Ecclesia de Trinitate. Dom Adrien Gréa (1828-1917) “profeta”/germe
dell’ecclesiologia di comunione?
INTRODUZIONE: 3 grandi soggetti, una piccola tesina
CAP.1- DOM GREA, FIGLIO DEL SUO TEMPO
- contesto storico/teologico della Francia del XIX secolo tra Vaticano I e Vaticano II
- cenni biografici e “fonti” del pensiero del Gréa
CAP.2- IL PENSIERO DEL GREA, grande teologo sconosciuto
- linee generali del suo pensiero teologico
CAP.3- ECCLESIA DE TRINITATE
-
Dai Padri al Gréa
Dal Gréa ai Padri Conciliari (Congar e De Lubac)
ecclesia de Trinitate: la Chiesa “vista da Dio”
Chiesa, Cristo, Nozze
CAP.4- DOM GREA, “PROFETA” dell’ECCLESIOLOGIA DI COMUNIONE?
-
Dall’Ecclesia Trinitate all’Ecclesia Communionis
riscoperta della teologia della Chiesa locale
centralità del collegio episcopale
“comunione ministeriale” e “pastorale liturgica”
il ruolo dei Religiosi nella Chiesa particolare
Missionarietà
Il Gréa e il concilio Vaticano II
CAP. 5- IL GREA “PROFETA”: UOMO CARISMATICO, FONDATORE DEI CRIC
- il carisma e i fondatori
- l’ideale del Gréa (“la grande scoperta”)
- la “grande prova” del Gréa in relazione all’opera di Dio
- il Gréa fondatore dei Cric?
CAP. 6- IL SOGNO DEL GREA, AFFIDATO OGGI AI CRIC PER IL DOMANI DELLA
CHIESA
- la vita religiosa offerta ai diocesani e la questione della “non-esenzione”
- esperti di comunione? La “comunione pastorale”
- spiritualità diocesana e pastorale liturgica
CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
1
- ANALISI DEL TESTO
L’opera è stata edita per la prima volta a Parigi nel 1885; nel 1904 è stata tradotta in italiano
dall’Arcivescovo di Monreale, mons. Lancia, e nel 1907 ne usciva una seconda edizione in due volumi
(Paris, éd. Maison de la Bonne Presse), aumentata da una appendice sull’origine e la natura dello Stato e
sulle sue relazioni con la Chiesa. L’opera è stata ristampata a cura del p.G.Fontaine, Cric,
dall’ed.Casterman (Belgio, 1965). Esiste una traduzione in spagnolo…
Scelta per l’edizione italiana, confrontata con quella del 1965 ed, in casi delicati, con le altre edizioni.
a)- lettere d’approvazione
b)- PREFAZIONE1
- Vi troviamo subito l’esplicita volontà di distaccarsi dalla manualistica ecclesiologica del suo tempo, vista
come risposta alle eresie degli ultimi secoli:
“Numerosi Trattati sulla Chiesa sono stati, nei tempi moderni, il frutto del genio e dei lavori dei
teologi. Le eresie degli ultimi secoli, cercando di scuotere in mezzo alla società cristiana il principio
di autorità, o di rimuoverne l’origine e il centro, hanno avuto l’opportunità di provocare il
movimento degli studi teologici che si è fatto da questo lato. Esse hanno così obbedito alla legge
provvidenziale, e Dio, facendo uscire il bene dal male, e rischiarando i dogmi di tanta maggior luce
quanto maggiori erano i tentativi fatti per oscurarli, ha costretto l’errore a servire al trionfo e allo
svolgimento della verità: Oportet haereses esse.
I dottori suscitati da Dio per difendere i baluardi di Gerusalemme non hanno mancato al loro
compito, anzi l’hanno adempiuto vittoriosamente. Essi si sono precipuamente proposti di stabilire
l’autorità della Chiesa di fronte al razionalismo; essi hanno affermato le di lei peculiarità, essi hanno
opposto agli errori generati dal protestantesimo e dal gallicanesimo l’esatta cognizione dei poteri
che la reggono, degli elementi che la compongono, e dei principi del suo governo.
In questo vasto lavoro di esposizione e di apologia, i teologi hanno più di una volta paragonata la
divina legislazione della Chiesa alla costituzione degli stati della terra, e ricavando da quelli le idee e
i vari vantaggi della monarchia, dell’aristocrazia e della democrazia, hanno mostrato con
compiacenza come nell’ordinamento ecclesiastico, quegli elementi diversi e contrari siano riuniti
senza lotte e conflitti interiori (…).
Offrendo quest’opera al pubblico, noi non imprendiamo nuovamente un lavoro che tanti uomini di
mente superiore hanno già compiuto, ma ci proponiamo un altro scopo.
A questa ecclesiologia apologetica predilige dunque una ecclesiologia misterica, vista dall’alto,
con gli occhi di Dio. Se ne scorge allora una realtà prima di tutto spirituale e solo in
conseguenza istituzionale. Predilige gli scritti giovannei, fondandosi sulle intuizioni patristiche.
La Chiesa non è soltanto una società di cui Dio ha fatto o ispirato la legislazione (…). Dio non è
soltanto il suo legislatore; ma le da tutto il suo essere fino all’essenza stessa della sua sostanza;
Egli è il principio di lei e la fa procedere da sé medesimo nel suo Cristo, di cui essa è il corpo, lo
sviluppo, la pienezza.
La nuova Gerusalemme discende dal cielo e procede da Dio: porta in sé i segni della sua divina
origine, e la società divina stessa si riproduce in lei per mezzo di ineffabili comunicazioni.
Come innalzarsi a questa celeste contemplazione? Come descrivere queste grandezze?
L’esposizione di un tal mistero è al disopra delle nostre forze: vi occorrerebbe il linguaggio
delll’Angelo che l’annunziò a San Giovanni. «Venite ed io vi farò vedere la sposa dell’Agnello
discendente dal cielo e proveniente da Dio» (Ap.31,9).
Nella nostra impotenza, sostenuti tuttavia dalla tradizione e dalla dottrina dei Padri, tenteremo di
scorgere qualche riflesso di quelli splendori, e di ripetere, imperfettamente, e come balbettando,
qualche cosa delle meraviglie che sono in lei. Preghiamo i nostri lettori (…) d’intendere, con cuore
attento, le parole che lo sposo della Chiesa non cessa di far risuonare in lei: «Che essi siano uno,- o
Padre mio-, come noi siamo uno, essi in me, ed io in voi, affinché essi siano consumati in uno»(Gv.
17,22-23); che essi siano uno della nostra stessa unità”2.
Anticipa quindi lo schema che seguirà nel testo:
“Crediamo necessario esporre, in un’introduzione o discorso preliminare, la natura della Chiesa e
il luogo che essa occupa nei disegni di Dio tra le altre sue opere;la natura e l’eccellenza della sua
gerarchia e dell’ordine che ne distribuisce tutte le parti, la natura infine delle relazioni e della
dipendenza che hanno verso di lei le altre opere di Dio, gli angeli e le società umane.
La prefazione è presente nell’edizione del 1885 e nelle successive , ma omessa inspiegabilmente nella edizione del 1965 (dove è
sostituita da una prefazione di Louis Bouyer).
2 A.Gréa, op.cit., ed. 1904, p. XXXIV-XXXV.
1
2
L’insieme dell’opera comprenderà tre libri.
Nel primo esporremo i principi generali della gerarchia della Chiesa, i poteri che le sono confidati
e i mezzi misteriosi della sua attività.
Il secondo libro sarà dedicato alla Chiesa universale nel suo capo Gesù Cristo, e il Vicario che ne
tiene il posto quaggiù, e nel collegio dei vescovi associati al di lei governo.
Nel terzo finalmente tratteremo della Chiesa particolare nel suo capo il Vescovo, e nel suo collegio
di preti e di ministri. Esporremo il grado e la distinzione delle Chiese, e parleremo pure delle Chiese
imperfette; le quali, non avendo in sé il titolo episcopale, si raggruppano intorno ad una Chiesa
principale e formano le diocesi. Faremo quindi brevemente la storia della Chiesa particolare
aggiungendovi alcune considerazioni sulle Chiese monastiche, gli ordini religiosi, e il posto che loro
appartiene nella Chiesa cattolica.
Anche la conclusione della Prefazione offre spunti utili di riflessione:
(…) Abbiamo intrapreso questo lavoro per la gloria della Santa Chiesa, professiamo per questa
sposa dell’Agnello e questa madre delle anime nostre l’amore il più ardente (…).
Sono dunque questi i primi elementi che caratterizzano la Chiesa per il Grèa: sposa e madre, discende dal
cielo e procede da Dio tanto che la sua essenza (e la sua sostanza) è propriamente divina.
1)- INTRODUZIONE
Cap.I – Del posto della Chiesa nei divini consigli
“La santa Chiesa Cattolica è il principio” e la ragione “di tutte le cose”3.
Il suo sacro nome riempie la storia: sin dall’origine del mondo i secoli ne sono stati la
preparazione; gli altri che seguono sino alla consumazione saranno riempiti del suo passaggio, ed
essa li attraversa tutti dando a ciascun avvenimento il suo provvidenziale significato.
Ma essa non è ristretta nel tempo come tutte le cose umane, né si arresta quaggiù.
Al di là dei secoli l’eternità l’attende per darle nel suo riposo l’ultima perfezione.
Essa vi porta tutte le speranze del genere umano che in lei si sostengono.
Arca inviolabile, custode di questo sacro deposito essa galleggia sicura sui flutti dei secoli e degli
eventi, delle volte sbattuta e sollevata sino alle nubi dalle fortunose acque del diluvio; dai loro sforzi
viene portata sempre più in alto e più vicina al cielo (cf.Gn 7,17).
Solo essa arriverà all’eternità, e niente di ciò che nasce nel tempo salvato e vivrà nell’eternità
fuori di Lei.
Ecco il gran soggetto che proponiamo alle nostre meditazioni.
Avviciniamoci con rispetto ed interroghiamo questo portento che non ha pari in tutto il creato”. 4
Il primo paragrafo risulta poi particolarmente significativo. In esso il Gréa si domanda cosa sia (e cosa
non sia) la Chiesa, quale posto occupi all’interno dell’economia divina. Scrive in proposito Antòn:
“Il Gréa apre la sua ecclesiologia in una prospettiva chiaramente teologica, poiché si chiede quale
sia il posto della Chiesa nel disegno salvifico divino e nella sua realizzazione nell’economia concreta
di salvezza. La Chiesa concepita nella sua preesistenza divina si realizza nella storia della salvezza e
inizia già la sua preparazione nei progenitori dell’umanità. Concepisce il mistero gerarchico come
strumento e rappresentazione della gerarchia invisibile della Chiesa (il Padre principio del Figlio –
Cristo Capo della Chiesa – Vescovo capo della Chiesa particolare) e al servizio dei fedeli
E’ necessario riconoscere il merito straordinario di Gréa di aver precorso di più di mezzo secolo in
alcuni principi fondamentali della sua ecclesiologia le tendenze attuali dell’ecclesiologia. Senza
formulare il principio teorico Gréa in pratica parte dalla realtà misterica della Chiesa come opera del
Dio Trino per redimere l’uomo”5.
Più volte si fa in effetti riferimento alla parola mistero, mentre l’impostazione che viene seguita nel
ragionamento è propriamente tomista. Ma seguiamo ancora una volta il testo.
S.Epifanio, Haeres., 1,1,5;PG 41,181 – Erma, Il pastore, Visone II, 4,1 (Roma 1946).
Leggiamo in particolare come, per de Lubac e per i Padri, la Chiesa “Occorre vederla in Dio, prima dell’inizio del mondo: «essa vi
fiorisce con il Cristo, dalla Volontà del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». In quella misteriosa Saggezza che presiede con il
Creatore alla creazione stessa, si deve ravvisare anche la Chiesa. Erma non aveva dunque torto di contemplarla in visione sotto le
sembianze di una donna anziana: perché secondo la spiegazione datagli dalla sua guida, il Pastore, «essa è stata creata per prima,
prima di ogni cosa» (…). Origene userà ben presto lo stesso linguaggio, fondandosi sia sull’Apostolo che sul Salmista: «Non
crediate che la Sposa, cioè la Chiesa, esista soltanto dalla venuta del Salvatore nella carne; essa esiste dall’inizio del genere umano,
anzi, fin dalla creazione del mondo; o meglio, e san Paolo ne è garante, prima ancora della stessa creazione del mondo» (Origene,
In Cant. Comm., 1 II). H.De Lubac, s.j., Meditazione sulla Chiesa, Milano 1955, p.73-75.
4 op.cit., p.1-2
5 A.Antòn, Lo sviluppo della dottrina sulla Chiesa nella teologia dal Vaticano I al Vaticano II, in AA.VV., L’ecclesiologia dal
Vaticano I al Vaticano II, Brescia 1973, p.56.
3
3
“Che cos’è la Chiesa? Quale posto occupa nei disegni di Dio e tra le altre sue opere? E’ soltanto
una società utile alle anime e conforme ai bisogni dell’umana natura? E’ non altro che uno dei tanti
benefici, sebbene in un ordine superiore, che Dio ha versato in questo mondo?
O piuttosto in questo sacro nome di Chiesa si nasconde un più profondo mistero?
Si certo, c’è di più, e questo mistero della Chiesa non è che il mistero stesso del Cristo.
La Chiesa è lo stesso Cristo; la Chiesa è la “pienezza” e il compimento del Cristo; il “suo corpo”
ed il suo sviluppo reale e mistico; il Cristo totale e compiuto (Ef. 1,22-23).
Così la Chiesa occupa tra le opere di Dio il posto stesso del Cristo; il Cristo e la Chiesa sono una
sola e medesima opera di Dio.
Ora qual’è questo posto del Cristo e della Chiesa nell’opera divina?
Gesù Cristo dice di se stesso che egli è l’alfa e l’omega, il principio e la fine delle cose (Ap.22,13).
Inoltre la Sacra Scrittura ci dice che tutto è stato fatto in lui e per lui, che tutte le cose in lui hanno
la ragione del loro essere, cioè che egli è la loro causa, come ne è pure il fine (Col.1,16-18).
Per ben comprendere tutto lo svolgimento di questa verità, entriamo in contemplazione di questo
grande spettacolo di Dio che opera al di fuori di sé, e esce dal suo eterno arcano per far
germogliare le sue opere nel tempo.
Ora Dio è uscito tre volte dalla sua eternità per manifestarsi nel tempo con le sue opere: le tre
uscite furono la creazione dell’angelo, la creazione dell’uomo, l’Incarnazione”.
I paragrafi successivi descrivono quindi la creazione dell’angelo e dell’uomo (II) e la terza “uscita” di Dio,
ovvero l’Incarnazione (III). L’impostazione è, come già accennato, pienamente tomista. “Il punto di
partenza è il pensiero di Tommaso, secondo cui dapprima sono stati creati gli angeli, poi gli uomini per
supplirne la defezione, da ultimo è venuta la missione del Figlio da parte del Padre, per redimere l’uomo
dal peccato” (Serenthà, p.22). S.Tommaso viene del resto più volte esplicitamente citato.
Di tutto il discorso sembra utile citare solo alcuni passi per seguire il filo del ragionamento:
“In principio Dio creò gli angeli (…). Il peccato dell’angelo venne a turbare questa prima armonia.
Dio vi riparò” creando l’uomo che cadde a sua volta nel peccato. “Dio allora si manifesta una terza
volta al di fuori attraverso il mistero dell’Incarnazione. Sarà questa il compimento e la fine di tutte
le sue opere.
L’Incarnazione è da parte di Dio ciò che egli può fare di più grande per mostrarsi nel tempo: è la
sua più perfetta manifestazione. Fin qui erano le sue opere che parlavano di lui, ora è egli stesso
che appare. (…) con l’Incarnazione riempie l’abisso infinito che separa Dio dalla creatura (cf. Ag.,
Espistola 137).
Dopo che egli ebbe riassunto tutta quanta la sua opera nell’uomo, la prende tutta intera, corpo e
anima, e l’unisce personalmente alla sua divinità.
Così con un solo e medesimo atto il peccato riceve la sua riparazione e il suo rimedio, e l’opera di
Dio l’ultimo suo compimento.
Qui c’è, in effetti, la manifestazione suprema di Dio. Per ben comprenderla consideriamo come
Dio, nelle sue opere, manifesta i suoi attributi, e come in questa manifestazione c’è come un
progresso e una gerarchia, un ordine prestabilito e connesso”.
Di Dio gli uomini colgono innanzitutto la sua potenza. Poi scoprono come questa sia da lui
sottomessa alla sua sapienza e come questa infine obbedisca alla sua bontà.
“ La bontà è quanto di più profondo c’è in Dio: «Dio è amore» (1Gv 4,8.16)” (…)
“Ma quando l’uomo peccò, c’era un peccatore che poteva pentirsi e ottenere misericordia, e Dio
potè allora svelare il suo secreto fin allora nascosto (cf. Ef.3,9) e manifestare quanto è di più
profondo, di più infinito nella sua bontà, cioè la sua misericordia.
(…) Dio riserva alla misericordia la suprema manifestazione di sé, l’Incarnazione.
(…) Questo mistero, essendo un’opera assolutamente e infinitamente perfetta, necessariamente
deve essere unico in sé stesso.
(…) Tuttavia egli trova nella profondità dei suoi secreti l’arte divina di moltiplicare ciò che resta
sempre uno, di diffondere per tutti i secoli e in tutto il mondo l’Incarnazione, il sacrificio e la
Redenzione, di prodigarle e spargerle senza limite in tutte le vie dell’umanità e di farle arrivare in
tutti i giorni e ad ogni ora sino al cuore di tutti gli uomini.
Così l’Incarnazione e la Redenzione si propagano attraverso il canale dei sacramenti, attraverso
l’Eucaristia, il battesimo e la penitenza; e questo Dio incarnato, il Cristo Gesù, si propaga e vive in
tutti quelli che non rifiutano il dono celeste, si comunica e si moltiplica senza dividersi, sempre uno
e sempre unificando in sé il molteplice.
Ora è appunto questa divina propagazione del Cristo che gli dà quel compimento e quella
«pienezza» (Ef. 1,23) ch’è il mistero stesso della Chiesa.. E come c’era già una gerarchia e un
ordine sull’umanità che procede da Adamo e si propaga fuori di lui in tutto il seguito della famiglia
umana, cos’ c’è una gerarchia della Chiesa che procede dal Cristo e, in questa propagazione del
Cristo, si estende e tocca le estremità della nuova umanità che è il suo corpo mistico e della nuova
creazione che dipende da lui.
4
Introduce così il secondo capitolo che prosegue questa introduzione “metafisica” e insieme misterica del
piano divino in cui si inserisce l’opera prediletta, la sua Chiesa. Le citazioni fin qui utilizzate dal Grèa
mostrano già la sua predilezione per i Padri e per Tommaso.
CAP. II: NATURA E ECCELLENZA DELL’ORDINE NELLA CHIESA
Il primo paragrafo tratta dell’ordine nell’opera di Dio e indica opportunamente nella prima nota come
l’uso delle parole ordine e gerarchia, usate come sinonimi, indicano per il Grèa, a differenza di buona
parte della teologia del tempo che ne fa un uso più limitato, “ogni pluralità ricondotta all’unità e
contenuta nell’unità”. Ciò chiarito, egli può cos’ esordire:
“L’ordine è la riduzione del numero all’unità.
Ogni opera di Dio per assoluta e metafisica necessità ne porta in se stessa tale carattere (…) la
loro diversità e moltitudine, innumerevole per lo spirito umano, appartiene a lui in modo unico che
è il suo Verbo (…).
L’unità del suo Verbo abbraccia dunque tutte le cose (…).
Ne consegue che tutte le opere di Dio sono essenzialmente, per l’esigenza del proprio pensiero
che le concepisce nell’unità (…) ricondotte all’unità e costituite nell’ordine (…).
Dio solo, che dona l’essere alle cose, fonda tutto l’ordine, che proviene da lui, nelle profondità e
nelle intimità delle sue opere, tanto che questo ordine appartiene al loro stesso essere.
Un’unità dunque metafisica, fondata sull’essere. Tale è l’impostazione tomista, ma tale è soprattutto
l’impostazione dello Pseudo Dionigi citato già alcune volte nel corso della sua opera.
Il capitolo continua approfondendo questa “grande verità” dell’ordine analizzandolo all’interno della
creazione degli angeli (secondo paragrafo) e della creazione degli uomini (terzo paragrafo).
Se per gli angeli “l’essenze differiscono tra loro secondo il grado dell’essere” formando una
gerarchia fondata ontologicamente, “creando Dio l’umanità ha fatto una moltitudine di esseri tutti di
una sola natura.
L’ordine non potrà più essere stabilito tra loro per la diversità delle essenze, ma Dio lo fonda nella
comunicazione di questa unica natura”.
Il discorso prosegue analizzando i principi gerarchici che caratterizzano l’essere degli angeli e degli uomini
(quarto paragrafo). In questo ambito cita esplicitamente lo Pseudo Dionigi (La Gerarchia ecclesiastica).
Ma è il successivo paragrafo ad offrirci i maggiori spunti del capitolo arrivando ad analizzare la gerarchia
ecclesiale e ancorandola sulla gerarchia trinitaria e sul mistero che lo riguarda. Siamo dunque nel cuore
del discorso che vogliamo mettere in evidenza in questo lavoro.
Cosi esordisce:
“Ma è tempo oramai di elevarci da queste deboli immagini e rassomiglianze dell’ordine per
contemplare in Dio stesso il tipo perfetto della gerarchia, di cui le altre non sono che l’impronta
impressa nelle sue opere.
In Dio vi è una gerarchia perché vi è unità e numero; unità così perfetta che il numero vi è un
mistero; numero realmente distinto nell’unità della sostanza, con un’uguaglianza cosi perfetta che
questa stessa unità risulta essere un altro aspetto del medesimo mistero.
Questa è la società eterna del Padre e del Figlio per la comunicazione che va dal Padre al Figlio,
ed il Figlio riconduce al Padre, ed è consumata per la processione sostanziale dello Spirito Santo
che la porta a compimento.
Ed ecco che questa divina ed ineffabile gerarchia si è manifestata al di fuori nel mistero della
Chiesa. Nell’Incarnazione il Figlio, mandato dal Padre, è venuto a cercare l’umanità per riunirla e
associarla al mistero. Così questa divina Società si estese fino all’uomo, e tale misteriosa estensione
è la Chiesa.
La Chiesa è l’umanità riunita ed assunta dal Figlio alla società del Padre e del Figlio, e per lui
ammessa a farne parte, completamente trasformata, penetrata e circondata da essa: «la nostra
comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1Gv.1,3).
La Chiesa non porta dunque in sé soltanto le tracce dell’ordine, come tutte le opere di Dio, ma la
realtà della stessa divina gerarchia, cioè la paternità divina e la filiazione divina: il nome del Padre
ed il nome del Figlio provengono da essa e riposano in essa.
Il Padre, aprendo il suo seno, estende il mistero della sua paternità sino alla Chiesa, e nel suo
Figlio incarnato abbraccia tutti gli eletti; dal canto suo la Chiesa, unita al Figlio, riceve per tutti i
suoi membri il titolo della filiazione esteso fino a loro, e con esso il diritto all’eredità divina, «figli, e
anche eredi» (Rm. 8,17). Dio allora li chiamerà suoi figli, ed essi lo chiameranno loro Padre: ecco
l’immenso amore del Padre per noi «che siamo chiamati figli di Dio» e che lo siamo realmente
(Cf.1Gv 3,1).
5
Così ciò che costituisce il mistero della Chiesa è veramente una estensione ed una comunicazione
della società divina e delle relazioni che sono in essa. «Dio dà suo Figlio al mondo» (Gv 3,16); cioè
estende fuori di sé sino all’umanità il mistero della generazione ch’è in lui ed il suo nome di Padre;
e la Chiesa, cui è dato il Figlio, viene associata in lui e per lui attraverso il mistero della sua unione
e adozione, al nome del Figlio e ai privilegi che appartengono al Figlio e che gli apporta tale nome
con tutti i suoi diritti.
(…) E poiché la parola dell’uomo non può arrivare sino a questo mistero della Chiesa, il Figlio
stesso di Dio ha voluto solennemente insegnarcelo.
Inizia così una lunga e profonda meditazione del capitolo 17 di Giovanni. E’ interessante la predilezione
che il Gréa mostra per questo evangelista, cos’ come sarà degno di approfondimento il suo insistere su
questo capitolo del Vangelo, detto del Testamento del Signore. In esso egli ravvisa il cuore stesso del
messaggio cristiano.
Nell’ora della Cena, sull’avvicinarsi della sua Passione, in mezzo agli Apostoli, membri principali di
questa Chiesa nei quali egli chiama tutti gli altri «Padre Santo – esclama- custodisci nel tuo nome
coloro che mi hai dato, affinché siano una sola cosa come noi…Non prego solo per questi, ma anche
per quelli che per la loro parola crederanno in me» (Gv 17,11.20), tutta la Chiesa io chiamo a
questa eccellente unità, «affinché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te,
siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che
tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché –in questa comunicazione - siano come noi una cosa
sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato»
estendendo attraverso questa missione la mia generazione eterna in questo mistero che mi dà al
mondo «e che li hai amati come hai amato me. Tu mi hai amato – o Padre – prima della creazione
del mondo» (Gv.17,21-24) e, in questo amore, scaturisce dalla nostra unione la fiamma eterna del
nostro Santo Spirito, che con la sua presenza la sigilla e la porta a compimento; bisogna che questo
«amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv.17,26) affinché siano un oggetto
degno di questo amore, e perché io possa riamarti in loro; e che tutto ciò che io ho sia pure in loro,
perché anch’io sono in essi
Pertanto sarà necessario che il nostro Santo Spirito venga in essi, poiché il mistero del tuo amore
e del mio cuore si estende fino a loro, perché tu mi ami in loro ed io in loro possa renderti il mio
amore. Manderai loro questo Spirito, ed io pure lo manderò; e come noi siamo un solo principio
dello Spirito Santo, così pure lo manderemo in una sola e medesima missione, e questa missione
sarà una continuazione di quella con cui mi hai mandato a loro e fai che io sia in loro.
Egli è veramente il loro, perché afferma «nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e nessuno
conosce il Figlio se non il Padre» (Mt.11,27). Quindi dice loro del Padre «voi lo conoscerete»
(Gv.14,7); e del Figlio: «voi avete creduto che io sono venuto dal Padre» (Gv.16,27), e ancora: «voi
mi vedrete perché io vivo e voi pure vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi
in me ed io in voi» (Gv.14,19-20).
Infine chiude tutto questo discorso e porta a compimento tutto questo ineffabile insegnamento
annunziando alla Chiesa che incorpora a sé la comunicazione della beatitudine divina: «Vi ho detto
queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia perfetta» (Gv.15,11).
Segue il primo accenno alla trasmissione apostolica, alla gerarchia terrena come espressione della
gerarchia celeste innestata in noi.
La predicazione degli apostoli a sua volta sparge nel mondo questo annuncio e propaga questo
mistero e questa gioia: «Vi annunciamo – dicono – quello che abbiamo visto e compreso, perché
anche voi», membri della Chiesa che credete attraverso la nostra parola in colui che ci ha mandati,
«siate in comunione con noi e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste
cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta» (1Gv.1,3-4).
La Chiesa riceve queste testimonianze divine, e per bocca dei Padri ne esalta la celeste dottrina.
Essi confessano e riveriscono il mistero divino della Chiesa associata alla gerarchia eterna e
inviolabile del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Citiamo soltanto San Cipriano, la cui autorità è ragguardevole per la sua antichità come per il suo
martirio. «Il Signore – scrive- ha detto: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. Sta scritto ancora del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: “E questi tre sono una cosa sola”. E chi mai crederà che
l’unità che viene alla Chiesa dalla divina stabilità ed è coerente ai divini misteri possa essere
scissa?»6. E chiama ancora questo mistero dell’ordine che unisce la Chiesa «l’unità di Dio», l’unità
inviolabile che non può essere scissa7. «Il grande sacrificio – afferma – veramente degno di Dio è la
nostra pace», cioè, secondo il linguaggio dell’antichità, la nostra comunione ecclesiastica che unisce
6
S.Cipriano, , de orat.Dom., n.23 (corretto nella versione curata da Fontane per il quale la citazione è da attribuire si a
Cipriano, ma tratta da un altro testo: Sull’unità della Chiesa cattolica, 6; PL 4,504).
7
ID., idem 8; PL 4,505
6
e ordina tutti i membri della Chiesa «e il popolo redento unito nell’unità del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo»8
Tale è il venerabile mistero di cui, in questo trattato, tentiamo di balbettare qualcosa. Per quanto
ineffabile, e per quanto i ragionamenti umani non possano spiegare e comprendere pienamente,
incoraggiati dal titolo di figli che in lui a noi pure appartiene, tenteremo di balbettare, nell’infanzia
del nostro nuovo dono, qualche cosa di quelle grandezze alle quali ci porta il nostro titolo”.9
L’ultimo paragrafo, dedicato alla eccellenza di questa gerarchia divina, viene nuovamente a radicare la
gerarchia ecclesiastica a quella trinitaria.
Già conosciamo qual è l’eccellenza di questa nostra gerarchia, fondata sullo stesso ordine divino,
e come essa la porta al di sopra di ogni altro ordine che si mostra nelle cose per distribuirle e
reggerle.
A tale eccellenza rispondono e la sua perfezione assoluta e la sua immutabilità inviolabile.
Le organizzazioni umane delle società, opera della creatura, fondate come già si disse, sulle
sabbie mobili degli accidenti, non hanno maggiore stabilità di questo suolo sempre in agitazione.
Portando l’impronta d’una inevitabile imperfezione, non possono mai soddisfare le aspirazioni
infinite del cuore umano, e il giorno che le proclama definitive riceverà dall’indomani una umiliante
smentita.
Tale è il diritto umano, sempre incostante, sempre imperfetto.
L’ordine che Dio dà alle sue opere, effetto della sua sapienza assoluta e della sua potenza,
fondato nell’essenza delle cose e regolato in una proporzione esatta secondo la loro natura,
possiede, al contrario, quella stabilità che l’uomo non può mai dare ai suoi sforzi, e quella
perfezione, che non richiede, non attende e non può ricevere dall’avvenire nessuno di questi
progressi incessantemente sognati dall’umanità nelle proprie opere e nelle quali il proprio desiderio
illusorio e sempre nascente punta alla loro irrimediabile imperfezione.
Questo ordine è il diritto divino chiamato diritto naturale, e che dura nelle cose tanto quanto
queste cose restano ciò che Dio le ha fatte.
Ma, al di sopra di questo ordine, opera di Dio, noi riveriamo nella Chiesa la comunicazione e
l’estensione ineffabile dello stesso ordine divino.
Come Dio Padre, origine e principio del Figlio, ha inviato il Figlio, così questi invia i suoi gerarchi
(apostoli?) (cf.Gv.20,21). Chi li riceve, riceve il Cristo, e chi riceve il Cristo riceve il Padre (cf.
Mt.10,40; Lc.9,48), e come il Padre è capo del Cristo (cf.1Cor.11,3), così il Cristo è il capo della
Chiesa (Ef.5,23; Col.1,18).
La gerarchia della Chiesa discende dal trono della gloria divina con le sue misteriose relazioni e le
sue auguste leggi (cf.Ap.21,2). Qui tutto è santo, tutto è divino, tutto è immutabile per le più alte
motivazioni.
Qui l’ordine stabilito da Dio non dipende soltanto dalla natura della sua opera, ma dagli eterni
misteri che sono in sé stesso, e che custodisce la stabilità inviolabile delle cose divine. Inoltre la
maestà di questo ordine lo innalza sopra ogni altro ordine posto da Dio nelle cose create, perché
mentre questo è inerente all’essere loro dato da Dio, l’ordine della Chiesa ha il fondamento
nell’essere stesso di Dio e nelle leggi sacre e ineffabili che costituiscono il mistero di Dio10.
Tale è il diritto divino della Chiesa e della sua gerarchia.
Più nobile di quel diritto divino scritto nella natura, tanto più esso si eleva sopra tutte le
costituzioni dei legislatori terrestri e sopra qualsiasi diritto umano!
Quale concetto dobbiamo formarcene? Attraverso quale linguaggio possiamo spiegarlo?
CAP.III: RELAZIONI DELLA CHIESA CON LA SOCIETA’ ANGELICA E CON LA SOCIETA’ UMANA USCITA DA
ADAMO
Il nuovo capitolo parte dal coordinamento intimo che hanno le opere divine. Il linguaggio è ancora
metafisico, improntato sull’unità dell’essere comunicato da Dio. Si evidenzia però qui più che altrove
l’importanza dell’economia divina.
Se è proprio della sapienza di Dio l’imprimere il sigillo dell’unità a tutte le sue opere e di dare a
ciascuna di esse insieme con l’essere l’ordine delle loro parti distinte, la medesima legge s’impone
sull’insieme di tutti i suoi disegni, i quali sono gli uni agli altri coordinati in un supremo e unico
disegno che tutti li comprende.
(…) La creazione primordiale degli angeli e dei corpi, la creazione dell’uomo e del mondo
organico, l’Incarnazione e la Chiesa, non sono nel pensiero di Dio tre opere separate e tra loro
indipendenti, ma queste opere sono tra di loro legate e subordinate.
8
ID, La preghiera del Signore, 23; PL 4,536 (il Gréa cita invece lo stesso libro di Cipriano, 23).
op.cit., p.27-29
10
Cf. Clemente d’Alessandria, Stromates, 1.7,c.17 (PG9,551)
9
7
Tutto è stato previsto da Dio nel Cristo e nel disegno ultimo dell’Incarnazione; tutto arriva là. La
creazione degli angeli e degli uomini serve allo sviluppo di questo piano finale della Chiesa. Poco a
poco tutte le opere di Dio vengono ad inchinarsi dirigersi e a sottomettersi al Cristo, il quale,
riunendo in sé l’ossequio di tutto quello che Dio ha tratto dai tesori della sua sapienza e della sua
bontà, nella sua persona sottomette tutto a Dio (cf.1Cor.15,28). Questo determinerà, nel Cristo e
nella Chiesa, il compimento eterno delle cose.
Dobbiamo pertanto contemplare quali sono i rapporti della Chiesa verso la gerarchia angelica e
verso l’umanità uscita da Adamo, ossia considerare quale alleanza e quale dipendenza uniscano
l’angelo e Adamo al Cristo.
(…) Tra queste opere di Dio ci sono delle relazioni strette e persistenti delle quali dobbiamo venire
a conoscenza.
Ed è ciò che ovviamente farà nei paragrafi seguenti: il secondo dedicato all’analisi delle relazioni della
Chiesa con la società angelica e il terzo sulle relazioni della Chiesa con la società umana.
Da notare che non si parla mai di Regno. La Chiesa ne diviene così un sinonimo?
Anzitutto, quali sono le relazioni della Chiesa con la società angelica?
La Chiesa riceve dall’angelo, e l’angelo riceve dalla Chiesa dei grandi vantaggi.
Gli angeli sono posti da Dio al servizio della Chiesa e in particolare del suo capo, Gesù Cristo
(ampie sono le citazioni del Nuovo Testamento ad avvalorare tale verità). Dall’altra parte gli eletti
della Chiesa “vanno a riempire i vuoti fatti dal peccato degli angeli ribelli; così la Chiesa man mano
cancella nel cielo le tracce del male”. Inoltre “la gerarchia angelica partecipa dell’accrescimento di
dignità che le viene dal Cristo e dal mistero della Chiesa, nella quale entra a sua volta per costituire
con gli uomini riscattati un solo popolo dei figli di Dio.
(…) le relazioni del mondo angelico e della Chiesa appartengono dunque all’eternità e, cominciate
nelle prove di questo mondo, raggiungono la loro pienezza nella gloria”.
Seguono le uniche pagine in cui l’autore propone una lettura apologetica della Chiesa letta in relazione
con la società umana. Ma ancora una volta la “superiorità” della Chiesa è motivata dalla sua origine
trinitaria. La società umana è d’altra parte letta in maniera pessimistica, perennemente in bilico tra
salvezza e disastro.
Dall’altra parte “la Chiesa in terra trova l’umanità di Adamo (…) creata all’inizio in uno stato di
santità soprannaturale e d’immortalità”. Decaduta per il peccato d’Adamo l’umanità ora immonda e
mortale riceve tuttavia da Dio il rimedio: “ha promesso un Redentore che eleverà in se stesso il
castigo della morte alla dignità” originaria.
In Cristo e nella Chiesa l’umanità “rinasce per l’eternità” e ritrova l’unità perduta con la morte
passando per l’istituto patriarcale e per quello statale. “Da allora l’umanità, così come procede da
Adamo, si mostra a noi nello Stato, nella famiglia e nell’individuo.
Lo Stato è l’unità superiore della gerarchia umana”, ma “niente è più incostante, variabile e
multiforme.
Sotto lo Stato appare la famiglia, costituita attraverso il legame sacro del matrimonio e l’autorità
paterna, ma essa pure destinata a sciogliersi quando la morte spezzerà questo legame e
capovolgerà questa autorità.
Infine incontriamo lo stesso individuo, che nasce dalla famiglia e nello Stato, ma gode di una vita
corta e fragile che la morte verrà a distruggere (…)
Così l’umanità, si trova costituita nei confronti della Chiesa in una condizione di dipendenza e di
riconoscenza” Essa salva l’individuo, ma ciò richiede che la famiglia e lo Stato si pongano al suo
servizio. La società umana deve dunque riconoscere la sua dipendenza (e il suo privilegio) dalla
Chiesa “sua unica consolazione nel suo grande disastro. Dopo il peccato essa non esiste se non per
essere rigenerata dalla Chiesa11. Adamo, nell’umanità, apporta a Gesù Cristo la materia del suo
corpo mistico: la Chiesa raccoglie questa materia e a poco a poco la trasfigura e se la assimila (cf.
2Cor.5,17); e quando si completerà quest’opera tutto l’ordine dell’uomo vecchio cesserà e sarà
assorbito nel nuovo (cf. Is.65,17; 66,22; 2Pt.3,13; Ap.21,1) (…)
In sintesi “la Chiesa santifica la famiglia e lo Stato; lo Stato e la famiglia offrono alla Chiesa i loro
propri servizi che trovano il loro fine supremo nei disegni di Dio.
Questi due ordini coesistono quaggiù senza confondersi: la Chiesa non è lo Stato; il principe non
è il sacerdote; e la subordinazione che la teologia ci mostra nel posto che occupano all’interno del
piano divino l’una e l’altra società non causa confusione. L’una e l’altra sovranità proviene da Dio,
l’una in Adamo, l’altra in Gesù Cristo”.
Il riferimento è per l’ennesima volta al Messale Romano. E’ la terza fonte da cui il Gréa attinge il suo pensiero: dopo
quella biblica e quella patristica (comprendente S.Tommaso) numerose citazioni sono prese dal Messale e dal
Pontificale romano.
11
8
Siamo così all’ultimo breve paragrafo dedicato al compimento dell’unità. Compito della conclusione è
offrire un ponte tra questa parte ed aprirci un collegamento con quello che seguirà.
Una cosa ancora sottolinea riguardo al rapporto della Chiesa con la società angelica e la società
umana: “tra questi due ordini di relazioni corre un gran divario: mentre i primi continuano a
svilupparsi incessantemente per risplendere infine nell’eternità, i secondi sono invece destinati a
finire col tempo (…).
Il Cristo nel suo corpo mistico divora, per così dire, questa mortalità (…). La Chiesa ci appare
come il compimento ultimo al quale tutto deve tendere e nel quale tutto deve finire. In questo
modo si conferma quanto abbiamo detto all’inizio di questo discorso, che essendo con il Cristo una
cosa sola, suo corpo e sua pienezza, essa è con il Cristo il principio e la fine, l’alfa e l’omega, lo
scopo primo e ultimo di Dio in tutte le sue opere, l’unità che le riunisce e le rende tutte
infinitamente degne dei suoi eterni favori”.
LIBRO PRIMO: PRINCIPI GENERALI DELLA GERARCHIA DELLA CHIESA
CAP.1- IDEA GENERALE DELLA GERARCHIA
Parlare della gerarchia della Chiesa significa per il Gréa non tanto analizzare le sue strutture istituzionali,
la sua dimensione sociologica, orizzontale, quanto partire dalla gerarchia trinitaria, dall’ordine che
troviamo in Dio stesso e che egli imprime in tutte le sue creature. Un ordine relazionale comunicato
ontologicamente, volto alla comunione, al raggiungimento dell’unità: ciò che è multiforme ha un solo
autore e un solo principio. Tende all’unità.
In questo primo libro viene così presentato il fondamento della Chiesa, vista, per così dire, con gli occhi di
Dio, dall’alto. Tre sono allora le gerarchie e una rimanda per origine e fine all’altra senza perdere nella
trasmissione la stessa essenza.
Nel momento in cui ci apprestiamo a trattare della gerarchia della Chiesa e della disposizione
ammirabile dell’opera divina in essa, eleviamo i nostri occhi verso la gerarchia divina e
contempliamo la società del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Lo schema è ormai chiaro e lineare: il Padre è il capo di Cristo, il Cristo è il capo della Chiesa.
Il Padre genera il Figlio nel suo seno (Sal.109,3; Gv.1,18); il Padre invia il Figlio nel mondo (Gv.
10,36); la generazione è eterna, mentre la missione si manifesta nel tempo 12. Ma nella generazione
e nella missione noi riveriamo le medesime relazioni d’origine, le medesime persone, la medesima
società del Padre e del Figlio, società eterna che si manifesta nel tempo, società la cui vita ineffabile
dimora in seno di Dio ed è apparsa nel mondo (1Gv.1.2). Perché la missione non è posta in un
ordine diverso dalla generazione. E’ al Padre che spetta di mandare il Figlio, e la società del Padre e
del Figlio, senza alcuna alterazione delle sue eterne relazioni, si rivela nella missione. Così il nostro
Pontefice, investito dal Padre del suo carattere sacerdotale, è mandato ed consacrato nel tempo da
colui che lo ha generato dall’eternità (cf.Gv.7,29; S.Agostino, La Trinità 1,4, c.20,n.29; PL42,908).
Ora, questa prima ed ineffabile gerarchia del Padre e del Figlio che si manifesta nella missione del
Cristo è l’origine ed il tipo di tutto ciò che segue nell’opera della Chiesa.
Il Padre invia il Figlio; a sua volta il Figlio invia gli apostoli ed costituisce in essi il collegio e
l’ordine episcopale, ovvero la Chiesa universale che sussiste in questo collegio come nella sua parte
principale. Egli l’invia con una missione del tutto simile a quella che ha ricevuto: «Come il Padre ha
mandato me, anch’io mando voi» (Gv.20,21). Inviandoli, egli è in essi, come il Padre è in lui: «chi
accoglie voi, accoglie me; e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato» (Mt.10,40;
cf.Gv.13,20).
Ed eccoci al punto successivo e fondamentale dello schema: il Cristo è il capo della Chiesa.
Così, derivante dalla prima gerarchia di Dio e del suo Cristo, appare una seconda gerarchia. Come
Dio è il capo del Cristo (1Cor.2,3), il Cristo è il capo della Chiesa (Ef.5,23). E ciò non è tutto: in
quella parola detta agli apostoli: «Chi riceve voi, riceve me», noi scorgiamo già la terza gerarchia,
quella cioè dell’apostolo, ossia del Vescovo e degli uomini che lo ricevono, sui quali specialmente si
esercita la sua missione. Come il Cristo è il capo della Chiesa, così il Vescovo lo è del suo popolo,
della sua Chiesa particolare.
Tale sarà dunque l’ordine del nostro studio: al disotto del mistero della società divina di Dio e del
suo Figlio, rivelato nella missione del Figlio, troviamo due gerarchie: quella di Gesù Cristo e della
Chiesa universale che è la stessa di Gesù Cristo e del Collegio dei Vescovi; e quella del Vescovo e
della sua Chiesa particolare. Questa seconda gerarchia deriva e dipende dalla precedente. L’una e
12
Il riferimento è ad un passo di S.Leone Magno (5° Sermone per Natale,3; PL 54,210) e ad uno di S.Tommaso (I,
q.43,a.2,ad 3)
9
l’altra, per una misteriosa identificazione, si elevano, risalgono e raggiungono ,compenetrandosi tra
loro, sino al seno di Dio, poiché chi riceve il Vescovo, riceve il Cristo; e chi riceve il Cristo, riceve il
Padre che l’ha inviato.
Il seguito è un nuovo schema del piano del trattato
SERENTHA:
…la prospettiva “diversa” nella considerazione della Chiesa (…) è chiaramente confermata dalla
prefazione dell’opera.
In essa il Gréa prende esplicitamente le distanze dai correnti trattati sulla Chiesa: mentre in questi lo
sforzo principale degli autori è quello di mettere in luce l’autorità tutta particolare esistente nella Chiesa,
il Nostro afferma di voler lasciare da parte il punto di vista apologetico, per “descrivere”, in qualche
modo, la natura profonda della “nuova Gerusalemme” (cita in nota un brano molto lungo tratto dalla
Pref., p.1-2).
p.22: “Si ha cioè subito l’impressione di essere di fronte a una ecclesiologia che vuole diversificarsi
da quella dei manuali, ritenuta giustificata sì, ma insufficiente: e non fa nessun mistero di questa
intenzione (in nota: “La “indipendenza” nei confronti della teologia del tempo è chiaramente affermata in
vari punti: cfr., per es., p.16 n.1 (cit.), p.98 (cit.), p.83).
Alla trattazione vera e propria, l’Autore premette una introduzione dove cerca di chiarire che cos’è la
Chiesa e qual è il posto che occupa nel disegno di Dio (cit. p.6); il punto di partenza è il pensiero di
Tommaso, secondo cui dapprima sono stati creati gli angeli, poi gli uomini per supplirne la defezione, da
ultimo è venuta la missione del Figlio da parte del Padre, per redimere l’uomo dal peccato.
DIMENSIONE TRINITARIA
p.23: “La Chiesa è l’applicazione a tutti gli uomini di questa salvezza portata dall’Incarnazione di
Cristo: tutta la Trinità quindi è implicata nell’origine della Chiesa (cit. p.22-23, p.27-28 della versione
italiana: (p.27)“Nella Incarnazione il Figlio mandato dal Padre è venuto a cercare l’umanità per riunirla
a sé ed associarla a questa (divina) Gerarchia. Così questa divina Società si estese fino all’uomo, e tale
misteriosa estensione è la Chiesa.
La Chiesa è l’Umanità riunita ed elevata dal Figlio alla società del Padre e del Figlio, e per lui
ammessa a farne parte…
(p.28)La Chiesa non porta dunque in sé soltanto le tracce dell’ordine, come tutte le opere di Dio, ma
la realtà della stessa divina Gerarchia…
Così ciò che costituisce il mistero della Chiesa è veramente una estensione ed una comunicazione
della Società divina e delle relazioni che sono in essa…).
La conclusione è che questa Chiesa è l’inizio e il compimento di tutta la creazione: essa infatti è una
cosa sola col Cristo (cit.p.40).
10
- FONTI del GREA







BIBLICHE
PATRISTICHE
S.TOMMASO
MEDIOEVO
LITURGIA
DIRITTO CANONICO
ECCLESIOLOGIA DEL TEMPO (Muhler/Clerissac/…)
- “LA TRASMISSIONE” del pensiero del GREA
Grande teologo sconosciuto ai più, compresi molti “addetti ai lavori”, il Gréa è ancor oggi raro,
ma importante soggetto di studio, o perlomeno autore da citare nei manuali di ecclesiologia
che si preoccupino di presentare un quadro storico o che affrontino il delicato tema del
rapporto tra Chiesa particolare e Chiesa universale.
Il suo testo, di difficile reperimento e lettura, costituisce ancor oggi un valido documento
teologico e storico. Ma solo pochi, come detto, arrivano a conoscerlo. I pochi, a mio parere,
sono spinti ad un suo approfondimento grazie alle “colonne” del pensiero ecclesiologico
contemporaneo, in particolare Congar e De Lubac, i quali dimostrano nei loro testi maggiori di
ben conoscere e apprezzare l’opera del Gréa.
A mio avviso sono essi ad aver garantito uno spazio di interesse al nostro autore, ad aver
trasmesso la sua testimonianza, a renderla ancor oggi valida e interessante. Grazie soprattutto
a loro credo che si sia garantita la trasmissione del suo pensiero, e a partire da loro si siano
formate come due “scuole” in cui si è comunicato tale interesse, la “scuola milanese” e la
“scuola romana” dei Gesuiti. Accanto a loro e anche grazie a loro ha avuto sviluppo e fertilità la
fedeltà mostrata da alcuni Cric nel portare avanti e sviscerare il pensiero e l’attualità del loro
fondatore.

CONGAR/DE LUBAC/Bouyer

La “scuola milanese” (Colombo/Serenthà/Canobbio)
La “scuola milanese” nasce in maniera empirica e quasi spontanea dagli studi che il Colombo,
negli anni ’70, portò avanti sulla Chiesa locale 13. Ad un suo studente della facoltà teologica
interregionale di Milano che gli chiedeva un tema per la tesi di Laurea egli propose il nome del
Gréa, un autore che egli ignorava, ma di cui continuava a trovare tracce negli studi che intanto
portava avanti e in particolare negli autori prima analizzati. Nacque così l’idea, ben accolta dal
laureando Mario Serenthà, di affrontare il nostro autore, a partire dalla nota citazione del
Congar che parla del Grèa come di un “hapax dans la théologie de l’époque”14. La tesi,
discussa nel 1973, di cui fu poi pubblicato un prezioso estratto, porta come titolo “Gli inizi della
Teologia della Chiesa locale: “De l’Eglise et sa divine constitution” (1885) di dom A.Grèa, un
“hapax dans la théologie de l’époque” (Y.Cogar).

La “scuola gesuita” (Antòn/Legrand?…/Farrugia)

I Cric (Mori/Battisti)
Cf. in particolare P.Colombo, La teologia della chiesa locale in AA.VV., La chiesa locale,
Bologna 1970. Di lui Serenthà in nota a p.7, afferma che la riscoperta del Gréa è abbastanza
recente ed è dovuta alla “ricerca retrospettiva, stuzzicata dall’interesse attuale per il problema
della chiesa particolare e locale”, p.17).
14
Y.Congar, L’Eglise, de S.Augustin à l’èpoque moderne, Paris 1970, p.458
13
11
“C’è del mistero in questo, e i ragionamenti tratti dalle analogie umane non possono arrivarci;
i governi umani (…) non offrono nulla di simile, ma bisogna elevarsi più in alto e cercare nell’augusta
Trinità la ragione e il tipo di tutta la vita della Chiesa”15
1. INTRODUZIONE
Lungo il percorso che ha portato la Chiesa ad elaborare gli importanti documenti del Concilio Vaticano II
si incontra a volte, accompagnato da giudizi decisamente positivi, il nome di un teologo francese che
sembra essere rimasto un “caso unico” nella teologia del suo tempo 16: Dom Adrien Gréa, con la sua
opera principale “De l’Eglise et sa divine constitution”17.
Il suo nome è solitamente associato alla teologia della Chiesa particolare 18 e fa stupire come ciò avvenga
in periodo - siamo negli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano I - di forte centralizzazione
in cui l’ecclesiologia dominante risulta essere quella della “società perfetta” e il problema principale quello
dell’autorità. In questo contesto egli osò andare controcorrente dando rilievo teologico al ruolo del
vescovo e, da lui, alla Chiesa particolare che, nel suo insieme, si richiama al vescovo e al collegio dei
sacerdoti costituiti in unità. Una Chiesa, come vedremo, fortemente gerarchica, ma insieme misterica e
ministeriale, con una forte unità di fondo:
“La Chiesa è nel Cristo, in quanto suo principio, e il Cristo è nella Chiesa, in quanto sua pienezza.
Così come la chiesa particolare è nel suo vescovo, in quanto suo principio e il vescovo è nella sua
chiesa, in quanto sua pienezza, suo splendore, irradiazione del suo sacerdozio e della sua
fecondità”19.
Anche il Canobbio evidenzia la sua originalità e unicità nel panorama ecclesiologico del suo tempo,
talmente controcorrente da rimanere inutilizzato fino alla vigilia del Vaticano II. L’idea di Chiesa del Gréa
rappresenta infatti una di quelle profezie anticipatrici attorno a cui si mossero i Padri del Concilio Vaticano
II20, riscoprendone i fondamenti biblici, liturgici, patristici.
Nonostante tutto ciò il Gréa è rimasto un illustre sconosciuto nel panorama teologico del suo e del nostro
tempo. Scorrendo i manuali di ecclesiologia difficilmente troviamo il suo nome e in genere solo per
indicare, in nota, il suo ruolo nella riscoperta della Chiesa particolare21.
In questo elaborato si vuole perciò evidenziare non tanto il suo pensiero riguardante la teologia della
Chiesa particolare22, quanto l’importanza della sua visione spirituale della Chiesa, il riporla nel suo ambito
trinitario, misterico. Una Chiesa descritta “dall’alto” in quanto:
“la Chiesa è Cristo stesso, è la pienezza, il suo compimento, suo corpo e suo sviluppo reale e
mistico: è Cristo totale e compiuto”23.
Rileggere oggi il suo capolavoro, conoscendo il contesto “ostile” all’interno del quale viene pensato e
pubblicato, ci permette di cogliere il lavoro dello Spirito Santo che continua ad agire in ogni tempo
Dom Adrien Gréa, De l’Eglise et de sa divine constitution, Paris 1885, p.126
Congar parla di lui come di un “hapax dans la théologie de l’époque” (Y.Congar, L’Eglise, de S.Augustin à l’èpoque
moderne, Paris 1970, p.458) e da tale designazione prende le mosse M.Serenthà , Gli inizi della Teologia della Chiesa
locale: “De l’Eglise et sa divine constitution” (1885) di dom A.Grèa, un “hapax dans la théologie de l’époque”
(Y.Cogar), tesi di laurea discussa nella facoltà teologica interregionale di Milano, 1973
17
L’opera è stata edita per la prima volta a Parigi nel 1885; nel 1904 è stata tradotta in italiano, e nel 1907 ne usciva una
seconda edizione in due volumi (Paris, éd. Maison de la Bonne Presse), aumentata da una appendice sull’origine e la
natura dello Stato e sulle sue relazioni con la Chiesa. L’opera è stata ristampata a cura del p.G.Fontaine, Cric,
dall’ed.Casterman (Belgio, 1965).
18
Legrand sottolinea come “dopo il 1870, alla teologia delle Chiese locali sarà data poca attenzione, se si eccettua la
pubblicazione di Dom Gréa (1884)” (H.Legrand, La Chiesa si realizza in un luogo, in B.Lauret e F.Refoulé (a cura),
Iniziazione alla pratica della teologia, vol.III, Brescia 1996, p.149). “Antesignano della riscoperta dell’episcopato …
pioniere della teologia della Chiesa particolare”. Così lo definisce G. Canobbio, Il vescovo visibile principio e
fondamento dell’unità nella Chiesa particolare”, in AA.VV., Il vescovo e la sua Chiesa, Brescia 1993, p.54
19
Gréa A., op.cit., ed.Casterman, 1965, p.72
20
Cf. G.Canobbio, op.cit., p.58
21
Così anche nel recente manuale della C.Militello, La Chiesa «Il corpo crismato», Bologna 2003, p.395-396 in cui il
Gréa, definito erroneamente un “benedettino”, è posto, accanto al Mohler e al Rosmini legati dalla comune sensibilità
romantica, dalla riscoperta dei Padri e dal legame, indiretto, al movimento liturgico nascente, come un antecedente della
teologia conciliare della Chiesa locale.
22
Aspetto studiato già, oltre che da M.Serenthà, da B.Mori, Il contributo di Dom A.Grèa allo sviluppo della dottrina
teologica sull’episcopato collegiale e la chiesa particolare, Roma (Pontificia Università Urbaniana) 1971.
23
Gréa A., op.cit., p. 17 (ed. 1965)
15
16
12
affinché la dimensione spirituale della Chiesa possa mai essere dimenticata, schiacciata dal solo aspetto
visibile. Uno Spirito che sembra lasciare con estrema pazienza che i germi seminati maturino, possano
fiorire in un campo fertile che forse abbisogna di essere dissodato dalle “insidie” esterne ed interne che
minano il terreno stesso.
Scrive De Lubac a commento della nota simbologia che descrive la Chiesa come la luna che riceve dal
Cristo, suo sole, tutto il suo splendore:
“Mentre il sole rimane sempre nella sua gloria, essa passa incessantemente attraverso fasi diverse,
ora crescendo e ora decrescendo, (…) perché essa non cessa di subire i contraccolpi delle
vicissitudini umane. Tuttavia essa non diminuisce mai fino a perire. La sua integrità si rinnova
sempre. La sua testimonianza, in certe epoche, si può anche oscurare: il sale della terra diventa
insipido, l’aspetto “troppo umano” prende il sopravvento, la fede vacilla nei cuori, ma – noi ne
abbiamo l’assicurazione -, i santi rifioriranno sempre”24.
Non si vuole perciò “giudicare” un tempo, quello intercorso tra il Concilio Vaticano I e il Concilio Vaticano
II, per l’aridità teologica che, ai nostri occhi, sembra emergere, ma rispettando le esigenze del tempo,
notare come, quasi di sotterfugio, c’è chi, animato dallo Spirito, continua a portare avanti la ricchezza del
Vangelo e della Tradizione.
Federici parla di quattro fiaccole che risplendono nel buio panorama ecclesiologico del tempo: J.A.Möhler
in Germania, J.H.Newman in Inghilterra, A.Rosmini in Italia e il Grèa in Francia 25. Essi formano, gli uni
indipendentemente dagli altri, una corrente minoritaria
“che si caratterizza per un ritorno alle fonti patristiche e per una visione della Chiesa che possiamo
descrivere sommariamente come organica, spirituale-pneumatologica e sacramentale. Solo al
Vaticano II essa porterà i suoi frutti: tra il 1850 e il 1950, invece, prevarrà la corrente
ultramontana”26.
Vorrei dunque presentare la figura meno nota dei quattro, quella del Gréa, a me particolarmente cara in
quanto egli è il contrastato “fondatore e padre” della mia Congregazione dei Canonici Regolari
dell’Immacolata Concezione. Evidenziando il suo ruolo “profetico” nel rimettere al centro la dimensione
spirituale, misterica, trinitaria della Chiesa vorrei riscoprire non solo il valore del pensiero ecclesiologico
del Gréa, ma anche cogliere la presenza dello Spirito che mai ha fatto mancare alla sua Chiesa uomini di
Dio capaci di vivere come gli scribi descritti da Gesù in Mt.13,52: “Per questo ogni scriba divenuto
discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose
antiche”.
2. CHI E’ DOM ADRIEN GREA
Solo alcuni cenni biografici27: nato a Lons-le-Saunier (Jura) il 18 febbraio 1828 da nobile famiglia, fu dal
padre destinato allo studio del diritto civile. Nel 1850 ottenne il diploma di archivista-paleologo con la tesi
“Essai historique sur les Archidiacres” che rivela i suoi reali interessi. Dai suoi studi giovanili nacque
l’ammirazione del Gréa per l’epoca medioevale: siamo nel periodo “romantico”, in cui si guarda al passato
cristiano della Francia con interesse e simpatia. E’ indubbio del resto il contributo che il Medioevo apportò
alla creazione della cultura e della civiltà dell’Europa in generale e della Francia in particolare. E questo
appariva al Gréa tanto più evidente, in quanto, la Rivoluzione del 1789 che aveva voluto tagliare i ponti
con tutto il passato, stava allora producendo gli amari frutti del liberalismo e del laicismo.
In questi anni giovanili matura anche la sua vocazione al sacerdozio a cui si formò, in definitiva, come
autodidatta. Ciò ci permette di ipotizzare come il percorso intellettuale molto personale e quello teologico
sganciato dalle scuole ufficiali abbia condotto il Grèa a prendere una strada, ai suoi tempi ancora solitaria,
che lo ha avvicinato a quelle fonti bibliche, patristiche e liturgiche che costituiscono il fondamento
comune di quella corrente minoritaria che potrà sbocciare solo con Concilio Vaticano II. Alla scuola della
Sacra Scrittura, che ogni anno leggeva interamente, di S.Tommaso e dei Padri della Chiesa (di cui cita in
particolare Ignazio di Antiochia e Cipriano)
24
H.De Lubach, Paradosso e mistero della Chiesa, Brescia 1968, p.29
Cfr. T.Federici, Cristo Signore risorto amato e celebrato, Palermo 2001, p.75
26
H.Legrand, op.cit., p.150-151
27
principali biografie sul Grèa: P.Benoit, Vie de Dom Grèa, 1914, opera inedita custodita presso gli archivi Cric di
Roma; J.Grevy, Dom Adrien Grèa, Lyon 1917 (trad.it. a cura di T.Battisti in T.Battisti, Dom Adriano Grèa. Una
spiritualità nel solco della tradizione, Montichiari (Brescia) 2002); F.Vernet, Dom Grèa, Paris 1938; B.Mori, Il
contributo di Dom A.Grèa allo sviluppo della dottrina teologica sull’episcopato collegiale e la chiesa particolare,
Roma (Pontificia Università Urbaniana) 1971, p.1-39.
25
13
“egli recupera la collegialità dell’episcopato, la dimensione misterica della Chiesa particolare, l’inesistenza di questa e del suo vescovo, il quale, in quanto rappresentante di Cristo, la rende
possibile”28.
Ma torniamo ai dati biografici: ordinato sacerdote a Roma nel 1856 fece il cappellano in una chiesa
operaia della sua diocesi di St-Claude (Jura) prima di essere chiamato nella Cattedrale come Vicario
generale del vescovo (1863-1881). Qui cercherà con caparbietà di realizzare il suo sogno: restaurare in
Francia l’istituto dei Canonici Regolari scomparsi con la Rivoluzione Francese.
Dal 1865 il Grèa cominciò così a vivere nella Cattedrale un tentativo di vita canonica insieme con due
compagni. Nel 1870, partecipando al Concilio Vaticano I come teologo del vescovo, il Grèa espose a Pio
IX il suo progetto di restaurare in Francia i canonici regolari, secondo una osservanza molto severa tratta
dalle regole di S.Agostino e S.Benedetto, e ottenne dal papa la benedizione sull’opera iniziata. Nacque
così e si diffuse rapidamente la nuova comunità dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione.
Osteggiato e messo da parte dai suoi stessi confratelli, il Grèa chiese di poter passare i suoi ultimi anni in
una casa privata dove continuò ad amare, pregare e soffrire per la comunità che non riconosceva più
come sua creatura, fino alla morte avvenuta il 23 febbraio 1917.
3- CENNI SULL’ECCLESIOLOGIA DEL SUO TEMPO
Siamo in epoca di lotta tra il gallicanesimo e l’ultramontanismo, epoca in cui la Chiesa deve fronteggiare
Illuminismo e Rivoluzione Francese tendenti a minare l’indipendenza della Chiesa a favore del primato
dello Stato. Da qui l’ecclesiologia ultramontana della “società perfetta”, volta ad una apologia del papato
e ad una conseguente centralizzazione romana nell’ordine disciplinare e liturgico. Non mancano però
“voci fuori coro”: trattando de “L’immagine della Chiesa dal Vaticano I al 1920”29 Antòn Angel fa notare
come sia più volte
“accaduto in altri Concili che tendenze ideologiche, discusse a lungo e appassionatamente, non
siano state accettate o abbiano ottenuto solo un minimo di diritto all’esistenza in formule conciliari
di compromesso. Tuttavia il fatto di essere state discusse in Concilio le ha poste almeno durante
l’assemblea in primo piano nella coscienza ecclesiale e continuano ad influire nel movimento
teologico post-conciliare. Un’idea feconda non muore per il fatto di non essere stata accolta
ufficialmente in Concilio.
Ma nel Vaticano I le nuove idee innovatrici dell’ecclesiologia furono bloccate sin dal principio senza
dar loro modo di acquisire, nella discussione di esse, tale diritto all’esistenza nella coscienza
ecclesiale (…) gli elementi di rinnovamento rimasero letteralmente sepolti negli Atti del Concilio.
Cinquant’anni più tardi ci sarà una rinascita di queste idee rinnovatrici, che già avevano messo
radici nella teologia. Questo rifiuto ufficiale da parte del Vaticano I avrebbe solo differito il risveglio
del rinnovamento ecclesiologico, che sarebbe avvenuto verso il 1920”30.
Sempre Antòn evidenzia cinque caratteristiche dell’ecclesiologia di questo periodo preso in esame:
1- il tema centrale dell’autorità31.
2- il suo indirizzo prevalentemente orizzontale. E su questo punto credo che valga la pena riportare
per esteso ciò che scrive ancora Antòn:
“Perduta l’opportunità, presente nello Schema-Schrader (presentato e rifiutato dal Concilio Vaticano
I), di porre come punto di partenza la dimensione spirituale, invisibile e comunitaria del mistero
della Chiesa, per affrontare meglio gli errori della situazione storica, si preferì la dimensione
esterna, visibile e giuridica della Chiesa-società perfetta (…)
Le grandi linee della storia dell’ecclesiologia ci testimoniano l’esistenza ben chiara di questi due
punti focali o correnti ecclesiologiche: la corrente orizzontale, che parte dagli aspetti visibili e
istituzionali nella loro manifestazione orizzontale del mondo, e quella detta verticale, che parte
dagli aspetti soprannaturali e invisibili della Chiesa, cioè dal mistero stesso di quella comunità di
salvezza, che, secondo una frase di S.Cipriano, «è stata riunita nell’unità del Padre e del Figlio e
dello Spirito Santo». (…)
L’ecclesiologia nel mezzo secolo successivo al Vaticano I parte dall’esterno verso l’interno, in
concreto, dalla nozione di società perfetta, insistendo perciò sugli aspetti orizzontali o elementi
G.Canobbio, op.cit., p.57. Vedi anche M.Serenthà, op.cit, p.21: “…le “fonti” cui il Gréa attinge abbondantemente
sono, per il suo tempo, abbastanza “inusitate”: la Bibbia, S.Tommaso, e soprattutto i Padri ”.
29
A.Antòn, Lo sviluppo della dottrina sulla Chiesa nella teologia dal Vaticano I al Vaticano II, in AA.VV.,
L’ecclesiologia dal Vaticano I al Vaticano II, Brescia 1973, p.27-86
30
idem, p.50
31
“Alla crisi razionalistica e modernista , che minaccia l’esistenza stessa della Chiesa dal di dentro, la Chiesa reagisce
sostenendo la sua autorità docente e i diritti di società perfetta” A. Antòn, op.cit., p.50-51
28
14
istituzionali della Chiesa. Mentre perde di fatto ogni potere temporale, la Chiesa reagisce
affermando il suo diritto all’esistenza a parità con la società civile.
(…) Il chiaro predominio dell’ecclesiologia di tipo orizzontale nei cinquant’anni successivi al Vaticano
I non può essere interpretato nel senso di un monopolio esclusivo della dottrina ecclesiologica sulle
strutture costituzionali della Chiesa società perfetta e di un abbandono degli aspetti soprannaturali
e arcani del suo mistero. Lo sviluppo spontaneo della dottrina sulla Chiesa è stato influenzato in
modo più o meno latente da impulsi dell’altra corrente rinnovatrice, repressa nel Vaticano I, ma non
distrutta. I movimenti ideologici passano per una fase di gestazione. Non sempre si può predire con
esattezza il momento del loro risveglio, ma questo arriva certamente, ammesso che lì palpiti la
vita”32.
3- Il suo carattere gerarchico e clericale
4- Il suo carattere apologetico
5- l’orientazione papalista (tema centrale del Primato) con l’immagine piramidale della Chiesa33.
E’ all’interno di questo ultimo punto che Antòn, dopo un’analisi sommaria dei trattati de Ecclesia più usati
nell’insegnamento della teologia (quelli di Franzelin, Scheeben, Calmieri, Wilmers, Pesch, Straub e
Gazzella, tutti ben allineati con le posizioni del Vaticano I), cita il nostro autore:
“L’opera ecclesiologica di D.A.Grèa, pur non entrando nella categoria dei manuali, merita di essere
ricordata in questa rassegna, perché, essendo tanto vicina al Vaticano I, rappresenta una corrente
che è riuscita ad integrare con successo i tentativi di rinnovamento ecclesiologico precedenti il
Concilio con gli elementi proposti nell’assemblea conciliare”34.
4- L’ECCLESIOLOGIA DEL GREA
E prosegue:
“Gréa apre la sua ecclesiologia in una prospettiva chiaramente teologica, poiché si chiede quale sia
il posto della Chiesa nel disegno salvifico divino e nella sua realizzazione nell’economia concreta di
salvezza. La Chiesa concepita nella sua preesistenza divina si realizza nella storia della salvezza e
inizia già la sua preparazione nei progenitori dell’umanità. Concepisce il mistero gerarchico come
strumento e rappresentazione della gerarchia invisibile della Chiesa (il Padre principio del Figlio –
Cristo Capo della Chiesa – Vescovo capo della Chiesa particolare) e al servizio dei fedeli.
E’ necessario riconoscere il merito straordinario di Gréa di aver precorso di più di mezzo secolo in
alcuni principi fondamentali della sua ecclesiologia le tendenze attuali dell’ecclesiologia. Senza
formulare il principio teorico Gréa in pratica parte dalla realtà misterica della Chiesa come opera del
Dio Trino per redimere l’uomo. Considerando la Chiesa nella sua realizzazione storica, è merito
originale del Gréa – che sfortunatamente cadde in dimenticanza – partire dalla considerazione della
Chiesa particolare o dal gruppo di fedeli riuniti attorno al loro vescovo. In questa prospettiva Gréa
getta le basi per una teologia dell’Episcopato e delle sue relazioni col Primato. La realtà della Chiesa
particolare non solo ha in certo modo determinato il punto di partenza della sua ecclesiologia, ma
continua ad essere la sua preoccupazione costante in tutta la sua opera, la cui terza parte vien
dedicata all’esposizione della sua teologia. Il vescovo appare qui come capo della Chiesa particolare
in comunione gerarchica con la Chiesa universale. Il suo concetto di Chiesa particolare è aperto a
realizzazioni locali e a cellule ecclesiali inferiori alla diocesi, come sono le comunità parrocchiali,
monastiche, ecc. L’elemento della sua comunione con il Papa, capo della Chiesa universale, con
potere immediato su tutte le Chiese particolari, acquista il dovuto rilievo nella sua concezione
ecclesiologica.
Davanti a questa ecclesiologia più teologica nella sua concezione, più armonica nella dottrina delle
sue strutture gerarchiche e, di conseguenza, più cosciente del posto e della teologia della Chiesa
locale e dell’Episcopato di fronte al Primato e alla Chiesa universale, non si può non deplorare che
quest’opera di Gréa non abbia ottenuto riconoscimento e diffusione maggiori”35
Ma lasciamo finalmente Antòn per analizzare più in dettaglio il pensiero del nostro autore.
32
Idem p.51-52
idem, p.52: “L’assemblea conciliare considerò isolatamente il tema del Primato e dell’infallibilità del Romano
Pontefice, lasciando all’epoca post-conciliare un’ecclesiologia frammentaria. La teologia dell’Episcopato rimase quasi
dimenticata per il pericolo episcopalista del momento storico e, soprattutto, per la mancanza di maturazione del
problema
34
Idem, p.56
35
Idem, p.56-57
33
15
Il titolo originario della sua opera sulla Chiesa sarebbe dovuto essere “Du Mystère de l’Eglise et de sa
divine constitution”, ma gli fu consigliato di sopprimere la parola “mystere” a causa dell’ambiguità cui il
termine si prestava36.
Nella prefazione dell’opera il Gréa prende esplicitamente le distanze dai correnti trattati sulla Chiesa:
mentre in questi lo sforzo principale degli autori è quello di mettere in luce l’autorità tutta particolare
esistente nella Chiesa, contro ogni tipo di deviazione, il Gréa afferma di voler lasciare da parte il punto di
vista apologetico, per “descrivere”, la natura profonda della “nuova Gerusalemme”. Si ha cioè subito
l’impressione di essere di fronte a una ecclesiologia che vuole diversificarsi da quella dei manuali, ritenuta
giustificata sì, ma insufficiente. E non fa nessun mistero di questa intenzione:
“Offrendo quest’opera al pubblico, noi non imprendiamo nuovamente un lavoro che tanti uomini di
mente superiore hanno già compiuto, ma ci proponiamo un altro scopo.
La Chiesa non è soltanto una società di cui Dio ha fatto o ispirato la legislazione (…). Dio non è
soltanto il suo legislatore; ma le da tutto il suo essere fino all’essenza stessa della sua sostanza;
Egli è il principio di lei e la fa procedere da sé medesimo nel suo Cristo, di cui essa è il corpo, lo
sviluppo, la pienezza.
La nuova Gerusalemme discende dal cielo e procede da Dio: porta in sé i segni della sua divina
origine, e la società divina stessa si riproduce in lei per mezzo di ineffabili comunicazioni.
Come innalzarsi a questa celeste contemplazione? Come descrivere queste grandezze?
L’esposizione di un tal mistero è al disopra delle nostre forze: vi occorrerebbe il linguaggio
delll’Angelo che l’annunziò a San Giovanni. «Venite ed io vi farò vedere la sposa dell’Agnello
discendente dal cielo e proveniente da Dio» (Ap.31,9).
Nella nostra impotenza, sostenuti tuttavia dalla tradizione e dalla dottrina dei Padri, tenteremo di
scorgere qualche riflesso di quelli splendori, e di ripetere, imperfettamente, e come balbettando,
qualche cosa delle meraviglie che sono in lei. Preghiamo i nostri lettori (…) d’intendere, con cuore
attento, le parole che lo sposo della Chiesa non cessa di far risuonare in lei: «Che essi siano uno,- o
Padre mio-, come noi siamo uno, essi in me, ed io in voi, affinché essi siano consumati in uno»(Gv.
17,22-23); che essi siano uno della nostra stessa unità”37.
La Chiesa fu l’occupazione permanente del suo pensare, l’oggetto fisso della sua contemplazione, il centro
della sua vita spirituale. E questo in quanto la devozione alla Chiesa era essenzialmente devozione al
Cristo, considerato nel suo Corpo Mistico.
Nel suo trattato sulla Chiesa, sul quale lavorò per trent’anni e che solo al termine della sua vita ristampò
e completò, concludendo la prefazione così si esprime:
“Abbiamo intrapreso questo lavoro per la gloria della Santa Chiesa, professiamo per questa sposa
dell’Agnello e questa madre delle anime nostre l’amore il più ardente amore”38.
4.1- UN’ECCLESIOLOGIA TRINITARIA, MISTERICA, CRISTOCENTRICA
Il Gréa apre la sua ecclesiologia in una prospettiva chiaramente teologica, poiché si chiede quale sia il
posto della Chiesa nel disegno salvifico divino e nella sua realizzazione nell’economia salvifica:
“ Che cos’è la Chiesa? Quale posto occupa nei disegni di Dio e tra le altre sue opere? E’ essa una
Società utile soltanto alle anime e conforme ai bisogni dell’umana natura? E’ non altro che uno dei
tanti benefici, sebbene in un ordine superiore, che Dio ha versato in questo Mondo? O piuttosto in
questo sacro nome di Chiesa si nasconde un più profondo mistero? Si certo; e questo mistero della
Chiesa non è che il mistero stesso del Cristo. La Chiesa è lo stesso Cristo; la sua pienezza e il suo
compimento; il suo Corpo ed il suo svolgimento reale e mistico; il Cristo tutto intero e compiuto. 39
Così la Chiesa occupa tra le opere di Dio il posto stesso del Cristo; il Cristo e la Chiesa sono una
sola e medesima opera di Dio.
Or qual è questo posto del Cristo e della Chiesa nell’opera divina? Gesù Cristo dice di se che Egli è
l’Alfa e l’Omega, il principio e il fine delle cose (cfr. Ap.20,11-13)”40
La Chiesa concepita nella sua preesistenza divina si realizza nella storia della salvezza e inizia già la sua
preparazione nei progenitori dell’umanità. Concepisce il mistero gerarchico come strumento e
rappresentazione della gerarchia invisibile della Chiesa (il Padre principio del Figlio – Cristo Capo della
Chiesa – Vescovo capo della Chiesa particolare) e al servizio dei fedeli.
36
Cfr Mori B., op.cit., p.126
A.Gréa, op.cit., ed. 1904, p. XXXIV-XXXV.
38
Idem, p.XXXVII
39
Cfr. Ef. 1,22-23
40
idem, p.2-3
37
16
Il libro I è completamente dedicato a mettere in luce l’ancoramento trinitario e il concreto modo di
esplicarsi della “gerarchia” esistente nella Chiesa: “Dio è il capo di Cristo, Cristo è il capo della Chiesa, il
Vescovo è il capo della Chiesa particolare”, con un successivo chiarimento di che cosa significhi, nella
Chiesa, evangelicamente “essere capo”.
La Chiesa è l’applicazione a tutti gli uomini di questa salvezza portata dall’Incarnazione di Cristo: tutta la
Trinità quindi è implicata nell’origine della Chiesa41.
“Ma è tempo oramai di elevarci da queste deboli immagini e rassomiglianze a contemplare in Dio
stesso il tipo perfetto della Gerarchia, di cui le altre non sono che l’impronta impressa nelle sue
opere.
In Dio vi è una Gerarchia perché vi è Unità e Numero; Unità così perfetta che il numero vi è un
mistero; numero realmente distinto nell’unità della sostanza con si perfetta uguaglianza che questa
stessa Unità vi diviene un mistero.
Questa è la società eterna del Padre e del Figlio per la comunicazione che va dal Padre al Figlio, ed
il Figlio riconduce al Padre, ed è consumata per la processione sostanziale dello Spirito Santo.
Ed ecco che questa divina ed ineffabile Gerarchia si è manifestata al di fuori nel mistero della
Chiesa. Nella Incarnazione il Figlio mandato dal Padre è venuto a cercare l’umanità per riunirla a sé
ed associarla a questa (divina) Gerarchia. Così questa divina Società si estese sino all’uomo, e tale
misteriosa estensione è la Chiesa.
La Chiesa è l’Umanità riunita ed elevata dal Figlio alla società del Padre e del Figlio, e per lui
ammessa a farne parte (…).
La Chiesa non porta dunque in sé soltanto le tracce dell’ordine, come tutte le opere di Dio, ma la
realtà della stessa divina Gerarchia, cioè la Paternità e la Filiazione divina: il nome del Padre ed il
nome del Figlio discendono in Lei e vi si fermano.
Il Padre apre il suo seno ed estende il mistero della sua Paternità sino alla Chiesa, e nel suo Figlio
inviato abbraccia tutti gli eletti; dal suo canto la Chiesa unita al Figlio riceve per tutti i suoi membri
il titolo della filiazione esteso fino a loro, e con esso il diritto all’eredità divina, «Figli, e anche eredi»
(Rm. 8,17). Dio allora li chiamerà suoi figli, ed essi lo chiameranno loro Padre, ed ecco l’immenso
amore del Padre per noi che siamo chiamati figli di Dio e che lo siamo realmente (Cfr.1Gv 3,1).
Così ciò che costituisce il mistero della Chiesa è veramente una estensione ed una comunicazione
della Società divina e delle relazioni che sono in essa. Dio dà l’unigenito suo Figlio al mondo (cfr. Gv
3,16); cioè a dire ch’Egli estende fuori di sé sino all’umanità il mistero della generazione ch’è in Lui
ed il suo nome di Padre; e la Chiesa, cui è dato il Figlio, in Lui e per Lui per il mistero della sua
unione e adozione partecipa del suo nome e dei privilegi del Figlio”.42
Ne consegue che questa Chiesa è l’inizio e il compimento di tutta la creazione: essa infatti è una cosa
sola col Cristo.
E’ subito da sottolineare la “profondità” di un simile punto di partenza, cioè il radicamento della Chiesa
all’interno di tutta l’opera salvifica: non si può dire che sia un modo di procedere comune
nell’ecclesiologia del tempo. Per il Gréa la Chiesa è una sola cosa col Cristo, radicata all’interno di tutta
l’opera salvifica trinitaria e quindi è l’inizio e il compimento di tutta la creazione.
Alla trattazione vera e propria premette una introduzione dove cerca di chiarire che cos’è la Chiesa e qual
è il posto che occupa nel disegno di Dio; il punto di partenza è il pensiero di Tommaso, secondo cui
dapprima sono stati creati gli angeli, poi gli uomini per supplirne la defezione, infine la missione del Figlio
da parte del Padre, per redimere l’uomo dal peccato.
La concezione misterica della Chiesa domina tutta la trattazione; anzi la Chiesa appare, in forza della sua
stretta unione col Cristo, non solo come il fine dell’opera di Dio ma anche come il paradigma della realtà,
che è costituita dall’ordine e dalla gerarchia, presenti anche in Dio.:
“La santa Chiesa Cattolica è il principio e la ragione di tutte le cose (cfr. S.Epiphane).
Il suo sacro nome riempie la Storia: sin dall’origine del mondo i secoli ne sono stati la preparazione;
gli altri che seguono sino alla consumazione saranno riempiti del suo passaggio, ed essa li trascorre
tutti dando a ciascun avvenimento il suo provvidenziale significato: ma non è ristretta nel tempo
come tutte le cose umane, né si arresta quaggiù. Al di là dei secoli l’eternità l’attende per darle nel
suo riposo l’ultima perfezione ed essa vi porta tutte le speranze del genere umano che in Lei si
riposano (…).
Solo essa arriverà all’eternità, e niente di ciò che nasce nel tempo salvato e vivrà nell’eternità fuori
di Lei. Ecco il gran soggetto che proponiamo alle nostre meditazioni.
41
E’ necessario riconoscere il merito straordinario del Gréa di aver precorso di più di mezzo secolo in alcuni principi
fondamentali della sua ecclesiologia le tendenze attuali dell’ecclesiologia. Senza formulare il principio teorico Gréa in
pratica parte dalla realtà misterica della Chiesa come opera del Dio Trino per redimere l’uomo.
42
op.cit., p.27-29
17
Avviciniamoci con rispetto ed interroghiamo questo portento che non ha pari in tutto il creato”. 43
E concludendo la prima parte scrive:
“Sia che si consideri l’Angelo o l’Uomo, la Chiesa ci appare sempre come il compimento finale al
quale tutto deve tendere e far capo. E così si conferma (…) che essendo una sola cosa col Cristo, il
suo corpo e il suo compimento, Ella è col Cristo principio e la fine, l’alfa e l’omega, lo scopo primo
ed ultimo di Dio in tutte le sue opere, l’unità che le riunisce e le rende tutte infinitamente degne del
suo eterno compiacimento”.44
4.2- LA STRUTTURA DELL’OPERA
L’opera è articolata in quattro parti45:
1. Visione d’insieme sul mistero della Chiesa;
2. Principi generali della gerarchia della Chiesa;
3. la Chiesa universale
4. la Chiesa particolare
Lo schema che propone è presentato con estrema chiarezza e logicità sempre nella prefazione:
“Prima di incominciare questo studio, è conveniente annunziare brevemente l’ordine che terremo.
Crediamo necessario esporre, in un’introduzione o discorso preliminare, la natura della Chiesa e il
luogo che essa occupa nei disegni di Dio tra le altre sue opere; la natura e l’eccellenza della sua
gerarchia e dell’ordine che ne distribuisce tutte le parti, la natura infine delle relazioni e della
dipendenza che hanno verso di lei le altre opere di Dio, gli angeli e le società umane. L’insieme
dell’opera comprenderà tre libri.
Nel primo esporremo i principi generali della gerarchia della Chiesa, i poteri che le sono confidati e i
mezzi misteriosi della sua attività.
43
op.cit., p.1-2
idem, p.51-52
45
Vale forse la pena riportare per esteso il sommario del libro per mostrare la sua grande coerenza, il grande disegno
teologico in cui il Gréa inserisce la sua amata Chiesa. Da notare il forte accento che in questa esposizione viene dato
alla Chiesa locale: essa occupa non solo buona parte del secondo libro (circa 200 pagine sulle 515 totali), ma trova
importante spazio nella stessa esposizione della Chiesa Universale, “letta” come una Chiesa particolare nella quale il
Vescovo è Cristo e il presbiterio è formato dal Collegio dei vescovi: senza una esplicita sottolineatura del ruolo del Papa
1. Visione d’insieme sul mistero della Chiesa;
44
1.1 ruolo della Chiesa nel piano divino
Ciò che è la Chiesa; Creazione dell’angelo e dell’uomo; Terza “uscita” di Dio
1.2 Natura ed eccellenza dell’ordine nella Chiesa
L’ordine nell’opera di Dio; L’ordine nella creazione degli angeli; L’ordine nella creazione degli uomini; Principi
gerarchici; Gerarchia ecclesiale; Eccellenza di questa gerarchia
1.3 Relazioni della Chiesa con le società angelica e umana
Coordinamento intimo delle opere divine; Relazioni della Chiesa con la società angelica; Relazioni della Chiesa con la
società umana; Compimento nell’unità
2. Principi generali della gerarchia della Chiesa;
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
2.6
2.7
2.8
Idea generale di gerarchia
Dio è il capo di Cristo
Gesù Cristo è il capo della Chiesa
Il vescovo è il capo della Chiesa particolare
Integrità e unità indivisibile della Chiesa
Triplo potere conferito alla gerarchia
I soggetti del potere gerarchico
Modi di operazioni gerarchiche
3. la Chiesa universale
3.1 il capo della Chiesa universale
3.2 il collegio episcopale unito al vicario di Cristo
4. la Chiesa particolare
4.1 Costituzione della Chiesa particolare
4.2 L’ordine dei presbiteri
4.3 L’ordine dei diaconi e gli ordini inferiori
4.4 La missione della Chiesa particolare
4.5 Storia della Chiesa particolare
4.6 La vita religiosa
18
Il secondo libro sarà dedicato alla Chiesa universale nel suo capo Gesù Cristo, e il Vicario che ne
tiene il posto quaggiù, e nel collegio dei vescovi associati al suo governo.
Nel terzo finalmente tratteremo della Chiesa particolare nel suo capo, il Vescovo, e nel suo collegio
di preti e di ministri”.46
Il rilievo che in questo limpidissimo schema logico assume la figura del vescovo nella sua Chiesa
particolare è notevolmente significativo: è l’aspetto che, collegato con il superamento di una
presentazione puramente apologetica della Chiesa, più ha colpito finora i conoscitori del Gréa.
Il suo libro vuole presentare dunque i “due grandi soggetti da studiare e in cui sarà diviso questo lavoro:
la Chiesa universale e la Chiesa particolare; e al di sopra, come tipo e origine, l’eterna società del Padre e
del Figlio, da cui la Chiesa procede, in cui ha la sua forma e il suo esemplare a cui è associata e verso cui
risale sempre come a suo centro, sua beatitudine, suo compimento”.
Quella Chiesa di cui Cristo è il capo è concretamente presentata come riassumentesi nel “Collegio dei
vescovi”: nell’Incarnazione il Verbo è stato “mandato” per unire a sé la natura umana, e perché questa
filiazione divina potesse raggiungere tutti i peccatori, Gesù ha fondato la Chiesa con l’unire a sé il
“Collegio Episcopale”, comunicandogli il potere di predicare, di amministrare e di governare.
Cioè, la Chiesa universale è “letta” come una Chiesa particolare nella quale il Vescovo è Cristo e il
presbiterio è formato dal Collegio dei vescovi: senza una esplicita sottolineatura del ruolo del Papa.
Questo a 15 anni dal Vaticano I, e con il rilievo che ivi è stato dato alla figura del Papa: tanto che per ben
due volte, sempre in questo libro I, il Gréa stesso sente il bisogno di chiarire quale sarà, nel libro
successivo, la sua posizione nei confronti del Romano Pontefice47, perché sembra rendersi conto che,
nello schema proposto, il Vescovo di Roma pare quasi non avere un suo posto preciso.
Prosegue poi l’analisi sulla Chiesa universale e il ruolo del Papa in particolare, ma in cui il Collegio dei
Vescovi continua ad avere un posto di primo piano.
Il Gréa “può così, senza eccessive difficoltà, tenere insieme due prospettive apparentemente antagoniste:
da un lato, dare all’episcopato il rilievo che abbiamo appena sottolineato, dall’altro respingere con
chiarezza l’eresia gallicana, che parla di un Collegio episcopale al di sopra del Vicario di Cristo.
Rimane da chiarire qual è il posto del Papa. Il Gréa lo presenta come vicario di Gesù, per cui egli opera
insieme a Cristo. Il pontificato non appare come un grado speciale nella gerarchia, in quanto il Pontefice
come Vescovo è un fratello degli altri “episcopi”. Costituito da Gesù, il Papa trae da Lui la propria
autorità; non per questo però è un “super-Vescovo”, ma è uno in mezzo ai suoi fratelli, come lo è stato
Gesù nell’ultima cena in mezzo ai suoi discepoli.
Trattando dei Vescovi in quanto cooperanti al governo della Chiesa universale, divide la loro azione in
ordinaria e straordinaria: la prima è quella che si manifesta nei Concili ecumenici, quando l’episcopato
riunito tratta dei problemi di tutta la Chiesa, e nell’aiuto che i Vescovi si danno vicendevolmente nel
governo della loro diocesi; la seconda è quella che, al di là dell’evoluzione storica, appare dall’attività
missionaria. Quest’ultima non è vista tanto come “estensione” della Chiesa universale, quanto come una
fondazione di Chiese particolari: è direttamente finalizzata alla costituzione di una gerarchia indigena per
cui, appena è possibile, il “regime missionario” (cioè il fatto che i vescovi agiscano al di fuori delle loro
diocesi), deve cessare, per lasciare il posto alla gerarchia locale.
Alla delineazione esplicita delle diverse componenti che concorrono a formare la Chiesa particolare è
dedicato l’ultimo libro del trattato, sicuramente il più originale e importante. La Chiesa particolare non è
vista come una porzione della Chiesa universale, una concretizzazione “diminuita” della Chiesa di Cristo,
ma si identifica misteriosamente con essa possedendone tutti i beni.
L’episcopato non è mai diviso, ma si trova tutto intero in ciascun Vescovo. Nella sua diocesi il Vescovo è
capo del tutto, in quanto capo della terza gerarchia, ossia quella della Chiesa particolare. Nella Chiesa
particolare noi ritroviamo la Chiesa tutta intera, perché questo mistero non si degrada nella sua
comunicazione. Nella sua azione il Vescovo porta interamente Gesù Cristo: attraverso la sua Parola, i suoi
sacramenti, che sono presenti nella loro totalità mediante un unico grande mistero di comunione.
Guardiamoci perciò dal considerare la Chiesa particolare come una semplice “circoscrizione”, stabilita solo
per una migliore gestione giuridica o pratica.
Il Vescovo rimanda sempre alle gerarchie: egli ci collega al Figlio, il Figlio al Padre; e dal Padre si ritorna
al Figlio e alla Chiesa. Lo Spirito Santo è inseparabile dal mistero di queste relazioni, e va quasi a
suggellare l’unione di Gesù Cristo con la sua Chiesa: consacrando ogni Vescovo, lo Spirito Santo fa sì che
la gerarchia si espanda e si trasmetta anche nella Chiesa particolare, di cui il vescovo sarà capo dal punto
di vista teologico.
46
op.cit, p.XXXV-XXXVI
“l’identificazione completa del Papa con Cristo (…) non è una più o meno indebita “maggiorazione” della figura del
Romano Pontefice, ma rientra perfettamente nella logica del discorso, perché come il Vescovo, per la sua Chiesa
particolare, il Cristo, così il Papa lo è per la Chiesa universale
47
19
Il mistero dell’unità del sacerdozio del Cristo comunicato al vescovo e che “dall’episcopato scende al
presbiterato” viene magnificamente espresso nella concelebrazione. Qui si ritrova tutta la gerarchia
esistente nelle Chiese particolari: i preti, i diaconi e gli altri ministri, tutti legati al vescovo da cui ricevono
vita. Così di seguito ecco la riscoperta degli ordini minori, che insieme con altri ministri vanno a costituire
la “corona” del vescovo. Il senso pieno dell’episcopato si coglie quindi nelle relazioni con le persone che
lo circondano, ossia con la sua comunità: i presbiteri, i ministri, i battezzati. E i Religiosi? Qual è il loro
posto all’interno della Chiesa particolare?
Restaurando i Canonici Regolari il Gréa ha voluto reintrodurre la vita comune e religiosa nel clero
ordinario delle Chiese particolari, creando dei preti che fossero i “religiosi del Vescovo”. Egli tratta dello
stato religioso alla fine del III libro, dedicato alla Chiesa particolare.
Qui il Gréa espone l’idea che è all’origine della Congregazione da lui fondata, e cioè che la distinzione
vera non è da istituirsi tra clero secolare, dedicato alla cura d’anime, e clero regolare vivente in comunità
nei diversi istituti religiosi, ma tra clero legato alla Chiesa particolare (i monaci e i canonici regolari) e il
clero legato alla Chiesa universale (gli altri religiosi in genere, tutti esenti dalla diretta autorità del
Vescovo). Distingue “lo stato religioso (che) è uno stato istituito direttamente per la santificazione
personale”, dal sacerdozio, “che non è stato istituito direttamente per la santificazione del sacerdote
stesso, ma per il popolo”. Pertanto è necessario che il soggetto che riceve la missione sacerdotale abbia
modo di santificarsi e la migliore via di santificazione è certamente riassunta nella vita religiosa che è
l’imitazione del genere di vita insegnato da Cristo ai suoi Apostoli.
5- CONCLUSIONI
Spero di aver raggiunto in queste pagine l’obiettivo dichiarato nell’introduzione di mostrare un esempio di
chi, andando controcorrente, ha portato avanti con coerenza un’immagine diversa di Chiesa, non
contrapposta a quella ufficiale, ma che scaturiva dalla sua contemplazione dall’alto, dalla sua origine
trinitaria. Il recupero della dimensione spirituale della Chiesa passa anche attraverso questi personaggi
dimenticati, “profeti” emarginati, uomini profondamente amanti di Dio. Spero infatti che il pensiero del
Gréa, pur condizionato dal suo tempo, sia risultato ricco di originalità e di felici intuizioni che oggi si è in
grado di apprezzare maggiormente in quanto molte di esse sono entrate nel patrimonio teologico del
pensiero contemporaneo.
Tuttavia il de Lubac, in un articolo pubblicato su “La croix” del 22 ottobre 1965, avverte che siamo ancor
ben lontani dall’aver sfruttato tutta la ricchezza racchiusa nel pensiero del Gréa sulla Chiesa48. In
particolare non sembra che prima del Grèa altri abbiano tentato di spingersi così avanti con l’inserire la
vita religiosa nella chiesa particolare:
“L’unione della vita clericale con quella religiosa è, secondo il Gréa, una esigenza della chiesa
contemporanea. Questi, con insistenza, parla di una incongruenza: molti sacerdoti vedono nella
aspirazione alla vita religiosa una rinuncia al ministero pastorale ordinario, quello, cioè, di
collaboratori del vescovo. I fatti lo stanno a dimostrare: il clero religioso è comunemente
considerato il clero del papa, a disposizione del papa. Don Gréa non conclude dal fatto al diritto, ma
vorrebbe che nuovi orientamenti, al seguito di un’antica tradizione, possano far riscoprire
l’importanza del clero del vescovo. Il Gréa è immerso nell’estasi di una visione di un futuro
meraviglioso, i cui germi già si trovano nel presente: il clero diocesano, tutto o in parte, religioso,
grazie alle comunità dei canonici regolari”49.
Personalmente sono convinto che la restaurazione di questo ideale nel clero diocesano possa contribuire
al rinnovamento della chiesa. Lo indicano anche i continui tentativi di introdurre nelle Diocesi forme di
vita comune o di “unità pastorali”. Spingono a ciò la “nuova” spiritualità di comunione e le stesse
emergenze pastorali causate dal calo del numero di sacerdoti.
Vedo tuttavia nella mia comunità, erede del carisma del Gréa, la fatica a rendere vero e attuale il suo
progetto: come coniugare il lavoro pastorale con le esigenze della vita comunitaria? La fedeltà ad una
liturgia vissuta come fonte e culmine della pastorale e lo stress di una vita quotidiana frenetica ? Il
servizio ad una Chiesa locale e le esigenze della Comunità ?
Oggi, nonostante le incertezze e le mediocrità, risulta fondamentale poter ancora sognare sul passato
della nostra Congregazione, sull’esempio e sulla testimonianza di tanti nostri confratelli, ma sempre con
occhi aperti al presente e protesi con ottimismo verso il futuro. Per un sogno che ci porti a coltivare una
speranza salvifica per un presente aperto alla presenza e all’opera di Dio.
48
Cfr., T.Battisti, op.cit., p.92
L. de Peretti, (superiore generale della comunità dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione dal 1957 al 1976) riflessioni
sul pensiero di dom Gréa, in “le Courier de Mondaye” n. 63, 11-14, archivio CRIC Titolo III 10/16
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