Lezione di Medicina del Lavoro del 28 Febbraio 2004 del dr

Lezione di Medicina del Lavoro del 28 Febbraio 2004 del dr. Andrea Magrini
Rischio chimico
Con la lezione dell’altra volta avete visto uno degli ambiti di medicina del lavoro, le
patologie respiratorio legate ad attività lavorativa che costituisce un ambito peculiare
della medicina del lavoro, visto che da sempre sono state le patologie tra le più
frequenti e le più gravi che colpiscono i lavoratori e quindi avete avuto almeno una
panoramica di quelle che sono state le principali: l’asbestosi, la silicosi, le
broncopneumopatie, qualche indicazione di quello che potrebbe essere l’aspetto di
tutela ambientale di questi lavoratori. Sono anche argomenti vicini alla medicina,
visto che sentir parlare di asbestosi anche per un non medico del lavoro potrebbe
essere di un certo interesse; la silicosi forse ha più un aspetto di tipo storico, ma
abbastanza limitato soprattutto in Italia, mentre le broncopneumopatie con asma ed
altre forme hanno un aspetto rilevante essendo patologie oggi tra le più frequenti.
Oggi invece tratteremo di un argomento di per sé ostico perché molte delle specifiche
competenze del medico del lavoro sconfinano con la matematica, colla chimica, colla
fisica, che notoriamente di solito suscitano noia e non certo interesse, perché in
qualche modo stona nel complesso della preparazione dello studente come medico
generico che non ha competenze speciali. Cercherò di renderlo più aggredibile e
piacevole tramite esempi, solo accenni che lasciano delle lacune visto che non
parleremo di tutto, in particolare tratteremo un aspetto su cui bisogna riflettere un po’
di più: l’utilizzo e l’esposizione a chemioterapici antiblastici. Il rischio chimico è
prevalentemente presente nell’industria della produzione ma portando un esempio
pratico più vicino al medico e al suo lavoro in ospedale ecco che rientrano gli
antiblastici.
In generale il rischio chimico è complesso e pericoloso da studiare perché ha delle
conseguenze sulla salute facilmente intuibili: ogni volta che un organismo è esposto
ad una sostanza questa può provocare degli effetti (detto molto banalmente). Questi
effetti sulla salute possono essere a volte molto dannosi, si ha un range molto ampio,
dal nulla (una sostanza che non provoca effetti particolari) a sostanze che anche in
minime dosi sono cancerogene, mortali, quindi da assenza di effetti ad effetti
gravissimi, mortali. Quando si parla di rischio chimico in medicina del lavoro, si fa
riferimento a tutte le sostanze chimiche presenti nell’ambiente di lavoro che possono
venire a contatto col lavoratore, quindi l’ambito è piuttosto ampio. Indicativamente
l’ordine delle sostanze chimiche che ci possono essere è dei miliardi, si parla di una
quantità e varietà di sostanze che sono numerose e sconosciute. Quelle su cui noi
abbiamo indicazione sono circa 300: di queste sappiamo se fanno male o bene, il resto
sono tutte da studiare, sono sostanze i cui effetti sulla salute non sono noti. Questa è la
prima variabile: l’effetto dell’esposizione è conosciuto per alcune, sconosciuto per
altre. Un esempio banale è il fumo di sigaretta che ha 4000 composti, quelli noti di cui
si parla anche tra medici sono la nicotina, magari alcuni metalli, carbone, ma le altre
3999 non le conosciamo. Quindi non conosciamo le caratteristiche di questo agente di
rischio.
La seconda variabile che ci interessa un po’ di più visto che l’elenco e le studio delle
sostanze tossiche presenti nell’ambiente fa parte delle nostre conoscenze ma
soprattutto è dovuto al fatto che ci sono dei chimici, degli analisti che ci danno una
lista di sostanze a cui il lavoratore è esposto, ma quello a cui è richiesto ad un medico
è indagare e capire se il soggetto che abbiamo di fronte è un lavoratore che rientra
nell’idea di normalità o invece è una persona suscettibile, che anche con l’esposizione
a minime quantità ha danni. Questo è un quesito interessante e nuovo: il medico ha tra
le sue responsabilità nel momento che avvia una persona al lavoro quella di capire se
questa persona per quel lavoro maturerà un danno. Facciamo un esempio: se io so che
questa persona con un certo patrimonio genetico può sviluppare un mesotelioma, non
lo esporrò a quella sostanza. Esistono delle realtà abbastanza chiare: alcune forme di
deficit di glucosio6fosfato deidrogenasi che possono causare un’anemia emolitica e
quindi se io espongo questa persona al piombo, o ad altre sostanze che vanno ad agire
sullo stesso organo bersaglio, sicuramente avrò un danno maggiore rispetto agli altri
lavoratori; la carenza dell’alfa1antitripsina è un elemento che in qualche modo
predispone alla comparsa di alcune patologie polmonari, alcune caratteristiche del
DNA possono essere correlate ad una maggiore incidenza di danni sul genoma per
esposizione a sostanze chimiche. Quindi come vedete è richiesto da parte del medico,
in questo specifico ambito, una capacità di screening, non proprio di selezione, visto
che il termine potrebbe essere interpretato in modo negativo, ma sicuramente una
capacità di individuare quelle situazioni di suscettibilità che possono essere
responsabili di danni alla salute.
La risposta a stimoli esterni non è costante per tutti gli individui; sarà pertanto
diversificata nei soggetti della comune popolazione includente vecchi, bambini, ecc.
Tuttavia anche all’interno di un gruppo di individui ritenuti normali come quelli di un
gruppo omogeneo di lavoratori, sottoposto a controllo sanitario, vi sono individui che
presentano una particolare sensibilità ad alcuni agenti nocivi. Ciò è dovuto a varie
cause come l’ipersensibilità di tipo allergico (atopia), carenze enzimatiche (es.
glucosio6fosfato deidrogenasi, causa anche di anemia emolitica, la carenza delle
glicoproteina alfa1antitripsina, causa di broncopneumopatie e difetti nei meccanismi
riparativi del DNA causa di neoplasie
Quella sotto è una facilissima tabellina:
ci può essere un’esposizione lieve che porta in paziente normali a piccole
modificazioni fisiologiche che non trascendono poi nella patologia, mentre nei
soggetti con una sensibilità, intesa nel modo più ampio possibile, delle modificazioni
sfavorevoli con o senza compenso; se l’esposizione è un po’ più alta nei soggetti
normali l’organismo compensa, p.e. il fegato riesce a compensare, ma se il soggetto
ha già il fegato danneggiato o predisposto o carente delle capacità di depurazione
dell’organismo, in qualche modo, può avere degli effetti preclinici reversibili o
irreversibili; se poi l’esposizione è eccessiva possono esserci delle situazioni di danno
irreversibile, laddove nei soggetti normali c’è solo un effetto preclinico.
La tabella evidenzia come l’esposizione ad un agente nocivo determina effetti di
maggiore gravità in individui con difese biologiche minori.
I valori limite di esposizione di solito non tengono in considerazione anche la
possibilità di variazioni individuali nella risposta. Per questo motivo i limiti
d’esposizione vanno considerati come “accettabili” e non come “sicuri” per impedire
un danno di salute.
Esposizione
soggetti normali
soggetti sensibili
Lieve
modificazioni fisiologiche modificazioni sfavorevoli
con o senza compenso
(minimi danni)
Alquanto elevata
situazioni di compenso
effetti preclinici e clinici
reversibili o irreversibili
Eccessiva
effetti preclinici e clinici
effetti di rilevanza clinica
con inabilità permanente
Dovete pensare che l’esposizione ad agenti chimici tante volte è obbligatoria, si
potrebbe pensare che basterebbe far lavorare in ambienti senza sostanze chimiche, ma
questo è impossibile. A volte le sostanze chimiche fanno parte del ciclo produttivo,
alcune volte anche dei dispostivi di protezione, alcune volte proprio dell’ambiente.
Riportandoci in ospedale: l’esposizione a sostanza chimica che più frequentemente
crea problemi dal punto di vista clinico in ospedale è il lattice dei guanti che espone
tutti quanti pur essendo usata per proteggere ad effetti respiratori, allergie cutanee da
contatto diretto colla cute, ecc…è molto frequente che persone che hanno allergia al
lattice dal punto di vista lavorativo devono essere fortemente tutelate visto che in
ospedale il lattice è dappertutto, perciò bisogna predisporre delle accortezze per
tutelare il lavoratore. Se un infermiere, un chirurgo…ha predisposizione all’allergia al
lattice, non si può non farlo lavorare, è ovvio che deve lavorare normalmente ma gli
deve essere data tutta una serie di dispositivi e protezioni; se invece io aspetto che
compare la malattia, la persona si sensibilizza, sviluppa la malattia con gli effetti di
questa, quindi bisogna arrivare prima, bisogna andare a cercare una predisposizione
laddove possibile.
Questa diapositiva sotto la dovete ricordare perché contiene le informazioni che
possono essere oggetto di almeno una domanda d’esame visto che è un argomento
classico.
Uno dei problemi per quanto riguarda il rischio chimico, e questo riguarda un po’ più
il medico del lavoro, un po’ meno il clinico che non ha questo atteggiamento mentale
di riflessione (la dobbiamo prendere come un’offesa?!? :-), la quantificazione
dell’esposizione: un conto è dire è esposto al lattice, un conto è dire è esposto a
quanto, quanto lattice c’è nell’aria se p.e. ha allergie di tipo respiratorio, oppure
quanto gas anestetico c’è in una sala operatoria, oppure quanto farmaco
chemioterapico rimane sulla cute del medico dopo che ha fatto la sua terapia, quanto
ne assorbirà, queste sono le domande della medicina del lavoro legate alla valutazione
ambientale.
Volendo molto semplificare, per alcune delle sostanze chimiche, avendo stabilito
prima che sono miliardi e ne conosciamo solamente 300, esistono dei limiti a cui il
datore di lavoro si deve attenere perché la legge stabilisce p.e. che per il piombo la
concentrazione ambientale è tot. Allora si fa riferimento a dei piccoli concetti di cui
dobbiamo conoscerne solo alcuni, visto che questa è la punta di un iceberg, dal
momento che la valutazione del rischio chimico è qualcosa che ha dietro interessi
economici importantissimi, e spesso a volte anche interessi politici. P.e. se io ho
esposto un lavoratore a concentrazioni incongrue della sostanza e il lavoratore
sviluppa la malattia, ovviamente sono responsabile anche penalmente di questa
esposizione incongrua.
Allora bisogna ricordare il valore limite soglia che ha come sigla TLV (acronimo di
una frase americana, in italiano sarebbe VLP, ma bisogna ricordare TLV perché tutti
lo chiamano così). I limiti soglia sono i limiti entro i quali posso esporre una persona,
superati i quali io sono in una situazione di irregolarità, di rischio, di pericolo. Il TLV
è una valutazione nata dall’esperienza. Facendo un esempio: si stabilisce che se lavoro
in un’atmosfera in cui il livello di una sostanza è 20, io so che sotto a 20 normalmente
nella popolazione normale non accade nulla, non ci sono effetti sulla salute, mentre
quando il livello diventa superiore, incominciano a comparire effetti sulla salute, molti
dei quali sono dose dipendenti, quindi se io aumento l’entità dell’esposizione, ci sarà
la comparsa di un danno della salute che diventa sempre più certo all’aumentare della
dose, più aumento la dose, più c’è la possibilità che compaiano degli effetti sulla
salute, se l’effetto è dose dipendente. Quindi se io sono sicuro di stare sotto un livello
a cui non sono stati mai registrati effetti sulla salute, sono ragionevolmente sicuro che
i miei lavoratori lavoreranno in un ambiente che non provocherà malattie. Questo è
vero per tutti i lavoratori tranne i suscettibili che possono essere in qualche modo
affetti dalla malattia anche a dosi estremamente ridotte: quindi il lavorare entro livelli
di sicurezza non equivale a dire lavorare in sicurezza, ci possono essere delle persone
che hanno una maggiore sensibilità al problema. Quindi se su 1000 dipendenti, 995
non avranno problemi col lattice, 5 ne avranno. Dobbiamo ricordare che con questo
TLV si intende la concentrazione media nell’ambiente che non dovrebbe essere mai
superata e che corrisponde a 40 ore settimanali per quel lavoro. Questa concentrazione
viene fatta in modo statistico epidemiologico e riguarda le 40 ore normali di lavoro.
Ricordate che spesso c’è un problema che i lavoratori non lavorano solo 40 ore, non
pensate solo ad alcune caratteristiche dell’Italia, perché ci sono situazioni in cui i
lavoratori lavorano molte più ore, p.e. il lavoratore a cottimo non lavora 40 ore, lavora
il doppio, quindi in questi casi le esposizioni sono molto più importanti. Questi limiti
si possono applicare laddove le caratteristiche del lavoro sono abbastanza
identificabili, poi c’è tutta una quota di lavoro non tutelato, in nero, al di fuori
dell’adeguamento, che difficilmente può essere ricondotta in questa valutazione di
rischio. Questo è un livello medio per 40 ore, ma ci sono dei lavori che invece per
alcune caratteristiche richiede al soggetto di essere esposto ad alte concentrazioni ma
per 10 minuti. Allora è stato fatto un altro limite, il TLV-STEL che è il limite per un
breve periodo di esposizione, è sempre un valore medio ma invece di essere riferito a
40 ore, è riferito a pochi minuti, 10-15 minuti, ed è una media più alta. Si dice: vabbè
il lavoratore per tutto il giorno sta in ufficio, ma poi esce per andare a fare delle
operazioni particolari durante le quali, in 10 minuti, è autorizzato ad essere esposto a
quella sostanza a concentrazioni maggiori a patto che queste concentrazioni siano
inferiori al limite massimo consentito, cioè il TLV-STEL. L’ultima cosa da ricordare è
il TLV-ceiling: il valore che per quella sostanza non deve, in ogni caso, essere mai
sorpassato; l’altro era un valore medio, quindi vuol dire che ci possono essere dei
picchi e delle zone in cui si avranno dei valori inferiori alla media, questi picchi
possono esistere, ma c’è anche un valore tale per cui in nessun caso può essere
sorpassato per l’esposizione del lavoratore.
Quindi 3 concetti da ricordare:
la media delle 40 ore
il valore relativo a piccole esposizioni
il limite che non può essere mai sorpassato.
Ricordate che queste informazioni esistono solo per 300 sostanze: c’è un libretto dove
c’è l’elenco delle sostanze ben studiate con tutti i loro valori perché se ne conoscono
gli effetti e quanto tempo il lavoratore ne può essere esposto.
C’è anche una nota sul modo di esprimere questi valori, ma non ci interessa più di
tanto.
Questi limiti sono accettabili solo per le sostanze che hanno degli effetti direttamente
non cancerogeni perché culturalmente se la sostanza fosse un cancerogeno, e spesso lo
è dose indipendente, è ovvio che nessun limite tutelerebbe il lavoratore, quindi il
lavoratore per essere tutelato dovrebbe essere non esposto alle sostanze cancerogene,
ma questo spesso non accade. Riportandoci in sanità, a volte si utilizzano i farmaci
antiblastici che sono cancerogeni, agiscono con meccanismi tali per cui anche
l’esposizione di un lavoratore può comportare dei problemi per cui alcuni di questi
farmaci sono stati proprio classificati come cancerogeni. Allora cosa facciamo? Si
accetta un rischio tale per cui il lavoratore, infermiere o medico che ha a che fare con
questi farmaci, deve essere tutelato al massimo, quindi si danno dispositivi,
precauzioni, modalità di utilizzo, ma cmq alla fine un po’ di esposizione c’è e quella è
una quota di rischio ineliminabile. Noi la accettiamo facilmente per quelle sostanze
che non hanno la possibilità di provocare il decesso, mentre diventa un po’ più
eticamente inaccettabile quando si ha a che fare con sostanze che hanno tra gli effetti
collaterali la comparsa delle neoplasie.
Poiché gli stimoli nocivi possono essere di varia durata, sono stati standardizzati da
varie organizzazioni nazionali ed internazionali i limiti ambientali per le esposizioni
brevi e per quelle prolungate.
Il MAC è il livello di un agente nocivo nell’aria che non deve essere mai superato.
Secondo la denominazione dell’Associazione Igienisti industriali Americani (ACGIH)
per i valori limite di soglia o TLV-TWA (threshold limit value) o VLP (valori limite
ponderati) si intende la concentrazione media ambientale non superabile dei livelli di
esposizione dell’intero turno di lavoro di 7-8 ore giornaliere o circa 40 ore
settimanali.
I valori limite per breve periodo di esposizione sono chiamati TLV-STEEL.
TLV-ceiling: come valore limite soglia assoluto che non deve essere mai superato
(pressappoco equivalente al MAC, maxime acceptable concentration).
Le tabelle per gli agenti nocivi sono espresse in volume: parti per milione (ppm) o per
bilione (ppb), se si tratta di agenti fisici nelle rispettive unità di misura.
Nelle tabelle riportanti i TLV possono essere segnate anche sostanze cancerogene.
Di solito questi valori limite sono stabiliti da autorità nazionali o più spesso da un ente
che si chiama ACGIH che pubblica ogni anno un librettino piccolino dove sono
rappresentati i valori limite delle principali sostanze conosciute, quelle 2-300
sostanze, e per ognuna di queste ci sono tutte le caratteristiche che il datore di lavoro,
il medico, l’organizzatore della struttura devono rispettare per quanto riguarda
l’esposizione dei loro lavoratori.
Molto rapidamente un passaggio generale sulla tossicologia generale.
La tossicità può essere locale o sistemica, ovviamente quelle locali sono dovute a
quelle sostanze che hanno un effetto sul posto, quelle sistemiche a quelle che possono
avere degli effetti collaterali sistemici. P.e. un acido a contatto colla cute ha un effetto
irritativo locale, una sostanza come il piombo, introdotta all’interno dell’organismo,
può avere delle conseguenze sistemiche.
La gravità degli effetti: possono essere reversibili o irreversibili.
Le intossicazioni possono essere:
ACUTA caratterizzata da una esposizione di breve durata (<24h) e da un rapido
assorbimento della sostanza lesiva
SUBACUTA caratterizzata da più esposizioni di breve durata ripetute in un
periodo di tempo di giorni o settimane
CRONICA consegue ad esposizioni ripetute nel corso di un lungo periodo di
tempo (>6mesi)
Facciamo un esempio: il cadmio è metallo pesante presente nell’ambiente di lavoro di
molte attività lavorative che ha effetto sulla salute; se mi cade su un piede un blocco
di cadmio l’effetto sarà acuto, ma non stiamo parlando di tossicologia, bensì di
infortunio, se però io sono esposto per 10 anni al cadmio, questo provocherà degli
effetti in molti anni: lavoro per tanti anni, sono esposto al cadmio, vado in pensione e
sto bene, dopo un po’ compaiono i primi segni di insufficienza renale, piccole
alterazioni della microalbuminuria, piccoli danni renali che verranno visti dal medico
generico, di famiglia, che in qualche modo valuterà, cura l’insufficienza renale, ci
pensa, ma non la ricollega mai all’attività lavorativa. Uno dei problemi è sempre il
solito: alla fine il paziente lo curate per insufficienza renale perché alla fine il
meccanismo di danno ha come unico effetto la patologia che può avere altre eziologie,
ma sicuramente non la riconoscete come una patologia professionale, e tutti i benefici,
assegni, pensioni previdenziali, quella persona non li vedrà mai perché voi non
riconoscete che ha ricevuto un danno dall’esposizione al cadmio presente durante
l’attività lavorativa. Quindi l’importante è pensare che tante volte alcune malattie, che
compaiono in situazioni in cui non c’è più l’esposizione occupazionale, possono
essere legate ad esposizioni occupazionali presenti molti ani prima; il cadmio per
manifestare danni renali impiega 10-15-20 anni e non in tutti i lavoratori.
L’importanza è di avere un bancone (?) d’uscita nel dire: questa iniziale insufficienza
renale è presente, ma lei che lavoro faceva, usava il cadmio e se la risposta è positiva
si invia ad un centro per studiarlo più approfonditamente così che si riesce a far avere
a questo lavoratore anche un indennizzo equo.
Alcune informazioni sull’accumulo di sostanze, ma niente di particolare…
E qui introduciamo un concettino nuovo:
dose esterna:
quantità della sostanza esogena che viene a contatto
con l’individuo in un determinato periodo di tempo
dose interna:
quantità della sostanza esogena realmente assorbita
e ritrovabile in organi e tessuti dell’organismo.
Sostanzialmente la dose esterna è quella presente nell’ambiente, mentre quella interna
è quella all’interno dell’organismo. Se misuro la quantità di piombo presente nell’aria
di questa stanza ho un valore x, ma noi che siamo venuti oggi dal traffico cittadino
abbiamo sicuramente introdotto nell’organismo una piccola quantità di piombo,
quindi se andiamo a fare la nostra piombemia avremo una dose interna maggiore di
quella esterna non giustificata da quest’aula ma dal fatto che precedentemente c’è
stata una un’esposizione. Nei lavoratori molto spesso avrete bisogno di valutare la
dose interna, cioè sapere quanto di quella sostanza è presente all’interno
dell’organismo. Non tutte le sostanze sono dosabili, alcune si, alcune no, per alcune è
più importante venire a conoscenza dei metaboliti piuttosto che della sostanza stessa,
perché magari appena entrata nell’organismo viene metabolizzata. Se p.e. io sono
esposto a benzene, se vado a cercare il benzene nell’organismo, non trovo niente,
dovrò andare a cercare alcuni intermedi metabolici che poi vedremo come esempio.
effetto:
alterazione biologica a livello individuale associato
con un determinato livello di esposizione ad
una determinata dose
risposta:
percentuale di popolazione che sviluppa l’effetto ad
una determinata dose
A volte l’effetto è minimo e molto spesso dipende anche dalla nostra capacità
diagnostica. Se io ho un ottimo laboratorio, conosco bene la cinetica delle sostanze, un
piccolo effetto biologico riesco a vederlo anche per piccole esposizioni; quando io
invece mi aspetto di trovare p.e. un movimento delle transaminasi in base
all’esposizione ad un solvente, prima che lo vedo il fegato, che ha una grande capacità
di difesa da queste sostanze, già è arrivato ad un livello di intossicazione, di
sopportazione di questa esposizione molto, molto avanzata. Quindi per alcune
sostanze esistono degli indicatori precoci che ci danno un’idea dell’effetto.
Un po’ di filosofia sulle dosi:
dose soglia:
dose al di sotto della quale non vengono osservati
effetti di qualsiasi natura (NOEL: no observed effect
level)
dose efficace:
dose alla quale rispondono il 100% dei soggetti
esposti o trattati
NOAEL:
dose al di sotto della quale non vengono osservati
effetti dannosi (no observed aderse effect level)
La dose soglia sarebbe la soglia che garantisce l’assenza di effetti. Se io espongo un
lavoratore alla dose efficace, questo lavoratore svilupperà un segno clinico. Un conto
sono gli effetti ed un altro sono gli effetti dannosi. Se io ho una piombemia a 35
neanche me ne accorgo, ma cmq è un effetto dell’esposizione: sicuramente sta al di
sopra della dose soglia ma sta al di sotto del NOAEL.
(Non verranno fatte domande su questa roba. Se lo dici tu :-)
Tutto questo serve solo a far capire che l’ambiente estero di lavoro può provocare
danni alla salute e che questo ambiente dovrebbe rispondere a delle caratteristiche e
per questo bisogna avere dei limiti per ogni elemento che devono essere ufficialmente
presenti in letteratura, ben pensati, rispondenti alla realtà. Vi sarà capitato di sentire al
TG p.e.: l’acqua di Milano ha un livello di diossina superiore al limite consentito e
poco dopo il governo fa una legge per aumentare i limiti minimi. Ovviamente se noi
utilizziamo i limiti in questo modo, questi perdono significato. Il limite dovrebbe
essere un valore entro il quale siamo ragionevolmente sicuri non ci siano effetti
collaterali, Se i limiti sono imposti da una società scientifica sono di solito abbastanza
inattaccabili, ma quando vengono imposti dalle categorie di lavoro, datore di lavoro, o
dal governo, bisogna controllare se tutelano veramente i lavoratori.
Ogni composto che entra nel nostro organismo è soggetto a 4 fasi: assorbimento,
distribuzione, biotrasformazione, escrezione.
In generale l’assorbimento al lavoro può avvenire tramite il tratto respiratorio, come
gran parte della volte. Il tratto gastroenterico è più legato alla prescrizione medica. Un
elemento che è stato sempre dimenticato è l’assorbimento attraverso la cute, p.e.
parlando dei farmaci antiblastici, i medici come categoria, li assorbono attraverso la
cute anche perché di solito sono farmaci che attraversano facilmente i lipidi, perché
nelle operazioni che comportano la somministrazione del farmaco, si sporcano col
farmaco ed ogni volta che si sporcano sono soggetti ad una piccola assunzione di
farmaco attraverso la cute. Questo vale per tutti i lavoratori tutelati con tute,
controtute, impicci e imbrogli, ma molto spesso anche le tute da lavoro sono carenti.
Perché gli infermieri vanno in giro con una tuta a maniche corte? hanno tutti caldo?
sono esposti in modo impressionante alle sostanze che possono essere assorbite
attraverso la cute, il contatto coi pazienti, pensate a fare movimentazione a pazienti
gravemente carenti dal punto di vista della mobilità col camice a maniche a corte, lo
abbracciate, mettete il braccio sotto l’ascella, e tutta la parte che va dal polso
all’ascella è una fonte recettiva di eventuali sostanze che possono provocare problemi.
La distribuzione di solito comprende una fase di trasporto in cui molti farmaci o
sostanze chimiche possono essere impegnati in:
quota eritrocitaria,
quota plasmatica
libera
alcune viaggiano anche legate a proteine specifiche
e gran parte di queste sostanze finiscono con l’essere depositate. Quindi se durante
l’esposizione andiamo a cercare nel sangue qual è la sostanza tout court non la
troviamo, poi con un’indagine sul livello di deposizione ossea ritroviamo la sostanza
depositata nell’osso, dove rimane per moltissimo tempo. P.e. un contatto accidentale
col mercurio lo ritrovo nei siti di deposito, difficilmente nel sangue, e lì rimane per
moltissimo tempo. C’è un lavoro che descriveva un infermiere che si era iniettato del
mercurio: era caduto sopra un termometro che si era spezzato ed una quota di
mercurio è entrata nell’organismo. A distanza di 15 anni hanno pubblicato il lavoro e
l’infermiere aveva ancora la macchia di mercurio. Pensate a quanta importanza è stata
data alle amalgama dentarie, per quanto riguarda la comparsa di alcune patologie, e
quindi cosa significa essere esposti al mercurio per tanto tempo. Alcune patologie di
degenerazione del sistema nervoso sono legate all’esposizione a sostanze tossiche, in
particolare i metalli pesanti come il mercurio. Una delle lavorazioni più frequenti che
esponeva al mercurio era la produzione di cappelli di feltro, fatto col crine dei cavalli,
che viene sciolto e poi riassemblato in forma di cappelli etc.; durante la lavorazione
negli anni ’60 si faceva uso di mercurio, tanto che i lavoratori inalavano fumi di
mercurio. Comparivano danni via via progressivi fino al tremore, il famoso ballo di
San Vito. Quindi molte sostanze possono essere assunte in acuto ma molto spesso la
problematica con cui abbiamo a che fare riguarda sostanze che hanno un deposito che
poi nel tempo manifestano effetti collaterali per la nostra salute.
Biotrasformazione
Escrezione:
renale (quasi tutti i composti)
biliare (composti liposolubili)
respiratorio (gas, vapori, fumi)
sudore, saliva, latte
Se si è in presenza di una patologia neurologica con sospetto di esposizione a metalli
pesanti, il metallo si accumula nei capelli che possono venir recuperati ed analizzati
per vedere la composizione in metallo. Altrimenti per fare dei dosaggi di metalli si
somministrano dei farmaci che sbloccano il deposito e si va a dosare nelle urine.
Questo metodo può essere utilizzato per capire se il soggetto nel passato è stato
esposto a dosi importanti di metallo pesante. Dobbiamo abituarci a pensare che
l’esposizione a sostanze chimiche tossiche non sempre ha degli effetti direttamente o
facilmente riconducibili all’esposizione.
P.e. se sono esposto ad un acido che provoca una lesione diretta della cute, oppure ad
un solvente che può provocare un danno al fegato, ma è chiamato in causa anche per
un danno neurologico, e a volte possono dare anche dei problemi di ototossicità.
Quindi sostanze chimiche assunte per tutt’altra via in lavoratori che non sono esposti a
rumore provocano danno ototossico.
Non bisogna ragionare a schemi rigidi ma essere pronti se viene un lavoratore
indipendente, un paziente con una grave ipoacusia, non è detto che lavora in un
ambiente molto rumoroso, magari fa il calzolaio dove il rumore è poco ma la colla è
tanta, e può soffrire di ipoacusia dovuta all’esposizione a sostanze tossiche.
Abituiamoci a pensare che l’ambiente di lavoro, l’ambiente di vita, sono elementi
importanti nell’eziologia delle malattie.
Il 98% dei casi di ipertensione è priva di fattori eziologici, ma qualcosa ci sarà nella
vita lavorativa che altera alcuni parametri di benessere.
Sostanze ototossiche: in grado di esplicare una tossicità più o meno selettiva a carico
della funzione uditiva. Colpiscono di norma le strutture nervose dell’orecchio interno
e/o nervo acustico. Tali sostanze possono interagire con altri agenti (p.e. rumore) nel
determinare il danno acustico.
I farmaci ototossici magari li conoscete, ma gli agenti occupazionali ototossici magari
no:
certi
piombo, manganese, toluene, n-butil-alcool
sospetti
arsenico, mercurio, stirene, tricloroetilene,solfuro di
carbonio
E questi sono solo alcuni che conosciamo bene.
P.e. il paziente esposto a benzene fa il benzinaio, per associazione, sicuramente fino a
qualche anno fa, ma più importante è il fatto che dove c’è combustione c’è una quota
di benzene per cui se fa il garagista è ancora più associato perchè stando in un
ambiente chiuso con maggiori concentrazioni ne avrà assorbito di più del benzinaio
che invece sta all’aria aperta e probabilmente non si ammalerà.
Il benzene è un elemento che facilmente viene chiamato in causa nelle leucemie ed è
un argomento che si conosce bene. Quante leucemie ci sono?Ma quante di queste
sono studiate per ricondurle anche ad un aspetto lavorativo?Spesso hanno un’origine
occupazionale. Il benzene attualmente è fuorilegge come solvente, è stato sostituito da
altri solventi i cui effetti sulla salute però si vedranno tra 10 anni, nel senso che
quando inizieranno a comparire nuove neoplasie nei lavoratori probabilmente si dirà
che anche questi solventi possono essere responsabili di patologie.
Rapidamente portiamo un paio di esempi. Ci sono 2-3 esempi di sostanze conosciute
da ricordare visto che sulle sostanze chimiche stiamo facendo le corse, finita
l’introduzione.
L’ossido di carbonio (CO) è un gas incolore, inodore e con densità simile a quella
dell’aria. CO si sviluppa ogni qual volta si verifica, in genere in ambienti chiusi, la
combustione incompleta del carbonio.
Voi salverete tante persone affette da ossicarbonismo acuto. Le persone esposte a CO
muoiono per asfissia. Si legge: stufa che non funzionava bene, vecchietto morto. Nella
vita normale è presente ogni volta che c’è una combustione, nelle aziende spesso per
lavoro si verifica esposizione ad CO. Sicuramente sapete tutto sulle curve dell’affinità
dell’emoglobina e allora tutta questa teoria sull’emoglobina si presenta di solito nelle
situazioni lavorative. A noi interessa in un lavoratore quale problema dà quest’affinità
del CO per l’emoglobina. Quando una persona è esposta a CO sostanzialmente il CO
si sostituisce all’O2 legandosi all’eme perchè ha un’affinità 300 volte superiore.
Pazienti che preoccupano se esposti al CO sono gli anemici, perchè viene peggiorato
lo stato di anemia, il paziente critico che non si dovrebbe esporre per l’urgenza del
problema è il cardiopatico che è una persona che ha un deficit costante tra richiesta ed
afflusso di O2. Questo paziente incrementa la già presente richiesta di O2 e
logicamente tutte quelle situazioni critiche di angina, ischemia latente possono essere
slatentizzate e peggiorate.
Il gas degli altoforni contiene il 30-40% di CO,quindi tutte le situazioni in cui esistono
importanti momenti di combustione in ambiente lavorativo possono essere oggetto di
esposizione indebita a CO.
La tossicità si ha per ridotto assorbimento polmonare dell’O2 e ridotto trasporto
dell’O2 dai polmoni ai tessuti e a cascata tutte le situazioni che possono essere
presenti in un soggetto normale, si arriva all’asfissia, in un soggetto già con patologie
bronchitiche e cardiovascolari c’è un peggioramento grave della patologia in atto. Di
solito la sintomatologia inizia in modo lieve, non se ne accorge di morire per
intossicazione di CO perchè è inodore, insapore. Le conseguenze nel sistema
cardiovascolare, insufficienza coronarica sintomatica e poi disturbi di carattere
neurologico.
Per la diagnosi si può fare il dosaggio diretto della carbossiemoglobina su sangue e
per la terapia il paziente deve essere ovviamente allontanato dall’ambiente ad alta
concentrazione di CO, la terapia d’elezione, che non fa parte di medicina del lavoro, è
somministrare O2 ad alte pressioni e poi tutta una serie di attenzioni che devono
essere date a questo paziente per fare in modo di spiazzare il CO dal legame con
l’emoglobina che ha un tempo di dimezzamento un po’ lungo (4-5 ore), quindi non si
può aspettare che passi da sola, ma bisogna forzare la situazione. In ogni caso il
paziente deve essere trasportato in un ambiente ospedaliero attrezzato con camera
iperbarica.
Rapidamente il benzolo o benzene, che è un componente chiave dell’industria
chimica, che è presente anche nella combustione, ad esempio in tutti i casi dove c’è un
motore acceso. Attualmente si cerca di sostituirlo nei processi industriali perchè la
tossicità, la cancerogenicità del benzene è nota, quindi sicuramente è un elemento
bandito dagli ambienti di lavoro ma come prodotto di alcuni intermedi di produzione è
sicuramente ancora presente. P.e. nella produzione di coloranti si vengono a formare
le amine aromatiche che sono cancerogene con comparsa di tumore alla vescica.
La tossicità acuta non ci interessa; la tossicità cronica del benzolo è spt a carico del
sistema ematopoietico, una minore tossicità è presente a livello epatico, nelle
intossicazioni di grado elevato inizialmente si manifestano vertigini,..., cmq l’organo
bersaglio che ci interessa è sicuramente il sistema ematopoietico. Compare un’anemia,
nelle persone esposte in maniera importante, ipercromica di tipo rigenerativo.
L’esposizione al benzolo può provocare leucemia anche se non c’è un nesso diretto tra
esposizione e comparsa della malattia in alcuni casi, quindi sta nell’abilità del medico
cercare di ricostruire gli aspetti della vita del paziente durante i quali è stato esposto
ad agenti leucemogeni, uno di questi è sicuramente il benzene.
Un soldato addetto alla pulizia dei fucili con solventi sarà anche venuto a contatto con
l’uranio, ma si è anche respirato una buona dose di solventi per cui l’eziologia
occupazionale va attentamente pesata per valutare la possibilità che questa persona
abbia sviluppato la malattia in ambito lavorativo con quel tipo di problema.
Il TLV attuale in Europa per l’esposizione a benzene è di 1-2ppm. Non dovete
ricordare il valore ma per le sostanze ben studiate e3sistono dei parametri che ci
consentono di stabilire se stiamo lavorando in situazioni di sicurezza o di assenza di
sicurezza. Per rilevare la presenza di benzene non si va la benzenemia ma si cerca
l’acido trans-trans-muconico o l’acido 5fenilmercapturico nelle urine. Non bisogna
ricordare questi nomi, ma sapere che molte sostanze devono essere ricercate come
metaboliti noti del ciclo di quella sostanza. Tenete presente che vanno considerate
anche le fonti di esposizione non occupazionali (p.e. un fumatore di 40 sigarette al
giorno ha la sua dose di benzene dalle sigarette, quindi andando a dosare l’acido transtrans-muconico in un fumatore che ha appena fumato si avrà un valore alterato).
Parliamo adesso dell’ultimo elemento che è conosciuto in modo molto dettagliato: il
piombo. Due esposizioni appartengono alla cultura: il picacismo, malattia per cui i
bambini grattano e mangiucchiano i giocattoli verniciati con vernici al piombo, p.e. il
giallo, che oggi dovrebbero essere illegali. Oggi il piombo è illecito, i giocattoli
dovrebbero essere senza piombo e sicuramente più sicuri, ma nel passato si era visto
che bambini poveri che avevano pochi giocattoli e che erano lasciati soli in condizioni
di disagio perchè non seguiti, molto tempo con questo giocattolo che veniva
rosicchiato ed una quota di piombo veniva assorbito. Questo piombo assorbito, in una
quota non significativamente tossica in acuto, ma alcuni studi avevano evidenziato
una minor capacità di apprendimento dei soggetti precedentemente esposti a livelli di
piombo più alti. E’ uno dei motivi in più per cui negli USA è stata fatta una battaglia
precoce contro il piombo, ed hanno eliminato molto prima di noi la benzina rossa,
riuscendo a ridurre globalmente il livello di piombemia della popolazione. Questo è
stato un intervento che ha nulla con l’aspetto lavorativo, queste sono forme di tossicità
legate ad esposizioni generali, della vita normale. Il piombo si trova essenzialmente
negli accumulatori, nelle munizioni e nella loro produzione, nelle tubature, nelle
vernici come il minio (se qualcuno di voi ha fatto il carrozziere il minio è un colore
arancione, che è una vernice data come antiossidante, antiruggine), come schermo
contro le radiazioni, spt in radiologia, ma naturalmente si parla di produzione degli
schermi, nelle leghe, nella benzina (ovviamente nella benzina che era rossa, mentre in
quella verde ci sono altre sostanze, rodio, palladio, platino, e tra qualche anno
sapremo se fanno male). La prima cosa è capire dove viene utilizzato, lavorazione di
oggetti in piombo, fusione di piombo, lavorazione dell’industria poligrafica...con un
elenco infinito. P.e. a Murano fanno i cristalli, usano magari vetri con manufatti anche
di piombo, oppure l’artigiano che utilizza una vernice x, può essere esposto a piombo.
Le situazioni sono assolutamente varie.
La tossicità, senza entrare molto nel dettaglio, bisogna ricordare che può essere inalato
(vapori, gas) oppure può essere digerito, di solito come evento occasionale (ingestione
accidentale di vernici contenenti piombo) oppure anche lavoratori che durante il ciclo
produttivo portano le mani alla bocca se le mani sono in qualche modo sporche o
hanno un alto contenuto di piombo, se c’è l’abitudine di mangiare sul luogo del
lavoro, il cibo può essere un veicolo di passaggio del piombo dall’ambiente
all’organismo.
Il 20% viene assorbito e mantenuto nell’organismo, sostanzialmente il piombo può
essere ritrovato nel sangue, nei tessuti minerali...
Gli effetti possono essere facilmente riconosciuti come i disturbi di tipo gastroenterico
e colitico, la colica addominale saturnina, l’epatite tossica, l’anemia saturnina,
alterazioni del metabolismo delle porfirine, nefropatia da piombo, polineuropatia
periferica. Cmq ci vogliono, spt per la colica saturnina, concentrazioni di piombo
molto alte: è difficile che oggi un operaio venga ricoverato per una colica addominale,
significa che il piombo è stato assunto in quantità abnorme, ed attualmente in Italia
sembra che non esistano situazioni del genere, almeno si spera, anche se nel passato
esistevano. Gli effetti possono essere tra i più diversi; sostanzialmente oggi
fortunatamente di questi si spera di non vederne nessuno perchè i lavoratori non
dovrebbero essere esposti ad alte concentrazioni e spt il medico non deve aspettare
questi sintomi, ma deve andare a vedere i lavoratori esposti al piombo analizzando le
minime alterazioni subcliniche, ma evidenti al medico. Se c’è un’azienda che nella
lavorazione ha una possibile esposizione al piombo, non si aspetta che al lavoratore
venga una colica saturnina, ma si fa un prelievo per vedere la piombemia che è un
elemento ben chiaro di dose interna.Se il soggetto ha un valore alto significa che è
stato esposto a livelli troppo alti di piombo, ma che cmq non manifesta ancora la
sintomatologia che quindi aspettiamo solo in casi accidentali oggi. Dobbiamo invece
sicuramente come medici agire in una fase preclinica.
Ormai la colica saturnina rimane un evento aneddotico, era la patologia più
frequentemente legata all’esposizione al piombo; anche l’anemia saturnina la stessa
cosa; la neurotossicità invece ci interessa perchè può avere un range di comparsa
anche legato a piccolissime cose e sostanzialmente l’abilità clinica è di identificare
questi sintomi di neurotossicità nel primo momento possibile. Le ipoacusie quando
legate a metalli pesanti naturalmente ci consentono di capire se il piombo, i solventi
stanno danneggiando le cellule del sistema nervoso in modo preclinico perchè
l’audiometria presenta dei segni quando ancora il paziente non si accorge di avere la
malattia, ci sente benissimo ma magari sulla frequenza 4000 inizia a comparire un
deficit, se ne accorge lo strumento, non il paziente, quindi è il momento di verificare
se nella vita lavorativa di quel paziente ci possono essere state delle situazioni di
esposizione a piombo, solventi, o altre sostanze chimiche. Quindi sicuramente la
capacità di studiare in modo più raffinato il sistema nervoso centrale consente di
verificare la comparsa di danni preclinici molto più che altri sistemi come p.e. la
colica saturnina, il sistema ematopoietico e via dicendo.
Il meccanismo d’azione ve lo risparmio.
Questi sono i livelli patologici: 40 mg/dl sangue; 60 mg/dl urine. Se un paziente ha
una piombemia superiore a 40 nel sangue sicuramente è un soggetto che può iniziare a
manifestare i sintomi, sotto i 40 è un limite di accettabilità che però oggi dovrebbe
essere di 10-15, anche perchè non esiste più una quota ambientale, si è abbassata tutta
la media della piombemia della popolazione.
L’ultimo sforzo è legato ad un argomento che ci è più vicino e che interesserà noi e
chi lavora con noi, quindi è utile che un minimo di lucidità si abbia, perchè usare un
chemioterapico alla leggera può esporre noi, che lavora con noi a rischi indebiti.
Ovviamente quando uno somministra un farmaco antiblastico di solito cerca di farlo
localmente, in modo tale che la somministrazione sia diretta alle cellule specifiche, ma
ovviamente non c’è una distinzione, il farmaco antiblastico agisce su tutto il DNA di
tutto l’organismo.
Molto genericamente si ha una classificazione mnemonica che sostanzialmente
identifica una serie di agenti che vanno sotto il nome di chemioterapici antiblastici,
una quota rilevante del repertorio farmacologico:
agenti alchilanti
antimetaboliti
complessi di coordinazione del platino
alcaloidi di origine vegetale
antibiotici tumorali
ormoni
Una serie di farmaci che spesso sono presenti in un reparto; in un reparto di medicina
interna è frequentissimo che fra le tante terapie dei tanti letti, ci sia la terapia degli
oncologici, e che non ci sia una separazione netta tra un reparto in cui si trattino solo
gli oncologici ed altri, c’è un misto, specialmente negli ospedali di piccoli dimensioni
o periferici. Il policlinico è ancora in una fase atipica, probabilmente nascerà una
struttura propria con tutti gli oncologici trattati in modo centralizzato, normalmente
invece questo tipo di pazienti e i farmaci che a loro servono sono dispersi in tutto
l’ospedale.
Inizia una piccola osservazione da acquisire: la IARC (agenzia internazionale per la
ricerca sul cancro) è sostanzialmente l’agenzia che stabilisce se le sostanze sono
cancerogene o meno. Questa agenzia fa riferimento ad una classificazione che voi
dovete conoscere:
1
cancerogeni accertati per l’uomo
2A
probabili cancerogeni per l’uomo
2B
possibili cancerogeni per l’uomo
3
non classificabili come cancerogeni per l’uomo
4
probabilmente non cancerogeni per l’uomo
Laddove esiste una sostanza che è stata studiata, conosciuta, se dal punto di vista
epidemiologico ed anche farmacologico, quindi clinico, e le caratteristiche risultano
essere cancerogene (espongo 200 persone, 90 si ammalano di cancro, probabilmente
quella sostanza è cancerogena) allora quella sostanza andrà a far parte del gruppo 1,
man mano che l’evidenza diminuisce si scende di gruppo.
A noi interessano il gruppo 1 in cui la cancerogenicità è sicura, e poi i gruppi 2A e 2B
in cui esiste una maggiore e minore (probabile e possibile), con differenza nella
terminologia.
Gruppo 1 :
busulfan
ciclofosfamide
clorambucil
melphalan
MOPP
agenti alchilanti
clornafazina
tiotepa
Gruppo 2A:
adriamicina
aracitidina
OCNV
mostarde azotate
procarzabina
Molte delle sostanze che avete visto in reparto sono nel gruppo 1; p.e. la
ciclofosfamide che è un po’ come l’aspirina, sta dappertutto, sta nel gruppo 1, quindi è
un cancerogeno certo. E non sono solo questi i farmaci classificati come cancerogeni
certi...
Quando voi comprate questi farmaci, nella scatoletta non c’è scritto cancerogeno,
perchè in delega ad una legge che indica come obbligatoria l’etichettatura delle
sostanze (se io compro la varechina, un acido, o una sostanza cancerogena c’è una
frase di rischio), ma nei farmaci chemioterapici non c’è perchè per questi farmaci è
stata fatta una delega per cui non è necessario da parte del produttore specificare la
cancerogenicità, ma sono cancerogeni.
Ci sono anche altre società che hanno studiato il problema, ma p.e. la ciclofosfamide è
cancerogena sia per la IARC, sia per la CCNT e la NTP, tutte società che si occupano
di studiare la cancerogenicità. Per molti farmaci questa cancerogenicità è stata studiata
prevalentemente dallo IARC, ma cmq è una realtà accertata e risaputa.
Come e dove agiscono lo sapete meglio di me...
Esistono alcuni momenti in cui la gestione di questi farmaci comporta anche
un’esposizione per chi ci lavora:
immagazzinamento
preparazione
somministrazione
smaltimento
manutenzione delle cappe
dove tutte le persone predisposte a queste attività possono essere esposte o
accidentalmente o anche attitudinalmente al contatto con questi farmaci. P.e. il
magazziniere che rompe una fiale di questi farmaci e magari non pulisce il luogo dove
si è rotta, sta a contatto colla sostanza per molto tempo. Ovviamente prima della
somministrazione i farmaci devono essere preparati, di solito si fanno dei cocktail,
oppure normalmente vengono aperti, preparati e somministrati non sempre
direttamente dal blister della confezione. Immaginate cosa sia dare una terapia
antiblastica a casa del paziente, magari farla a casa di un paziente non perfettamente
lucido, oppure a casa di un bambino, tutto ciò comporta una difficoltà nella
somministrazione, un conto è stare in un ospedale col massimo del comfort e della
tutela, quando uno va a casa come medico o infermiere a somministrare la terapia
chemioterapica, e spesso capita, ovviamente ci sono molti problemi (la flebo si attacca
alla colonna del letto, il comodino è scomodo, non si riesce ad aprire il contenitore del
farmaco, c’è un po’ di spandimento perchè devi provare spt se non c’è una gran abilità
si espande più sul letto che nel paziente...), molti momenti in cui la somministrazione
diventa una situazione di grande rischio. A tutto ciò esiste una legge per i farmaci
antiblastici che obbliga chi viene chiamato a predisporre la terapia di farlo sotto
cappa, e quindi se non si puliscono in modo adeguato i filtri delle cappe, le cappe
stesse possono essere un momento di possibile contaminazione.
Ci sono alcune situazioni in cui anche chi lavora in sanità deve essere tutelato e non
può essere esposto a manipolazione dei farmaci antiblastici.
Condizioni che controindicano l’esposizione
gravidanza ed allattamento
talassemia, emoglobinopatie, carenze di G6PDH eritrocitaria
immunodeficienze congenite o acquisite
alterazioni della funzione renale ed epatica
pregresse esposizioni professionali a radiazioni ionizzanti, sostanze cancerogene
precedenti terapie capaci di indurre ipoplasia midollare, in particolare trattamenti
confarmaci antiblastici o con radiazioni ionizzanti
condizione di atopia.
Con i contratti che ci sono, tantissima tutela non c’è, per questo in fase di
allattamento, se la persona assorbe per via cutanea i farmaci antiblastici, questi
possono essere cmq ritrovati nei liquidi biologici, il sangue sicuramente, ma anche nel
latte materno, quindi possono essere degli elementi di contaminazione del neonato.
Esistono alcune situazioni di suscettibilità, che sono tante, e che dovrebbero
sconsigliare l’esposizione. L’argomento dell’esposizione agli antiblastici che di solito
passa in second’ordine, è invece preoccupante, perchè è un’esposizione a sostanze
sicuramente cancerogene e per i quali spesso i lavoratori non hanno la percezione del
rischio. Quando aprono un farmaco, non sanno nemmeno cos’è, spesso i farmaci
vengono preparati con una leggerezza unica, l’infermiere sul tavolo della medicheria
senza guanti perchè non c’è il paziente, senza cappa...aprono svuotano, riempiono la
flebo, caricano la siringa, spruzzano per vedere se c’è l’aria con spandimento di
farmaci importantissimo. Infatti se andiamo a cercare questo farmaco nell’ambiente, si
trova dappertutto, se andate a campionare la ciclofosfamide andandola a cercare nella
stanza dove lavora l’infermiere, la trovate sulla maniglia della finestra, sul
telefono...perchè o coi guanti o senza guanti ha sparso il farmaco dappertutto. Ed è un
tipo di rischio per cui c’è una scarsa percezione perchè non siamo in grado di capire
che quel tipo di spandimento può essere pericoloso.
Deve essere fatta una sorveglianza sanitaria perchè chi è esposto al rischio deve essere
visitato specificatamente per quel tipo di rischio. Esistono dei dispositivi che
dovrebbero essere utilizzati: devono essere messi doppi guanti perchè un paio solo
non è sufficiente in quanto questi farmaci hanno una buona capacità di penetrare
attraverso i guanti spt se sono stati mantenuti per un po’ di tempo, quindi sono sudati
ed hanno perso la capacità di proteggerci dall’ambiente esterno, quindi la permeabilità
è aumentata; i camici dovrebbero essere quelli con la chiusura posteriore, fatti in
tessuto non tessuto che in qualche modo evitano l’accumulo di questo tipo di farmaco;
dovrebbero essere utilizzate delle maschere, delle cuffie, degli occhiali protettivi; non
dovrebbe esserci l’abitudine di mangiare nei luoghi dove vengono prodotti questi
farmaci; le infermiere che si dedicano a questo tipo di lavoro non si dovrebbero
truccare, nè si dovrebbe masticare gomma americana perchè se il farmaco viene
disperso nell’aria come spesso accade durante l’apertura della fiala, una parte del
farmaco viene nebulizzato e si corre il rischio che la superficie cutanea, quando viene
trattata anche con prodotti di bellezza, offre la possibilità di una maggiore recettività
del farmaco, lo stesso dicasi per quando si mastica la gomma americana, perchè
l’umettare continuamente le labbra consente un’assunzione di farmaco maggiore
rispetto a persone che invece non masticano.
Ci sono pubblicazioni su questo tipo di problema in costante aumento perchè ci si sta
rendendo conto che in ospedale l’esposizione a chemioterapici è un rischio abbastanza
preoccupante.
Di solito viene usato un unico farmaco per vedere se nell’ambiente è presente una
contaminazione da farmaci antiblastici: la ciclofosfamide si chiama per questo
farmaco tracciante, invece di cercare tutti i farmaci, se c’è la ciclofosfamide, significa
che quel processo lavorativo non è ben eseguito.
Effetti acuti legati ad una esposizione accidentale a farmaci antiblastici, alcuni sono
anche difficilmente correlabili, ma quando questi farmaci vengono usati male da
persone che ne sono a contatto 8 ore al giorno tutti i giorni, la dose che viene assorbita
è rilevante (nausea, rushes, perdita capelli, danno epatico e renale, danni ematologici e
del sistema immunitario, perdita di udito, dermatiti, rischio aumentato di aborto).
Andrebbero prese delle tutele sia dal punto di vista sanitario che organizzativo per le
lavoratrici in età fertile, per la possibilità che un’esposizione incongrua possa portare
dei problemi al nascituro.
Questi (?) sono alcuni test con un’utilità limitata per verificare l’entità del danno
presente nel patrimonio genetico, ma sono molto aspecifici ed agiscono quando già il
danno si è manifestato. L’obiettivo sarebbe creare un’attività lavorativa o un tipo di
lavoro che non ci sia la comparsa di questo tipo di danno.
Diapositive che scorrono...
Abbiamo finito...
Bisogna ricordare riguardo ai farmaci chemioterapici che esistono, come si
classificano e perchè sono pericolosi.
Bisogna aggiungere che la legge prevede che vengano identificati solo alcuni
infermieri che facciano sempre quel tipo di lavoro. L’ideale sarebbe che in un
ospedale ci sia un unico centro che prepari il farmaco, ed un unico centro che lo
somministri; quindi se i un paziente sta al quinto piano e deve fare un ciclo di
ciclofosfamide, scende al secondo piano dov e c’è l’unità di somministrazione, viene
somministrato il farmaco e viene riportato al quinto piano. Questo ha degli aspetti
vantaggiosi e svantaggiosi. Vantaggiosi: se so che 10 persone sono esposte a
chemioterapici, le formo, le faccio tornare, le controllo dal punto di vista sanitario, do
loro tutti i dispositivi, verifico che abbiano capito, faccio un monitoraggio ambientale
proprio su questo aspetto, magari do anche un incentivo economico anche se non è
una cosa brillantissima, ma faccio in modo di comprovare e mettere a punto il
processo lavorativo affinchè non ci siano effetti per la salute. La situazione attuale è
che se serve una somministrazione di ciclofosfamide, ci può essere un allievo
infermiere che non ha mai visto una fiala di chemioterapico, che non è stato formato,
che non ha i dispositivi giusti che in qualche modo non è tutelato, allora viene da
pensare...
Scorrono diapositive ad altissima velocità…
Scusate il ritardo ma ci sono stati problemi tecnici.
Buono studio e saluti
Claudia & Mattia