegittimo, e nel frattempo gli effetti della sentenza sarebbero rimasti sospesi. Tra le condizioni dell'atto di abiura di Giovanna vi era anche quella di non indossare più vestiti di foggia maschile. La mattina del 27 maggio, però, i carcerieri inglesi che sorvegliavano la sua cella dichiararono di aver trovato Giovanna con indosso abiti maschili. Condotta dinnanzi ai giudici e agli inquisitori, la ragazza affermò di aver sottoscritto l'abiura perché intimorita dalla prospettiva del rogo, e perché non aveva del tutto compreso il significato del documento firmato; ribadì quindi la sua innocenza e la veriticità delle voci e delle rivelazioni da essa ricevute. Di fronte alla sostanziale ritrattazione dell'abiura, Pierre Cauchon la dichiarò allora "relapsa", e dispose che fosse consegnata al braccio secolare perché fosse eseguita la condanna a morte. Il 30 maggio 1431, di fronte a una folla numerosa riunitasi per l'occasione, Giovanna d'Arco fu condotta al rogo che era stato allestito sulla piazza del mercato di Rouen. La giovane portava abiti femminili e le fu cinta al capo la solita fascia dove erano scritti i pretesti delitti di lei “Eretica,recidiva,apostata ,idolatra”. Sopra un cartellone sospeso davanti al palco si leggeva in francese:” Giovanna che si è fatta nominare Pulzella,mentitrice perniciosa,ingannatrice del popolo,indovina e superstiziosa,bestemmiatrice,miscredente della fede di Gesù Cristo,vantatrice,idolatra,crudele,dissoluta,scismatica ed eretica.” Le testimonianze raccolte durante la visione del processo affermano che la giovane, dopo che era stato appiccato il fuoco alla pira, abbia urlato per l'ultima volta che le "voci" che le avevano parlato erano vere e che non l'avevano ingannata. Quando fumo e fiamme stavano per avvolgerla, Giovanna d'Arco gridò più volte il nome di Gesù, e nei suoi ultimi istanti di vita ricevette il conforto di una croce astile che le fu posta davanti al volto. Le ceneri del rogo e i pochi resti del corpo di Giovanna d'Arco furono poi gettati nella Senna per evitare che i venditori di reliquie potessero alimentare il culto della "Pulzella". Le reliquie Giovanna d'Arco fu giustiziata sul rogo il 30 maggio 1431, l'esecuzione procedette con modalità ben descritte nelle cronache dell'epoca e consistette in una sorta di "tripla cremazione". La condannata non fu infatti uccisa direttamente dalle fiamme, quanto piuttosto dall'inalazione dei fumi arroventati prodotti dalla combustione del legname e della paglia, si trattava di una morte atroce, ma comunque molto rapida, che avviene per soffocamento si sa con certezza che, pochi minuti dopo che le fiamme avevano completamente avvolto la pira, i boia le fecero abbassare, consentendo ad alcuni spettatori di avvicinarsi, per mostrare loro che il cadavere del condannato era di sesso femminile e che si trattava proprio di quello di Giovanna d'Arco (il corpo era dunque pressoché intatto e riconoscibile), successivamente il fuoco fu rialimentato, in modo che il cadavere potesse essere completamente distrutto dal calore. A questa seconda cremazione, ne seguì una terza, perché i carnefici si erano resi conto che il corpo, seppure carbonizzato, non bruciava completamente. Fecero quindi abbassare nuovamente le fiamme e (probabilmente con l'ausilio di bastoni o mazze) frantumarono ciò che restava di ancora integro o solo parzialmente combusto (la testa, alcuni organi interni come il cuore, ecc.). Le fiamme furono quindi alimentate ancora una volta, ed alla fine di questa terza cremazione, diverse ore dopo l'accensione del rogo, della "Pulzella di Orléans" rimanevano solo le ceneri e qualche frammento osseo. I resti del rogo furono quindi caricati su un carro e (probabilmente sotto stretto controllo di una guarnigione armata) gettati nella Senna. La dispersione delle ceneri era una sorta di pena accessoria e postuma, non priva di connotati superstiziosi (per la mentalità religiosa dell'epoca la distruzione del cadavere rendeva più difficile l'eventuale resurrezione al momento del Giudizio universale), ma aveva anche uno scopo immediato e pratico: impedire che venissero prelevate reliquie di Giovanna d'Arco, perché a meno di due anni dalle grandi imprese militari della "Pulzella", la sua fama era ancora enorme e il coraggio con cui aveva affrontato il processo e la condanna potevano rafforzarla ulteriormente; la presenza di eventuali reliquie poteva quindi costituire la base di un culto pericoloso, perché rivolto a una nemica implacabile di inglesi e borgognoni. STEREOTIPI FEMMINILI NEL MEDIOEVO Come in ogni epoca, la donna può ovviamente appartenere a classi differenti e questo comporta inevitabili differenziazioni. Nel complesso, in età medievale, la condizione della donna era però assai diversa da quello che i pregiudizi spesso ci portano a ritenere: molto diffusa è infatti la diceria secondo la quale la donna nel Medioevo fosse addirittura considerata priva di anima. Anche in questo caso vale la pena di riferirsi ai dati e non alle opinioni. Vale come risposta sottolineare l'importanza della figura della Madonna o di donne divenute poi sante e seguite ed amate dal popolo, come S. Agata, S. Rosa o l'eroina Giovanna d'Arco. La donna nelle classi elevate Ai tempi del feudalesimo la regina era incoronata, se necessario, come se si trattasse di un re: l'uomo e la donna erano, in questo caso, su un piano di parità . L'influenza della figura femminile diminuisce parallelamente alla ascesa, a partire dal Rinascimento, del diritto romano: infatti la prima disposizione che eliminò la donna dalla successione al trono fu presa da Filippo il Bello. Ma già in età classica, quella alla quale si ispira l'età definita rinascimentale, il diritto romano non è favorevole alla donna: è il diritto del "pater familias", del padre proprietario e, a casa sua, gran sacerdote, capo famiglia il cui potere è sacro e illimitato. Nel Medioevo il padre possedeva un'autorità di gerente, non di proprietario: era tradizione nelle famiglie, nobili o plebee che fossero, che nel caso di unione conclusa senza un erede diretto, i beni provenienti dal padre andassero alla famiglia paterna, ma anche che quelli della madre tornassero alla famiglia materna. Le donne in convento Nel XIII secolo i conventi femminili erano sempre stati centri di preghiera, ma al tempo stesso di dottrina religiosa, di cultura; vi si studiava la sacra scrittura, considerata come base di ogni conoscenza, e poi di tutti gli altri elementi del sapere. Le religiose erano ragazze colte: d'altronde l'entrare in convento era la via normale per le donne che volevano approfondire le proprie conoscenze al di là del livello corrente. Per questo in età medievale abbiamo i primi esempi di letterate famose e importanti. Inoltre le badesse poste a capo del monastero erano autentici signori feudali e amministravano, anche da un punto di vista economico, vasti territori che includevano anche villaggi o parrocchie. Nessuno si scandalizzava se anche il vicino convento maschile era sottoposto ad una badessa (come accadde a Fontenvrault nel XII secolo), dimostrando che le parole di S. Paolo ("non c'è più né uomo né donna") erano veramente vissute. La donna nella società civile Ma le contadine, le cittadine, le madri di famiglia, erano così valutate come le nobili o le monache? Non c'erano poeti che dedicassero loro poesie d'amore né venivano valorizzate da particolari carriere come nella vita monastica. Tuttavia da documenti del tempo è sorprendente notare che è proprio nel Medioevo che per la prima volta le donne possono votare (nelle assemblee cittadine o in quelle dei comuni rurali). Da atti notarili veniamo a sapere che le donne agiscono per conto proprio, acquistano e gestiscono negozi, pagano le imposte, svolgono mestieri che solo oggi riteniamo adeguati anche ad una donna: nel Medioevo troviamo maestre, farmaciste, donne medico, miniaturiste, rilegatrici di codici, tingitrici, gessaiole, ecc. Santa o strega? Quali requisiti sono necessari a una donna per essere definita santa? Deve obbligatoriamente essere Vergine o Vedova? Deve avere visioni e vivere nel più completo isolamento dal mondo che la circonda? Deve passare le sue giornate in preghiera? Al contrario esistono parametri per identificare una strega? Che abbia una corporatura gracile? Che viva da sola, in un bosco? Che abbia conoscenze nell’erboristeria? Che abbia un abbigliamento e un’indole che facciano pensare alla magia? Credenze. Le donne venivano bollate come streghe o sante in base a credenze spesso prive di fondamento. Giovanna D’Arco viene riconosciuta in entrambi gli ambiti: prima come donna visionaria che conduce il proprio popolo alla conquista e all’unità del paese, una donna guerriero mandata dal Signore per sconfiggere gli Inglesi, un dono; poi, una volta ottenute le vittorie tanto bramate, la santa tanto venerata diviene per molti una strega da eliminare perché troppo pericolosa. Leggendo le gesta e le grandi imprese compiute da una sola donna in un’epoca completamente patriarcale, sorge spontaneo chiedersi se tale donna fosse qualcosa di più di una semplice contadina,magari un’entità superiore con poteri soprannaturali, o se fosse una donna come tutte le altre. La questione della verginità La sua firma (l'unica parola che la Pulzella, analfabeta, fosse in grado di scrivere) Definendosi apertamente la "Pulzella", Giovanna accreditava l'idea di essere un'inviata da Dio e non una strega: la sua verginità simboleggiava chiaramente la purezza, tanto da un punto di vista fisico quanto da quello delle intenzioni religiose e politiche. Di conseguenza, verificarne la veridicità era questione di fondamentale importanza: così, per ben due volte venne constatata dalle matrone su ordine dello stesso Cauchon. L'abitudine di Giovanna di portare abiti maschili aveva probabilmente il fine di impedire ai malintenzionati di violentarla. Riabilitazione e canonizzazione Il 7 luglio 1456,in un'assemblea solenne,alla presenza dei fratelli e della madre di Giovanna, nel palazzo episcopale di Roano,l'arcivescovo di Reims pronunciò la sentenza di reintegrazione. Poi fu dichiarata venerabile nel 1895,beata nel 1909,santa e patrona di Francia nel 1920. (Dipinto di Eugene Thirion) Il processo: Alcune testimonianze riportano il processo che fu fatto a Giovanna d’Arco. La giovane eroina fu accusata di blasfemia, idolatria e superstizione. “Seppure stremata nel morale e nel fisico, Giovanna d'Arco continuò a professarsi innocente anche nelle settimane successive, e ad affermare la veridicità delle voci che continuava ad udire.” Dopo settimane di interrogatori fu stilata la condanna per Giovanna d’Arco, la quale di fronte alla morte dimostrò anch’ella di provare sentimenti comuni a tutti gli uomini come la paura. “Il 23 maggio 1431 fu data lettura pubblica della sentenza di condanna nel cimitero di Rouen, e Giovanna d'Arco, fisicamente stremata e terrorizzata dalla prospettiva di morire bruciata, non reagì, né controbatté alla lunga e infamante lista di imputazioni. (…) Sulla promessa di aver salva la vita e di restare in mano francese, accettò quindi di sottoscrivere l'atto di abiura, segnando il documento con una croce o con un cerchio. Giovanna fu quindi reintegrata nel seno della Santa Chiesa Cattolica di Roma e condannata alla carcerazione perpetua. Tuttavia, il giorno successivo, durante una cerimonia solenne in cui dava notizia dell'abiura e della conseguente condanna all'ergastolo di Giovanna d'Arco, Pierre Cauchon la consegnò di fatto ai carcerieri inglesi.” Giovanna d’Arco fu tradita dai francesi, ingannata dagli inglesi; tutti si presero gioco di lei e ,come spesso accade con persone oneste, gli furono voltate le spalle dal popolo. “Condotta dinnanzi ai giudici e agli inquisitori, la ragazza affermò di aver sottoscritto l'abiura perché intimorita dalla prospettiva del rogo, e perché non aveva del tutto compreso il significato del documento firmato; ribadì quindi la sua innocenza e la veridicità delle voci e delle rivelazioni da essa ricevute. Di fronte alla sostanziale ritrattazione dell'abiura, Pierre Cauchon la dichiarò allora "relapsa", e dispose che fosse consegnata al braccio secolare perché fosse eseguita la condanna a morte.” Giovanna d’Arco donna. Donna come tante altre. Donna con pregi, difetti, paure e speranze. Giovanna guerriera, contadina, condottiera di eserciti, serva dell’impero. Giovanna era un individuo unico come ognuno di noi ha una propria personalità, inviolabile. L’unica differenza che la distingue dalla massa fu il suo coraggio, la sua capacità di mettersi in gioco, condividendo i propri pensieri, le proprie idee politiche e religiose, mostrando ai popoli quali obiettivi può raggiungere la determinazione di una sola persona, nel realizzare i propri sogni. Perché una donna? Premesso che sia stato Dio: Perché Dio scelse una donna per salvare la Francia? Perché Dio concesse l’onore di combattere in nome del Padre ad una donna, essere immondo e peccaminoso? Per quale ragione una donna, se ella doveva necessariamente mascherarsi da uomo per adempiere al suo volere? Giovanna d’Arco dormiva con i suoi soldati senza porsi il problema di molestie, perché si considerava una di loro. Come poteva farlo, visto la sua consapevole condizione di donna? In questo caso non è rilevante l’aspetto sessuale dell’essere umano, ma quello spirituale. Giovanna d’Arco non si faceva portavoce di una rivolta proto-femminista, poiché non era quello il suo intento, né le sarebbe stato possibile avere concezione del significato di un simile gesto; perciò non possiamo considerare di particolare rilevanza il suo essere donna. La sua sessualità era indifferente per il compito che Dio le aveva assegnato; certo destò scalpore la tenacia con la quale sostenne di dover indossare abiti maschili e lasciò interdetti il fatto che Dio avesse ordinato proprio ad una donna di salvare la Francia, ma non era la Giovanna d’Arco di Domremy a combattere gli Inglesi, non era lei a sfidare l’inquisizione e giacere in una cella in attesa di essere bruciata sul rogo, quella era un’emissaria del Signore, del Padre, immolata per una giusta causa. Concettualmente non vi è infatti alcuna differenza tra Giovanna d’Arco e Gesù Cristo, perché nessuno dei due fu inviato da Dio in quanto uomo o in quanto donna, ma in quanto essere destinato a morire, come tutti gli altri. Essere paritario, strumento, tramite, ponte chiamato ad unire il genere umano alla dimensione celeste dell’esistenza. Sarebbe scorretto e riduttivo limitarsi a considerare Giovanna come una donna, perché non era attorno a questa caratteristica che verte la sua persona. Prima di essere donna, infatti, Giovanna pretende di essere ascoltata come uomo e come voce di Dio. QUATTRO FILM QUATTRO GIOVANNE Dreyer 1928 Giovanna d’Arco, interpretata da Renèe Falconetti, appare quasi divinizzata. È come se dentro di lei vi fosse realmente il Signore, come se fosse posseduta da esso. Nel film di Dreyer si evidenzia la somiglianza tra Gesù Cristo e Giovanna d’Arco, una somiglianza spirituale, una comunione di intenti. Certo, Jannette era stata inviata unicamente per salvare la Francia e non per redimere l’umanità, ma in questa pellicola viene accentuata la sua devozione e totale fiducia nel Signore padre di ogni cosa. Rossellini 1954 Ingrud Bergman interpreta una Giovanna d’Arco molto tradizionale. Indossa l’armatura, veste abiti maschili e combatte accanto ai soldati del Delfino di Francia, ma Rossellini non mette in luce aspetti particolari della personalità di Giovanna d’arco e non si sofferma più del dovuto sul processo che la porta alla morte sul rogo. Nel complesso il film appare una fotografia a colori di quel mondo che Giovanna ha probabilmente vissuto, ma nulla di più e nulla di meno. Bresson 1962 Bresson dona alla pellicola una Giovanna d’Arco forte, tenace, determinata. Una donna che non ha paura di combattere per la causa del Signore che è diventata la sua. Non si concede il vezzo di lasciarsi trasportare dalle emozioni, resta lucida, pacata e convincente. Trasforma il suo processo in uno scoppiettante scambio di battute. Un botta e risposta sconcertante quanto surreale. La Giovanna d’Arco di questa pellicola è inverosimilmente forte. Non si lascia travolgere dalla paura, ma continua imperterrita la sua missione. Besson 1999 Besson osa l’impossibile. E’ come se tentasse di dare voce alla Giovanna di Dreyer, ma le tinte del film appaiono più fosche e la trama confusa. Giovanna si presenta più simile ad una pazza visionaria che ad una santa o ad una strega e la sua figura viene eccessivamente misticizzata. Il film è come un tuffo nella mente di una donna ossessionata da incomprensibili allucinazioni; Besson tenta di introdurre lo spettatore in quella di Giovanna, ma con scarso successo. Ma chi era veramente Giovanna d’arco? Dipinta con addosso la sua armatura. Il mondo è abituato al cliscè della donna soldato, di un’eroina orgogliosa, di una patriota. Spesso tendiamo a dimenticare che fosse soltanto una donna e censuriamo la sua condotta disdicevole riconoscendole unicamente il merito di aver riunificato la Francia. Il fuoco ha lavato le sue colpe e il mondo l’ha innalzata a emblema della libertà e della tenacia. Poco importa che sia stata uccisa; poco importa che sia stata condannata come strega; ora è patrona della Francia stessa, venerata perché santa. E’ “La Pulzella di Orléans” A Giovanna D'Arco è dedicata una canzone di Leonard Cohen, Joan of Arc, tradotta in italiano da Fabrizio De André. (Leonard Cohen è nato a Montreal nel 1934 da una famiglia ebrea immigrata nel Canada. Suo padre era di origini polacche e sua madre di origini lituane. Fin dai tempi dell'università a Montreal, Leonard Cohen si dedica alla poesia. La sua prima raccolta vede la luce nel 1956, con il titolo di Let Us Compare Mythologies.) TRADUZIONE DI FABRIZIO DE ANDRE’ : Attraverso il buio Giovanna d'Arco precedeva le fiamme cavalcando nessuna luna per la corazza ed il manto nessun uomo nella sua fumosa notte al suo fianco. Sono stanca della guerra ormai al lavoro di un tempo tornerei a un vestito da sposa o a qualcosa di bianco per nascondere questa mia vocazione al trionfo ed al pianto. Son parole le tue che volevo ascoltare ti ho spiato ogni giorno cavalcare e a sentirti così ora so cosa voglio vincere un'eroina così fredda, abbracciarne l'orgoglio. E chi sei tu lei disse divertendosi al gioco, chi sei tu che mi parli così senza riguardo, veramente stai parlando col fuoco e amo la tua solitudine, amo il tuo sguardo. E se tu sei il fuoco raffreddati un poco, le tue mani ora avranno da tenere qualcosa, e tacendo gli si arrampicò dentro ad offrirgli il suo modo migliore di essere sposa. E nel profondo del suo cuore rovente lui prese ad avvolgere Giovanna d'Arco e là in alto e davanti alla gente lui appese le ceneri inutili del suo abito bianco. E fu dal profondo del suo cuore rovente che lui prese Giovanna e la colpì nel segno e lei capì chiaramente che se lui era il fuoco lei doveva essere il legno. Ho visto la smorfia del suo dolore, ho visto la gloria nel suo sguardo raggiante anche io vorrei luce ed amore ma se arriva deve essere sempre così crudele TESTO ORIGINALE : Now the flames they followed joan of arc As she came riding through the dark; No moon to keep her armour bright, No man to get her through this very smoky night. She said, I’m tired of the war, I want the kind of work I had before, A wedding dress or something white To wear upon my swollen appetite. Well, I’m glad to hear you talk this way, You know I’ve watched you riding every day And something in me yearns to win Such a cold and lonesome heroine. And who are you? she sternly spoke To the one beneath the smoke. Why, I’m fire, he replied, And I love your solitude, I love your pride. Then fire, make your body cold, I’m going to give you mine to hold, Saying this she climbed inside To be his one, to be his only bride. And deep into his fiery heart He took the dust of joan of arc, And high above the wedding guests He hung the ashes of her wedding dress. It was deep into his fiery heart He took the dust of joan of arc, And then she clearly understood If he was fire, oh then she must be wood. I saw her wince, I saw her cry, I saw the glory in her eye. Myself I long for love and light, But must it come so cruel, and oh so bright? BIBLIOGRAFIA: “Feudalesimo” – Wikipedia “Feudalesimo” – Storia “Enrico VI” – Wikipedia Jane Austen, La storia d’Inghilterra dal regno di Enrico IV alla morte di CarloI, http://www.homolaicus.com/storia/moderna/monarchie_nazionali/formazione_ monarchie.htm “La guerra dei cent’anni” – Wikipedia http://www.parodos.it/sintesi10.htm “La guerra dei cent’anni” - MSN Encarta “Vita di Givanna d’Arco” - Wikipedia “Storia di Giovanna d’Arco” da Lebrun De Charmettes