la pedagogia dell`ascolto: tra il dire e il fare

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LA PEDAGOGIA DELL’ASCOLTO: TRA IL DIRE E IL FARE...
di Diana Penso…
Ringrazio la CGIL a nome del Movimento di Cooperazione Educativa che qui rappresento per aver
costruito un appuntamento nel quale incontrare i docenti e parlare di scuola dell’infanzia.
Il Movimento di Cooperazione Educativa è un’Associazione di insegnanti sorta negli anni ’50 sulla
scia del pensiero pedagogico di C. ed E. Freinet, che ha avuto tra i suoi rappresentanti grandi maestri
quali M.Lodi, Tamagnini, A. Fantini ed altri, solo per fare alcuni nomi. Il MCE ha costruito negli anni
una pratica di scuola, fondata sul valore della cooperazione, dell’incontro e del confronto con gli altri,
a partire dalle competenze e dalle esperienze di ciascuno e sulla pratica della pedagogia dell’ascolto,
intesa come rispetto dei bambini, dei loro tempi e ritmi di sviluppo, come accoglienza e
valorizzazione dell’altro.
Il mio intervento è un invito a riflettere sulle contraddizioni presenti all’interno dei Documenti che
accompagnano la Riforma Moratti e un invito a comprendere questo nuovo linguaggio, spesso
complesso e difficile.
Da tutti i Documenti che accompagnano la Riforma Moratti (Indicazioni, Raccomandazioni) emerge
un nuovo impianto politico, culturale e pedagogico, di scuola ed emerge anche un nuovo lessico,
nuovi termini pedagogici quali piani di studio individualizzati, obiettivi specifici, obiettivi formativi,
portfolio delle competenze, che stanno entrando nel dibattito pedagogico e culturale, che sono
destinati a divenire elementi di dibattito nei prossimi mesi e sui quali saremo presto chiamati a
confrontarci e a discutere.
Riteniamo importante informare i docenti della scuola dell’infanzia sulle nuove questioni, sollecitare
gli insegnanti a rileggere il proprio patrimonio pedagogico e didattico acquisito, promuovere l’avvio
di ulteriori percorsi di ricerca, continuare a fare e a progettare la scuola non a partire da zero, ma
riconoscendo la cultura e le esperienze elaborate nel corso degli anni.
C’è in questi Documenti un impianto che appare rispettoso del bambino e che si autonega poi con
l’anticipo e le risorse che non ci sono.
Vediamo le contraddizioni più evidenti tra il piano culturale e il piano operativo.
1.Dalle Indicazioni Nazionali per i piani personalizzati delle attività educative, emerge ad esempio il
principio della “personalizzazione”
Nelle Indicazioni Nazionali per i Piani Personalizzati delle Attività Educative nella Scuola
dell’Infanzia viene stabilito definitivamente il passaggio dai Programmi ai Piani di studio
personalizzati, dove la parola chiave è, appunto, personalizzazione sia nella progettazione e nello
svolgimento.
Come Movimento di Cooperazione Educativa che ha costruito e centrato la sua ricerca sulla pratica
della pedagogia dell’ascolto e quindi sull’attenzione al bambino come persona, non possiamo non
condividere nell’impianto culturale i principi della pedagogia personalistica che restituisce valore alla
persona e che si propone come finalità educative quelle della valorizzazione del soggetto e del
riconoscimento delle sue qualità, nel senso di accoglienza e di ascolto della storia e del vissuto di cui
ogni bambino è portatore.
Infatti nella pedagogia personalistica (sostenuta da diversi teorici quali F. D’Arcais, M.Laeng,
Manno) vengono sostenuti alcuni principi forti che la contraddistinguono e la qualificano: l’esigenza
della persona di affermarsi, di riconoscersi, di confermare la propria singolare e specifica presenza, di
porsi quale fonte dell’agire, del vivere e del costruire il proprio sé non confuso con nessun altro. Tale
valore impone che alla persona si porti rispetto, si dedichino cure, ci si avvicini con l’ascolto e ci si
impegni per un suo potenziamento.
Secondo queste prospettive per fare scuola, occorre assumere il principio di restituire “la parola” ai
bambini intesi come persone concrete, ai loro propri modi di sentire, al loro relazionarsi e convivere,
alle piccole cose di tutti i giorni, agli eventi quotidiani e ripetitivi che sono il tessuto della nostra
esistenza, per coglierne tutta l’importanza, perché appartengono alla vita. Questo il piano teorico.
Ma poi l'organizzazione dell'azione educativa posta dalle Indicazioni, ci sembra piuttosto complessa
e farraginosa. Come si tradurranno sul piano operativo i piani di studio personalizzati?
Il Ministero, viene detto nelle Indicazioni, detta gli obiettivi generali del processo educativo, gli
obiettivi specifici di apprendimento, gli standard di prestazione del servizio, i criteri generali per la
valutazione. I docenti delle istituzioni scolastiche hanno poi la libertà di mediare, interpretare,
ordinare, distribuire e organizzare gli obiettivi specifici dettati dal Ministero, in obiettivi formativi.
Gli obiettivi formativi con la mediazione delle opportune Unità di apprendimento si trasformano nelle
competenze di ciascun bambino, l’insieme delle unità di apprendimento costituirà poi il piano
personalizzato delle attività educative.
Questa impostazione appare difficile, complicata, scolasticistica nella sostanza e sembra contraddire,
i principi della personalizzazione, cui le Indicazioni fanno precedentemente riferimento. Difatti essa
non guarda il bambino nella sua globalità, ma al contrario la persona- bambino sembra valere
soprattutto in relazione alle prestazioni ed ai risultati ottenuti.
Sembra (come riportato nello stesso testo) che si voglia portare avanti un'idea di scuola efficientistica,
produttiva, dalle prestazioni immediatamente misurabili, sui risultati attesi piuttosto che sul valore
dei processi d’apprendimento.
La valorizzazione del singolo, pur necessaria e condivisibile, in questo modo rischia di trasformarsi in
un percorso che invece di accogliere e valorizzare le differenze, punterà alla diversificazione e
all’emarginazione di alcuni.
Qual’è il compito della scuola: coltivare in maniera diversificata il talento di quelli che hanno le
migliori doti innate, arricchire e coltivare il potenziale umano o fornire a tutti gli strumenti della
cultura?
Come MCE riteniamo che il riconoscimento della persona non deve entrare in conflitto con la
necessità della cooperazione e della socializzazione per lo sviluppo dei bambini.
D’altra parte come avviene l’apprendimento? Attraverso piani predisposti dall’adulto a misura di
bambino, delle sue potenzialità, delle sue attitudini e “vocazioni” come sembra emergere dalle
Indicazioni, o non avviene forse attraverso un contesto, fatto di relazioni, incontri, scambi?
La persona, come tale, è sempre e comunque inserita in un contesto relazionale che è proprio quello
che ne specifica la unicità e la irripetibilità. I bambini sono persone che costruiscono un modello del
mondo mediante il quale interpretare la propria esperienza, attraverso il confronto, la discussione e la
collaborazione, l’acquisizione di significato. Si cresce costruendo insieme, lavorando insieme attorno
ad oggetti di studio, a saperi disciplinari, attraverso attività di gioco, operative, espressive...
L’educazione non è un’isola, dice Morin nel suo libro “La testa ben fatta” ma fa parte del continente
della cultura. E’ soprattutto attraverso l’interazione con gli altri, attraverso il raccontare e il mostrare,
che i bambini scoprono cos’è la cultura e come si concepisce il mondo...
Allora il compito della scuola sarà quello di preparare contesti di senso, contesti nei quali il bambino
possa crescere attraverso il gioco, la ricerca, la socialità incontrando nuovi stimoli, più linguaggi.
2.Analizziamo la parte sul portfolio delle competenze individuali. Il Portfolio delle competenze
costituisce l’altro documento (assieme al Piano personalizzato) da predisporre per ciascun bambino
“per confermare la centralità dell’allievo, non solo sul piano organizzativo, ma anche su quello
relazionale e didattico”. (Raccomandazioni)
Rispetto al fascicolo personale, il portfolio aggiunge anche – nel significato che emerge dai
documenti ministeriali – la visione dei prodotti realizzati dal soggetto, come ‘cartella’, strumento che
raccoglie e documenta il percorso formativo di ciascuno. Anche in questo caso non possiamo non
condividere questa proposta che d’altra parte non ci sembra essere nuova nella scuola dell'infanzia.
Essa sembra accogliere in sé il principio della continuità educativa (orizzontale e verticale) e quello
della documentazione-osservazione-progettazione, già previsti e preannunciati dagli
Orientamento’91.
Per quanto riguarda il tema della continuità, gli Orientamenti sostengono che il bambino quando
arriva a scuola possiede già delle competenze che provengono dall’ ambiente, dalle relazioni e dai
contesti nei quali ha vissuto e si è formato e di questi saperi, di queste tracce pre-esistenti, la scuola
deve necessariamente tener conto per continuare a organizzare e a sistematizzare i processi della
conoscenza. Difatti l’apprendimento non procede per sequenze, per tappe prestabilite, per accumulo
di nozioni, ma per sistematizzazione del già esistente, per collegamento tra aspetti affettivi,
relazionali, contesti e competenze. Non si conosce e non si apprende, se non in continuità con le
conoscenze precedenti e con quelle successive: una buona scuola dunque è una scuola che accoglie,
valorizza e progetta proprio a partire dalle tracce che i bambini portano con sé.
Per quanto riguarda la documentazione ricordiamo che gli Orientamenti ‘91, nel capitolo IV
sottolineano che “l'itinerario che si compie nella scuola assume pieno significato quando può venire
adeguatamente rievocato, riesaminato, analizzato, ricostruito e socializzato. Il progetto educativo,
infatti, si rende concretamente visibile attraverso un'attenta documentazione ed una conveniente
comunicazione dei dati relativi alle attività, per i quali ci si può utilmente avvalere sia di strumenti di
tipo verbale, grafico e documentativo, di tecnologie audiovisive più ampiamente diffuse nelle
scuole”.
Ricordiamo a questo proposito la proposta della valigia, proposta che negli anni ’90, garantiva la
continuità di rapporti e di informazioni, nei passaggi da un ordine di scuola ad un altro, attraverso la
raccolta e la documentazione dei percorsi realizzati dai singoli bambini e dal gruppo-classe.
Questa proposta, nel viaggio metaforico che il bambino compie, passando da un ordine di scuola ad
un altro, rappresenta una sorta di accompagnamento, di oggetto transizionale, “scatola” della
memoria di un percorso iniziato a tre anni, lo strumento di presentazione del bambino nella scuola
dell’ordine successivo e che contiene alcuni degli elementi più significativi della storia del bambino,
fondamentale perchè gli insegnanti che si occuperanno della formazione del bambino dopo la scuola
dell'infanzia, vengano messi a conoscenza dei percorsi realizzati e delle conoscenze acquisite.
Nella valigia si potranno raccogliere, conservare e trasmettere alla scuola successiva alcune delle
attività svolte, presentate sotto forma di “raccolta”, quali: la mia storia, l’autoritratto, l’impronta delle
mani, e poi favole, racconti, storie inventate il contrassegno personale il giornalino, le fotografie,
primi approcci con a scrittura, disegni, interviste, percorsi, esperienze...
Questo strumento diventa in tal modo il filo conduttore, il contenitore affettivo della crescita che
permette di avere una compagnia, di creare gli agganci, gli affetti di cui i bambini hanno bisogno nel
passaggio da un ordine di scuola ad un altro.
Portfolio e valigia sembrano dunque contenere in sé, elementi comuni quali la raccolta, la
documentazione, la trasmissione; di possedere funzioni preziose soprattutto nei delicati momenti di
passaggio tra le scuole dei diversi gradi, in termini di scambio di informazioni, di progettazione e
verifica di attività educative e didattiche, con la famiglia, con il personale che ha seguito o che
accoglierà i bambini nella scuola successiva.
Ma quali saranno i materiali da selezionare? Nelle Indicazioni si elencano produzioni, prove
scolastiche ‘significative’, osservazioni sui metodi di apprendimento, commenti, sintesi di
osservazioni sistematiche, colloqui, questionari e test. Nulla si dice circa le modalità per far emergere
gli stili personali di apprendimento, circa i contenuti significativi attraverso cui farli emergere.
Per alcuni versi dunque sembra di riconoscere la ‘valigia’ ed altri strumenti organizzatori dei percorsi
(la monografia,…); per altri versi sembra venga suggerito il ricorso alla docimologia.
La complessità del lavoro di documentazione che necessariamente prevede una personalizzazione del
percorso formativo chiama in causa forme di collegialità e interscambio fra docenti, che nei
Documenti non emerge, la messa in circolo, cioè, di punti di vista diversi che concorrono alla ‘lettura’
da parte di diversi soggetti dell’esperienza.
Non ricominciare da zero...
La scuola dell’infanzia ha compiuto, specie negli ultimi dieci anni, passi molto significativi nella
sperimentazione di innovazioni che, di fatto, hanno anticipato molti aspetti del complessivo processo
di riforma del sistema educativo di istruzione e formazione.
In particolare, a partire dall’emanazione degli Orientamenti del 1991, questa scuola è stata
attivamente impegnata nei processi di innovazione ed ha espresso una grande vitalità sul piano
culturale. Le indicazioni pedagogiche, didattiche ed organizzative contenute negli Orientamenti
hanno sollecitato gli operatori scolastici ad approfondire questioni teoriche, a sperimentare nuove
soluzioni organizzative, ad innovare le pratiche didattiche.
In particolare ricordiamo:
il progetto Ascanio (Attività Sperimentale Coordinata Avvio Nuovi Indirizzi Organizzativi) che ha ha
indicato nuove modalità di organizzazione (spazi, tempi, raggruppamenti di bambini) della scuola
dell’infanzia;
il progetto Alice (Autonomia: un Laboratorio per l’Innovazione dei Contesti Educativi) caratterizzato
come un itinerario di ricerca, formazione, documentazione, produzione di materiali intorno a quattro
ambiti tematici strettamente connessi al processo di riforma della scuola italiana (ambito
organizzativo, curricolare, professionale e quello di interazione con il territorio) puntando sulla
partecipazione e sul protagonismo degli insegnanti consentendo loro di elaborare strategie per
riflettere criticamente sul proprio operato e per acquisire attitudini e metodologie adeguate ad
affrontare i problemi della scuola.
Queste nuove teorizzazioni, il nuovo linguaggio introdotto dalla sperimentazione vanno tradotti in
azioni politiche concrete, che tengano conto realmente della persona-bambino, dei suoi tempi e ritmi
di sviluppo, dei processi di apprendimento, delle realtà nelle quali ci si trova ad operare, del lavoro già
svolto dalle scuole, per non ripartire ogni volta da zero, ma al contrario per riconoscere,
accogliere, ricomprendere il patrimonio di esperienze e di cultura elaborato e costruito dalle scuole
dell’infanzia durante questi anni.
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