Guida al colloquio del nuovo Esame di stato © Edizioni Bruno Mondadori 1999 P 8. LE CULTURE DELL’UTOPIA La parola “utopia” in greco antico significava “non luogo”, cioè “luogo inesistente”. Nella cultura occidentale “utopia” ha assunto il significato di modello ideale e perfetto di comunità politica, da cui è poi derivata anche l’accezione spregiativa di progetto politico astratto e irrealizzabile. Dalla Repubblica di Platone-che per primo utilizzò il termine per caratterizzare un progetto politico-passando per Utopia (1516) di Thomas More-padre del nuovo significato assunto dalla parola in epoca moderna-fino a Eros e civiltà (1955) di Herbert Marcuse (1898-1979), la teorizzazione utopica e l’impegno pratico per la realizzazione dell’utopia sono stati tratti costanti e peculiari della civiltà occidentale. UNA CLASSIFICAZIONE CONTEMPORANEO DELLE UTOPIE NEL PENSIERO Caratteristica specifica dell’utopia nell’età contemporanea è il suo riferimento privilegiato alla rivoluzione industriale e allo sviluppo tecnico-scientifico. A seconda di come tale riferimento viene concepito è possibile distinguere tre generi di utopismo: 1.l’utopia regressiva, che rifiuta la civiltà industriale e persegue il ritorno a modelli economico-sociali preindustriali; 2.l’utopia tecnocratica, che esalta l’industrializzazione, ne assolutizza valori e criteri e ne progetta uno sviluppo totale nell’immediato futuro; 3.l’utopia rivoluzionaria, che accetta l’industrializzazione ma in modo critico, cioè denunciandone difetti e limiti, e ne progetta una versione alternativa da attuarsi attraverso un cambiamento rivoluzionario. 1. L’utopia regressiva Le origini dell’utopia regressiva sono riconducibili, da un lato, alla teoria dello stato di natura di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), dall’altro all’idealizzazione della civiltà medioevale del primo romanticismo. La storia Nell’ambito dell’utopia politica del primo Ottocento, Charles Fourier (1772-1837) si distingue per la radicalità del suo rifiuto della rivoluzione industriale. Egli accusa infatti la società industriale di essere un mondo alla rovescia, generatore di crisi economiche, miseria, disoccupazione, e ne rigetta lo spirito mercantile improntato all’ipocrisia e alla truffa. Il carattere regressivo del suo progetto utopico è evidente nella sua teorizzazione del ritorno a un’economia di tipo rurale e a un’organizzazione sociale basata su piccole comunità. Nonostante il suo comunitarismo, Fourier respingeva la proprietà collettiva dei mezzi di produzione e il livellamento dei redditi e, pur sostenendo la perfetta parità tra i sessi, prescriveva l’autonomia dei nuclei familiari. Vedi in particolare la Teoria dei quattro movimenti e dei destini generali (1808), dove Fourier sostiene che l’organizzazione comunitaria dei servizi produce risparmio, e quindi maggiore ricchezza, un lavoro più specializzato e addirittura un risanamento ecologico. L’utopia di Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) si differenzia da quella di Fourier per la parziale accettazione di alcune innovazioni dell’industrializzazione. La sua teoria politica parte dalla critica alla proprietà privata, considerata un “furto” non perché in sé Percorso 8 - Le culture dell’utopia 2 ingiusta, ma perché monopolio di pochi e strumento di sfruttamento. Essa dunque non va abolita ma distribuita equamente. A tal fine Proudhon progetta la creazione di un nuovo sistema bancario che pratichi il credito gratuito a lavoratori agricoli e industriali permettendo loro di acquistare in forma associata la proprietà dei mezzi di produzione e di avviare così imprese cooperativistiche. Tali cooperative dovrebbero poi scambiarsi direttamente beni e servizi a prezzo di costo e senza il ricorso alla moneta. Pur non rigettando in modo drastico la civiltà industriale, l’utopia di Proudhon ha un carattere storicamente regressivo in quanto resta legata al modello medioevale di un economia di piccoli produttori basata sul baratto. Vedi l’opera di Proudhon Che cos’è la proprietà (1840), nella quale l’autore sviluppa anche una particolare idea di uguaglianza, intesa come equa distribuzione dei mezzi di produzione a tutti i cittadini. Per quanto riguarda i movimenti politici organizzati dell’Ottocento l’utopia regressiva caratterizza soprattutto il movimento anarchico. È lo stesso Proudhon a esserne uno dei primi teorici nei suoi scritti più politici, dove sostiene la necessità di sostituire lo Stato centralizzato con una federazione di piccole comunità politiche locali sovrane. Proudhon propone anche di smantellare il potere centrale riducendone radicalmente le competenze e subordinando ogni sua decisione alla ratifica dei poteri locali (Del principio federativo, 1863). Il principale esponente del movimento politico anarchico è però Michail Aleksandrovic Bakunin (1814-1876). Bakunin teorizza l’immediata e totale soppressione dello Stato attraverso la ribellione armata del popolo. Il carattere regressivo dell’utopia anarchica di Bakunin si manifesta nel suo ideale di un comunismo agricolo, nel suo rigetto non solo di qualsiasi forma di ordinamento statale ma anche di una organizzazione strutturata del movimento rivoluzionario, nella sua individuazione del soggetto rivoluzionario non nella classe operaia bensì in quella contadina. Il modello insurrezionale di Bakunin rimane quello della jacquerie (da Jacques Bonhomme, nomignolo del contadino francese), cioè della rivolta contadina spontanea e disorganizzata tipica dell’età medioevale e moderna. Vedi sul libro di storia: -lo scontro tra Bakunin e Marx nella Prima internazionale e la nascita dell’Internazionale anarchica (1872); -le origini dell’anarchismo italiano-dall’insurrezione della Lunigiana (1893) alla fondazione dell’Usi (1912); -la guerra civile spagnola, dove gli anarchici giocarono un ruolo di rilievo (1936-1939). La filosofia Spunti utopici significativi si ritrovano nella prima fase della riflessione politica di Johann Gottlieb Fichte (1762-1814), che in questo senso fa da ponte tra l’utopia illuministico-settecentesca e quella romantica e positivista ottocentesca. Sulla base della sua affermazione del primato della morale e della libertà individuale, Fichte sostiene che lo Stato è un contratto finalizzato all’educazione alla libertà. In questo senso esso va concepito come uno strumento destinato a esaurirsi progressivamente proprio nel corso dello svolgimento del proprio compito. È Fichte dunque che introduce nella filosofia politica dell’Ottocento la tesi “utopica” – che sarà poi tipica del movimento anarchico – dell’estinzione dello Stato, sebbene egli ne attenui la radicalità presentandola come una meta ideale. In questo senso la prima teorizzazione politica di Fichte assume una valenza regressiva, dal momento che l’assenza, o la scarsa presenza, dello Stato, sul piano storico non sono connotati della modernità bensì della civiltà feudale. Guida al colloquio del nuovo Esame di stato © Edizioni Bruno Mondadori 1999 Percorso 8 - Le culture dell’utopia 3 Vedi in particolare di Fichte le Lezioni sulla missione del dotto (1794), opera nella quale, sulla base della sua concezione etica, teorizza il dovere per gli intellettuali di porsi alla guida del movimento di rinascita nazionale della Germania. L’arte Nel campo delle arti figurative, un’ispirazione utopica di tipo regressivo è presente nel movimento “preraffaellita”, un movimento artistico inglese che ebbe un carattere di reazione al materialismo della società industriale e allo sfruttamento delle classi povere, assumendo toni di aperta polemica sociale. Il movimento preraffaellita si costituì formalmente nel 1848 con William Holman Hunt (1827-1910), John Everett Millais (1829-1896) e Dante Gabriel Rossetti (1828-1882), figlio di un esule mazziniano. L’ideale in base al quale i preraffaelliti rifiutavano l’industrializzazione-e che, al tempo stesso, era il loro obiettivo utopico – era quello di una civiltà spirituale il cui modello storico era da loro identificato nella civiltà medievale. Sul piano formale, la poetica dei preraffaelliti si traduceva nel ritorno ai “primitivi”, ai pittori anteriori a Raffaello, accusato di aver intellettualizzato l’arte. Vedi per esempio sul libro di storia dell’arte il quadro di Dante Gabriel Rossetti Il prato di Bower (1874), nel quale il pittore esprime la sua concezione utopica di una società spirituale attraverso la bellezza, la grazia e la serenità di alcune figure femminili che suonano e danzano immerse nella natura. Un’ispirazione utopica regressiva è presente anche nei dipinti del “periodo polinesiano” di Paul Gauguin (1848-1903), esponente del simbolismo cosiddetto “misticheggiante”. La natura e la società delle isole polinesiane rappresentano in Gauguin l’alternativa positiva alla società industriale e di massa, il luogo dove ritrovare la condizione di autenticità e di ingenuità primitive, proprie della natura umana originaria, assumendo la stessa funzione che la civiltà medioevale aveva per i preraffaelliti. Gauguin dipinge quel “buon selvaggio” che, un secolo prima, aveva ispirato l’utopia politica di Rousseau. Vedi, per esempio, Maternità (1896), uno dei dipinti in cui Gauguin rappresenta il senso di innocenza e di integrità morale della società polinesiana. 2. L’utopia tecnocratica L’utopia tecnocratica ha il suo terreno di coltura nel positivismo, che nasce nei primi decenni dell’Ottocento, si diffonde in tutti i Paesi europei, influenzando ogni ambito della cultura, per raggiungere il suo culmine tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, quando esercita una profonda egemonia culturale esprimendo la definitiva conquista del potere economico e politico da parte della borghesia industriale e finanziaria. La storia L’utopia tecnocratica è strettamente legata allo sviluppo del sistema industriale e alla sua sempre maggiore influenza sul sistema politico. Dopo il fallimento della rivoluzione europea del 1848, l’Europa vive un periodo di crescita economica quasi ininterrotta all’insegna di una industrializzazione sempre più intensa e diffusa. A partire dall’ancora gracile settore tessile del primo Ottocento, il sistema industriale si allarga alla siderurgia e alla meccanica – con l’impetuoso sviluppo della rete ferroviaria – per poi estendersi ulteriormente con la nascita delle industrie dell’acciaio, dell’elettromeccanica e della chimica e raggiungere così il proprio culmine con la seconda rivoluzione industriale tra Guida al colloquio del nuovo Esame di stato © Edizioni Bruno Mondadori 1999 Percorso 8 - Le culture dell’utopia 4 la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Ma lo sviluppo industriale provocò anche la crescita numerica e una maggiore concentrazione della classe operaia, fatti che si tradussero nel potenziamento dell’organizzazione sindacale e nell’aumento della conflittualità sociale e politica. In questo modo, l’industrializzazione sconvolse gli equilibri politici tradizionali aprendo un’epoca caratterizzata da una forte instabilità nella situazione politica interna degli Stati europei. In tale quadro la classe dirigente liberale elaborò e cercò di attuare un progetto di integrazione subalterna della classe operaia in nome dello sviluppo della società industriale. Vedi sul manuale di storia lo svilupparsi della seconda rivoluzione industriale, la crisi istituzionale italiana di fine secolo, l’età giolittiana. In particolare si analizzino le politiche protezionistiche che favorirono nel primo Novecento lo sviluppo industriale italiano. La filosofia In ambito filosofico l’esigenza di un nuovo modello di integrazione sociale centrato sul primato della cultura industriale-cioè della scienza e della tecnica-si espresse già nella prima metà dell’Ottocento nell’utopia politica di August Comte (1798-1857). Comte elabora una versione attualizzata dello Stato ideale di Platone all’insegna dell’ordine gerarchico, del primato della morale sulla politica e soprattutto dell’attribuzione del potere di governo ai nuovi filosofi-scienziati. La tesi platonica del filosofo – re è rifondata da Comte proprio sulla questione sociale: la “missione caratteristica” dei filosofi è infatti per lui quella di garantire il soddisfacimento delle giuste rivendicazioni del proletariato industriale e in questo modo di assicurare la fattiva collaborazione tra imprenditori e operai. Altro compito decisivo del filosofo-governante, anch’esso di stampo platonico e con evidenti finalità di integrazione sociale, è l’“educazione positiva”, cioè una “grande pedagogia universale della moralità”. Per quanto Comte si ispiri filosoficamente al modello platonico e storicamente alla civiltà medioevale-prototipo di un’epoca “organica”, cioè di una società integrata-la sua utopia non ha un carattere regressivo ma è invece l’anticipazione teorica del progetto della borghesia ottocentesca di neutralizzare politicamente il conflitto sociale, per allontanare il rischio di una rivoluzione socialista, facendo leva sul progresso dell’economia, della scienza e della tecnica. Vedi come, nel Corso di filosofia positiva (1830-1842) di Comte, appaia evidente il carattere utopico della sua teoria politica. Essa, infatti, si pone l’obiettivo di realizzare una società “armonica”, cioè senza lotta di classe e senza conflittualità, e di fondare i principi dello Stato sulla moralità positiva. L’arte Il movimento artistico più legato ai valori dell’utopia tecnocratica è senza dubbio il futurismo, che nasce in Italia nel secondo decennio del Novecento, avendo in Umberto Boccioni (1882-1916), Giacomo Balla (1871-1958) e Carlo Carrà (1881-1966), i suoi principali esponenti. Il movimento futurista si contrappone in modo apertamente polemico all’arte tradizionale, sostenendo l’esigenza di un rinnovamento radicale dei contenuti e dei linguaggi artistici. Tale esigenza di rinnovamento è esplicitamente motivata dalla necessità che anche l’arte partecipi al più generale sviluppo economico e tecnologico della civiltà moderna. In questa prospettiva, i futuristi assumono a oggetto delle proprie opere gli aspetti emblematici della civiltà industriale e, sul piano formale, Guida al colloquio del nuovo Esame di stato © Edizioni Bruno Mondadori 1999 Percorso 8 - Le culture dell’utopia 5 rompono con i tradizionali canoni naturalistici nel tentativo di rappresentare il movimento e la velocità come caratteri essenziali della realtà. Vedi le opere Umberto Boccioni Officine a Porta Romana (1908), in cui l’artista rappresenta la nuova realtà urbana delle fabbriche, La città che sale (1910-11) in cui la città industriale è rappresentata attraverso il dinamismo della sua crescita. La letteratura Il futurismo si espresse anche in campo letterario. Anzi, fu proprio ad opera dello scrittore e poeta Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) che nacque ufficialmente ed elaborò il suo primo manifesto programmatico. Marinetti sostenne che la poesia non doveva più cantare il mondo naturale bensì il nuovo mondo artificiale e tecnologico creato dallo sviluppo industriale. In particolare per Marinetti i riferimenti privilegiati della poesia dovevano diventare le macchine, di cui il poeta doveva saper rappresentare soprattutto la velocità, vera essenza della civiltà industriale. Vedi il Manifesto del futurismo (1909), in cui Marinetti espone la poetica del futurismo e il Bombardamento di Adrianopoli (1914), emblematico esempio dello sperimentalismo linguistico di Marinetti. 3. L’utopia rivoluzionaria L’utopia rivoluzionaria ha le sue radici teoriche nel Rousseau del Contratto sociale e quelle pratiche nella nascita e nell’organizzazione del movimento operaio europeo. Senza rifiutare l’industrializzazione, ne critica i difetti e ne progetta un modello alternativo seguendo due direzioni: in una prima fase quella spontaneista e comunitaria, in seguito quella organizzata e politica. La storia L’elaborazione di un modello alternativo di società industriale di stampo comunitario si deve a Robert Owen (1771-1858). Operaio e imprenditore tessile, Owen critica l’industrializzazione soprattutto da un punto di vista etico e pedagogico: la concorrenza sfrenata e la degradazione fisica e morale conseguente ai bassi salari sono infatti per lui causa dello sviluppo di personalità aggressive e antisociali. Senza rifiutare la tecnica e l’industria, ma anzi valorizzandole, Owen tentò due esperimenti di comunità industriali improntate a criteri socialisti: il primo nel suo opificio di New Lanark (Scozia) e il secondo con la fondazione nell’Indiana (Usa) di New Harmony. Abolizione della proprietà privata, abbondanza della produzione e distribuzione dei prodotti in base alle necessità avrebbero dovuto eliminare egoismi e conflitti ma entrambi i tentativi fallirono. Vedi il Libro sul nuovo mondo morale (1836-44) di Owen, opera nella quale emergono i temi forti dell’utopia rivoluzionaria ottocentesca: l’aumento della produzione e della ricchezza, la salubrità e la piacevolezza del lavoro, la distribuzione del prodotto a tutti in proporzione alle necessità di ognuno. L’esempio storico più emblematico dell’utopia rivoluzionaria è però quello della Rivoluzione d’ottobre. La prima fase della grande rivoluzione russa si svolge infatti all’insegna dell’utopia grazie sia al retroterra teorico offerto dagli aspetti utopici dell’opera di Marx sia all’apporto di altre componenti politiche (socialrivoluzionari e anarchici) le cui tradizioni teoriche erano decisamente utopistiche. All’ispirazione Guida al colloquio del nuovo Esame di stato © Edizioni Bruno Mondadori 1999 Percorso 8 - Le culture dell’utopia 6 utopica sono riconducibili alcune decisione rivoluzionarie quali, innanzitutto, il potere attribuito ai soviet (i consigli contadini e operai), la formazione delle comuni agricole volontarie (kolchoz) e la gestione all’insegna dell’egualitarismo delle industrie e delle banche nazionalizzate. Sul piano dei diritti umani e dei valori individuali, è questa la fase in cui è più forte la tendenza, tipicamente utopica, all’abolizione della famiglia e all’instaurazione del cosiddetto libero amore. Vedi, a questo proposito, il saggio di Massimo Salvadori, Storia del pensiero comunista. Da Lenin alla crisi dell’internazionalismo (1984), dove l’autore interpreta la prima fase del governo bolscevico proprio sulla base della tensione, destinata a trasformarsi in contraddizione, tra utopia di autogestione e realismo autoritario. La filosofia Karl Marx è giustamente considerato il fondatore del socialismo “scientifico” in contrapposizione alle utopie socialiste del primo Ottocento. Marx infatti con la sua opera volle dimostrare scientificamente che le contraddizioni strutturali della società capitalistico-borghese ne avrebbero determinato ineluttabilmente la fine. Il socialismo, per Marx, non era un solo un ideale etico ma un progetto politico realistico fondato sulla dinamica oggettiva dello sviluppo storico. Sulla base di questi presupposti teorici, Marx inoltre si impegnò attivamente nell’organizzazione di un movimento politico socialista che avesse come scopi la rivoluzione proletaria e la presa del potere. Nonostante l’impegno concreto di Marx nell’azione rivoluzionaria il suo pensiero è fortemente venato di tratti utopici. Ciò é particolarmente evidente quando si propone di prefigurare i tratti della futura società comunista: eliminazione dello Stato; eliminazione della divisione del lavoro, compresa quella tra lavoro manuale e lavoro intellettuale; sovrabbondanza di ricchezza materiale per tutta la società. Il culmine dell’utopismo marxiano è rappresentato dalla famosa sentenza nella quale Marx enunciò il principio fondamentale della futura società comunista: “Ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”. Vedi in particolare di Karl Marx e Fredrich Engels, il Manifesto del partito comunista (1848), in cui gli autori teorizzano l’estinzione dello Stato, differenziandosi però dagli anarchici perché lo considerano un obiettivo non raggiungibile immediatamente, ma solo dopo una lunga fase di “dittatura del proletariato”. Vedi inoltre di Marx, l’opera Critica del programma di Gotha (1875), in cui la futura società comunista viene caratterizzata con tratti tipicamente utopici. L’arte Nell’ambito delle arti figurative, le istanze dell’utopia rivoluzionaria sono presenti in uno dei principali movimenti dell’avanguardia novecentesca, quello del surrealismo, nato ufficialmente nel 1924 con il Manifeste du surréalisme di André Breton (1896-1966) e di cui fecero parte, tra gli altri, Max Ernst (1891-1976), Juan Miró (1893-1983), Salvador Dalí (1904-1989), René Magritte (1898-1967). L’istanza politica rivoluzionaria, esplicitamente dichiarata, è coniugata dai surrealisti con la psicanalisi di Freud. Alla rivoluzione sociale deve essere infatti affiancata, secondo loro, una liberazione individuale basata sulla scoperta e la valorizzazione dell’inconscio. Per questo l’obiettivo dell’arte surrealista è esprimere il sogno, la follia, gli stati allucinatori. Essi sono altrettante spie della “surrealtà”, l’altra dimensione del Guida al colloquio del nuovo Esame di stato © Edizioni Bruno Mondadori 1999 Percorso 8 - Le culture dell’utopia 7 reale che bisogna sostituire alla “normalità” della realtà borghese, e che costituisce appunto la rappresentazione artistica dell’utopia politica rivoluzionaria. Vedi il primo (1924) e il secondo (1930) Manifesto del surrealismo, in cui sono esposti i principi programmatici del movimento e inoltre il quadro L’occhio del silenzio (1943) di Max Ernst, uno degli esempi più significativi di rappresentazione pittorica della “surrealtà”. Guida al colloquio del nuovo Esame di stato © Edizioni Bruno Mondadori 1999