La Libertà n° 30 del 6 Settembre ‘03 1. Editoriale: Grazie 2. Santa Croce: i Salesiani lasciano l’Oratorio d.Bosco e la Parrocchia 3. Ho amato questa Chiesa 4. L’Ispettore dei Salesiani: i motivi della partenza 5. Tutti sorpresi e addolorati 6. 11 Settembre due anni dopo - Per le vittime del terrorismo e per la pace - La preghiera nella messa di giovedì 11 in Duomo e nelle marce di sabato 13 7. Nomine: un decalogo di speranza - I criteri: comunione, corresponsabilità, ministerialità e formazione 8. Dall’Eucarestia alla Missione: il filo conduttore dell’Anno Pastorale 2003-2004 9. Andate e annunciate: è la Missione 10. Andrea Griminelli: una volontà di ferro col tempo ha prodotto un flauto d’oro - La nostra intervista 11. Clara Borghini Bussi: la poesia per ricordare, cantando la bellezza della vita e della fede Editoriale : Grazie I salesiani ci lasciano. Dopo quindici anni di servizio e di dedizione amorevole alla Chiesa di Reggio Emilia nella parrocchia di Santa Croce e nell’Oratorio Cittadino. È stata una meravigliosa Eucaristia. Sacrificio compiuto per tutti e per ciascuno, dono comunitario, grazie ottenute con la carne e il sangue, ringraziamento. Il nostro è invece un povero ringraziamento di parole. Grazie per averci portato don Bosco e il suo carisma. Non potremo non amare i giovani, tutti i giovani, coi quali Dio ci dona il futuro. Grazie per le cose che si vedono e che massaggiano il cuore nei momenti in cui la cronaca delle miserie quotidiane lo inacidisce. La carica dei 400 e passa ragazzi dell’oratorio estivo, globalizzazione del sorriso e dell’amicizia (qui si fanno gavettoni in una decina di lingue diverse), tanto che il Vescovo con simpatia arguta l’ha definito “l’arca di Noè”. La formazione di giovani generosi e di famiglie preparate al servizio. La vocazione missionaria e la collaborazione di volontariato per il SIDAMO. L’accoglienza e la cura dei ragazzi nel GET e nel CEP. Le iniziative di pastorale giovanile: il Meeting della montagna, le Tre Sere al Palazzetto, le processioni di preghiera per la pace. Il Teatro Re-Giò. Le conferenze, la collaborazione ai giornali, a cominciare da questo nostro, i dibattiti pubblici. Lo sport: l’Atletico, il progetto Aurora, i campi sportivi (meravigliosa oasi che la maggior parte dei ragazzi di altre città sogna soltanto), la collaborazione con il CSI. Il dialogo con gli enti pubblici, con le strutture assistenziali, con tutto il volontariato cittadino. I progetti di prevenzione. La promozione e l’incoraggiamento e il sostegno per gruppi e associazioni neonate. Grazie per le cose che non si vedono e per quelle dimenticate dalla miopia della penna. Questa è l’Eucaristia celebrata da don Bosco per la chiesa reggiana. C’è qualcuno che ha partecipato al servizio di questa mensa fin dall’inizio e per quindici bellissimi anni. Don Vittorio. Caro don Vittorio, grazie da questa Chiesa, alla quale hai voluto così bene che se non fosse stato per il carisma salesiano, che porti impresso come stigmate, si sarebbe detto che fossi un prete diocesano. Grazie da questa città, che hai sorpreso e accarezzato nelle sue doti preziose di generosità, mostrandole senza pudori e senza “distinguo” il tuo cuore di sacerdote. Un tuo simpatico confratello, don Matteo, una volta è sbottato in una divertita e azzeccata battuta al tuo indirizzo: - Oh, Vittorio, ma tu vedi del buono dove nemmeno Dio lo vede! -. Don Mazzolari racconta qualcosa di simile in un suo sogno, nel quale prendono vita le statue dei santi di una chiesa abbandonata e si querelano col Signore delle cose tristi che vedono commettere dagli abitanti di quel paese. Rincuorati dal Crocifisso, ammettono che qualche timido segno di bene si scorge: una piccola gentilezza, una bestemmia ingozzata, una qualche vendetta trattenuta… E poi aggiungono, a parziale scusante dei loro protetti, che vi sono tante lagrime, tanti dolori, tanta povertà! E il Signore conclude: - Allora voi tornate a star coi miei poveri, a veder benedire e godere di quel poco di bene che solo occhi buoni e mani generose come le vostre riescono a vedere e a raccogliere per il gran giorno. Il resto non vale: sarà vinto. – Grazie, don Vittorio, per gli occhi e per le mani. Daniele Castellari Santa Croce: i Salesiani lasciano l’Oratorio d.Bosco e la Parrocchia Nella serata di lunedì 1° settembre, l’incontro del Consiglio Pastorale Parrocchiale di S. Croce con l’Ispettore salesiano Don Eugenio Riva, presenti il Vescovo con il Vicario generale, il Vicario della Città e il Coordinatore della Zona Pastorale, ha formalizzato il ritiro dei Salesiani dalla Parrocchia e dall’Oratorio cittadino, dopo circa 15 anni di servizio apprezzato e impegnativo. L’Ispettore ha informato sulle difficoltà che hanno costretto l’Ispettoria e il Consiglio Generale Salesiano a questa determinazione, ben consapevole della felice e innovativa esperienza dei Salesiani a Reggio Emilia e della ricaduta che tale decisione avrebbe comportato. Solo gravi difficoltà interne, francamente esposte ai presenti, hanno portato a decidere la chiusura della Casa di Reggio. La stessa Ispettoria soffre per carenze di personale e costringe al continuo ridimensionamento delle strutture e delle attività. Il criterio generale di discernimento, approvato dall’ultimo Capitolo Salesiano, è che si mantengano i servizi adeguati agli impegni assunti e per questo siano assicurate Comunità vive, capaci di sostenerne il peso. I motivi sono dunque solo interni alla Società Salesiana, frutto di un discernimento allo studio da tempo, che non ha coinvolto solo la Casa di Reggio. Non potendo assicurare a Reggio una Comunità di Religiosi più ricca di personale e constatando il numero e la qualità degli operatori che in questi anni sono maturati a fianco dei Salesiani, la Congregazione salesiana ha ritenuto questo il momento opportuno per riconsegnare alla Diocesi la parrocchia e l’Oratorio cittadino. Di fronte al generale apprezzamento da parte dei fedeli, della diocesi e delle istituzioni civili, per l'intensa e preziosa attività finora svolta all'oratorio e in parrocchia, questa riconsegna é motivo di profondo e unanime rammarico per una partenza ritenuta da tutti inopportuna, imprevista e affrettata. La notificazione è arrivata al Vescovo proprio mentre tutto era pronto per confermare la Convenzione tra i Salesiani e la Diocesi. Il Vescovo, da parte sua, ha informato il Consiglio Pastorale di Santa Croce sui tanti passi compiuti in questi mesi per ottenere un ripensamento sulle decisioni prese dalla Ispettoria e dal Consiglio Generale Salesiano. Proprio per il lavoro svolto in questi anni, si pensava che diventasse stabile la presenza dei Salesiani arrivati 15 anni fa come aiuto temporaneo. Lo stesso rammarico, ha ribadito il Vescovo, è la conferma di una riconoscenza dovuta e meritata, che chiede alla Diocesi di dare continuità a quanto i Salesiani hanno seminato e attuato negli anni della loro permanenza. Per questo, nonostante il calo numerico dei preti, intende coinvolgere le risorse possibili. Ha chiesto perciò ai laici collaboratori di continuare nel loro servizio e ai Salesiani di garantire un accompagnamento perché le attività e i progetti proseguano il loro corso. Il Vicario Generale della Diocesi Mons. Francesco Marmiroli HO AMATO QUESTA CHIESA Scrivo queste note in compagnia di mons. Gilberto Baroni, che sento vivo in me, come tanti amici che sono già nella patria dei Cieli. Mi chiamava più volte per telefono: ero il suo "pagliaccio", il suo "clown", colui che in qualche modo stava tentando, con la sua comunità e con i laici, di tradurre sul territorio di Santa Croce il suo sogno: "Nel verde, tanti giovani!". Ero giunto 15 anni fa a Reggio, il 6 ottobre sera. Il 7, Festa della Madonna del Rosario, concelebravo con don Antonio Rota nel Santuario della Ghiara, iniziando così, con lui e con fr. Simeon, la mia avventura salesiana in una Diocesi, che ho imparato a conoscere ed amare fin dalla prima accoglienza nello studio del Vescovo. Non ero mai stato in città anche se tifavo per la Reggiana, ammirando Boranga, un portiere che studiava medicina; sapevo qualcosa delle "Reggiane", delle sue occupazioni, avevo avvicinato a Milano dei B.R. reggiani, sentito i Nomadi e nulla più. Dei personaggi reggiani conoscevo Giuseppe Dossetti e Nilde Iotti, mons. Socche e il suo coraggio nel denunciare la drammatica morte di don Pessina. In poco tempo ho scoperto la ricchezza della Diocesi, che oggi lego ai famosi TRE PANI della Parola, dell'Eucaristia, della Carità, a figure sacerdotali splendide, come don Mario Prandi, don Dino Torreggiani e, tra i viventi, Don Pietro Ganapini, che ho visto in azione nella sua missione in Madagascar. Nel mio lavoro pastorale, ho sempre sentito accanto a me il Vescovo, che mi ha indicato come lavorare in Diocesi, in piena comunione con i sacerdoti e i laici delle varie Associazioni e Movimenti. I primi anni li ho vissuti accanto a don Alberto Altana, un altro grande della nostra Chiesa, che ha "rianimato" il Diaconato a livello nazionale, e a don Daniele. L'area era in degrado, la frequenza all'oratorio scarsa: "Devi avere pazienza!". Ne ho avuta e ne ho fatta avere tanta ad altri, con iniziative in campo giovanile, che erano forse al di sopra delle righe: dai vari Meeting alla Tre Sere, alle Marce della Pace, ai corsi di formazione di clown e di animatori d'oratorio e di campi estivi. Per otto anni, grazie alla fiducia del Vescovo Paolo, sono stato responsabile della pastorale giovanile, posto a quei tempi non ambito da nessuno. La Libertà mi ha permesso più volte di intervenire sull'oratorio, su temi giovanili, sull'educazione dei giovani. Più volte ho richiamato la carità educativa come 'la prima" delle carità: formare giovani maturi e responsabili, radicati nel Vangelo e nella Chiesa; è una autentica introduzione alla vita come dono, come scelta vocazionale, nella famiglia o nella vita sacerdotale o consacrata. "Educare è costruire futuro!" Educare, privilegiando i giovani in difficoltà per noi dell'Oratorio Cittadino, quelli senza parrocchia, i poveri o messi al margine. Educare infine attraverso progetti di sostegno scolastico, quelli del tempo libero, in una cultura alternativa a quella dominante, offrendo itinerari educativi e di formazione religiosa graduale, accettando i ragazzi, le ragazze, i giovani al punto in cui sono. Educare ad essere Chiesa! Mi sembra un altro tema da scoprire anche da noi preti e da far scoprire ai nostri giovani, Chiesa che ha come cuore il Vescovo: Chiesa non di santi, selettiva, elitaria, ma Chiesa aperta ai peccatori, anche ai personaggi "guasti", che sono i privilegiati del Vangelo. Ho avuto poche occasioni di incontro e discernimento pubblico con i miei confratelli sacerdoti, spesso sono stato invadente con i miei scritti e le mie conferenze, ma ho sempre amato la Diocesi, obbedendo al Vescovo, agli orientamenti che dava per la vita pastorale. Ho vissuto momenti bellissimi nelle Giornate Mondiali della Gioventù a livello diocesano (memorabili quelle di Sassuolo, raggiunto in treno da duemila giovani!), commoventi nell'Anno del Giubileo. Ho partecipato a liturgie "rare altrove" per canto e devozione, ho condiviso gioie e sofferenze come "fatti di casa mia", evitando il rischio di "salesianizzare" la diocesi, come qualcuno temeva all'inizio. Con me porto amicizie che mi hanno aiutato ad essere un prete "passabile", tra le prime quella di don Gigi Guglielmi, del diacono Luciano Forte e degli amici della Caritas, del Centro Missionario, della pastorale giovanile, di Creativ. Don Vittorio Chiari L'ISPETTORE DEI SALESIANI: I MOTIVI DELLA PARTENZA E' sempre motivo di dolore chiudere una presenza salesiana in una Diocesi. Lo è ancor di più per me chiudere quella di Santa Croce, nata a cento anni dalla morte di don Bosco, sognata dal Vescovo Baroni, sostenuta dai Vescovi Paolo e Adriano e che è fiorita in quindici anni come albero rigoglioso, circondato dall'affetto e dalla stima della gente, della Diocesi e delle Istituzioni civili. I motivi del nostro andare sono legati alla situazione creatasi nella nostra Ispettoria, che si espande ora dalla Svizzera a San Marino e che ha donato in questi anni più di 30 confratelli al Progetto Africa, voluto da Giovanni Paolo II. Il Papa infatti ha affidato ai Salesiani il compito di aprire una forte presenza di promozione umana e di evangelizzante nel giovane continente africano. A noi è stata affidata l'Etiopia, dove abbiamo aperto 11 Case. La mancanza di personale e il suo progressivo invecchiamento hanno creato difficoltà notevoli obbligandoci ad un ridimensionamento, che ci ha portati a chiudere in questi anni alcune presenze, ed ora quella di Reggio Emilia, dove contiamo sulla fedeltà e l'impegno dei laici, che hanno collaborato fin dall'inizio al suo sorgere, per dare continuità all'opera con chi il Vescovo intende mandare sul Territorio. La presenza nostra si chiude con la Sagra di Santa Croce, il 14 settembre. I confratelli sono stati assegnati ad altre Case Salesiane dell'Emilia: don Enzo Dei Cas, parroco e direttore all'opera di Codigoro, don Vittorio Chiari all'Opera di Ferrara, e don Matteo Cassinotti a quella di Parma. Ringraziando quanti hanno voluto bene e collaborano con i Salesiani, esprimo la mia riconoscenza al Vescovo Adriano e ai sacerdoti e religiosi, ai laici della Diocesi, dove i miei Confratelli si sono sentiti di casa. Un grazie anche alle Autorità Civili del Territorio, con le quali essi hanno collaborato con i Progetti Educativi del GET e del CEP. Sono certo che il santo dei giovani continuerà a benedire la parrocchia di Santa Croce e l'Oratorio Cittadino a lui dedicato. "Nel verde tanti giovani!", il sogno di Mons. Baroni, sono certo continuerà ad essere presenza di speranza nel mondo dei giovani della Città. Don Eugenio Riva Ispettore dei Salesiani di Lombardia-Emilia Romagna-Svizzera e S. Marino TUTTI SORPRESI E ADDOLORATI Quello che nessuno poteva immaginare sta invece accadendo. La Comunità Salesiana (Oratorio cittadino don Bosco e Parrocchia Santa Croce), dopo 15 anni di appassionato servizio, lascia la città e la diocesi. Sono colpiti e increduli i ragazzi e le loro famiglie, i poveri e la gente di Santa Croce. Sono affranti gli operatori pastorali e i responsabili e collaboratori delle diverse realtà giovanili e parrocchiali. È un'intera comunità - parrocchiale, cittadina e diocesana - che perde una presenza preziosa e irripetibile. E che si trova di fronte a un'eredità pressoché impossibile. I Salesiani saluteranno la diocesi sabato 13 settembre, nell'assemblea di inizio dell'anno pastorale, proprio all'Oratorio cittadino. E saluteranno la comunità di Santa Croce domenica 14. Poi partiranno. Che l'evento fosse del tutto inatteso lo testimoniano due fatti. Il primo riguarda il nostro giornale, il secondo lo stesso Oratorio don Bosco. Nel numero del 17 maggio scorso La libertà pubblicava, nelle pagine centrali, un inserto dal titolo "Oratorio, che passione!". Si faceva la storia di questi 15 anni, da quando il Vescovo Baroni aveva finalmente ottenuto a Reggio i Salesiani e il loro Oratorio, fino alle iniziative dell'estate. Inoltre le attività estive per i ragazzi sono state condotte con la stessa passione e complessità organizzativa degli altri anni. Nulla, dunque, che lasciasse presagire un rapido passaggio di consegne. Il che va ancor più a onore dei Salesiani, e soprattutto di don Vittorio Chiari, che fino all'ultimo hanno fatto il massimo. La decisione, comunque, era già maturata da tempo all'interno dell'Ispettoria Salesiana, come risulta dalla lettera dell'Ispettore don Riva. Ora si tratta di continuare. Senza che vada disperso il patrimonio di risorse umane, di progetti, di relazioni, di attività di questi anni. È una sfida ed è un compito. Che la diocesi si accinge a raccogliere con la pena nel cuore e lo sguardo al futuro. Agostino Menozzi 11 SETTEMBRE DUE ANNI DOPO PER LE VITTIME DEL TERRORISMO E PER LA 11 IN DUOMO E NELLE MARCE DI SABATO 13 PACE - LA PREGHIERA NELLA MESSA DI GIOVEDÌ L’orrore delle oltre tremila persone divorate dalle fiamme e dai detriti fumanti nell’attacco a New York contro le Due Torri si riaccende ogni volta che vengono riproposte in tv le immagini di quella strage, follemente festeggiata come vittoria da chi ha imboccato la via del terrorismo come mezzo di lotta contro vere o presunte ingiustizie. Che sia stata una esecrabile barbarie contro migliaia di innocenti per nessun motivo giustificabile, dovrebbe essere evidente. Altrettanto evidente dovrebbe essere che mai di un simile orrore può essere ringraziato Dio, quasi che lo potesse approvare. È più che legittimo, soprattutto da parte della Nazione colpita, cercare di stroncare il terrorismo. Purtroppo, ignorando gli appassionati appelli del Papa, ci si è illusi di trovare la soluzione nella guerra all’Iraq, dove, pur dopo la proclamata vittoria, quasi ogni giorno si registrano nuove vittime di continui attentati. La spirale del terrorismo in Iraq, come nel Medio Oriente e in altri Paesi, parrebbe preludere ad una globalizzazione della violenza, di cui non si intravede la fine. La strage di New York e le altre compiute in diverse parti del mondo fino alla più recente in Iraq ci spingono perciò a ricordare le vittime innocenti e i loro familiari nella preghiera e a invocare il dono della pace. La Diocesi reggiano-guastallese lo farà in modo particolare giovedì 11 settembre nella Santa Messa in Cattedrale a Reggio alle ore 18.30, presieduta dal Vicario generale, Mons. Francesco Marmiroli. Le varie comunità sono invitate a farlo anche sabato 13 settembre nelle marce penitenziali e nelle celebrazioni, che ricordano le apparizioni della Madonna a Fatima. SI AVVICINA LA STAGIONE DELLE NUOVE NOMINE DI PARROCI E RESPONSABILI PASTORALI NELL'ANNUNCIO EVANGELICO PIÙ DELLE STRUTTURE VALGONO LE PERSONE E LE RELAZIONI NOMINE: UN DECALOGO DI SPERANZA I CRITERI: COMUNIONE, CORRESPONSABILITÀ, MINISTERIALITÀ E FORMAZIONE Settembre e ottobre sono, per consuetudine e per necessità, mesi di avvicendamenti nei servizi pastorali dei sacerdoti della diocesi. La ripresa delle attività pastorali comporta infatti che le responsabilità siano assunte da chi ne ricopre i ministeri e i ruoli. Resta tuttavia il problema delle realtà (parrocchie, uffici ecc.) che sono rimaste prive di sacerdote e che attendono, e talora impropriamente rivendicano, una successione immediata e risolutrice. Si tratta, invece, di ragionare sui ruoli che i diversi soggetti (comunità, preti, diaconi, associazioni e gruppi, singoli fedeli...) sono chiamati ad assumere, a partire da uno spirito di comunione e corresponsabilità ecclesiale che prevede che tutti i battezzati si facciano carico dell'annuncio del Vangelo. Sui criteri e sulle novità che sottostanno alle decisioni che verranno prese e alle nomine che saranno fatte, il Vicario generale della diocesi, Monsignor Francesco Marmiroli, propone una serie di considerazioni, una sorta di "decalogo" della speranza, per il futuro delle nostre comunità e per il cambio di mentalità ecclesiale che tutti siamo chiamati a fare in questa fase di nuova missione in terra reggiano-guastallese. 1. Gli avvicendamenti o le nomine di preti (e diaconi) ormai si fanno con il preciso mandato di lavorare per arrivare ad Unità pastorali tra le comunità. Questa è una scelta obbligata per tutti e di cui tutti devono convincersi per evitare che ci siano ancora comunità che sognano il loro futuro come conservazione del passato. 2. In assoluto, oggi, il numero dei preti sulla carta ci sarebbe ancora. Il problema sta nella ridistribuzione, perché molti preti sono impreparati alla mobilità propria dello stile missionario, l'età avanzata di tanti sacerdoti limita l'elasticità necessaria, le comunità si identificano tanto con il proprio campanile da ritenere estranei i servizi pastorali offerti dal vicino. 3. Mentre crescono i problemi pastorali, succede che le nostre comunità si smagriscono di partecipazione e risorse. "A lavorare in parrocchia siamo sempre quelli e sempre pochi..."; così la domanda si fa complessa e la risposta sembra sempre più povera. Ogni comunità non deve aspettare, ma scavare risorse dentro di sé e offrirle alla condivisione! 4. In questa situazione occorre ritornare ai numeri (età del clero, configurazione delle parrocchie, quantità dei servizi religiosi, ecc.) per superare i dati emotivi con i dati oggettivi. Questi sono una morsa per tutti: per chi si sente penalizzato e pretende (in buona fede) e per le parrocchie che si credono esenti nella loro attuale autosufficienza. 5. Prima delle strutture pastorali vale l'incontro personale. Occorrono le strutture, ma la fede e la salvezza passano attraverso la comunicazione e la conversione. I problemi di strutture non dovrebbero abbassare il livello dell'evangelizzazione, che ha come fine la santificazione e come mezzo il colloquio spirituale e l'accesso ai sacramenti. In ogni fase di penuria queste risorse restano sempre le più vere e a portata di mano: la povertà di mezzi non intacca la speranza di una fede che può essere trasmessa per contagio e da ogni credente. 6. Un prete (e coloro che sono cristiani impegnati) che oggi voglia bene alla propria comunità deve prepararla, con decisione, a stare in piedi da sola e a scoprire la grazia della comunione ecclesiale. Forse è una strada nuova per il fiorire di vocazioni sacre. 7. In questo periodo occorre procedere uniti perché dalla uniformità imparata in seminario (per i preti) e sostenuta dal ruolo tradizionale del Diritto Canonico (per lo stile pastorale) si rischia di passare a una varietà troppo soggettiva di scelte pastorali, che confonde più che arricchire le nostre comunità. 8. Venendo a mancare il numero tradizionale dei preti, non si tratta di sopprimere le parrocchie o di svalutare le richieste pastorali, ma di mantenere il livello abituale dell'impegno con il concorso di nuove forme di corresponsabilità e di ministerialità, che chiedono formazione e dialogo con il laicato. 9. Per mettersi in cammino occorre partire dalla Zona pastorale, dove diventa operativa l'unità di intenti e la collaborazione tra parrocchie. Sperimentando l'arricchimento portato dalla comunione, si arriverà più facilmente alle Unità pastorali tra le parrocchie della Zona. I testi di riferimento, almeno per le prime indicazioni, sono già tra le mani degli operatori. 10. Il Vicariato, nella nuova configurazione, non è un organismo di disturbo, ma di sostegno. La diocesi elabora orientamenti, il vicariato ne studia l'applicazione locale e forma gli operatori, la parrocchia, in comunione con la propria zona pastorale, si impegna nelle scelte esecutive. DALL'EUCARESTIA ALLA MISSIONE: IL FILO CONDUTTORE DELL'ANNO PASTORALE 2003-2004 Lo abbiamo già detto e scritto tante volte: quella verso la “missione” è una vera e propria conversione pastorale, che le nostre Chiese di antica tradizione cristiana debbono pazientemente imparare a compiere. Fece molto discutere, mezzo secolo fa, la pubblicazione di un libretto intitolato France, pays de mission? (“Francia, paese di missione?”), che metteva in discussione il paradigma consolidato, secondo cui la “missione” era quella che si rivolgeva ai “pagani”, ai non battezzati dei paesi lontani, mentre questa categoria non si applicava ai paesi di antica evangelizzazione (nel caso, la Francia). Oggi, il richiamo alla missionarietà come dimensione normale, costitutiva della Chiesa (e quindi anche di ogni Chiesa locale) e alla necessità di una nuova evangelizzazione delle nostre terre ormai — a dir poco — “post-cristiane”, appare persino scontato. Del resto, non avevamo dedicato un Sinodo (proprio nel 2004 sarà un quarto di secolo dalla sua indizione) proprio alla “evangelizzazione in terra reggiana e guastallese oggi”? L’anno pastorale che sta per incominciare si pone pienamente in questa linea, ormai da tempo richiamata dal Papa e dai Vescovi italiani. Con due sottolineature particolari (tra le altre): • la prima, è la constatazione che, nonostante tutto, la dinamica della missione fa ancora fatica a entrare nelle nostre parrocchie. Non per cattiva volontà; ma perché (lo ricorda il Vescovo nella Nota pastorale, richiamando una riflessione di don Severino Dianich al Convegno della montagna) “la struttura parrocchiale ha sempre accolto credenti, ai quali la fede era già stata comunicata e ai quali la parrocchia doveva garantire la catechesi e i sacramenti. È paradossale, ma è vero, il fatto che lungo la sua storia la parrocchia non sia mai stata investita del problema dell’accesso alla fede dei non credenti. È veramente un paradosso, ma è difficile smentirlo”. Portare le nostre parrocchie a diventare, con la grazia dello Spirito, comunità sempre più missionarie, è una delle preoccupazioni fondamentali, che guidano la Nota del Vescovo per il nuovo anno pastorale; • in questo — ed è la seconda sottolineatura — le parrocchie, in quanto comunità nelle quali i cristiani partecipano abitualmente all’Eucaristia (“comunità eucaristiche”, come ha sottolineato la Lettera pastorale dell’anno scorso), hanno una risorsa particolare: che è appunto l’Eucaristia, il sacramento “fonte e culmine” della vita cristiana, sacramento di quanti sono già pienamente “iniziati” nella vita in Cristo, e che però rivela un’insospettata fecondità missionaria. Si tratta, allora, di (ri)scoprire il dinamismo missionario dell’Eucaristia, che raccoglie la comunità intorno alla Parola del Signore risorto, intorno al Corpo donato e al Sangue versato, per poi aprirla a un dinamismo nuovo, ben sintetizzato nel “congedo” del giorno di Pasqua: “Andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto”. Il Vescovo osserva, nella Nota pastorale, che per fare questo non c’è bisogno di grandi strutture: fondamentale, invece, è “la comunicazione della fede dal credente al non credente, da persona a persona. L’evangelizzazione è essenzialmente affidata ai credenti nelle loro relazioni interpersonali. È quanto succede in missione. Alla domanda fatta a un missionario di Hong Kong, dove c’è una Chiesa molto vivace, dove si celebrano molti Battesimi di adulti e ci sono diverse conversioni, la risposta è stata: «Le persone arrivano alla fede perché un amico, il collega, la fidanzata hanno loro parlato di Gesù e del Vangelo». Questa è l’evangelizzazione da promuovere”. Il tutto, nello spirito di una vera testimonianza di amore: “Diversamente l’evangelizzazione rischia di trasformarsi in proselitismo, che ci spinge a interessarci dell’altro semplicemente per far crescere numericamente il nostro gruppo. L’evangelizzazione è un atto di amore verso la persona. «Se essa mi dirà di sì, la amerò. Ma, se mi dirà di no, la amerò ancora di più». Questo è lo spirito dell’evangelizzazione”. In questo spirito, lasciandosi sorprendere e stupire, ancora una volta, per l’amore di Dio che le è stato donato in Cristo (“Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi”: 1 Gv 4,16), la nostra Chiesa si appresta al cammino del nuovo anno pastorale. don Daniele Gianotti ANDATE E ANNUNCIATE: È LA MISSIONE Come in altre Chiese, la situazione religiosa del nostro territorio sollecita una serena ma non per questo irenica attenzione, per capire meglio il cammino che stiamo percorrendo e quello che ci aspetta per il futuro. È vero, la gente continua a chiederci i Sacramenti. In larga parte i genitori chiedono il Battesimo per i loro figli. Diminuiscono i funerali civili. Si sono ridotte anche alcune chiusure che per decenni hanno tenuto lontane da noi fasce di popolazione. Adesso un rifiuto pregiudiziale è difficile trovare; certamente è minore di qualche anno fa. Si diffondono forme di devozione che fanno rivivere esperienze tradizionali della Chiesa: rosari, feste parrocchiali, pellegrinaggi. Ma in realtà i problemi non mancano e non sono pochi. Facciamo molta fatica a parlare ai giovani e a presentare loro il Vangelo. A loro volta gli adulti, anche i praticanti, fanno fatica a fare scelte e a tenere comportamenti alternativi rispetto a quelli usuali e comuni. Si pensi ad esempio alla situazione delle famiglie: anche per i credenti la separazione matrimoniale non fa più problema; la visione cristiana del matrimonio non riesce normalmente a costituire una difesa di fronte al dilagare di comportamenti che sono lontani dalla visione cristiana del matrimonio e della famiglia. Insomma i nostri cristiani fanno fatica a dare rilevanza alla fede, quando prendono delle decisioni importanti della vita. Questo vuol dire che gli atti religiosi sono presenti, ma che la fede è addormentata. Siamo gente di “poca fede”, direbbe l’evangelista San Marco (Mc 6,30), che stanno con il Signore, ma con poca fede. Il rapporto con Dio è più pensato e immaginato che vissuto. Che cosa fare in questa situazione? Che cosa chiede il Signore? Scrivono i Vescovi italiani a proposito degli Orientamenti pastorali di questi primi anni del secolo: “Se un anello fondamentale per la comunicazione del Vangelo è la comunità fedele al Giorno del Signore, la celebrazione eucaristica domenicale, al cui centro sta Cristo che è morto per tutti ed è diventato il Signore di tutta l’umanità, dovrà essere condotta a far crescere i fedeli mediante l’ascolto della Parola e la comunione al corpo di Cristo, così che possano poi uscire dalle mura della chiesa con animo apostolico, aperto alla condivisione e pronto a rendere ragione della speranza che abita i credenti”. Ma le nostre comunità eucaristiche sono pronte a questo compito? Mi ha colpito leggere questa considerazione del teologo S. Dianich, che ha svolto una bella relazione al nostro convegno ecclesiale della montagna la primavera scorsa: “La struttura parrocchiale ha sempre accolto credenti, ai quali la fede era già stata comunicata – in particolare attraverso la famiglia - e ai quali la parrocchia doveva garantire la catechesi e i sacramenti”. Oggi non è più così. Ragazzi si presentano per la catechesi e non sanno pregare. Fidanzati iniziano l’itinerario per il matrimonio cristiano, di cui una parte è credente e l’altra no e accede al sacramento per far piacere all’altra. Non si può dire che manchino occasioni di evangelizzazione. Siamo piuttosto in difficoltà ad affrontare il problema, perché non abbiamo alle spalle una Chiesa che evangelizza. “Andate e annunciate: è la missione” è il tema che la nostra Chiesa è chiamata ad affrontare nel prossimo anno pastorale. Ed è anche il titolo della Nota pastorale che, riprendendo il programma della scorsa Lettera pastorale Cinque pani, due pesci e la folla, saremo sollecitati a rileggere e attuare secondo una prospettiva più missionaria. A compiere il primo passo del cammino che ci attende invito i consiglieri pastorali diocesani e vicariali, i rappresentanti delle comunità parrocchiali, delle associazioni, gruppi e movimenti a riunirsi nella giornata del prossimo 13 settembre per l’Assemblea pastorale diocesana all’Oratorio cittadino. + Adriano vescovo Reggio Emilia, 3 settembre 2003, nella memoria di S. Gregorio Magno, pastore LA NOSTRA INTERVISTA - INCONTRO COL CELEBRE STRUMENTISTA ORIGINARIO DI CORREGGIO: LA FORMAZIONE, LE ESPERIENZE INTERNAZIONALI, LA SITUAZIONE DELLA MUSICA CLASSICA IN CASA NOSTRA ANDREA GRIMINELLI: UNA VOLONTÀ DI FERRO COL TEMPO HA PRODOTTO UN FLAUTO D'ORO Se già a 11 anni qualche cosa inizia a mettersi di traverso… verrebbe subito da pensare ad un bambino sfortunato. Ma se quella “cosa” è un flauto e quel bambino è un enfant prodige, allora stiamo parlando di una storia di successo, quella di Andrea Griminelli. Un successo che ad oggi ha piantato vessilli vittoriosi, di critica e di pubblico, dal Giappone al Sud America, passando per gli USA, il Sud Est Asiatico e l'Europa. Un successo le cui origini, però, sono rigorosamente nostrane, come reggiana resta la base operativa di tanti tour internazionali. Siamo in Piazza della Vittoria, in pieno centro e - non può trattarsi di un caso - a due passi dai teatri storici di Reggio. “Andrea la sta aspettando”, mi sussurra cortese la manager personale. Questa è già musica per le mie orecchie. Ecco l’ufficio del celebre flautista: il computer connesso a Internet, sul tavolo una foto che lo ritrae con Elton John e Sting, appunti e giornali sparsi, un cellulare a cui tra breve risponderà in inglese. L’imbarazzo sarebbe tutto mio, se non fosse che il tono di voce del maestro è così assolutamente colloquiale e la sua stretta di mano talmente calorosa da mettermi all’istante a mio agio. Attacco con una domanda prevedibile. Cosa ha segnato “la svolta” nella sua carriera? Nella mia vita musicale i punti salienti sono stati numerosi. Il più importante fu quando nel 1980 vinsi il concorso al Conservatorio di Parigi: dalla provincia mi ritrovai classificato primo, su 200 candidati provenienti da tutto il mondo. Questo mi diede la possibilità di studiare in quella che viene considerata la miglior scuola di flauto in assoluto, entrandovi come allievo di Jean-Pierre Rampal, che è sempre stato il mio “mito”. A vent’anni avevo già vinto un concorso come flautista nell’Orchestra della Fenice ed insegnavo già al Conservatorio di Ferrara, tuttavia scelsi di mollare tutto – e di rinunciare ai due stipendi che allora ricevevo – per frequentare la Scuola parigina, quattro anni con una borsa di studio minima. Ma ne valse la pena: quell’esperienza è stata il giro di boa che mi ha fatto migliorare come flautista, cosa che se fossi rimasto in Italia… Per l’appunto, parliamo della musica classica nel nostro Paese. È vero che è in crisi? Indubbiamente sta attraversando un momento molto difficile. Più che di crisi, io parlerei di un cambiamento nel modo di vedere la musica. Tutto il mondo, d’altronde, sta andando avanti velocemente; la tecnologia ha portato una prima trasformazione, ma credo che per il futuro dovremo aspettarcene altre. C’è sicuramente una crisi discografica, con negozi che oggi non tengono più cd di musica classica perché non ne vendono. Ma il cambiamento avviene anche dall’interno: molte orchestre stanno cambiando l’impostazione delle loro stagioni; i puristi sono sempre di meno, mentre anche grandi orchestre come quella di Berlino aprono ai concerti jazz e pop. Le case discografiche, per vendere di più, vogliono che gli artisti classici incidano musiche cross over, vale a dire dei dischi più facili, d’ascolto, con contaminazioni leggere. Penso anche, tuttavia, che in questi anni si siano incisi troppi dischi: al giorno d’oggi praticamente chiunque può registrare un disco ad un costo bassissimo e cercare di distribuirlo. Ma chi è che, avendo già 10 versioni delle sinfonie di Beethoven, va a comprarsi l’undicesima? Serve qualcosa di veramente nuovo. E magari cd meno cari… Il prezzo dei cd è troppo alto, sono d’accordo. Pure su questo aspetto, secondo me, nei prossimi dieci anni assisteremo ad una rivoluzione, che coinvolgerà anche la musica classica. Il cd stesso verrà probabilmente sostituito dai brani scaricabili in Internet o da tecnologie simili alla Ipod della Apple, capaci di contenere qualcosa come 6.500 pezzi. Il violinista Salvatore Accardo, intervistato da Avvenire, assegna le responsabilità della fuga dalla classica anche a Tv e scuola. È d’accordo? La musica classica è caduta nel dimenticatoio della tv per ragioni commerciali. Una volta esistevano diversi spazi di musica classica; ricordo che all’una tenevo concerti su Raiuno, c’erano i concerti aperitivi, della Martini… mentre adesso non esiste più niente. Per quanto riguarda la scuola, invece, penso che ci sia stato un miglioramento notevole. Oggi, nel nostro Paese, per chi vuole imparare esiste un panorama veramente ampio. Tutti i più grandi insegnanti passano dall’Italia: senz’altro per il flauto, ma in generale è così. Certo, molti sono corsi a pagamento, e forse c’è fin troppa offerta. Io stesso, due mesi fa, ho organizzato a Reggio un corso con il più grande flautista al mondo, James Galway, che è anche stato mio maestro; un tempo un’operazione del genere sarebbe stata impensabile. Quando avevo 15 anni, i flautisti stranieri non venivano qui; per passione studiavo sui dischi, ascoltandoli e riascoltandoli per ore, e per perfezionarmi dovetti andare a Parigi. Oggi ci sono master class un po’ dappertutto, tenute dai migliori strumentisti. A vivere una situazione pesante sono semmai i Conservatori italiani, principalmente a causa di una legge che andrebbe modificata totalmente: programmi datati, un modo vecchio di concepire gli esami; soprattutto segnano il passo le norme sugli insegnanti. In Italia non esiste una scuola superiore di perfezionamento come quella di Parigi dove ho studiato, o come la Julian School di New York o il Royal College of Music di Londra. Come si colloca Reggio in questo quadro? A Reggio l’interesse per la musica è alto. Devo dire che io stesso sono amato e ho ricevuto il sostegno dal Comune, da I Teatri, da sponsor privati. Da anni la nostra realtà musicale è in fase di sviluppo: abbiamo teatri restaurati, con aria condizionata, un sacco di spazi musicali. Inoltre il direttore artistico de I Teatri, Daniele Abbado, sta dando molto prestigio a questa città. Non dico che i reggiani non possano chiedere di più, ma certo hanno davanti una grande ricchezza di proposte. Un giovane che oggi voglia imparare la musica, su cosa deve puntare? Estro, nuove tecnologie…? In base a quella che è stata la mia esperienza, contano la volontà e la passione. Per fortuna, nello studio dello strumento, la tecnologia non incide: non trovo che oggi lo spettro e la qualità sonori siano sostanzialmente cambiati, rispetto alle caratteristiche di quanto ascoltavo 30 anni fa. Per uno studente è fondamentale puntare sulla preparazione, sia che si accosti al jazz, sia che scelga la classica; in particolare, dedicare parecchio tempo allo studio finché si è molto giovani è una scelta che ripaga sempre, restituendoti la fatica investita oggi con soddisfazioni inimmaginabili, domani. Dal 1996 è stato direttore del “Concerto di Natale” in Vaticano. Com’è stata quell’esperienza? Ho organizzato 5 edizioni, curando che vi fosse la presenza di artisti internazionali, anche classici. Ma quando, sempre per ragioni televisive, la musica classica è stata tolta di mezzo, ho rinunciato all’incarico. Non mi interessava più. Molti lettori la ricorderanno gradito ospite al Festincontro 1999. Che immagine ha della nostra Chiesa? Ho dei ricordi bellissimi del tempo trascorso nella parrocchia di Correggio, con don Romano Messori. Sa, sono rientrato da poco dalla Val Badia e anche questo mi ha fatto tornare in mente i campeggi parrocchiali a cui ogni anno partecipavo da ragazzino. All’epoca frequentavo anche la Casa della Carità di Fosdondo, verso la quale ero stato sensibilizzato sempre in parrocchia. Oggi viaggio in continuazione per il mondo e quel legame, inevitabilmente, si è un po’ allentato. Ma non è calata la sensibilità umanitaria. Ad esempio per Cuba... Sono stato già tre volte in quell’isola, la prima nel 1986. Nell’ultimo viaggio è stato emozionante incontrare i miei allievi dell'’86 che adesso insegnano all’Università. A L’Avana ho seguito gratuitamente una master class per ragazzi di Cuba, formando circa 100 flautisti dell’Università e delle altre scuole. Nell’occasione, insieme a Jovanotti, abbiamo girato uno speciale televisivo per Rete4… insomma una bella esperienza. Cerco sempre di portare avanti iniziative umanitarie, sebbene occorra tenere gli occhi ben aperti. Il nostro mondo è pieno di squali a cui il tuo nome o la tua partecipazione interessano solo per finta beneficenza, mentre in realtà ti usano per scopi commerciali. Purtroppo di gente in malafede, in giro, ce n’è sempre di più e bisogna imparare a “setacciare”. Lei ha inciso l’album “Andrea Griminelli’s Cinema Italiano”, in cui ha reinterpretato famose colonne sonore di film italiani, riarrangiate da Bacalov e Morricone. Ha in cantiere altre esperienze fuori dall’ambito classico? Quel cross over è stata un’esperienza molto ricca, ma altrettanto faticosa e lunga da portare a termine: per il disco hanno lavorato con me amici artisti del calibro di Pavarotti, Sting, Lucio Dalla, Deborah Harry. Forse sono uscito un po’ dal seminato… Oggi come oggi, comunque, mi sto concentrando esclusivamente sulla musica classica, in due direzioni: concerti e nuovi dischi. A breve ne registrerò due: concerti di Mozart e sonate di Bach. Musicoterapia. Ci crede? Sicuramente. Le posso testimoniare l’esperienza di mio cognato, lo psichiatra Giovanni Spaggiari, il quale ne ricava risultati incredibili per la cura dei suoi pazienti; è lui che mi ha aiutato ad avvicinarmi a questo campo quando, circa cinque anni fa, composi musica cosiddetta new age e incisi un disco di musica d’ascolto per la Cibalgina Fast, distribuito dal canale farmaceutico. Altro esperimento interessante, in un settore completamente diverso rispetto alla musica classica. Le radici reggiane hanno condizionato la sua sensibilità artistica? Se il mio modo di fare musica è certamente estroverso, è proprio perché provengo dalla terra del bel canto. Questa differenza mi è sempre risultata evidente ogni volta che ho suonato con strumentisti giapponesi o anglosassoni, per esempio. Credo che tutti abbiano ricevuto un dono dall’Italia: questa terra, con Verdi e altri grandi compositori, ci ha regalato l’opera. L’11 settembre 2001 ha segnato anche la musica classica? In quel periodo ero direttore artistico del Festival MusicaRe, proprio a Reggio. La tragedia fece saltare l'ultima data, con Sting ed altri musicisti internazionali. Certamente si può dire che quel giorno ha cambiato il mondo e, indirettamente, anche il modo di interpretare la musica. Edoardo Tincani CLARA BORGHINI BUSSI: LA POESIA PER RICORDARE, CANTANDO LA BELLEZZA DELLA VITA E DELLA FEDE POETESSA, MA ANCOR PIÙ TESTIMONE E PROTAGONISTA DI EVENTI STORICI E' mancata una settimana prima di iniziare il suo centounesimo anno la signora Clara Borghini Bussi. Nota come "poetessa" per un gran pubblico, ma ancor più come testimone di un secolo di storia italiana e reggiana in particolare. Nata a La Spezia nel 1903, studiò nel locale Istituto Magistrale vivendo, in una adolescenza già pensosa e attenta, il dramma della prima guerra mondiale. Come tutte le studentesse d'Italia, anche Clara aveva dovuto posporre lo studio alla confezione di sciarpe, calze e maglie di lana per i combattenti, o alla preparazione di "scaldaranci", che servivano ai soldati delle trincee per riscaldare il cibo. Attrezzi rudimentali fatti riempiendo di materiale infiammabile dei bossoli di proiettili già sparati e che, proprio per questo, facevano toccare con le mani, alle ragazze, il vivere e il morire in guerra. Sposò poi un valoroso ex combattente reggiano, il tenente Giuseppe Bussi, detto Peppino. Iniziò così la vita e l'insegnamento in quello che era un remoto borgo dell'Appennino, Roncroffio, nella parrocchia di Felina. Remoto, ma che personaggi come il professor Pasquale Marconi, i dottori Poncemi e Azzolini, don Vittorio Pellicciari e altri rendevano pieni di vita, di iniziative, di cultura. E fu in questo ambiente, caratterizzato da amicizie senza confine, libero come forse non avrebbe potuto essere quello cittadino, che maturò la riflessione critica sul fascismo fino allo sganciamento definitivo al momento della sua subordinazione alla Germania di Hitler e alla proclamazione delle leggi razziali. La seconda guerra segnò definitivamente la vita di Clara con una tragedia troppo a lunga rimasta dimenticata nella storia della resistenza reggiana: l'eccidio di San Michele del 29 settembre 1944. Quella mattina una pattuglia tedesca, che si avvicinava a Roncroffio in atteggiamento pacifico (armi a tracolla e, nel dialetto locale, a man squassand), incappò in un agguato partigiano. Un tedesco rimase ucciso e un altro gravemente ferito. Nel tardo pomeriggio la rappresaglia che colpì proprio la famiglia di Clara: nel cortile retrostante la casa le furono uccisi il marito Peppino (49 anni), il padre Luigi Borghini (81 anni), il nipote Gino Borrini (29 anni) e l'amico di famiglia Vittorio Manfredi (49 anni). Il giorno dopo il secondo atto della rappresaglia con il saccheggio e l'incendio del paese. Clara aveva tre figli e aspettava il quarto. Le furono dati cinque minuti per lasciare la casa prima che venisse data alle fiamme. Riandando a quegli eventi in una intervista a La Libertà nel Natale 1994, Clara ricordava come fu la fede a orientarla in quei momenti difficili e a darle la forza di continuare per lenire il dolore della vecchia madre e per aiutare i figli - per i quali lei era Provvidenza di Dio - a crescere. La fede le diede la forza vivificante del perdono, come vediamo nel gesto col quale lei toglie un fiore dalle quattro tombe dei suoi cari per deporlo sulla quinta tomba, quella del tedesco la cui uccisione aveva provocato la rappresaglia. Da quel "San Michele d'autunno" iniziò per lei il lungo tempo del pianto e del ricordo. E fu caratterizzato dalla poesia, con un primo volume di liriche pubblicato nel 1976. Poesia come bellezza della materia e dello spirito e, in particolare della fede. «La poesia è essenzialmente ricerca - confidava a La Libertà -. è un viaggio di scoperta sia dell'universo che c'è dentro di noi, sia di quello che è fuori. Se ricerchiamo con purezza di cuore, come dice Yeats, io credo che sui confini di questi mondi non si possa non trovare Dio. E allora ecco la funzione salvatrice della poesia!». Chi, in questi giorni, ha ripreso in mano i suoi testi, è rimasto colpito dal continuo ritornare del tema della vita che prosegue oltre ogni limite delle umane cattiverie o disgrazie; e che prosegue non tanto nella continuità generazionale, quanto soprattutto nella immortalità della vita eterna, nella salvezza operata da Gesù. Di qui la sua gioia, non forzata, non intellettuale, ma vissuta nella quotidianità e alimentata dalla fede. Per questo nel suo ricordino funebre i familiari hanno potuto scrivere, in tutta verità, l'inizio del salmo 121: «Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa del Signore!».