Guida al colloquio del nuovo Esame di stato
© Edizioni Bruno Mondadori 1999
P 26. IL DRAMMA BORGHESE
L’evoluzione del teatro fra l’Ottocento e il Novecento rispecchia lo sviluppo della
cultura del tempo che va progressivamente allontanandosi dai modelli classici,
ancora dominanti nell’opera di Alfieri o di Foscolo, elaborando modelli nuovi:
nell’ambito del romanticismo, per esempio, il dramma storico – di cui sono esempio
le tragedie manzoniane e, nell’ambito della cultura del naturalismo, il “bozzetto
scenico” verista – rappresentato in particolare dalle opere di Verga. La rottura
definitiva rispetto ai canoni della tradizione classica sarà infine sancita, nel
Novecento, dal teatro sperimentale di Brecht e di Pirandello che danno avvio alla
stagione del “dramma borghese” contemporaneo, determinato a fotografare
impietosamente la vita privata e familiare della classe borghese, distruggendone miti,
valori linguaggi: così come avviene, per esempio, nel teatro di Ibsen e di Strindberg,
fino ai più recenti esiti surreali di Beckett e Ionesco, drammatica denuncia del
nonsenso dell’esistere.
Il teatro tra romanticismo e verismo
Nell'Ottocento romantico la tragedia è considerata ancora come il genere poetico più
adatto a esprimere la drammatica visione romantica della vita; non a caso uno dei
principali “manifesti” del romanticismo europeo è costituito proprio dalle Lezioni di
arte e letteratura drammatica (1809-1811) di August Schlegel (1767-1845); alla
tragedia si dedicano del resto tutti i protagonisti principali del preromanticismo e del
romanticismo italiano, come Alfieri, Foscolo e Manzoni. Si tratta in generale di una
forma drammatica formalmente più libera rispetto ai canoni della tradizione, fortemente
caratterizzata in senso ideologico, densa di valenze etiche e di norma piuttosto
idealizzante nei temi e nei personaggi.
 Vedi sul manuale di letteratura i tratti fondamentali delle tragedie di Alfieri, Foscolo e
Manzoni. Preromantica è la tragedia di Vittorio Alfieri (1749-1803), che mette in scena il dramma
di eroi in lotta ora contro il tiranno (Filippo, 1783), ora contro Dio (Saul, 1782), ora contro se
stessi (Mirra, 1786). Più neoclassica è invece la tragedia di Ugo Foscolo (1778-1827), che, nel
Tieste (1796) e nell’Ajace (1811), riprende il mito greco adattandolo alla sua personale ideologia
della libertà. Quanto a Alessandro Manzoni (1785-1873), il Conte di Carmagnola (1820) e
l’Adelchi (1822) rientrano nel filone del dramma storico romantico, in cui si uniscono motivi
patriottici e ragioni ideali, in particolare il riscatto della storia umana ad opera della grazia di Dio.
Negli anni settanta, in concomitanza con lo sviluppo della letteratura naturalista in
Francia, uno dei “padri” del verismo italiano, Luigi Capuana (1839-1915), critico
teatrale de “La Nazione”, aveva condotto un’appassionata polemica contro le vecchie
forme del dramma romantico (di argomento per lo più storico o mitologico), in nome di
un teatro più moderno, più vero, più legato alla realtà della vita vissuta, che portasse
insomma anche sulle scene quegli "squarci di vita" che si andavano aprendo nel mondo
della novella e del romanzo. Lo stesso Émile Zola (1840-1902), caposcuola del
naturalismo francese, nel 1881 aveva pubblicato a Parigi un saggio intitolato Il
naturalismo a teatro, in cui affermava tra l'altro: “Attendo che la trasformazione
realizzata nel romanzo si compia in teatro, che in esso si ritorni alla fonte stessa della
scienza e dell'arte moderna, allo studio della natura, all'anatomia umana, alla
descrizione della vita, redigendo un verbale esatto, tanto più originale e potente in
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Percorso 26 - Il dramma borghese
quanto nessuno ha ancora osato tentarlo sulle scene”. Zola auspicava dunque un teatro
più aderente alla vita, più autentico, più “realistico” nei personaggi, nelle scene e nel
linguaggio, capace di esprimere dei veri e propri "documenti umani".
 Vedi, nel testo di filosofia, i caratteri del positivismo, che sta alla base della scuola naturalista
francese; Zola, il caposcuola, intendeva la letteratura come forma di analisi “scientifica” della
realtà, che non doveva lasciare spazio al sentimentalismo romantico né agli interventi
moraleggianti dell’autore.
Su questa linea si colloca la scelta verista di abbandonare le forme drammatiche
tradizionali per tentare esperimenti in direzioni nuove; un esempio significativo è
rappresentato dall'atto unico, o "bozzetto scenico", forma drammatica caratterizzata da
pochi personaggi, una scena fissa, un'azione estremamente concentrata in modo da
conservare la massima energia espressiva; si intendeva in questo modo superare anche
l'artificiosa suddivisione in atti e scene, che non trova riscontro nella realtà della vita, e
che, spezzando l'azione in momenti diversi e successivi, provoca una continua "rottura"
della tensione drammatica. La brevità dell'atto unico consente invece di mantenere alta
la tensione nel corso di tutta l'azione drammatica, realizzando un effetto di
coinvolgimento emotivo del pubblico di gran lunga superiore al passato.
Fondamentale importanza hanno in quest’ambito i bozzetti scenici di Giovanni Verga
(1840-1922); in essi lo scrittore verista cercò di applicare i medesimi principi già
realizzati nelle opere narrative, ricostruendo “squarci di vita” quotidiana delle classi
meno fortunate, e annullando la “lente deformante dell’autore” al fine di consentire
all’opera d’arte di apparire “essersi fatta da sé”. Il primo “bozzetto scenico” di Verga è
Cavalleria rusticana (1884), tratta dall'omonima novella, che ebbe grande successo
anche grazie agli accorgimenti drammaturgici con cui l’autore adattò il testo alla
rappresentazione, enfatizzando gli elementi sentimentali e passionali e conferendo
maggiore intensità patetica al personaggio femminile di Santuzza (il dramma verrà
successivamente ripreso in forma melodrammatica dal musicista Pietro Mascagni,
1863-1945). Segue In portineria (1885), tratta dalla novella Il canarino del N. 15, che fu
un fiasco: di fronte ad una storia più quotidiana e più intima, priva di grandi passioni e
colpi di scena, il pubblico dell’epoca, abituato a vedere nel teatro principalmente una
"fabbrica" di forti emozioni, mostrò la sua impreparazione, giudicando il lavoro
inconcludente, insignificante. Terzo tentativo è La lupa (1896), tratto dalla novella
omonima: l'esito della rappresentazione fu ancora una volta deludente, anche per il
mutato gusto del pubblico, che negli anni '90 volgeva ormai le spalle al realismo,
affascinato dalle raffinate provocazioni dell'estetismo dannunziano. Abbiamo poi i due
atti unici La caccia al lupo e La caccia alla volpe (entrambi del 1901). La caccia al
lupo sviluppa il tema di un triangolo amoroso in ambiente rusticano, con il marito
tradito che, con implacabile e compiaciuto sadismo, stringe la trappola attorno al "lupo"
entrato di notte nel letto della moglie; di ambientazione mondana è invece La caccia
alla volpe, che vede l'astuta "volpe" sconfitta dal rivale nel galante gioco amoroso la cui
posta è la conquista della donna; la vivacità e il brio del dialogo offrono a questo testo il
fascino che le tinte fosche e violente conferivano al primo. Ultima prova teatrale è il
dramma in tre atti Dal tuo al mio (1903), storia di un “villano” che, sposata la figlia del
proprietario di una grande solfara, passa decisamente dalla parte del padrone,
dimenticando e tradendo i vecchi compagni di lavoro; in quest’opera appare evidente la
polemica contro il capitalismo imperante, da un lato, ma soprattutto contro le ideologie
socialiste che si andavano diffondendo all'epoca in Italia.
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Percorso 26 - Il dramma borghese
Il teatro di Verga non fu sempre compreso e apprezzato dal pubblico dell’epoca, ancora
poco avvezzo a simili novità, ma costituì indubbiamente un fondamentale momento di
passaggio dal dramma di impostazione classica al dramma moderno.
Il teatro fra l’Ottocento e il Novecento
A cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, in conseguenza della crisi del positivismo e
del naturalismo in Europa, anche in Italia il teatro tenta di percorrere vie nuove. In
ambito decadente, interessanti sono gli esperimenti drammaturgici di Gabriele
D’Annunzio (1863-1938), che sviluppano alcuni temi fondamentali come la tensione
vitalistica e superomistica, la sensualità orgiastica, l’esaltazione di forze primordiali
come la violenza e la lussuria.
Le prove più significative del teatro dannunziano sono: La Gioconda (1899), che
sviluppa il mito del superuomo incarnato nell’artista, alla cui individualità eccezionale i
personaggi debbono sacrificare ogni altro valore, e persino la vita; La figlia di Jorio
(1904), dramma a tinte fosche in cui dominano l’incesto e la lussuria, intesa come
manifestazione superumana, in un'atmosfera di favola pastorale, ambientata in un
Abruzzo dai tratti mitici; La nave (1908), testo dominato ancora dai temi della violenza
e della lussuria, permeati da un vitalismo esteriore e retorico; Fedra (1909), che
sviluppa il tema dell'omicidio inteso come affermazione di forza e di superiorità,
esaltazione e sublimazione delle passioni umane.
 Vedi come il decadentismo abbia influenzato tutte le espressioni dell’arte e del pensiero in
Europa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento: nel testo di storia dell’arte approfondisci
l’opera dei simbolisti Paul Gauguin (1848-1903), Vincent Van Gogh (1853-1890), Gustave
Moreau (1826-1898) e dei postimpressionisti Paul Cézanne (1839-1906), Henri de Tolouse
Lautrec (1864-1901), George Seurat (1859-1899), Gaetano Previati (1852-1920), Giovanni
Segantini (1858-1899); nel testo di filosofia approfondisci l’opera e il pensiero di Friedrich
Nietzsche (1844-1900) e Sigmund Freud (1856-1939).
Nel campo dello sperimentalismo esasperato delle avanguardie ci introduce invece il
futurismo, sviluppatosi agli inizi del Novecento con il proposito di rompere
violentemente e definitivamente con la tradizione passata per proiettare l’arte nel futuro,
dominato dalla velocità, dalla macchina, dalla guerra. Il teatro futurista è un teatro
sintetico e violento, che produsse grande impressione all’epoca per il suo carattere
provocatorio e contribuì decisamente a “svecchiare” forme drammaturgiche e moduli
espressivi, rinnovando profondamente il genere. Nel 1915 furono pubblicati il Manifesto
del teatro futurista sintetico, di Marinetti e Settimelli, e il Manifesto della scenografia
futurista, di Prampolini, che contengono le idee fondamentali della nuova
drammaturgia; esse possono essere sintetizzate nella volontà di sorprendere ad ogni
costo, e di riprodurre la velocità del mondo moderno riducendo le scene ad azioni
fulminee della durata di pochi secondi.
 Vedi, nel manuale di storia dell’arte, l’opera di Giacomo Balla (1871-1958), Umberto Boccioni
(1882-1916), Carlo Carrà (1881-1966) in quanto il futurismo ha dato i suoi frutti migliori nel
campo delle arti figurative.
Il contributo fondamentale allo sviluppo del teatro ottocentesco, nella direzione del
moderno dramma borghese, venne tuttavia da drammaturghi europei, come il norvegese
Henrik Ibsen (1828-1906) e lo svedese August Strindberg (1849-1912). Al teatro di
impostazione “classica” e romantica, incentrato sull’azione esemplare, dominato dalla
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figura dell’eroe e ambientato nel mondo del mito o entro grandiosi affreschi storici, si
sostituisce ora un teatro di parola, in cui si agisce poco e molto invece si riflette,
dominato da personaggi comuni e da figure di “inetti” e di sconfitti, ambientato in
interni borghesi. Attraverso un’analisi psicologica tanto raffinata quanto dolorosa,
vengono messe a nudo le contraddizioni della società borghese e la crisi dei valori
tradizionali, aspetti che trovano la migliore espressione soprattutto nei personaggi
femminili. Tematiche favorite sono il contrasto tra verità e menzogna, tra sogno e realtà,
che tende a esplodere in conflitti violenti proprio all’interno della realtà familiare, di cui
vengono messe impietosamente a nudo le ipocrisie e i vuoti formalismi.
 Vedi, sul manuale di letteratura, le figure di Ibsen e di Strindberg. Tra i drammi di Ibsen vanno
ricordati Casa di bambola (1877), che nel personaggio di Nora mostra uno straordinario esempio
della lenta e difficile presa di coscienza di una nuova femminilità; Spettri (1881), dramma
dell’amore impossibile e dell’ereditarietà subita come irreversibile condanna; La donna del mare
(1888), ancora un dramma familiare in cui l’idea stessa di coppia è riformulata su basi
radicalmente nuove. Tra i drammi più significativi di Strinberg vanno annoverati Il padre (1887),
La signorina Giulia (1888), Verso Damasco (1901), Danza macabra (1901), Il sogno (1902), in
cui all’analisi acutissima dell’animo femminile si aggiunge un sovvertimento radicale delle regole
drammaturgiche tradizionali, attraverso l’abolizione delle coordinate spazio-temporali e
dell’intreccio, per privilegiare lo scavo interiore e la dimensione del sogno e dell’incubo.
Il teatro del primo Novecento: Brecht e Pirandello
Nella prima metà del XX secolo il panorama teatrale europeo è dominato dalle
personalità del tedesco Bertolt Brecht (1898-1956) e di Luigi Pirandello (1867-1936).
Brecht, poeta oltre che drammaturgo, ideologicamente legato alla cultura marxista,
conobbe l’esilio con l’avvento del nazismo e finì per riparare nella Germania dell’Est,
ove ebbe rapporti non sempre facili con il regime comunista al potere. Dopo le prime
prove berlinesi, ispirate ad un nuovo oggettivismo che rifiuta gli eccessi introspettivi del
teatro borghese contemporaneo, Brecht matura, con l’adesione al marxismo, una nuova
concezione didattica del teatro, in cui mette in scena la dialettica della società
capitalista e il dramma dei conflitti di classe. Abbandonata la Germania, Brecht
elaborerà progressivamente i capolavori del teatro epico che ne hanno consacrato la
fama in Europa e nel mondo; temi come il conflitto tra bontà individuale e cattiveria
sociale, o come il rapporto tra intellettuale e potere, o ancora come il sottile confine che
separa razionalità e irrazionalità, prendono vita in una drammaturgia fondata sul
conflitto, in cui vengono sviluppati i grandi nodi problematici della cultura moderna
mediante una tecnica tesa a sollecitare nello spettatore non già l’immedesimazione
emotiva, ma lo spirito critico, attraverso un radicale effetto di straniamento.
 Vedi, sul manuale di letteratura, la figura di Brecht. Tra i drammi del primo periodo va
ricordata in particolare L’opera da tre soldi (1928), con cui conquistò la fama; le opere più
rappresentative del “teatro didattico” ispirato all’ideologia marxista sono La linea di condotta
(1930), L’eccezione e la regola (1930), La madre (1932). Al “teatro epico” vanno invece
ricondotti Madre Coraggio e i suoi figli (1939), Vita di Galileo (la prima versione è del 1939,
quella definitiva del 1955), L’anima buona di Sezuan (1940).
L’esordio teatrale di Pirandello risale al 1910, ma i temi e i caratteri del suo teatro sono
stati lungamente “preparati” e sviluppati nella precedente produzione narrativa. L’idea
di fondo dell’ideologia pirandelliana consiste nel riconoscimento della “debolezza”
dell’io: in un mondo che ha perduto punti di riferimento certi e appare dunque dominato
dal relativismo, non solo della realtà esterna, non si può più avere certezza alcuna, ma
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neppure della propria personalità, della propria coscienza. Ciascuno di noi è diverso ai
propri occhi e agli occhi degli altri, la nostra identità autentica è sfuggente, inafferrabile,
mutevole. Sulla nostra vera identità la società ci impone di indossare una “maschera”
che ci renda riconoscibili a noi stessi e agli altri, permettendoci di occupare quei ruoli e
di svolgere quelle funzioni (di marito, di padre, di professionista) che la vita associata
rende indispensabili. Il teatro di Pirandello mette in scena proprio questa umanità viva
senza identità, contrapposta al mondo dei personaggi, creazioni dell’arte, dotati di
identità certa ma privi di vita: personaggi “senza autore”, specchio di un uomo alla
ricerca della ragione e del senso dell’esistere.
La drammaturgia di Pirandello segna la definitiva rottura delle forme classiche,
caratterizzate dall’armonia tra le parti: nella trilogia del “teatro nel teatro” la scena
diventa piuttosto il luogo della disarmonia e del conflitto fra le componenti tradizionali
della rappresentazione, cioè il personaggio, l’attore, il regista, il pubblico. Nella
“trilogia dei miti”, infine, sull’onda del diffondersi in Europa delle sollecitazioni del
simbolismo e del surrealismo, anche Pirandello tenterà di verificare nel suo teatro la
possibilità di una fuga dalla realtà sociale verso un “oltre” enigmatico, onirico, luogo
mitico della ricomposizione dei contrasti e delle risposte tanto a lungo cercate.
Il tema dell’identità, della maschera, del contrasto fra realtà e finzione,
dell’impossibilità di pervenire a una verità ultima, caratterizzano in particolare il teatro
pirandelliano degli anni dieci, e in particolare opere come Così è (se vi pare) (1917), Il
piacere dell’onestà (1917), Il giuoco delle parti (1918).
La cosiddetta trilogia del “teatro nel teatro” sviluppa il conflitto insanabile fra i
protagonisti dell’illusione scenica, cioè attori e personaggi (Sei personaggi in cerca
d’autore, 1921), tra personaggi e pubblico (Ciascuno a suo modo, 1924), tra attori e
regista (Questa sera si recita a soggetto, 1929).
La trilogia del “teatro dei miti” comprende infine La nuova colonia (1928), Lazzaro
(1929) e I giganti della montagna (1934, opera incompiuta), in cui Pirandello esplora la
possibilità di “evadere” dalla prigione della realtà attraverso le vie di fuga rappresentate,
rispettivamente, dall’utopia sociale, dalla religione, dall’arte.
 Vedi, nel testo di filosofia, il pensiero di Ernst Cassirer (1874-1945) e degli esistenzialisti; nel
testo di storia dell’arte, invece, vedi i caratteri del surrealismo figurativo e della pittura
“metafisica”.
Il “teatro dell’assurdo”
Abbiamo osservato come il teatro di Brecht e di Pirandello tendesse ad annullare
provocatoriamente alcune fondamentali convenzioni della rappresentazione scenica
tradizionalmente intesa. Su questa strada si sviluppa, nel secondo dopoguerra, il
cosiddetto “teatro dell’assurdo”, che abolisce l’azione drammatica, abolisce il dialogo
stesso per rappresentare in forme radicalmente innovative l’incomunicabilità del mondo
contemporaneo e la resa di fronte alla mancanza di senso dell’esistenza.
 Vedi, a questo proposito, la narrativa di Franz Kafka (1883-1924), maestro nel descrivere gli
incubi dell’uomo contemporaneo, intrappolato in un mondo privo di senso, e dunque di vie
d’uscita. Vai inoltre ad approfondire, nel manuale di filosofia, il pensiero di Jean Paul Sartre
(1905-1980), che produsse a sua volta un influsso determinante nella cultura dell’epoca.
Tra gli autori più significativi in quest’ambito vanno ricordati il rumeno Eugène Ionesco
(1912-1994), il cui teatro appare consacrato alla “missione” di smantellare ad una ad
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Percorso 26 - Il dramma borghese
una gli pseudo-valori su cui si fonda la società borghese, e l’inglese Samuel Beckett
(1906-1989), autore di drammi in cui, attraverso un linguaggio povero e scabro ma
denso di valori metaforici, si riflette pessimisticamente sulla condizione dell’uomo
contemporaneo, condannato alla solitudine e al nulla.
 Vedi di Ionesco La cantatrice calva (1950) e Il rinoceronte (1959), in cui compaiono tutti gli
“ingredienti” più significativi di un teatro fondato sul paradosso, sul grottesco, sul nonsenso. Per
quanto riguarda i drammi di Beckett, vanno ricordati Aspettando Godot (1952) e Finale di partita
(1957), dominati anch’essi dall’angoscia e dal senso del nulla, espressi attraverso battute slegate e
discordi che nulla più conservano del dialogo tradizionale, “classicamente” inteso.
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