Francesco Malgeri, La stagione del centrismo. Politica e società nell’Italia del secondo dopoguerra (1945-1960), Rubbettino, Soveria Mannelli 2002, pp. 402, euro 22 Scopo dichiarato del volume è quello di offrire “anche in funzione didattica, una organica ricostruzione delle vicende politiche e sociali del nostro paese nei primi quindici anni di vita repubblicana” (p. 5). Un periodo, quello del centrismo, sul quale si vuole rivedere un giudizio negativo piuttosto diffuso, sottolineando il carattere inevitabile di quella formula di governo, nella rigidità del quadro politico causato dalla guerra fredda e, parimenti, cercando di cogliervi “anche alcuni aspetti costruttivi, che evidenziano un ricco dibattito politico-culturale, un momento di faticosa ricerca per superare schemi politici ormai invecchiati, per proporre, ad una paese che stava crescendo vertiginosamente, un modello più aderente alle esigenze nuove che maturavano all’interno della società civile” (p. 7). L’obiettivo è, nel complesso, raggiunto, partendo però (ed è questo il punto debole del libro) da un punto di vista quasi esclusivamente limitato alla democrazia cristiana, al mondo cattolico e ai suoi dibattiti, con particolare attenzione ai rapporti con il Vaticano di Pio XII e di Giovanni XXIII: gli altri partiti compaiono sulla scena solo laddove vengano ad incrociare il percorso della DC e del centrismo come formula di governo, mentre al PCI viene riservato un giudizio sostanzialmente equilibrato, sia pure nell’ambito dell’uso della tradizionale categoria della “doppiezza”. Emergono così, su questo sfondo e grazie all’uso di fonti talora di primo mano (le carte De Gasperi e quelle dell’Archivio storico della DC) le figure dei leaders storici dello schieramento democristiano. Spicca quindi ovviamente la centralità del ruolo di De Gasperi, l’artefice della ricostruzione e della stessa formula del centrismo, espressione di prudenza e di equilibrio e, sostanzialmente, di rifiuto di un integralismo confessionale, in un quadro di contrapposizione a livello internazionale e ancora fragile per ciò che concerne le istituzioni democratiche. Ma ampio spazio è dedicato anche a Dossetti, al suo ritiro dalla vita politica nell’estate del 1951 e alla sua candidatura a sindaco di Bologna nel 1956; all’ultimo Sturzo, dal fallimento dell’ “operazione” politica che prese il suo nome (ricostruita anche sulla base delle carte dell’archivio dell’Azione cattolica) alla polemica contro il peso eccessivo dello Stato nell’economia, fonte di corruzione e sottogoverno; da Scelba, ad Andreotti, da Gronchi a Fanfani (con le sue intuizioni, ma anche con le sue ripetute sconfitte), da La Pira a Mattei, da Segni a Zoli a Piccioni. Il quadro che appare, più mosso del prevedibile, è quello, dopo il mancato raggiungimento della maggioranza assoluta da parte della coalizione centrista alle elezioni del 1953, dello snervante tentativo, sempre in affanno rispetto allo sviluppo dell’economia e all’evolversi della società, di formare un governo stabile. La svolta sembra arrivare, dopo le giornate del luglio 1960 ed il governo Tambroni, grazie all’abile capacità di mediazione tra gli equilibri interni di Aldo Moro, segretario della DC dal marzo 1959. Tra Moro, “uomo di fede profonda, devoto alla Chiesa e alle sue istituzioni, eppure geloso dell’autonomia dell’impegno politico”, e De Gasperi, secondo Malgeri, corre il filo rosso della coscienza della necessità di ampliare le basi dello Stato e della costruzione di una democrazia sostanziale. Il discorso dell’uomo politico di Maglie al congresso della DC di Napoli, nel gennaio 1962, chiude definitivamente la stagione del centrismo, aprendo la strada (ma ci vorranno ancora due anni!) alla nuova stagione politica del centro-sinistra.