giovannad`arco - genere e dintorni

Feudalesimo
Il feudalesimo, detto anche "rete vassallatico-beneficiaria", era un sistema politico
prima che sociale che si affermò nell'Europa occidentale con l'Impero Carolingio, IX
secolo, fino alla nascita dei primi Stati nazionali, anche se i suoi strascichi si
protrassero fino al XVIII secolo, agli albori dell'età contemporanea. In senso sociale
ed economico fu un'evoluzione della società curtense.
Il feudalesimo è un fenomeno
politico, economico e sociale tipico
del Medioevo.
Con Carlo Magno si ha l’inizio del
feudalesimo vero e proprio,
perché lui organizza il suo impero
spartendolo tra i suoi compagni di
guerra. Il Sacro Romano Impero
era diviso in contee e marche,
ognuna rispettivamente donata a
conti e marchesi. Queste persone
avevano ricevuto questo beneficio
dal sovrano, ovvero potevano
sfruttare quelle terre in cambio di fedeltà e appoggio militare in caso di guerra.
Questo beneficio era però revocabile, quindi alla morte dei feudatari il feudo tornava
nelle mani di chi lo aveva concesso. Questa era la teoria, in pratica andò molto
diversamente, perché finché ci fu Carlo Magno la sua autorità teneva legati al potere
centrale i feudatari, ma con i suoi successori e la divisione dell’impero i grandi
feudatari ottennero un potere sempre maggiore e cominciarono a trasmettere i loro
possedimenti ereditariamente. Allo stesso momento essi cominciarono a suddividere i
loro feudi dando il beneficio ad altri, i vassalli che a loro volta se il feudo era
abbastanza grande lo concedevano ai valvassori, e questi ai valvassini. Nell’877 con il
capitolare di Quierzy i feudi maggiori divennero ereditari, seguiti da quelli minori nel
1037 con la Constitutio de feudis. Quindi ci fu una suddivisione notevole del potere,
che rese ancora più statica e frastagliata questa società. Le invasioni barbariche
peggiorarono la situazione: infatti per difendersi i signori costruirono castelli sempre
più simili a fortezze e organizzarono possenti eserciti (questo fenomeno viene
chiamato incastellamento). Ma per affermare anche il loro potere su un altro
feudatario, essi non esitavano a muovere guerra, che in genere si concludeva con un
assedio, distruggendo il contado del feudo e quindi la sua economia. Quindi guerre
interne, invasioni esterne e frammentazione del potere concorsero a formare la
società feudale come la conosciamo, che toccherà il suo apice dopo l’anno mille.
La società feudale dell’alto Medioevo
* Nella parte più bassa di questa piramide troviamo i poveri, che erano oggetto delle
elemosine che si dovevano prestare nel Medioevo. Nella rappresentazione del mito del
buon governo, all’immagine di nobili e ricchi borghesi si contrappone quella dei nulla
tenenti al bordo della strada.
* I servitori anche erano nella stessa infima condizione dei servi, con l’unica
differenza che il loro duro lavoro non era poi ricompensato da una paga equa, per cui
erano ridotti quasi nella stessa condizione dei poveri.
* I servi della gleba erano dei contadini che erano legati a vita al lavoro della terra e i
loro figli erano costretti a praticare il loro stesso mestiere. Questa norma era stata
istituita per la mancanza di manodopera terriera, per cui i signori avevano sentito il
bisogno di tutelarsi e di impedire ogni qualsiasi fuga da questa infima categoria.
Infatti questi non si potevano affrancare, la terra che coltivavano era di proprietà del
signore, era costretti a lavorare un certo numero di giorni presso le terre
direttamente gestite dal feudatario (corvées) e spesso la scarsità del raccolto e le
tasse da versare al signore (le decima del raccolto e così via).
* I pochi uomini liberi era costituita da quei piccoli artigiani, molto ricercati dai
signori, che lavoravano presso il castello nel feudo per renderlo indipendente, infatti
esso disponeva delle materie prime ma non di chi potesse lavorarla. Perciò i feudatari
gli diedero la possibilità di lavorare all’interno del castello e di vivere nel borgo
attorno al castello in cambio di protezione. Questi piccoli artigiani commerciavano sia
con il basso, ovvero con in servi della gleba oppure con il feudatario, sicuramente con
lui barattavano appunto la protezione in cambio di lavoro.
* I piccoli feudatari a questa categoria appartenevano tutti i feudatari minori che
godevano dei privilegi feudali ma erano sottoposti all’autorità di quelli maggiori.
* I grandi feudatari erano quei signori che possedevano feudi tanto grandi che a volte
erano per estensione più importanti rispetto a quelli posseduti dal re stesso. A loro
volta essi concedevano queste terre in “subappalto” a vassalli/valvassori/valvassini, ai
piccoli feudatari, ricreando spesso una situazione interna al feudo simile a quella della
nazione, con un potere centrale poco ascoltato e tanti feudatari che operano a loro
piacimento. In alcuni casi (guarda i feudatari di Baviera e Sassonia nel Sacro Romano
Impero di nazione germanica) questi così potenti da poter influenzare la scelta del
sovrano e da legittimare il suo potere
Enrico VI
Il re bambino
Enrico VI di Lancaster fu l'unico figlio ed erede di Enrico V di Inghilterra. Nacque a
Windsor il 6 Dicembre 1421 e salì al trono all'età di nove mesi, il 31 agosto 1422,
quando il padre morì.
Il parlamento stabilì un consiglio di reggenza: Humphrey, Duca di Gloucester, il più
giovane figlio di Enrico IV, fu nominato protettore e difensore del regno e della
chiesa; il fratello maggiore ancora vivente di Enrico IV, Giovanni, Duca di Bedford,
ebbe l'incarico di condurre la guerra in corso.
Assunto il potere nel 1437, a causa del suo carattere facilmente influenzabile,
permise alla sua corte di essere dominata da pochi favoriti. Il Cardinale Beaufort
convinse il re a sposare la nipote di Carlo VII, Margherita d’Angiò, per ottenere la
pace con la Francia. Il monarca francese approvò il matrimonio, a condizione di
ricevere in cambio i territori della Maine e dell'Anjou dagli inglesi.
Il matrimonio avvenne nel 1445 e Margherita si rivelò pronta a prendere delle
decisioni e dimostrò grandi capacità di comando molto di più del marito, sebbene
all'epoca ella avesse soltanto 16 anni.
Enrico fu deposto il 4 marzo 1461 da suo cugino Edoardo di York. Questi non riuscì a
catturare Enrico e la regina, i quali riuscirono a fuggire all'estero. Durante il primo
periodo del regno di Edoardo IV, la resistenza dei Lancaster proseguì soprattutto
sotto la guida della Regina Margherita e di pochi nobili fedeli. Enrico fu catturato da
Edoardo nel 1465 e successivamente imprigionato nella Torre di Londra. La Regina
Margherita con l'aiuto di Re Luigi XI di Francia formò pertanto un'alleanza con il
Conte di Warwick, il quale tornò in Inghilterra, sconfisse gli York in battaglia, liberò
Enrico VI e lo rimise sul trono il 30 ottobre 1470. Questo regno durò molto poco,
infatti il re venne rinchiuso nella Torre di Londra, dove fu assassinato il 21 maggio
1471. Si pensava che Riccardo, Duca di Gloucester avesse ucciso sia Enrico sia
Edoardo di Westminster.
Enrico VI fu succeduto da Edoardo IV, figlio di Riccardo, Duca di York.
La figura di Enrico VI
Enrico VI fu un uomo molto devoto, infatti non dichiarò mai guerra ai suoi fratelli
cristiani, benchè il suo regno fu uno dei più sanguinari della storia inglese, inoltre fu
desideroso che fosse fatta giustizia nel suo nome regalando terre e titoli ai suoi
consiglieri. Il sovrano appariva come un uomo onesto, ma completamente inadatto al
potere regale, poichè era una persona molto indecisa e influenzabile, difatti permise
di essere dominato dalle varie fazioni assetate di potere, che lo circondavano a corte.
Jane Austen, La storia d’Inghilterra dal regno di Enrico IV alla morte di Carlo I,
1787-1793.
Prima edizione marzo 2007, Milano, casa editrice “la vita felice”.
“Fu durante il regno di Enrico VI che Giovanna d’Arco visse e provocò tanto scompiglio
tra gli Inglesi.Non avrebbero dovuto bruciarla, ma lo fecero.”
La Guerra dei cent’anni
La guerra dei cent'anni fu un conflitto tra il Regno d'Inghilterra e il Regno di Francia che durò, non
continuativamente, 116 anni - dal 1337 al 1453 - e che si concluse con l'espulsione degli inglesi da tutti i
territori continentali, fatta eccezione per la cittadina di Calais. Il conflitto fu costellato da tregue molto brevi
e interrotto da due veri e propri periodi di pace della durata rispettivamente di 9 e 26 anni, che lo dividono
in tre fasi principali, la guerra edoardiana (1337-1360), la guerra carolina (1369-1389) e la guerra dei
Lancaster (1415-1429), alle quali deve essere aggiunta la fase conclusiva della guerra (1429-1453).
La guerra dei cent'anni segnò l'apice delle tensioni tra Francia e Inghilterra, iniziate nell'undicesimo secolo
e finite nel 1748, dopo il fallito tentativo d'invasione dell'Inghilterra da parte dei francesi a sostegno degli
scozzesi rivoluzionari.
La fase edoardiana
Le armate di re Edoardo inflissero a Filippo VI la sconfitta nella battaglia di CrÈcy (1346), conquistarono
Calais (1347) e, agli ordini del principe del Galles sconfissero a Poitiers la cavalleria pesante del nuovo re di
Francia, Giovanni II di Francia che fu catturato e liberato solo dietro il pagamento di un pesante riscatto
(1356).Tuttavia la Francia non disponeva delle ingenti somme richieste dagli avversari cosÏ re Giovanni II
lasciÚ i suoi due figli nelle loro mani fnchË non avrebbe pagato. Uno dei due figli fugge, e Giovanni per suo
senso dell'onore torno indietro per ritornare cosÏ di nuovo prigioniero e infine morire lÏ.
In seguito alla disfatta, la Francia sprofondÚ nel caos: scoppiarono numerose rivolte di contadini
(Jacqueries) e Parigi si ribellÚ (1358, rivolta di …tienne Marcel). Questa situazione disperata costrinse il
regno a scendere a patti con gli Inglesi concedendo a re Edoardo III, nella pace di BrÈtigny (1360), l'intera
parte sudoccidentale della Francia in cambio della sua rinuncia alle pretese al trono.
1365: La Francia dopo il trattato di BrÈtigny.
Guerra carolina
Carlo V di Francia fu uno dei figli di Giovanni II che non fuggì dalla prigionia, una volta salito al trono, si
ritrovò a fronteggiare una situazione difficile: la Francia era nel pieno di una vasta crisi economica, un terzo
del regno era controllato dagli inglesi e le rivolte contadine ed autonomiste (come quelle fiamminghe) si
susseguivano senza sosta, anche a causa degli aiuti inviati dall'Inghilterra agli insorti. Carlo V, stabilì che
occorreva riprendere le armi per riconquistare le terre perdute e, per fare ciò, fece ricorso ad un pretesto.
Una condizione degli accordi di pace prevedeva che, in cambio della rinuncia inglese al trono di Francia, il re
francese avrebbe perso la sovranità su tutte le terre cedute. Carlo V, tuttavia, volle ignorare il fatto
pretendendo che il Principe Nero, feudatario in Aquitania, gli prestasse giuramento di fedeltà. Al rifiuto del
Principe la Francia rispose con la dichiarazione di guerra ed il conflitto con l'Inghilterra riprese (1369).
Questa volta la superiorità militare inglese non fu più tanto netta: la nuova tattica francese, ideata da
Bertrand du Guesclin e consistente nel cosiddetto "sciopero delle armi", ovvero nell'evitare lo scontro
campale prediligendo una guerra di logoramento, colse del tutto impreparati i nemici che, abituati alla
vecchia guerra d'incursione, si prodigavano in lunghe e infruttuose spedizioni di devastazione. Carlo V,
perciÚ, riuscÏ a conseguire innumerevoli successi e a riconquistare la maggior parte delle terre
precedentemente perse. Nel 1380 gli inglesi conservavano solo Calais, Cherbourg, Brest, Bordeaux e
Bayonne. La vittoria sembrava a portata di mano, soprattutto quando la Francia fu scossa da nuove rivolte.
Oppresse dal peso di una pesante fiscalit‡, le citt‡ delle Fiandre si ribellarono e pretesero il riconoscimento
dell'indipendenza (1378). La rivolta fu probabilmente, come gi‡ detto, finanziata dagli inglesi che da sempre
avevano interessi in quella regione e che speravano in una nuova vittoria delle milizie cittadine fiamminghe
contro la cavalleria pesante francese, come era gi‡ avvenuto nella battaglia di Courtrai o degli "Speroni
d'Oro". La Francia, tuttavia, con l'aiuto di Filippo II di Borgogna, sconfisse i ribelli a Roosebeke (1382). Il
duca borgognone fu ricompensato dal Re con l'annessione delle Fiandre ai propri domini.
Gli inglesi cercarono una soluzione al conflitto. La prima proposta fu presentata da Edoardo III che
proponeva di trasformare l'Aquitania in un principato soggetto alla Francia, ma governato dal nipote del
sovrano inglese, il futuro re Riccardo II. La cosa, tuttavia, fu accantonata in breve. Ma Riccardo II non si
arrese: infatti, appena salito al trono d'Inghilterra (1377), ripropose la tregua, convinto della necessit‡ della
pace. Non ebbe successo, però e, nel 1381, si ritrovò a fronteggiare una serie di rivolte contadine scoppiate
in seguito alla predicazione di John Wyclif.
Giovanna d'Arco e la vittoria francese
Quando tutto sembrava perduto, una giovane contadina lorenese, Giovanna d'Arco, si recÚ da Carlo VII
dichiarandosi inviata da Dio per risollevare le sorti dei Valois (1429). La ragazza sosteneva di essere stata
spinta ad agire in prima persona per il bene della Francia dalle voci dell'arcangelo Michele e delle sante
Caterina e Margherita. Sebbene gli storici inglesi minimizzino il ruolo che ella ebbe nello svolgersi degli
eventi, Ë tuttavia impossibile ignorare che, da quel momento in poi, la guerra registrÚ una svolta di non
poco conto. Le truppe del delfino, infatti, guidate da Giovanna, ruppero l'assedio di OrlÈans (da tale
impresa derivÚ il soprannome di "Pulzella d'OrlÈans") infliggendo una pesante sconfitta alle forze inglesi e
portando alle stelle il morale dei francesi che, imbaldanziti, sconfissero una seconda volta l'esercito del
Bedford nella battaglia di Patay e riuscirono a liberare tutti i territori occupati fino a Reims, dove Carlo VII si
fece incoronare.
Mentre per Giovanna sarebbe stato opportuno continuare la guerra fino alla totale cacciata degli inglesi, il
sovrano preferÏ intavolare delle trattative col nemico. La Pulzella, allora, continuÚ le proprie spedizioni fino
al 1430, quando, catturata dai Borgognoni a CompiËgne, fu consegnata agli inglesi per 10.000 scudi d'oro,
processata per stregoneria e infine, condannata a morte (1431), senza che Carlo VII intervenisse. La figura
di Giovanna fu riabilitata solamente al termine della guerra (1456), divenendo cosÏ un personaggio mitico e
leggendario della storia francese e uno dei simboli pi˘ significativi della Francia monarchica e cristiana. Con
la Rivoluzione francese del 1789, anche questa immagine, come tantissime altre dell'ancien regime, sar‡
spazzata via o, perlomeno, oscurata dai nuovi simboli della rivoluzione. Solamente nel 1920, Giovanna
d'Arco fu santificata dal papa Benedetto XV, a 489 anni di distanza dalla sua morte, e, nello stesso anno, la
Francia le dedicÚ una festa nazionale, tuttora in vigore.
Pace di Arras e fine delle ostilità
Finita la guerra e scacciati gli Inglesi da quasi tutto il territorio (Calais rimase inglese), Carlo VII, "re di
Francia", convocÚ una riunione ad Arras per stipulare gli accordi per poter costituire il Regno di Francia e
rendere definitiva la pace tra armagnacchi e borgognoni. La Conferenza di Arras Ë ricordata per esser stata
la prima conferenza europea. Ad essa presero parte i francesi, i borgogni, i lussemburghesi e i savoia. Carlo
VII cedette a Filippo III la Contea di M‚con e le citt‡ della Somme, che costituirono con l'Olanda
settentrionale e quella meridionale gli Stati Generali dei Paesi Bassi, uno Stato nazionale basato (come oggi)
sul modello francese. Inoltre, il duca di Borgogna, rimane vassallo del monarca francese, ma diventÚ
ufficialmente indipendente da questo. Questo trattato pone finalmente fine alla guerra "civile" tra
armagnacchi e borgognoni. Fu firmato il 21 settembre 1435.
L'Inghilterra, cosÏ, rimasta isolata sul continente, subÏ ripetute sconfitte da parte delle truppe di Carlo VII.
Nel 1436 perse Parigi, mentre, in seguito alle campagne avvenute tra il 1448 ed il 1453, culminate nella
battaglia di Castillon, il controllo della Guienna e della Normandia passÚ definitivamente ai francesi. Agli
Inglesi rimase solo il porto di Calais che sarebbe caduto solo nel 1559.
La pace di Brétigny
Nel 1360 la pace di Brétigny confermò a Edoardo III il possesso di gran parte dei
territori centro-occidentali della Francia, del ducato d’Aquitania e di Calais in cambio
della sua rinuncia alle pretese sul trono di Francia. Nel 1369 il nuovo sovrano di
Francia Carlo V riprese però le ostilità, adottando una strategia d’azione che evitava
le battaglie di tipo tradizionale, sfinendo le truppe nemiche con attacchi continui ai
distaccamenti isolati o alle linee di rifornimento. In questo modo i francesi riuscirono
a recuperare gran parte dei territori persi con la pace di Brétigny e a riguadagnare
posizioni sull’avversario, in difficoltà anche per la morte di Edoardo III (1377) e per il
fatto che il successore Riccardo II era ancora un bambino. A partire dal 1380 si
susseguirono alcune tregue, la più duratura delle quali, siglata nel 1396, avrebbe
dovuto avere validità trentennale, ma fu interrotta nel 1414.
GIOVANNA D’ARCO
LA VITA
Giovanna d'Arco, in francese Jeanne d'Arc, o Jehanne Darc nella versione più
arcaica è l'eroina nazionale francese, proclamata santa nel 1920 da Papa Benedetto
XV e patrona della Francia.
È oggi conosciuta come la Pulzella di Orléans. Ebbe il merito di riunificare il proprio
Paese contribuendo a risollevarne le sorti durante la guerra dei cento anni.
(Dipinto di J.B. Lepade)
Nacque nel villaggio di Domremi in Lorena,figlia di due
contadini molto religiosi:Giacomo D'Arc e la moglie Isabella
Romée. Giovanna aveva tredici anni quando disse di udire
voci celestiali spesso accompagnate da visioni dell'Arcangelo
Michele, di Santa Caterina e di Santa Margherita che
secondo Giovanna erano stati mandati dal suo Signore per
guidarla e aiutarla.
Nell'estate del 1428 la sua famiglia fugge dalle devastazioni provocate dalle truppe di
Giovanni di Lussemburgo ed Antonio di Vergy, capitano borgognone nella valle della
Mosa. Era da poco iniziato l'anno 1429 quando gli inglesi erano ormai prossimi ad
occupare completamente Orléans; per Giovanna, che sarebbe diventata una figura
emblematica della storia di Francia, fu quello il momento - sollecitata dalle voci che
diceva di sentire - per correre in aiuto di Carlo VII, Delfino di Francia e futuro re,
estromesso dalla successione al trono a beneficio dei sovrani inglesi.
Le gesta belliche
Ritratto di Giovanna d'Arco, dal registro del Parlamento di Parigi (1429)
Presentandosi come inviata di Dio, Giovanna sostenne di
aver ricevuto l'incarico celeste di salvare la Francia; la
sua buona fede fu affermata da un gruppo di teologi che a
lungo l'interrogarono accertandosi inoltre che ella avesse
ascoltato la voce di dio dall'orecchio destro visto che la
sinistra era vista come la parte del diavolo.
Si narra, tuttavia, che il Delfino nella città di Chinon, non
fidandosi di lei, le si fosse presentato mescolato tra gli
altri presenti. Ella però, pur non avendolo mai visto, lo
riconobbe. Carlo, allora, convintosi, decise di affidarsi alla
sua guida per riscattare le sorti della Francia.
Iniziò pertanto la riforma dell'esercito trascinando con il
suo esempio le truppe francesi e imponendo uno stile di
vita rigoroso e quasi monastico, molto simile allo stile che adottarono i cavalieri
templari, circa tre secoli prima. I soldati, trascinati dal carisma della giovane, si
esaltarono e si prepararono alla riscossa.
L'Assedio d'Orléans
(Giovanna d'Arco)
Sebbene non le fosse stata affidata formalmente nessuna carica
militare, Giovanna divenne ben presto una figura centrale nelle
armate francesi: vestita da soldato, impugnando brando e
bandiera bianca con raffigurato Dio nell'atto di benedire il
fiordaliso francese, comunemente la pucelle d'Orléans raccolse un
gran numero di volontari da tutto il regno e guidò le truppe
infervorate in battaglia contro gli inglesi. Questi erano ormai
arrivati a porre l'assedio ad Orléans, chiave di volta della valle della Loira, nella
Francia centrale. Se Orléans fosse caduta, l'intera Loira meridionale sarebbe stata
presa; la stessa Chinon, corte del futuro Carlo VII, non era molto lontana da Orléans.
La città era accerchiata dagli inglesi, che controllavano quattro grandi fortezze
intorno alla città e dalle quali tenevano l'assedio. Giovanna attaccò quelle
maggiormente fortificate a sud del fiume, e l'8 maggio 1429 riuscì a rompere
l'accerchiamento dopo aver portato rifornimenti alla popolazione affamata. È qui che
il popolo, in festa, le diede il nomignolo di "pulzella d'Orléans".
Il suo successo fu fondamentale per le sorti della guerra,
poiché esso impedì che gli anglo-borgognoni potessero occupare
l'intera parte settentrionale del paese e marciare verso il Sud
fedele a Carlo e, inoltre, diede inizio a un'avanzata nella valle
della Loira culminata nella battaglia di Patay.
Dipinto di J.A.D. Ingres, esposto al Museo del Louvre
Consacrazione del re ed altri successi
Il 17 luglio 1429 scortò Carlo VII a Reims dove il sovrano fu incoronato. Da questo
momento incominciò la riconquista che nel 1437 l'avrebbe portato fino a Parigi.
Tuttavia, la figura di Giovanna, ormai leggendaria, divenne improvvisamente
ingombrante per l'aristocrazia che cominciò a temere di vedere offuscato il proprio
prestigio da una pastorella lorenese. Anche Isabella di Baviera madre di Carlo VII,
turbata dalla diceria popolare "una Vergine ci salverà dalla regina madre svergognata"
per le sue discutibili pratiche amorose, contribuì a fomentare dubbi e sospetti a
corte.
Inoltre, le casse del nuovo re non permettevano di continuare la guerra come avrebbe
voluto Giovanna, e senza fondi Carlo VII temeva di perdere troppo presto la corona
appena ottenuta. Ma Giovanna era una donna determinata e, grazie alla sua fama ed al
suo carisma, aveva radunato intorno a sé un vero e proprio esercito privato, con il
quale attaccò Parigi l'8 settembre 1429.
Forse anche spaventato da questa sua forza sul campo, Carlo VII decise allora di
togliere di mezzo la scomoda pulzella; non inviò infatti i rinforzi promessi a Giovanna,
che vide così capitolare il suo esercito e fallire l'assedio di Parigi.
La cattura e il processo
Interrogatorio di Giovanna
L'eroina non voleva abbandonare quella che considerava una
missione divina e, di conseguenza, continuò con pochi volontari la
guerra contro gli Inglesi. La scarsità numerica e l'ostilità che la
circondava, tuttavia, la misero subito in una situazione difficile.
Nel 1430, durante la battaglia di Compiègne, vicino a Parigi, venne
ferita e catturata dalle forze borgognone,che la imprigionarono e
le pregarono inutilmente di togliersi gli abiti femminili,poi dopo
che la vendettero per la somma di diecimila franchi tornesi agli
alleati inglesi,Giovanna non potendo sopportare la prigionia si
gettò dalla torre di Beaurevoir;i guardiani la ritrovarono in un fosso gravemente
ferita. Nonostante fosse disarmata e in prigione la giovane ispirava agli inglesi un
terrore profondo. Così la processarono per eresia e stregoneria a Rouen, senza che
Carlo VII muovesse in suo soccorso.
Il processo a Giovanna ebbe inizio formale il 21 febbraio 1431. Contro di lei, da parte
degli accusatori rappresentati da Cauchon e Estivet, furono usati diversi tranelli al
fine di farla crollare emotivamente (come non permetterle di vedere nessuno tranne
inquisitori e giudici )e furono usati toni violenti.
Nonostante le prove raccolte contro Giovanna d'Arco fossero oggettivamente assai
deboli,il 12 aprile venne emesso un verdetto di colpevolezza per una lunga lista di
imputazioni, le più gravi delle quali erano la blasfemia, l'idolatria e la superstizione.
Seppure stremata nel morale e nel fisico, Giovanna d'Arco continuò a professarsi
innocente anche nelle settimane successive, e ad affermare la veriticità delle voci che
continuava ad udire.
Il 18 aprile 1431 Giovanna fu colpita da un grave malessere accompagnato da un
violento stato febbrile, che fece temere per la sua vita, ma si riprese nel giro di pochi
giorni. Nel frattempo gli inglesi facevano pressione su Pierre Cauchon perché
accelerasse l'esecuzione della sentenza, ma il vescovo di Bauvais, forse non del tutto
convinto della regolarità formale del processo, né della effettiva colpevolezza della
ragazza, continuò a prendere tempo. Del resto, Cauchon era sottoposto alle pressioni
contrapposte da Giovanni Lancaster,duca di Bedford, da un lato, che auspicava una
rapida messa a morte della condannata, e da Filippo III di Borgogna dall'altro, che,
pur avendone richiesto la condanna, non voleva la morte di Giovanna, forse perché ne
aveva pietà ma soprattutto perché temeva di farne una martire.
Dall'abiura al rogo
Il 23 maggio 1431 fu data lettura pubblica della sentenza di condanna nel cimitero di
Rouen, e Giovanna d'Arco, fisicamente stremata e terrorizzata dalla prospettiva di
morire bruciata, non reagì, né controbatté alla lunga e infamante lista di imputazioni.
Sulla promessa di aver salva la vita e di restare in mano francese, accettò quindi di
sottoscrivere l'atto di abiura, segnando il documento con una croce o con un cerchio
(fatto che molti studiosi hanno ritenuto insolito, perché la donna, pur priva di qualsiasi
istruzione formale, sapeva scrivere il proprio nome, cosa che fece praticamente in
tutte le occasioni in cui le fu richiesto, tracciando a fatica la firma "Jehanne").
Giovanna fu quindi reintegrata nel seno della Santa Chiesa Cattolica di Roma e
condannata alla carcerazione perpetua. Tuttavia, il giorno successivo, durante una
cerimonia solenne in cui dava notizia dell'abiura e della conseguente condanna
all'ergastolo di Giovanna d'Arco, Pierre Cauchon la consegnò di fatto ai carcerieri
inglesi.
In realtà l'abiura, se da un lato favorì la commutazione della pena di morte in quella
dell'ergastolo, dall'altro ebbe però l'effetto di legittimare sotto ogni profilo il
processo. Infatti, se non avesse abiurato, Giovanna d'Arco avrebbe potuto appellarsi
direttamente alla Santa Sede, chiedendo che il processo fosse dichiarato illegittimo,
e nel frattempo gli effetti della sentenza sarebbero rimasti sospesi.
Tra le condizioni dell'atto di abiura di Giovanna vi era anche quella di non indossare più
vestiti di foggia maschile. La mattina del 27 maggio, però, i carcerieri inglesi che
sorvegliavano la sua cella dichiararono di aver trovato Giovanna con indosso abiti
maschili. Condotta dinnanzi ai giudici e agli inquisitori, la ragazza affermò di aver
sottoscritto l'abiura perché intimorita dalla prospettiva del rogo, e perché non aveva
del tutto compreso il significato del documento firmato; ribadì quindi la sua innocenza
e la veriticità delle voci e delle rivelazioni da essa ricevute. Di fronte alla sostanziale
ritrattazione dell'abiura, Pierre Cauchon la dichiarò allora "relapsa", e dispose che
fosse consegnata al braccio secolare perché fosse eseguita la condanna a morte.
Il 30 maggio 1431, di fronte a una folla numerosa riunitasi per l'occasione, Giovanna
d'Arco fu condotta al rogo che era stato allestito sulla piazza del mercato di Rouen.
La giovane portava abiti femminili e le fu cinta al capo la solita fascia dove erano
scritti i pretesti delitti di lei “Eretica,recidiva,apostata ,idolatra”. Sopra un cartellone
sospeso davanti al palco si leggeva in francese:” Giovanna che si è fatta nominare
Pulzella,mentitrice perniciosa,ingannatrice del popolo,indovina e
superstiziosa,bestemmiatrice,miscredente della fede di Gesù
Cristo,vantatrice,idolatra,crudele,dissoluta,scismatica ed eretica.” Le testimonianze
raccolte durante la visione del processo affermano che la giovane, dopo che era stato
appiccato il fuoco alla pira, abbia urlato per l'ultima volta che le "voci" che le avevano
parlato erano vere e che non l'avevano ingannata. Quando fumo e fiamme stavano per
avvolgerla, Giovanna d'Arco gridò più volte il nome di Gesù, e nei suoi ultimi istanti di
vita ricevette il conforto di una croce astile che le fu posta davanti al volto. Le ceneri
del rogo e i pochi resti del corpo di Giovanna d'Arco furono poi gettati nella Senna per
evitare che i venditori di reliquie potessero alimentare il culto della "Pulzella".
Le reliquie
Giovanna d'Arco fu giustiziata sul rogo il 30 maggio 1431, l'esecuzione procedette con
modalità ben descritte nelle cronache dell'epoca e consistette in una sorta di "tripla
cremazione". La condannata non fu infatti uccisa direttamente dalle fiamme, quanto
piuttosto dall'inalazione dei fumi arroventati prodotti dalla combustione del legname e
della paglia, si trattava di una morte atroce, ma comunque molto rapida, che avviene
per soffocamento si sa con certezza che, pochi minuti dopo che le fiamme avevano
completamente avvolto la pira, i boia le fecero abbassare, consentendo ad alcuni
spettatori di avvicinarsi, per mostrare loro che il cadavere del condannato era di
sesso femminile e che si trattava proprio di quello di Giovanna d'Arco (il corpo era
dunque pressoché intatto e riconoscibile), successivamente il fuoco fu rialimentato, in
modo che il cadavere potesse essere completamente distrutto dal calore. A questa
seconda cremazione, ne seguì una terza, perché i carnefici si erano resi conto che il
corpo, seppure carbonizzato, non bruciava completamente. Fecero quindi abbassare
nuovamente le fiamme e (probabilmente con l'ausilio di bastoni o mazze) frantumarono
ciò che restava di ancora integro o solo parzialmente combusto (la testa, alcuni organi
interni come il cuore, ecc.). Le fiamme furono quindi alimentate ancora una volta, ed
alla fine di questa terza cremazione, diverse ore dopo l'accensione del rogo, della
"Pulzella di Orléans" rimanevano solo le ceneri e qualche frammento osseo. I resti del
rogo furono quindi caricati su un carro e (probabilmente sotto stretto controllo di una
guarnigione armata) gettati nella Senna. La dispersione delle ceneri era una sorta di
pena accessoria e postuma, non priva di connotati superstiziosi (per la mentalità
religiosa dell'epoca la distruzione del cadavere rendeva più difficile l'eventuale
resurrezione al momento del Giudizio universale), ma aveva anche uno scopo immediato
e pratico: impedire che venissero prelevate reliquie di Giovanna d'Arco, perché a meno
di due anni dalle grandi imprese militari della "Pulzella", la sua fama era ancora enorme
e il coraggio con cui aveva affrontato il processo e la condanna potevano rafforzarla
ulteriormente; la presenza di eventuali reliquie poteva quindi costituire la base di un
culto pericoloso, perché rivolto a una nemica implacabile di inglesi e borgognoni.
STEREOTIPI FEMMINILI NEL MEDIOEVO
Come in ogni epoca, la donna può ovviamente appartenere a classi differenti e questo
comporta inevitabili differenziazioni. Nel complesso, in età medievale, la condizione
della donna era però assai diversa da quello che i pregiudizi spesso ci portano a
ritenere: molto diffusa è infatti la diceria secondo la quale la donna nel Medioevo
fosse addirittura considerata priva di anima. Anche in questo caso vale la pena di
riferirsi ai dati e non alle opinioni. Vale come risposta sottolineare l'importanza della
figura della Madonna o di donne divenute poi sante e seguite ed amate dal popolo,
come S. Agata, S. Rosa o l'eroina Giovanna d'Arco.
La donna nelle classi elevate
Ai tempi del feudalesimo la regina era incoronata, se necessario, come se si trattasse
di un re: l'uomo e la donna erano, in questo caso, su un piano di parità .
L'influenza della figura femminile diminuisce parallelamente alla ascesa, a partire dal
Rinascimento, del diritto romano: infatti la prima disposizione che eliminò la donna
dalla successione al trono fu presa da Filippo il Bello. Ma già in età classica, quella alla
quale si ispira l'età definita rinascimentale, il diritto romano non è favorevole alla
donna: è il diritto del "pater familias", del padre proprietario e, a casa sua, gran
sacerdote, capo famiglia il cui potere è sacro e illimitato. Nel Medioevo il padre
possedeva un'autorità di gerente, non di proprietario: era tradizione nelle famiglie,
nobili o plebee che fossero, che nel caso di unione conclusa senza un erede diretto, i
beni provenienti dal padre andassero alla famiglia paterna, ma anche che quelli della
madre tornassero alla famiglia materna.
Le donne in convento
Nel XIII secolo i conventi femminili erano sempre stati centri di preghiera, ma al
tempo stesso di dottrina religiosa, di cultura; vi si studiava la sacra scrittura,
considerata come base di ogni conoscenza, e poi di tutti gli altri elementi del sapere.
Le religiose erano ragazze colte: d'altronde l'entrare in convento era la via normale
per le donne che volevano approfondire le proprie conoscenze al di là del livello
corrente. Per questo in età medievale abbiamo i primi esempi di letterate famose e
importanti.
Inoltre le badesse poste a capo del monastero erano autentici signori feudali e
amministravano, anche da un punto di vista economico, vasti territori che includevano
anche villaggi o parrocchie. Nessuno si scandalizzava se anche il vicino convento
maschile era sottoposto ad una badessa (come accadde a Fontenvrault nel XII
secolo), dimostrando che le parole di S. Paolo ("non c'è più né uomo né donna") erano
veramente vissute.
La donna nella società civile
Ma le contadine, le cittadine, le madri di famiglia, erano così valutate come le nobili o
le monache? Non c'erano poeti che dedicassero loro poesie d'amore né venivano
valorizzate da particolari carriere come nella vita monastica. Tuttavia da documenti
del tempo è sorprendente notare che è proprio nel Medioevo che per la prima volta le
donne possono votare (nelle assemblee cittadine o in quelle dei comuni rurali).
Da atti notarili veniamo a sapere che le donne agiscono per conto proprio, acquistano
e gestiscono negozi, pagano le imposte, svolgono mestieri che solo oggi riteniamo
adeguati anche ad una donna: nel Medioevo troviamo maestre, farmaciste, donne
medico, miniaturiste, rilegatrici di codici, tingitrici, gessaiole, ecc.
Santa o strega?
Quali requisiti sono necessari a una donna per essere definita santa? Deve
obbligatoriamente essere Vergine o Vedova? Deve avere visioni e vivere nel più
completo isolamento dal mondo che la circonda? Deve passare le sue giornate in
preghiera?
Al contrario esistono parametri per identificare una strega?
Che abbia una corporatura gracile? Che viva da sola, in un bosco? Che abbia
conoscenze nell’erboristeria? Che abbia un abbigliamento e un’indole che facciano
pensare alla magia?
Credenze. Le donne venivano bollate come streghe o sante in base a credenze spesso
prive di fondamento.
Giovanna D’Arco viene riconosciuta in entrambi gli ambiti: prima come donna visionaria
che conduce il proprio popolo alla conquista e all’unità del paese, una donna guerriero
mandata dal Signore per sconfiggere gli Inglesi, un dono; poi, una volta ottenute le
vittorie tanto bramate, la santa tanto venerata diviene per molti una strega da
eliminare perché troppo pericolosa.
Leggendo le gesta e le grandi imprese compiute da una sola donna in un’epoca
completamente patriarcale, sorge spontaneo chiedersi se tale donna fosse qualcosa di
più di una semplice contadina,magari un’entità superiore con poteri soprannaturali, o se
fosse una donna come tutte le altre.
La questione della verginità
La sua firma (l'unica parola che la Pulzella, analfabeta, fosse
in grado di scrivere)
Definendosi apertamente la "Pulzella", Giovanna accreditava
l'idea di essere un'inviata da Dio e non una strega: la sua
verginità simboleggiava chiaramente la purezza, tanto da un
punto di vista fisico quanto da quello delle intenzioni religiose
e politiche. Di conseguenza, verificarne la veridicità era questione di fondamentale
importanza: così, per ben due volte venne constatata dalle matrone su ordine dello
stesso Cauchon.
L'abitudine di Giovanna di portare abiti maschili aveva probabilmente il fine di
impedire ai malintenzionati di violentarla.
Riabilitazione e canonizzazione
Il 7 luglio 1456,in un'assemblea solenne,alla presenza dei
fratelli e della madre di Giovanna, nel palazzo episcopale di
Roano,l'arcivescovo di Reims pronunciò la sentenza di
reintegrazione.
Poi fu dichiarata venerabile nel 1895,beata nel 1909,santa
e patrona di Francia nel 1920.
(Dipinto di Eugene Thirion)
Il processo:
Alcune testimonianze riportano il processo che fu fatto a Giovanna d’Arco.
La giovane eroina fu accusata di blasfemia, idolatria e superstizione.
“Seppure stremata nel morale e nel fisico, Giovanna d'Arco continuò a professarsi
innocente anche nelle settimane successive, e ad affermare la veridicità delle voci che
continuava ad udire.”
Dopo settimane di interrogatori fu stilata la condanna per Giovanna d’Arco, la quale di
fronte alla morte dimostrò anch’ella di provare sentimenti comuni a tutti gli uomini
come la paura.
“Il 23 maggio 1431 fu data lettura pubblica della sentenza di condanna nel cimitero di
Rouen, e Giovanna d'Arco, fisicamente stremata e terrorizzata dalla prospettiva di
morire bruciata, non reagì, né controbatté alla lunga e infamante lista di imputazioni.
(…) Sulla promessa di aver salva la vita e di restare in mano francese, accettò quindi di
sottoscrivere l'atto di abiura, segnando il documento con una croce o con un cerchio.
Giovanna fu quindi reintegrata nel seno della Santa Chiesa Cattolica di Roma e
condannata alla carcerazione perpetua. Tuttavia, il giorno successivo, durante una
cerimonia solenne in cui dava notizia dell'abiura e della conseguente condanna
all'ergastolo di Giovanna d'Arco, Pierre Cauchon la consegnò di fatto ai carcerieri
inglesi.”
Giovanna d’Arco fu tradita dai francesi, ingannata dagli inglesi; tutti si presero gioco
di lei e ,come spesso accade con persone oneste, gli furono voltate le spalle dal popolo.
“Condotta dinnanzi ai giudici e agli inquisitori, la ragazza affermò di aver sottoscritto
l'abiura perché intimorita dalla prospettiva del rogo, e perché non aveva del tutto
compreso il significato del documento firmato; ribadì quindi la sua innocenza e la
veridicità delle voci e delle rivelazioni da essa ricevute. Di fronte alla sostanziale
ritrattazione dell'abiura, Pierre Cauchon la dichiarò allora "relapsa", e dispose che fosse
consegnata al braccio secolare perché fosse eseguita la condanna a morte.”
Giovanna d’Arco donna. Donna come tante altre. Donna con pregi, difetti, paure e
speranze. Giovanna guerriera, contadina, condottiera di eserciti, serva dell’impero.
Giovanna era un individuo unico come ognuno di noi ha una propria personalità,
inviolabile. L’unica differenza che la distingue dalla massa fu il suo coraggio, la sua
capacità di mettersi in gioco, condividendo i propri pensieri, le proprie idee politiche e
religiose, mostrando ai popoli quali obiettivi può raggiungere la determinazione di una
sola persona, nel realizzare i propri sogni.
Perché una donna?
Premesso che sia stato Dio:
Perché Dio scelse una donna per salvare la Francia?
Perché Dio concesse l’onore di combattere in nome del Padre ad una donna, essere
immondo
e peccaminoso?
Per quale ragione una donna, se ella doveva necessariamente mascherarsi da uomo per
adempiere al suo volere?
Giovanna d’Arco dormiva con i suoi soldati senza porsi il problema di molestie, perché
si considerava una di loro. Come poteva farlo, visto la sua consapevole condizione di
donna?
In questo caso non è rilevante l’aspetto sessuale dell’essere umano, ma quello
spirituale. Giovanna d’Arco non si faceva portavoce di una rivolta proto-femminista,
poiché non era quello il suo intento, né le sarebbe stato possibile avere concezione del
significato di un simile gesto; perciò non possiamo considerare di particolare rilevanza
il suo essere donna.
La sua sessualità era indifferente per il compito che Dio le aveva assegnato; certo
destò scalpore la tenacia con la quale sostenne di dover indossare abiti maschili e
lasciò interdetti il fatto che Dio avesse ordinato proprio ad una donna di salvare la
Francia, ma non era la Giovanna d’Arco di Domremy a combattere gli Inglesi, non era
lei a sfidare l’inquisizione e giacere in una cella in attesa di essere bruciata sul rogo,
quella era un’emissaria del Signore, del Padre, immolata per una giusta causa.
Concettualmente non vi è infatti alcuna differenza tra Giovanna d’Arco e Gesù Cristo,
perché nessuno dei due fu inviato da Dio in quanto uomo o in quanto donna, ma in
quanto essere destinato a morire, come tutti gli altri. Essere paritario, strumento,
tramite, ponte chiamato ad unire il genere umano alla dimensione celeste
dell’esistenza.
Sarebbe scorretto e riduttivo limitarsi a considerare Giovanna come una donna,
perché non era attorno a questa caratteristica che verte la sua persona. Prima di
essere donna, infatti, Giovanna pretende di essere ascoltata come uomo e come voce
di Dio.
QUATTRO FILM QUATTRO GIOVANNE
Dreyer 1928
Giovanna d’Arco, interpretata da Renèe Falconetti,
appare quasi divinizzata. È come se dentro di lei vi
fosse realmente il Signore, come se fosse posseduta
da esso. Nel film di Dreyer si evidenzia la
somiglianza tra Gesù Cristo e Giovanna d’Arco, una
somiglianza spirituale, una comunione di intenti.
Certo, Jannette era stata inviata unicamente per
salvare la Francia e non per redimere l’umanità, ma in
questa pellicola viene accentuata la sua devozione e
totale fiducia nel Signore padre di ogni cosa.
Rossellini 1954
Ingrud Bergman interpreta una
Giovanna d’Arco molto tradizionale.
Indossa l’armatura, veste abiti
maschili e combatte accanto ai
soldati del Delfino di Francia, ma
Rossellini non mette in luce aspetti
particolari della personalità di
Giovanna d’arco e non si sofferma più del dovuto sul processo che la porta alla morte
sul rogo. Nel complesso il film appare una fotografia a colori di quel mondo che
Giovanna ha probabilmente vissuto, ma nulla di più e nulla di meno.
Bresson 1962
Bresson dona alla pellicola una Giovanna
d’Arco forte, tenace, determinata. Una
donna che non ha paura di combattere
per la causa del Signore che è diventata
la sua. Non si concede il vezzo di
lasciarsi trasportare dalle emozioni,
resta lucida, pacata e convincente.
Trasforma il suo processo in uno
scoppiettante scambio di battute. Un
botta e risposta sconcertante quanto surreale.
La Giovanna d’Arco di questa pellicola è inverosimilmente forte. Non si lascia
travolgere dalla paura, ma continua imperterrita la sua missione.
Besson 1999
Besson osa l’impossibile. E’ come se tentasse di dare voce
alla Giovanna di Dreyer, ma le tinte del film appaiono più
fosche e la trama confusa. Giovanna si presenta più simile ad
una pazza visionaria che ad una santa o ad una strega e la sua
figura viene eccessivamente misticizzata.
Il film è come un tuffo nella mente di una donna ossessionata
da incomprensibili allucinazioni; Besson tenta di introdurre lo
spettatore in quella di Giovanna, ma con scarso successo.
Ma chi era veramente Giovanna d’arco?
Dipinta con addosso la sua armatura. Il mondo è abituato al cliscè della donna soldato,
di un’eroina orgogliosa, di una patriota. Spesso tendiamo a dimenticare che fosse
soltanto una donna e censuriamo la sua condotta disdicevole riconoscendole
unicamente il merito di aver riunificato la Francia.
Il fuoco ha lavato le sue colpe e il mondo l’ha innalzata a emblema della libertà e della
tenacia. Poco importa che sia stata uccisa; poco importa che sia stata condannata
come strega; ora è patrona della Francia stessa, venerata perché santa.
E’ “La Pulzella di Orléans”
A Giovanna D'Arco è dedicata una canzone di Leonard Cohen, Joan of Arc, tradotta in
italiano da Fabrizio De André.
(Leonard Cohen è nato a Montreal nel 1934 da una famiglia ebrea immigrata nel
Canada. Suo padre era di origini polacche e sua madre di origini lituane.
Fin dai tempi dell'università a Montreal, Leonard Cohen si dedica alla poesia. La
sua prima raccolta vede la luce nel 1956, con il titolo di Let Us Compare
Mythologies.)
TRADUZIONE DI FABRIZIO DE ANDRE’ :
Attraverso il buio Giovanna d'Arco
precedeva le fiamme cavalcando
nessuna luna per la corazza ed il manto
nessun uomo nella sua fumosa notte al suo fianco.
Sono stanca della guerra ormai
al lavoro di un tempo tornerei
a un vestito da sposa o a qualcosa di bianco
per nascondere questa mia vocazione al trionfo ed al pianto.
Son parole le tue che volevo ascoltare
ti ho spiato ogni giorno cavalcare
e a sentirti così ora so cosa voglio
vincere un'eroina così fredda, abbracciarne l'orgoglio.
E chi sei tu lei disse divertendosi al gioco,
chi sei tu che mi parli così senza riguardo,
veramente stai parlando col fuoco
e amo la tua solitudine, amo il tuo sguardo.
E se tu sei il fuoco raffreddati un poco,
le tue mani ora avranno da tenere qualcosa,
e tacendo gli si arrampicò dentro
ad offrirgli il suo modo migliore di essere sposa.
E nel profondo del suo cuore rovente
lui prese ad avvolgere Giovanna d'Arco
e là in alto e davanti alla gente
lui appese le ceneri inutili del suo abito bianco.
E fu dal profondo del suo cuore rovente
che lui prese Giovanna e la colpì nel segno
e lei capì chiaramente
che se lui era il fuoco lei doveva essere il legno.
Ho visto la smorfia del suo dolore,
ho visto la gloria nel suo sguardo raggiante
anche io vorrei luce ed amore
ma se arriva deve essere sempre così crudele
TESTO ORIGINALE :
Now the flames they followed joan of arc
As she came riding through the dark;
No moon to keep her armour bright,
No man to get her through this very smoky night.
She said, I’m tired of the war,
I want the kind of work I had before,
A wedding dress or something white
To wear upon my swollen appetite.
Well, I’m glad to hear you talk this way,
You know I’ve watched you riding every day
And something in me yearns to win
Such a cold and lonesome heroine.
And who are you? she sternly spoke
To the one beneath the smoke.
Why, I’m fire, he replied,
And I love your solitude, I love your pride.
Then fire, make your body cold,
I’m going to give you mine to hold,
Saying this she climbed inside
To be his one, to be his only bride.
And deep into his fiery heart
He took the dust of joan of arc,
And high above the wedding guests
He hung the ashes of her wedding dress.
It was deep into his fiery heart
He took the dust of joan of arc,
And then she clearly understood
If he was fire, oh then she must be wood.
I saw her wince, I saw her cry,
I saw the glory in her eye.
Myself I long for love and light,
But must it come so cruel, and oh so bright?
BIBLIOGRAFIA:
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“Feudalesimo” – Wikipedia
“Feudalesimo” – Storia
“Enrico VI” – Wikipedia
Jane Austen, La storia d’Inghilterra dal regno di Enrico IV alla morte di CarloI,
http://www.homolaicus.com/storia/moderna/monarchie_nazionali/formazione_
monarchie.htm
“La guerra dei cent’anni” – Wikipedia
http://www.parodos.it/sintesi10.htm
“La guerra dei cent’anni” - MSN Encarta
“Vita di Givanna d’Arco” - Wikipedia
“Storia di Giovanna d’Arco” da Lebrun De Charmettes