la parola della domenica
Anno liturgico B
omelia di don Angelo nell’Ottava del Natale
Nella Circoncisione del Signore
1 gennaio 2009
Nm 6,22-27
Sal 66
Fil 2,5-11
Lc 2,18-21
È tradizione che nel passaggio da un anno all’altro ci si senta come autorizzati a fare
bilanci. Bilanci e previsioni.
E voi mi perdonerete se, come sempre, vi confesso la mia incapacità, il mio sentirmi
inadeguato a fare bilanci e previsioni.
Nel capitolo 40 di Isaia c’è un passaggio che, ogni volta che lo leggo, mi colpisce
profondamente, là dove è scritto: “Chi ha misurato con il cavo della mano le acque del mare
e ha calcolato l’estensione dei cieli con il palmo? Chi ha misurato con il moggio la polvere
della terra, ha pesato con la stadera le montagne e i colli con la bilancia?” (Is 40,12).
I bilanci, non solo quelli economici, soprattutto quelli della storia, i bilanci della vita, non
sono alla mia portata.
Davvero mi ritrovo con un palmo a calcolare l’estensione dei cieli, con un cavo di mani a
misurare le acque del mare, con il moggio a misurare la polvere della terra, con la bilancia,
la mia piccola bilancia, a pesare montagne e colline.
Non mi ritrovo nelle grandi analisi, nelle seducenti previsioni. Non sono i verbi che mi
appartengono, mi ritrovo più a mio agio nei verbi piccoli, quelli dei pastori, di Maria, ricordati
dal vangelo di Luca: udire, vedere, stupirsi, raccontare, meditare nel cuore, glorificare, lodare
Dio.
Anche ai tempi di Gesù c’era chi guardava ai grandi numeri: bilanci, previsioni. Avevano
inventato un censimento. E nel grande sondaggio era sfuggito o era parso irrilevante un
nome, quello di un cucciolo d’uomo nato in una mangiatoia.
Può capitare di avere occhi e non vedere, di avere orecchi e non ascoltare, di provare
stupore ma per le grandezze mondane, di avere un cuore che non sa meditare.
La grazia che chiedo per me, ma anche per voi, per voi, per oggi in questi ultime briciole
dell’anno, ma anche per le ore che ci toccheranno dell’anno nuovo, è che non si indurisca il
cuore. Di Maria è detto “meditava nel cuore”. Non basta l’intelligenza, occorre il cuore. Per
questo nostro tempo occorre un po’ più di cuore. Donaci, Signore, la saggezza del cuore.
E la saggezza del cuore, la memoria del cuore, non ci fa ricercare i segni di speranza in
alto, ma in basso.
Ricercavano la salvezza in alto e la salvezza, il salvatore, era quel bambino nato in basso,
più basso di così! E Giuseppe lo chiamò, secondo l’ordine dell’angelo, “Gesù”, cioè con un
nome che dice “salvezza”, lui, piccolo cucciolo d’uomo, circonciso di otto giorni come tutti, lui
il salvatore.
Quel Figlio di Dio nato in basso era ed è la benedizione della nostra terra, è il segno che
Dio aveva fatto brillare e fa oggi brillare il suo volto su di noi e ci concede pace.
Se abbiamo imparato qualcosa da questo Natale, non possiamo dunque intestardirci a
cercare segni di speranza in alto. Sarebbe, ancora una volta, “confidare” - dice la Bibbia –
“nei carri e nei cavalieri”. Mentre noi - dice la Bibbia - “confidiamo nel nome del Signore”.
In chi confidare? Nella corazza e nelle vanterie di Golia o nelle poche pietruzze del torrente
nelle mani di un Davide disarmato?
I segni della speranza sono in basso, segni spesso, piccoli, ma teneri, tenaci, come
germogli. Lontani dal clamore, ma vivi nei solchi oscuri della storia.
Segni di speranza sono gli occhi luminosi dei nostri bambini e quelli sereni dei nostri
anziani. Sono le creature che tu ami, gli amici che ti sono fedeli.
Segni di speranza la Parola di Dio che lungo l’anno ci ha illuminato, il Pane che ci ha
nutrito, i fratelli e le sorelle con cui abbiamo camminato.
Segni di speranza le donne e gli uomini in ricerca, lontani da intrighi e compromessi, le
donne e gli uomini del gratuito in una società dove tutto si compera, dove, se ci si muove, è
per un tornaconto, loro liberi da calcoli e da secondi fini, loro, vorrei dire, testardi nel riunire,
nel “mettere insieme” in una società che divide.
Un verbo “mettere insieme” che mi colpiva nel racconto di Luca, dove di Maria si dice che
“meditava” nel suo cuore, ma in greco il verbo è sun-ballo, che alla lettera significa “mettere
insieme” e richiama la parola “simbolo”. Simbolo in origine era un oggetto diviso tra i figli,
così che questi, solo riavvicinando le parti, potevano verificare la bellezza dell’integrità
dell’oggetto e insieme la loro origine comune.
E non è questo forse un messaggio importante per la Giornata mondiale della pace? È
mettendoci insieme, è non escludendoci, è mettendo insieme la parte che ci è stata data e
non tenendocela per noi stessi, è mettendo insieme - sun-ballo, simbolo - che noi potremo
ripristinare l’integrità del disegno di Dio e celebreremo fuori delle chiese, nella vita, la nostra
comune origine in un Padre che è Padre di tutti.