Diocesi di Piacenza-Bobbio Settimanale “Nuovo Giornale” Mons. Luciano Monari, Vescovo. “Fermi sulla morale, aperti alla persona – Chiesa e omosessuali” 24 novembre 2000 È un peccato che un problema serio come quello degli omosessuali nella vita della Chiesa sia uscito nel contesto del Gay Pride e quindi in un contesto polemico. La sfida, la polemica, la logica dell’accusa non sono il contesto migliore per affrontare un tema complesso in se stesso e che coinvolge sofferenze grandi, degne di rispetto. Però il problema esiste e richiede una riflessione seria. E non c’è dubbio che la Chiesa viene sollecitata, da questa come da tante situazioni difficili che si presentano sulla scena, ad affrontare la questione; e, credo, sempre con la medesima prospettiva: “Che cosa chiede il Signore a chi scopre in sé tendenze omosessuali? E che cosa chiede il Signore a noi di fronte alle persone che vivono queste tendenze?”. Il problema è ancora più urgente perché i mezzi di comunicazione, che non sono abituati a fare riflessioni lunghe e misurate, hanno presentato, mi sembra, la Chiesa come “nemica” degli omosessuali. In realtà la Chiesa può sì essere “ferma” o “rigida” nell’affermazione di principi o leggi, ma è sempre “nulli inimica omnibus mater”. La Chiesa non conosce persone che essa veda e giudichi come nemiche; e nei confronti di tutti la Chiesa è madre. A questa maternità la Chiesa non può rinunciare nei confronti di nessuno tanto meno nei confronti di coloro che vivono situazioni di difficoltà e di sofferenza. Accogliere è giustificare? Ma questo è cosa diversa dall’affermare che i rapporti sessuali omosessuali sono leciti e santi. In realtà è questo il pomo della discordia. È verissimo che dobbiamo accettare tutti, accogliere tutti. Dunque, se una persona è omosessuale dobbiamo accettarla nella sua identità. Ma questo significa anche accettare e approvare tutte le scelte che compie? Evidentemente no. Ma non solo nei confronti degli omosessuali. Anche nei confronti di eterosessuali che vanno con le prostitute, o che non vivono la fedeltà, o che “fanno sesso”, come si dice con una bruttissima espressione, fuori del matrimonio. Capisco bene che la morale sessuale cristiana va contro quello che la società contemporanea dice e fa a proposito del sesso; ma è un buon motivo, questo, per cambiare la morale? Non sarebbe anche questa una forma di ipocrisia? Il corpo, tempio dello Spirito Quando san Paolo scriveva la lettera ai Corinzi aveva di fronte a sé una comunità cristiana che viveva in un ambiente quant’altri mai pagano. Corinto, città che gravita su due porti ed è attraversata da ampi movimenti commerciali, è una città dove la corruzione sessuale ha una diffusione enorme. Sull’Acrocorinto, nel tempio di Afrodite, stazionano un migliaio di prostitute, un numero notevole per quello che Corinto doveva essere allora. Eppure san Paolo non ha paura a esporre le esigenze della vita cristiana in modo radicale. Ascoltiamo: «il corpo non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo... Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?… O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (1 Corinzi 6, 13b.15a.19-20). Amore, impegno irrevocabile La posizione della Chiesa scaturisce, logicamente, da una posizione generale sulla sessualità. Nella concezione della Chiesa i rapporti sessuali hanno il loro pieno significato – e quindi sono non solo leciti, ma positivamente buoni – all’interno del matrimonio e rimanendo in sé aperti alla procreazione. Da qui viene necessaria non solo la proibizione dei rapporti sessuali tra omosessuali ma di ogni rapporto sessuale al di fuori del matrimonio. Il motivo è che, nella visione cristiana, la sessualità ha la sua collocazione corretta nel contesto di un impegno totale e irrevocabile di amore nei confronti del partner. Quando non si ha l’intenzione (o la possibilità) di assumere questo impegno (nei rapporti occasionali o, in ogni modo, non riferiti al matrimonio) la sessualità è privata del suo significato e diventa incoerente con la propria appartenenza a Cristo. Quando, poi, l’impegno totale e irrevocabile, pur considerato seriamente in prospettiva ravvicinata, non esiste ancora (rapporti prematrimoniali) il significato della sessualità si trova “diminuito” e, in quanto tale, incapace di contribuire alla maturazione cristiana della persona. Non si può dividere l’uomo a metà Supponiamo di affermare che i rapporti sessuali tra omosessuali sono leciti; che cosa ne viene come conseguenza? La prima è che la sessualità viene staccata dalla dimensione biologica che la sottende. Quali conseguenze questa dimensione biologica abbia nella formazione globale della persona umana sarebbe cosa importante su cui riflettere, ma non possiamo farlo ora. In ogni modo la sessualità ha questa base. Dobbiamo dire che è irrilevante? Che la sessualità non ha nulla a che fare con gli organi sessuali e con la funzione della riproduzione? Certo, la sessualità non è solo questo; ma non è senza questo. Se questa base biologica viene proclamata irrilevante, non solo si ammetteranno i rapporti omosessuali, ma anche qualunque espressione della sessualità; unico eventuale limite diventerà il non fare violenza a un altro non consenziente. Ma, in questo modo, la sessualità diventa, in sé, moralmente irrilevante. Conseguenza inevitabile è che essa scompare dall’ambito delle esperienze dove si costruisce la maturità della persona e la santità del cristiano. Possiamo dire che questa concezione della sessualità corrisponde a un’antropologia cristiana? Non si va, piuttosto, verso un’irrilevanza della dimensione corporea per affermare l’unicità (l’unicità, non solo la rilevanza) e l’autonomia della dimensione psichica, affettiva ed emotiva? Siamo disposti ad accettare una persona così? Che può negare o rifiutare la sua realtà fisica se mentalmente lo vuole? Legge naturale e diritti dell’uomo Mi sembra di vedere in questo uno di quei passi che la nostra società sta facendo e che finiscono per rendere insignificante la sessualità. È vero che di sesso si parla sempre e ovunque. Però, da una parte il sesso viene separato dall’amore, quasi che l’amore sia un’esigenza troppo grave per il sesso. Si è tornati, così, a quella concezione pagana della sessualità per cui questa viene vista semplicemente come una funzione fisiologica, senza coinvolgimento effettivo della persona; come dicevano i Corinzi: «I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!» (1 Cor 6, 13a). Sembra a molti che questa separazione tra sesso e amore abbia segnato una liberazione della sessualità; a me sembra piuttosto che l’abbia impoverita, privata di autentico significato umano. Dall’altra parte si vorrebbe separare la sessualità dalla sua base biologica, quasi che la sessualità possa essere riplasmata a piacere secondo l’inclinazione psichica della persona. Il modo in cui questo viene ottenuto appare irrilevante di fronte al diritto di esercitare la propria sessualità. È un’antropologia cristiana, questa? Riusciamo a immaginare quale tipo di società creiamo se togliamo la significatività anche della base biologica della persona? Si può polemizzare con il concetto di “legge naturale”. D’accordo, se il termine “natura” viene inteso in senso essenzialistico, senza attenzione alla dimensione storica della persona. Ma esistono “diritti umani”? e su che cosa si fondano se non su una “natura”, comunque questa vada intesa? La negazione della “natura” dell’uomo è un boomerang temibile. La si nega per affermare maggiori spazi di libertà.Ma poi ci si trova con maggiori pericoli di manipolazione. Alla fine chi ci rimette è sempre la persona. Perché il celibato All’origine dell’omosessualità sta la difficoltà di accettare il diverso. È su questo che si deve riflettere per cercare di capire e di costruire quel cammino di santificazione che è la chiamata di ogni cristiano. Ogni battezzato, quali che siano le tendenze che scopre in se stesso, è chiamato a vivere in pienezza la vocazione cristiana, la santità. Questo significa che c’è un disegno concreto di Dio su ogni persona, un disegno che ciascuno deve interpretare e portare a compimento. Che cosa il Signore mi chiede? Credo che la risposta debba essere data da coloro che vivono questa condizione, ma partendo da quella base che è il messaggio della Rivelazione e l’interpretazione della Chiesa. Qualcuno vede una contraddizione nel fatto che, da una parte, la Chiesa riconosce la piena dignità della persona che abbia tendenze omosessuali e dall’altra condanna il comportamento omosessuale. Come è possibile – si dice – che sia considerata peccato l’attuazione di una tendenza che in sé, invece, non è tale? E ancora: se la persona omosessuale non può porre comportamenti che rispondano alla sua tendenza finirà per dover rimanere celibe; e come potrà farlo se non ha il “carisma” del celibato? Si può pretendere un sacrificio di questo genere da una persona? In realtà, mi sembra che la contraddizione non sia realmente tale: ogni uomo vive dentro di sé una tendenza all’egoismo; ed è vero che questa tendenza diventa peccato quando la tendenza diventa atto libero, cioè decisione di egoismo consapevole. Questo non ha nulla a che fare con il riconoscimento sincero della dignità e del valore della persona. La dignità della persona non dipende dalle sue tendenze, ma dall’essere voluta e amata e chiamata da Dio; e dal diritto di essere accettata, amata e rispettata dagli altri. Quanto al celibato come “obbligo per tutti” vorrei che questo obbligo non fosse notato solo nel caso degli omosessuali. La Chiesa considera il celibato obbligatorio prima del matrimonio (e se qualcuno non trova la persona con cui condividere tutta la vita? Succede anche questo e nella fattispecie la persona è chiamata a un celibato “non carismatico”), fuori del matrimonio (anche se a molti oggi questo pare impossibile), dopo il matrimonio (nello stato di vedovanza). Che questo sia difficile, che in alcuni casi chieda eroismo non ho fatica a riconoscerlo; che le cadute nel campo della sessualità conoscano spesso una diminuzione di responsabilità a causa del difficile “dominio di sé”, pure. Queste sono considerazioni preziosissime dal punto di vista della guida spirituale delle persone, ma non mutano un giudizio morale sugli atti. Omosessuali e vita cristiana Torniamo all’interrogativo iniziale: “quale cammino di vocazione cristiana viene chiesto a una persona omosessuale?” La prima risposta, è chiaro, vale per tutti: il Signore chiede a ogni persona la santità che consiste nella pienezza dell’amore. D’altra parte la decisione di amare consiste nel volere la vita, il bene, la pienezza di vita degli altri secondo le condizioni concrete dell’esistenza. L’amore può chiedere di rinunciare alla propria autosufficienza per costruire un progetto di coppia con un’altra persona. Ma può accadere che un amore autentico richieda di rinunciare a costruire la vita con un’altra persona; questo succede più spesso di quanto si creda e il caso degli omosessuali è solo uno dei tanti casi del genere. Nella concezione cristiana l’eros è una forza da orientare, non un dio cui debba essere sacrificata ogni cosa. † Luciano Monari, vescovo