Perché abbiano la vita Lettera pastorale sull`educazione di Mons

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Perché abbiano la vita
Lettera pastorale sull’educazione di Mons. Donato Negro Arcivescovo
Scheda introduttiva
L’orizzonte della lettera è salvifico. Già il titolo, infatti, sintetizza con un’espressione
evangelica lo scopo di ogni percorso cristiano: “perché abbiano la vita”.
Anche l’educazione, poi, ha di mira quella pienezza di vita che la fede pasquale ci ha
permesso di scoprire. Il documento del vescovo, che fa da solerte eco nella nostra diocesi degli
orientamenti pastorali della CEI per il decennio 2010-2011, è un invito paterno a vivere l’impegno
educativo quale sfida più urgente ed efficace per la comunità cristiana.
Il criterio pastorale ispiratore dominante si fonda sul fatto che “la chiesa educa con tutto ciò
che è che fa” e si esprime nella “pedagogia del buon esempio”. Per questo le grandi intuizioni
affidateci dal Vescovo fanno stretto riferimento a figure di testimoni educatori.
Il primo capitolo si concentra sullo “stile educativo” quale “anima della pastorale”. Questo è
la migliore risposta della chiesa nel tempo alla paterna pedagogia divina, vivendo la sua vocazione
di maestra e madre nell’ascolto, nell’accoglienza e nella comprensione ed esprimendo la sua
pedagogia della maternità. Il riferimento a Giovanni Bosco dà un sicuro riferimento e un apporto
decisivo a questa tesi. Il suo “metodo preventivo”, infatti, incita la comunità ecclesiale ad una
costante attenzione a chi sta per muovere i primi passi verso la pienezza della vita e a camminare
insieme a loro con amorevolezza.
Il secondo capitolo riafferma come traguardo all’interno della comunità ecclesiale la
possibilità di un’ “educazione liberatrice” che, attraverso un giusto equilibrio tra autorità e libertà,
invogli a un’ “obbedienza libera” e quindi matura. I percorsi dell’educazione liberatrice, poi,
passano attraverso un’educazione all’autonomia, al primato della coscienza e al senso critico.
Illuminante a riguardo è l’esempio proposto di don Lorenzo Milani che amava formare i suoi alunni
di Barbiana ad “una critica consapevole a tutto campo”. La sua testimonianza sprona la chiesa a
vivere “la carica delle Beatitudini”, impossibile senza “una vera capacità profetica”.
Nel terzo capitolo si fa diretto riferimento alla Chiesa come “comunità educatrice”. La
lettera del vescovo pone in cattedra Maria Montessori, attenta a porre al centro non solo il bene
psicofisico del bambino, ma anche quello spirituale. Qui si impone il riferimento naturale e
prioritario alla famiglia, quale vera “comunità educante” e da qui, a cerchi concentrici che
coinvolgono anche parrocchia e scuola, giungere ad una “cospirazione per la felicità personale e per
il bene comune” come si legge nel quarto capitolo.
Tale “sistema educativo integrato” aiuta a creare il contesto più idoneo per la formazione
delle coscienze, ma, pur utilizzando “la cassetta degli attrezzi” religiosi, culturali e pedagogici,
come amava dire don Tonino Bello, sa anche di dover vivere umilmente la “pedagogia della
soglia”, lambendo con rispetto lo spazio sacro della coscienza di ognuno.
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