METODO UROD E TERAPIA CON NALTREXONE: ANALISI CRITICA E INDICAZIONI PER UNO STUDIO DI EFFICACIA di Maurizio Fea, Psichiatra Dirigente del Servizio Tossicodipendenze USSL 42 Pavia L’autore prende brevemente in rassegna la letteratura italiana e nordamericana sui trattamenti con Naltrexone, facenco un’analisi del razionale e delle modalita’ di utilizzo del farmaco, considerando le caratteristiche di rafforzamento del locus esterno di controllo e quindi di maggior difficolta’ a raggiungere uno stato di sobrieta’. Analizza le caratteristiche degli studi di efficacia nei trattamenti di Disturbi da Sostanze Psicoattive (D.S.P.) e propone quindi le linee di indirizzo che sarebbe opportuno adottare per uno studio efficace del metodo Urod, alla luce delle attuali esperienze dei servizi per le tossicodipendenze, valutando andhe i fattori selettivi che possono privilegiare nella scelta del metodo Urod, soggetti fobici nei confronti dell’astinenza. Parole chiave: Naltrexone, Disturbo da uso di sostanze, Locus esterno di controllo, Studi di efficacia, Valutazione, Metodo Urod. Il clamore suscitato dalla impropria divulgazione del metodo Urod/Cita per la disintossicazione rapida dagli oppiacei, ritengo che vada ricondotto nelle sedi di discussione scientificamente piu’ appropriate. Percio’ propongo questa lettura critica che prende seppur brevemente in rassegna, due aspetti fondamentali implicati nel metodo in questione. - razionale e modalita’ di utilizzo dei trattamenti con Naltrexone - Caratteristiche degli studi di efficacia nei trattamenti delle D.S.P. I primi studi sugli antagonisti degli oppiacei risalgono al 1915, quando sono stati descritti per la prima volta gli effetti antagonisti della N-allilnorcodeina sulla depressione respiratoria indotta da morfina. La nalorfina e’ stata sintetizzata nel 1940 e nel ‘51 e’ stata documentata la sua efficacia terapeutica nell’intossicazione acuta da morfina nell’uomo. Il naloxone, allilderivato dall’ossimorfone sintetizzato nel 1960, e’ diventato il farmaco di prima scelta nel trattamento dell’intossicazione acuta da agonisti oppiacei. Il naltrexone derivato ciclopropilico sintetizzato nel ‘65 ha elevata potenza antagonista, e’ attivo per via orale ed ha lunga durata d’azione. Il nalmefene, antagonista di ultima generazione (1994) e’ dotato di una migliore capacita’ di legarsi ai recettori oppiacei centrali, ha monire epatotossicita’ dose dipendente, ed e’ stato utilizzato per queste caratteristiche nel trattamento della dipendenza alcoolica. L’azione farmacologica del naltrexone consiste in una inibizione competitiva al livello dei siti recettoriali per gli oppiacei e la sua somministrazione protratta determina un aumento del numero dei recettori di tipo mu, kappa e delta, ed ipersensibilita’ recettoriale nel locus coeruleus. Il pretrattamento con 100 mg. di naltrexone induce un blocco recettoriale superiore al 90% delle risposte soggettive ed oggettive a 25 mg di eroina somministrrata in vena entro 24 ore. Gli effetti neuroendocrini comprendono un aumento significativo dei livelli plasmatici di beta-endorfine, cortisolo e LH, e variazioni di prolattina e testosterone. L’enfasi su questo tipo di studi e’ durata per circa un decennio dal 75 all’85 negli Stati Uniti e dall’85 al 95 in Italia. Radicalmente diversi sono i risultati, per le diverse condizioni politico-sanitarie (valutazione dei costi, organizzazioni per il trattamento degli eroinomani ecc) nelle quali sono state condotte le sperimentazioni. A fronte dei risultati poco soddisfacenti in termini di ritenzione e di esiti del trattamento degli studi americani, abbiamo molti lavori anche se spesso poco corretti dal punto di vista del disegno dello studio in Italia. Risultano indubbiamente superiori sia la ritenzione in trattamento che la durata complessiva degli stessi, ma nulla di esaustivo e soddisfacente sappiamo in termini di esiti rispetto al miglioramento della condizione di tossicodipendenza in follow-up a distanza maggiore di quattro anni in studi controllati. CONSIDERAZIONI NALTREXONE SUL RAZIONALE DEI TRATTAMENTI CON IL FARMACO Sembra concordamente accettato che la decisione di non assumere sostanze da parte del tossicodipendente costituisca solamente uno degli indicatori possibili del processo di guarigione, che non necessariamente corrisponde ad una effettiva capacita’ dello stesso soggetto di mantenere la decisione in presenza di tutti i possibili effetti avversivi del non uso. Nella storia naturale del tossicomane un ruolo importante lo gioca la differenza anche concettuale tra astinente e sobrio. Per Alcolisti Anonimi astinente si riferisce allo stato di astinenza dalla sostanza (alcol) e si contrappone alla condizione di assuntore, mentre sobrio si estende all’idea di un mutato stile di vita, centrato sull’astinenza vissuta in serenita’. La proposta di sobrieta’ del modello A.A. comprende cio’ che occorre per acquisirla e mantenerla in una logica di cambiamento. E’ il percorso di un cambiamento che rimane fortemente ancorato al controllo esercitato dal gruppo, dai suoi valori, che pur essendo fatti propri dal membro, viene comunque garantito dal rispetto interiorizzato dei “passi” fondamentali di A.A. Nel modello di terapia con Naltrexone, il processo di internalizzazione del controllo che dovrebbe facilitare il mantenimento della condizione astinente per orientarlo verso la condizione sobrieta’, raramente si attiva in modo “spontaneo” se non viene accompagnato da un lavoro specifico di spostamento progressivo dal controllo esterno al controllo interno e dall’estinzione graduale delle risposte condizionate apprese con l’uso di un agonista oppiaceo (Rewarding farmacologico ed aspettative operanti). Il farmaco sembra anzi determinare un forte effetto di rinforzo del locus esterno (Rotter) proprio per quei soggetti che piu’ faticosamente riescono a mantenere la condizione di astinente verso la sostanza di abuso primaria, ma non quella di drug-free (non uso di altre sostanze come cannabis, cocaina, alcool, ecc.) e quindi non riusciranno ad essere sobri. Facendo ancora riferimento alle teorie di A.A. ed al modello epistemologico di Bateson, il processo di recupero e’ reso possibile solo dalla ammissione di impotenza di fronte all’alcool o alla droga; l’esperienza della sconfitta non serve solo a convincere l’alcoolista o il tossicodipendente che un cambiamento e’ necessario, ma costituisce il primo passo del cambiamento. Da questo punto di vista l’uso di un farmaco come il Naltrexone, sembra essere contradditorio, proprio per la sua funzione di proteggere dalla ricaduta, rinforzando pero’ la percezione di controllo esterno e non facilitando l’internalizzazione del controllo. In realta’ Naltrexone consente di per se’ solo il mantenimento di una condizione astinente rispetto agli oppiacei, ma non verso altre sostanze d’abuso, con una riserva per quanto riguarda l’alcool (ci sono parecchi studi di cui un paio controllati in cieco con placebo che dimostrano l’efficacia del naltrexone e del nalmefene nel ridurre il consumo o l’uso compulsivo di alcool) e quindi non garantisce una reale condizione drug-free e tantomeno una condizione di sobrieta’. Tuttavia sappiamo che la storia naturale del tossicomane, e’ costituita da un percorso fatto di utilizzo anche se in tempi e modi diversi di molte sostanze additive, che talvolta si consolida in forme di poliabuso cronico. Questa considerazione assume rilevanza non tanto per porci il problema del poliabuso, quanto per ipotizzare attraverso una rilettura della storia naturale del processo di addiction, la descrizione di un modello di guarigione. Se ipotizziamo che il processo di guarigione debba essere messo in relazione a numerose variabili, all’interno del paradigma che la guarigione e’ un processo continuo in una vita ad alto rischio, il fattore “ricaduta” diventa un elemento chiave per leggere questo processo. Percio’ il discorso va spostato dalla questione “naltrexone” alla questione “ricadute”, cercando di comprendere che cosa fa diventare “fallimento” una ricaduta, che lavoro e’ utile fare non solo per proteggere dalle ricadute quanto dalla percezione fallimentare delle ricadute stesse, sia da parte del paziente che da parte del terapeuta. Inevitabilmente questo comporta un cambio di atteggiamento da parte degli operatori, avendo riconosciuto che si opera con un farmaco ad elevato valore simbolico sia per il paziente che per il terpaeuta, e il simbolismo non e’ rappresentato solamente nella relazione terapeutica ma anche in quelle dimensioni psicologiche espresse dal “locus of control” e dal “coping” che costituiscono aspetti rilevanti del lavoro di orientamento nel processo di guarigione. Goodman propone questa definizione secondo la quale con “addiction” non si intende un comportamento specifico, ma un processo all’interno del quale il comportamento che ha la duplice funzione, sia di produrre gratificazione che evitare disagio, viene usato in uno schema caratterizzato da perdite di controllo e continuazione del comportamento, nonostante le conseguenze negative. Se in una certa fase della storia tossicomanica e’ necessario assumere la funzione di controllori esterni delle pulsioni, non va dimenticato che la componente fondamentale del processo di addiction e’ la dipendenza compulsiva da azioni esterne in funzione di regolare stati emotivi interni, percio’ la guarigione, anche in regime di controllo, e’ il risultato dello sviluppo di strumenti sani per gestire sentimenti, soddisfare i propri bisogni e risolvere i conflitti interni. CRITERI PER GLI STUDI DI FOLLOW-UP NELLE D.S.P. Gli studi di valutazione nel campo delle DSP risentono piu’ che in altri settori, della ideologizzazione dei modelli di cura e della aggregazione di interessi in veri e propri gruppi di potere, che condizionano scelte ed investimenti anche nell’area della ricerca. Inoltre agli standard metodologici ormai largamente accettati in ambito di ricerca clinica e sperimentale, il settore delle DSP pone per altro problematiche del tutto particolari. Il modello teorico dello studio prospettico controllato e randomizzato e’ stato raramente applicato per valutrare l’efficacia e l’impatto specifico degli interventi in questo settore ed il piu’ delle volte ha riguardato il confronto tra differenti modalita’ di trattamento farmacologico basato sull’impiego del metadone. Su un piano di validita’ metodologica inferiore si pongono gli studi non formalmente mirati a confrontare direttamente politiche di intervento, ma piuttosto a documentare la evoluzione nel tempo di gruppi di soggetti sottoposti a trattamento. Questi studi, sono per la maggior parte di tipo retrospettivo e soffrono di numerose limitazioni di tipo metodologico e pratico (adeguata valutazione delle modificazioni in corso di trattamento, difficolta’ di reperire informazioni complete, difficolta’ a rintracciare i soggetti usciti dalla osservazione, ecc.). Tuttavia e’ interessante osservare alcuni aspetti che sembrano significativi, nonostante le incertezze metodologiche di cui sopra. Esse valutano le percentuali di “guarigione” mettendo a confronto gli interventi piu’ diffusi: comunita’ terapeutiche - metadone - psicoterapie - disintossicazioni - naltrexone e valutano a distanza da 1 a 15 anni dalla conclusione dei trattamenti la percentuale di astinenza mantenuta ed il grado di integrazione sociale. Gli studi D.A.R.P. cosi’ come i pochissimi studi italiani, riscontrano una percentuale di “guarigione” di circa il 30% dei soggetti per tutti gli interventi confrontati, senza differenze significative, ma con una sottolineatura comune che pone in evidenza la durata temporale del follow-up come elemento critico per valutare gli indicatori di miglioramento/guarigione che risultano significativamente migliori in funzione del tempo. I criteri metodologici rispettati in questi studi rappresentano una sfida di complessita’, pur nel loro limite concettuale. Parlo di limite concettuale perche’ se e’ vero che questo tipo di studi ha permesso di chiarire che non esistono differenze significative tra i diversi tipi di trattamento in funzione dell’esito “guarigione” tuttavia cio’ non consente di affermare che tutti i tipi di trattamento sono uguali, bensi’ giustifica la necessita’ di studiare l’appropriatezza dei trattamenti in funzione di alcune caratteristiche dei soggetti. Da qui le ricerche di seconda generazione che cercano di superare il vincolo della “guarigione” e tendono a valutare il raggiungimento di obbiettivi diversificati, correlati alle risorse ed ai bisogni dei soggetti. Obbiettivi misurati sulla definizione diagnostica e clinica, piuttosto che sui desideri o sulle aspirazioni dell’opinione pubblica e dei decisori politici. Diventa quindi fondamentale per questo tipo di studi la capacita’ diagnostica, applicando strumenti di valutazione complessi che si sono rilevati validi come - Addiction Severity Index Mc Lellan 1980 e nella sua versione europea. L’ASI si basa sulla premessa che la DSP debba essere considerata all’interno di quei problemi che possono aver contribuito ad instaurare la dipendenza o che da essi sono derivati. Esso ha come obbiettivo quello di ottenere un profilo di gravita’ dei problemi di ciascun paziente, attraverso l’analisi di sette aeree: - Area medica, - Area lavoro/sostentamento, - Area sostanze psicotrope, - Area alcool, - Area legale, - Area famiglia/relazioni sociali, - Area psicologica. Il processo diagnostico dovrebbe consentire la individuazione di due aree di intervento: La prima relativa alla definizione del percorso terapeutico globale (psicologico, di sostegno sociale, di attenzione alla condizione sanitaria ecc.) La seconda relativa alla capacita’ del soggetto di iniziare e di proseguire l’iter terapeutico definito nella prima area in condizioni drug-free o in trattamento sostitutivo. L’unico criterio che consente di sciegliere tra queste due opzioni e’ il clinico, in riferimento ai punteggi di gravita’ ottenuti con gli strumenti di valutazione diagnostica. Alla luce delle considerazioni esposte, la valutazione del protocollo UROD di Legarda e Gossop cosi’ come un eventuale confronto con un protocollo di disassuefazione rapida diverso si presta a numerose considerazioni di metodo e concettuali. Discutibile e’ sicuramente l’affermazione contenuta nell’introduzione del lavoro di Legarda e Gossop che “l’astinenza e’ uno degli obbiettivi principali nel trattamento della dipendenza da oppiacei”. Tutte le argomentazioni precedenti e la letteratura in materia, indicano con chiarezza che il problema principale non e’ costituito dalle procedure di disintossicazione, quanto alla protezione dalle ricadute. Da questo punto di vista lo stato dell’arte sui trattamenti con naltrexone non fornisce indicazioni esaustive sugli esiti a lungo termine del trattamento con antagonisti, tuttavia potrebbero essere studiate le correlazioni fra trattamenti di detossicazione rapida e l’utilizzo contestuale del naltrexone, tenendo conto di alcuni apsetti metodologici. Ad esempio ne cito solo alcuni sicuramente problematici: - selezione passiva: in uno studio multicentrico che non offre le stesse possibilita’ terapeutiche nei singoli centri e’ inveitabile la tendenza a proporre uno specifico intervento a quei soggetti che si ritiene piu’ probabile che ne possano usufruire - selezione attiva: indubbiamente il protocollo Urod presenta aspetti di maggiore attrattivita’ rispetto a clonidina e naltrexone, sia per gli aspetti di novita’ suggestiva e largamente pubblicizzata, sia perche’ oggettivamente le aspettative sono quelle di superare la fase di astinenza in modo indolore, e questo costituisce un grosso fattore di selezione per quei soggetti che hanno appreso risposte fortemente condizionate di tipo fobico. La selezione in questo caso potrebbe indurre anche soggetti che non saranno poi in grado di mantenere la condizione drug-free, a sottoporsi al trattamento, con l’unica asspettativa di superare magicamente il rapporto di tipo panico con l’astinenza. - randomizzazione: l’assegnazione e’ casuale al trattamento potrebbe risultare di piu’ facile applicabilita’ nell’ipotesi multicentrica selettiva, ma rischia di rendere inefficace la stratificazione. - controllo: va previsto un gruppo di controllo che soddisfi la condizione standard per questo tipo di studi. - parametri comportamentali: bisogna indicare con chiarezza i parametri comportamentali da studiare in funzione degli esiti e quindi la valutazione di beneficio non puo’ essere misurata unicamente dalla condizione di astinenza da oppiacei. E’ auspicabile quindi che un eventuale studio prospettico, le valutazioni di efficacia e di analisi del rischio tenga conto di questi parametri, per non esporsi al rischio di scoprire l’acqua calda, a meno che non si ipotizzi che nel metodo Urod/Cita, l’utilizzo di farmaci come propofol, midazolam e ibogaina, producano un qualche effetto reale o simbolico sui meccanismi mentali che organizzano i processi della gratificazione e delle risposte comportamentali neuromediate in modo stabile e permanente. tratto da Bollettino per le Farmacodipendenze e l’Alcolismo 1996 n° 1