Omelia nelle Sacre Ordinazioni 9 GIUGNO 1968 La S. Chiesa Reggiana si allieta di tre nuovi ministri di Cristo e servi del Popolo di Dio, e di sette giovani Suddiaconi, che hanno compiuto un passo decisivo nel loro cammino verso il sacerdozio. L'ordinazione presbiterale, che richiama tutta la nostra attenzione, con una configurazione misteriosa ma non meno reale, ha irreversibilmente conformato questi nostri confratelli a Cristo Sacerdote e Capo, li ha insigniti di poteri eccelsi, li ha impegnati a doveri tremendi, e li ha avvalorati con una grazia potente, che, se accolta e corrisposta, li può rendere degni di quei poteri e pari a quei doveri. Essi devono apparire come una presenza di Cristo, per virtù del quale si aduna e si edifica la chiesa, una, santa, cattolica e apostolica; di conseguenza dovranno rivivere il più fedelmente possibile la sua condizione terrestre. Come Lui, dimoreranno in mezzo agli altri uomini come in mezzo a fratelli, si inseriranno nel loro contesto sociologico e culturale, ne assumeranno l'interiore clima psicologico che li porterà a piangere con chi piange, a godere con chi gode, a farsi tutto a tutti per guadagnare l’anima di tutti. Tuttavia l'immersione del sacerdote tra gli uomini, appunto per rispecchiare quella di Cristo, è ben lontana dall'accettare un conformismo totale con il mondo; al contrario esigerà, non solo un forte anticonformismo a tutto ciò che è peccato, o al peccato in qualche modo prepara e conduce, ma anche a molte cose, lecite e convenienti allo stato laicale dei fedeli. Il Concilio parla chiaro a questo proposito: viventi nel seno stesso del Popolo di Dio, i sacerdoti non devono separarsi da esso ma differenziarsene. E ne dà la ragione con profonde parole: «Non potranno essere ministri di Cristo, se non saranno testimoni e dispensatori di una vita diversa da quella terrena». In questa memoranda espressione, che voi, sacerdoti novelli, non dovrete mai dimenticare in nessun giorno della vostra vita, potete sentire urgente l'appello ai tre gravi e solenni impegni che faranno di voi, immersi nel mondo, gli uomini diversi dal mondo e anticonformisti dell'anticonformismo di Cristo: l’ubbidienza al Vescovo e alla Chiesa, il sacro celilbato, lo spirito di povertà. 1) Dovrete obbedire al Vescovo e alla Chiesa perchè il vostro Sacerdozio ministeriale, come emerge da tutto il rito dell'ordinazione, promana dal Vescovo e a lui vi lega. Si tratta di un'obbedienza che condanna ogni separazione e ogni individualismo; obbedienza che non è solo disciplinare, perchè esprime la comunione gerarchica; comunione con il Vescovo nel portare la responsabilità di tutta la diocesi. Il consacrante di S. Giovanni Crisostomo, dopo averlo consacrato, gli diede questa consegna: «Tu sarai il mio occhio, la mia mano, la mia bocca». Sarai l'occhio del Vescovo: perchè conoscerai una ad una le pecore di quella porzione di gregge alla quale ti manda, le conoscerai nei loro bisogni e nei loro pericoli, per soccorrerle, per illuminarle, per difenderle, per guidare ciascuna secondo la propria vocazione, in nome e al posto del Vescovo. Sarai la lunga mano del Vescovo: perchè nella tua mano, che fa il gesto del perdono, che solleva l'ostia consacrata, che battezza, che unge l'infermo, che distribuisce la carità, benedice l’amore, il lavoro, i fanciulli, sarà presente la mano del Vescovo. Sarai la bocca del Vescovo: perchè con la tua bocca egli annuncerà la parola di salvezza di cui è autentico, trasmettitore. E tu preparerai la predicazione con lungo studio, con amorosa riflessione e ardente preghiera, evitando la verbosità vacua, memore che un discorso, anche forbito, ma senza pensiero vissuto, e sofferto, è come una vita elegante senza ideale. 2) Dovrete vivere in verginità consacrata. Ecco la voce di Paolo VI: «La vocazione sacerdotale, benché divina nella sua ispirazione, non diventa definitiva e operante senza il collaudo e l'accettazione di chi nella chiesa ha la responsabilità del ministero ecclesiale: spetta quindi all'autorità della chiesa stabilire, secondo i tempi e i luoghi, quali debbano essere in concreto gli uomini e quali i requisiti, perché possano ritenersi adatti al servizio religioso e pastorale della chiesa medesima». E la chiesa nella persona ,del suo capo visibile stabilisce «che la vigente legge del sacro celibato debba ancora oggi, e fermamente, accompagnarsi al ministero ecclesiastico» (Enc. Celibato Sacer. 14-15) . La vostra vita illibata risplenda come un giglio alto sullo stelo nella luce del sole, e non getti mai un'ombra che incrini la fiducia degli amici, o che fornisca un pretesto al sospetto dei nemici. 3) Dovrete infine manifestare lo spirito di povertà. E lo spirito di povertà, quando è scompagnato da una dignitosa povertà effettiva, è per lo più un'illusione. Lo spirito di povertà rispetta i beni del mondo e non fa processo iroso a chi li possiede, perchè vengono da Dio e sono per il bene di tutti gli uomini; ma induce, per proprio conto, a distaccarsene sempre più completamente. La testimonianza che tutti aspettano dal sacerdote non è quella di una povertà esaltata a parole o imposta come un dovere agli altri; ma la povertà personalmente vissuta, praticata, amata. Per un prete non basta essere distaccato dai beni di questo mondo nella misura richiesta ad ogni laico cristiano, ma si richiede una misura più grande. Il Concilio dice anche che «un sacerdote non ha mai il diritto di arricchirsi con quello che ha ricevuto attraverso il suo ministero», perché così facendo peccherebbe contro il sacerdozio. Dice inoltre che si deve evitare «tutto quello che sarebbe scandalo per gli uomini, specialmente per i poveri». E bisogna evitarlo negli abiti, nella casa, nei mezzi di trasporto, negli svaghi, nelle vacanze. Il Concilio infine richiama ad ogni sacerdote l'obbligo - non è dunque solo un consiglio - di essere e di apparire disinteressati. In due 'modi vi raccomando di coltivare lo spirito di povertà: facendo scorrere il superfluo, perchè il superfluo è il necessario del povero; poi, comprimendo il proprio bisogno, alleggerendolo da tutte le pretese, ingrandite o inutili o indebite della natura egoistica, per aumentare il superfluo da distribuire. Se Pietro non fosse stato un sacerdote povero, quale sventura sarebbe stata per lo storpio che egli ha incontrato sulla porta del tempio! Gli avrebbe dato poche o molte monete, forse gli avrebbe acceso in cuore l'invidia verso i borghesi e l'ansia di essere come uno di loro. E così l'avrebbe lasciato storpio e non l'avrebbe reso felice. Invece, proprio perché non aveva né oro né argento, ha potuto dirgli: «Io ti dono ciò che ho; in nome di Gesù Cristo Nazzareno, alzati e cammina». Cari sacerdoti novelli, la vostra responsabile obbedienza, la vostra consapevole verginità, la vostra sofferta e amata povertà siano per il mondo una testimonianza della vita futura che in voi, è già cominciata. Possa ciascuno di voi, nei giorni del suo sacerdozio, ripetere la parola di Pietro a ogni uomo che incontrerà sul suo cammino». Io ti dono ciò che ho: non oro, non argento, ma la virtù salvatrice di Gesù Cristo Nazzareno: nel Suo nome, alzati e cammina. Cammina nella vita nuova e diversa, di cui sono per te testimone e dispensatore. Ed ora, andate: l'ora della chiesa è importante e grave. La Chiesa vi attende. Gli uomini, vicini o lontani, vi aspettano, ed hanno, inconsapevolmente o no, bisogno di voi. Voi non potete rimandarli digiuni: hanno fame e sete di Dio; hanno bisogno della Sua parola e del suo pane che salva. E voi gliela darete con l'insegnamento e la vita. Andate: come servi e non come padroni; come amici e non come dominatori; come ministri di Cristo e dispensatori dei Suoi misteri. Andate, e Dio benedica le vostre famiglie che vi hanno aiutato a questa scelta e a questa donazione, e conforti coloro che vi hanno preparato a compierla. Andate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.