Oltre la crisi, un modello di comunità. L - Digilander

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Oltre la crisi, un modello di comunità.
L’esperienza dei Sistemi di scambio locale non
monetari e delle Banche del tempo.
di Paolo Coluccia (http://digilander.libero.it/paolocoluccia - e-mail [email protected])
Lezione Magistrale al Convegno “Altrementi Festival”, Repubblica di San Marino,
22-24 gennaio 2010 a cura dell’Associazione Culturale “Don Chisciotte”.
"Le società hanno progredito nella misura in cui esse stesse,
i loro sottogruppi e, infine, i loro individui,
hanno saputo rendere stabili i loro rapporti,
donare, ricevere e, infine, ricambiare!"
(Marcel Mauss)
Abstract
La filosofia della Banca del tempo si basa sull’azione di reciprocità generalizzata e sui
principi della simmetria e dello scambio sociale, per il raggiungimento della solidarietà.
Cos’è la reciprocità generalizzata o, più semplicemente, indiretta? Si dà a qualcuno, per
ricevere da qualcun altro. Si scambiano così, senza l’intermediazione del denaro, beni,
servizi e sapere. L’azione è necessariamente locale. Lo strumento è un’associazione senza
fini di lucro che in Italia ha preso il nome di Banca del tempo. Il fine è la solidarietà tra i
soci e di questi verso la comunità d'appartenenza.
Tutti hanno la possibilità di dare e chiunque ha bisogno dell’altro per ricevere. Il
comportamento individuale è il dare, il ricevere e il ricambiare. È uno scambio tra
equivalenti, ma non di mercato, dove lo scambio segue la contrattazione diretta (qualcuno
cede la merce in cambio del denaro di qualcun altro).
In un sistema di reciprocità si dà a qualcuno per ricevere da qualcun altro in tempi e modi
differenti. Al posto del contratto c'è il patto. Non è nemmeno assimilabile al baratto, come
confusamente molti sottintendono, perché anche il baratto si svolge frontalmente tra gli
equivalenti: si dà un oggetto in cambio di un altro d’uguale valore, d'uso o convenzionale
non importa, sempre a seguito di contrattazione.
1
1. Introduzione: Reciprocità,
simmetria e scambio sociale
Tratterò dell’esperienza della Banca del tempo e dei Sistemi di
scambio locale non monetari (ovvero del modello LETS) nella
prospettiva della ricercazione, in quanto ritengo che non esista azione
senza ricerca e ricerca senza azione.
La filosofia della Banca del tempo si basa sull’azione
di reciprocità generalizzata e sui principi della simmetria
e dello scambio sociale, per il raggiungimento della
solidarietà.
Cos’è la reciprocità generalizzata o, più semplicemente, indiretta? Si dà
a qualcuno, per ricevere da qualcun altro. Si scambiano così, senza
l’intermediazione del denaro, beni, servizi e sapere. L’azione è
necessariamente locale. Lo strumento è un’associazione senza fini di lucro
che in Italia ha preso il nome di Banca del tempo. Il fine è la solidarietà tra i
soci e di questi verso la comunità d’appartenenza. Tutti hanno la possibilità
di dare e chiunque ha bisogno dell’altro per ricevere. Il comportamento
individuale è il dare, il ricevere e il ricambiare. È uno scambio tra
equivalenti, ma non di mercato, dove lo scambio segue la contrattazione
diretta (qualcuno cede la merce in cambio del denaro di qualcun altro). In un
sistema di reciprocità si dà a qualcuno per ricevere da qualcun altro in tempi
e modi differenti. Al posto del contratto c’è il patto. Non è nemmeno
assimilabile al baratto, come confusamente molti sottintendono, perché
anche il baratto si svolge frontalmente tra gli equivalenti: si dà un oggetto in
cambio di un altro d’uguale valore, d’uso o convenzionale non importa,
sempre a seguito di contrattazione. «Il principio del baratto dipende per la
sua efficacia dal modello di mercato», ha spiegato Polanyi ne La Grande
trasformazione (1974).
La simmetria è un principio fondamentale in questi rapporti
interindividuali. Si manifesta:
a) nella produzione e nell’uso dell’informazione – tutti contribuiscono a
creare il circuito informativo di ciò che si dà e di ciò che si riceve (bollettino
offerte-richieste);
b) nella parità sostanziale degli individui in rapporto alla prestazione
offerta nel sistema (un’ora dell’imbianchino vale quanto un’ora dell’esperto
informatico);
c) nel pareggio a saldo di tutti i conti individuali, in dare o in avere,
considerato che tutti partono con un conto zero (quando qualcuno riceve
2
s’indebita mentre chi ha dato s’accredita di ore di tempo o di unità locali di
conto).
Lo scambio sociale consiste nella relazione di ego verso alter,
finalizzata alla solidarietà del noi, al legame sociale (condivisione), alla
comunicazione (azione-comune). La dimensione umana della reciprocità
instaura un nuovo settore sociale: quello della spontaneità e del dono. Non si
vuole soppiantare lo stato o il mercato, - questo è importante, anche se non è
tutto e regola gli scambi della maggior parte degli individui - ma si cerca di
immettere nel sistema sociale un’innovazione basata sui fondamenti
antropologici e culturali del dono. «Le società hanno progredito nella misura
in cui esse stesse, i loro sottogruppi e, infine, i loro individui, hanno saputo
rendere stabili i loro rapporti, donare, ricevere e, infine, ricambiare!»
(Mauss, 2002).
3
La costruzione del paradigma: come nasce una
Banca del tempo
2.
Come nasce una Banca del tempo? Metti insieme 10-15 persone,
consegna loro un pezzo di carta e una penna e chiedi di scrivere, oltre ai
propri dati, ciò che sanno fare o ciò che vogliono dare o che vorrebbero
ricevere. Aggrega le offerte e le richieste su un foglio più grande, fanne
diverse copie e consegna una a testa. Ora l’informazione è comune: tutti
dispongono dei nomi, dei numeri di telefono, delle attività, delle
disponibilità e dei bisogni di ciascuno. Una Banca del tempo autonoma e
autogestita come un sistema di reciprocità indiretta nasce proprio così.
Decolla quando realmente si comincia a chiedere e ad offrire. Alla fine di
ogni prestazione si stacca un tagliando dove si attesta il valore del bene, del
servizio o del sapere ricevuto. Si conteggia in ore o utilizzando un’unità di
conto convenzionale e locale. Un gruppo di amministrazione coordina le
attività, anima l’associazione, aggiorna i conti, cura la redazione periodica
del bollettino offerte-richieste, predispone gli strumenti minimi di
funzionamento, presenta i nuovi entrati nel gruppo, convoca riunioni
periodiche. Si agisce nella massima parità e trasparenza. Chi fa il furbo o
cerca di approfittarsi prima o dopo viene scoperto e non ha vita facile.
Sembra tutto molto semplice, ma vi assicuro che dopo anni di attività diretta
e di analisi di varie esperienze nazionali ed internazionali, non è proprio
così. Sembra proprio una bella idea: purtroppo nella pratica succede di tutto,
anche l’imprevedibile.
Gli strumenti principali per far funzionare una Banca del tempo sono:
1. L’Atto costitutivo, lo Statuto e il Regolamento (rappresentano
rispettivamente l’intenzione dei membri ad associarsi, lo scopo
sociale da raggiungere e lo strumento normativo interno da
seguire per il conseguimento dei fini sociali previsti);
2. Il Gruppo di amministrazione (un certo numero di membri
democraticamente eletti che si fa carico di far funzionare la Bdt –
promozione, accettazione di nuovi iscritti, aggiornamento dei
dati, contabilità, bilancio, convocazione incontri periodici ecc.);
3. Il Coordinatore (svolge la sua azione promotrice all’interno e
all’esterno, rappresentando di fatto la Bdt);
4. La Scheda di adesione (contiene bisogni e capacità e rappresenta
il primo strumento di conoscenza dell’associato e nella sua prima
compilazione non bisogna lasciare sola la persona, ma occorre
aiutarla a trovare le ragioni di fondo della reciprocità, anche
4
perché non sempre uno sa che cosa è capace di offrire e di che
cosa può aver bisogno);
5. Il Bollettino offerte-richieste (rappresenta la gestione
dell’informazione a rete – con trasparenza e democrazia –
mediante il quale l’informazione è comune, in quanto deve
circolare tra gli associati della Bdt, un valido strumento
d’interazione e di relazione sociale tra i membri);
6. L’Unità di conto (tempo o moneta fittizia e simbolica locale, che
non rappresentano un’alternativa al mercato e al denaro, ma
un’innovazione sociale, in quanto spesso il valore di una
determinata prestazione può non “aver prezzo” o non trovare
piena corrispondenza nell’economia quotidiana).
7. L’Assegno-tempo o l’Attestazione di reciprocità (è compilato dal
ricevente la prestazione e consta di due o tre tagliandi – uno per il
ricevente, uno per il donante e, se c’è un terzo, per la Bdt che cura
la contabilità generale);
8. La Scheda di contabilità individuale/generale (quando il tagliando
dell’assegno è recapitato alla Bdt, questa lo registra sulla scheda
individuale dell’associato, il cui conto segue strettamente la
partita doppia – credito/debito – mediante cui è possibile avere
sempre in chiaro la situazione generale di tutti i membri della
Bdt);
9. Il Software di gestione (quando i membri sono numerosi e gli
scambi si moltiplicano, conviene utilizzare un software specifico
di gestione della Bdt o almeno una serie di fogli Excel);
10. L’Assicurazione (non è un argomento da trascurare, perché
qualcuno può fare o farsi male. Come per le associazioni di
volontariato – Legge 266/90 – alcune compagnie di assicurazione
hanno previsto una polizza poco costosa per ogni associato);
5
Un po’ di storia, le esperienze in Europa e nel
mondo
3.
Questi sistemi di scambio locale si diffusero nel mondo con motivazioni
e modelli differenti, anche se è unanimemente riconosciuto che il sistema
iniziale e trainante è stato il sistema LETS di M. Linton, elaborato in
Canada sulle ceneri di un’esperienza analoga fallita per ingenuità e per
inesperienza dei promotori.
Nel 1975 si organizzarono in Canada i LETSystem (Local Echange
Trading System), che utilizzarono monete locali riferite alla valuta
nazionale, al dollaro o al tempo inteso come ora di lavoro. Dal 1985 i LETS,
dopo qualche clamoroso fallimento e qualche affinamento tecnico-contabile
e con l’apertura della gestione e dell’organizzazione agli aderenti, si sono
diffusi rapidamente in Europa (Inghilterra, Germania, Francia, Belgio,
Scozia, Italia ecc.) e nel mondo (Argentina, Messico, Venezuela, Brasile,
Australia, Senegal ecc.).
In Inghilterra si cercò in qualche modo di arginare le difficoltà causate
dalle politiche tatcheriane. La parola lets, oltre che il significato
dell’acronimo, può significare provocatoriamente anche ‘Lasciatecelo fare!’.
Interessante un’esperienza denominata “Mental-Lets”, rivolta al
reinserimento sociale di persone con disturbi psichici.
In Francia oltre ai SEL (Système d’Echange Locaux), orientati in senso
ecologico ed anti utilitarista, si sono organizzati RERS (Réseau d’Echange
Réciproque de Savoir - Rete di scambio reciproco di sapere) e Troc-Temps
(Baratto di tempo). Interessante la Route des SEL, organizzazione nazionale
di ospitalità per viaggiatori aderenti ai SEL che permette il pernotto gratuito
presso le famiglie che vi aderiscono.
In Germania ci sono state diverse configurazioni di sistemi di scambio:
i Tauschringe (Cerchi di scambio), i Talents (sistema Talenti), le Zeitbörse
(Borse del tempo). Singolare il motto dei Tauschringe: ‘Vai, anche senza
marchi!’.
In Belgio è stata testimoniata la presenza e la sperimentazione di SEL e
di LETS: quest’ultimo acronimo, a differenza di quello inglese riferito allo
scambio commerciale ed economico, significa soprattutto ‘Locale Scambio
di Talenti e di Servizi’, dove per talenti s’intendono le capacità personali
creative dell’individuo.
Numerosi i Lets che sono apparsi in Irlanda. In Spagna e Portogallo
operano Lets e Banche del tempo (quest’ultime molto istituzionalizzate).
6
In Olanda è stato attivo un gruppo che divulga e sostiene i sistemi di
scambio locale: Aktie-Strohalm. Questa associazione ha organizzato a
Strasburgo nel 1998 un Seminario Internazionale Lets con il fine di
sviluppare questi sistemi non monetari nelle nazioni dell’Est dell’Europa.
Oggi la divulgazione si è fatta ancora più ampia e punta decisamente su
alternative economiche.
Nel 1991 ad Ithaca (New York) partì un sistema orientato a controllare
gli effetti negativi dell’economia di mercato. Si stamparono le Ore di
Ithaca, monete locali multicolorate dipinte su carta filogranata o su canapa
tessuta a mano con inchiostro termico, alle quali si è dato un corso legale
parallelo. Alcuni bar, ristoranti e cinema ancora accettano le Ithaca-Hours.
Questo contante rispetta l’ambiente, non è speculativo e crea lavoro e
consumo responsabile.
In Argentina, sempre agli inizi degli anni 90, si formarono i Clubs de
Trueque (Clubs di scambio) riuniti successivamente in un progetto di
comunicazione denominato Red de Trueque. Con queste associazioni si
tentò di rilanciare il dinamismo economico perduto dalle comunità negli
anni ’80 dominati dalla dittatura. Purtroppo, di recente ci sono stati grossi
problemi nella gestione dei creditos (moneta sociale del Trueque), che
hanno invaso la società argentina e sud-americana, per abusi di emissione
compiuti da organizzazioni malavitose. Presenza di Club de Trueque anche
in altri Paesi dell’America Latina e in Messico.
L’Australia ha contato il sistema Lets più numeroso per numero
d’iscritti (si parla di 1800 aderenti) e di famiglie coinvolte nello scambio: il
Blue Mountain. Ma le notizie sono molto superficiali, a parte un tour di
conferenze in Europa di una sua animatrice, Gil Jordan, verso la metà degli
anni ‘90.
In Senegal sono nati i SEC (Systèmes d’Echange Communautaire). Si
prefiggevano non tanto di generare legame sociale (l’Africa ne ha da
vendere) ma di dinamizzare gli scambi economici, la reciprocità e l’autoaiuto, mediante reti locali e gruppi di vicinato e di prossimità, con una
particolare attenzione alle persone svantaggiate.
Ultimamente M. Linton ha spostato il suo campo d’azione in Giappone
dove sta stimolando, tra tanti problemi e preoccupazioni, sistemi di scambio
basati sulla moneta sociale. Ne sono sorti di diverso genere, anche sulla
spinta di un programma televisivo (su questi temi vedi i documenti posti in
appendice ai miei libri pubblicati negli anni 2001, 2002, 2003).
7
4. Le
Banche del tempo in Italia: i modelli
In Italia il fenomeno delle Banche del tempo e dei sistemi locali di
scambio non monetario che generano altruismo reciproco generalizzato è
stato ed è molto differenziato. Possiamo distinguere, in modo molto
approssimativo, tre modelli di Banca del tempo:
- la Bdt organizzata, finanziata e gestita dal Comune, a seguito di
deliberazione della giunta comunale, con un funzionario pubblico che fa
l’animatore, il coordinatore e il segretario dell’esperienza. Questo modello,
sviluppatosi in molte città italiane del centro-nord, vede nella Bdt un
servizio pubblico da fornire al cittadino, qualificato come utente o cliente,
che per le sue necessità si rivolge ad uno sportello, stacca degli assegni per
le prestazioni, s’accredita o s’indebita per le prestazioni date o ricevute,
riceve il suo bravo estratto conto periodico…, proprio come avviene
nell’immaginario economico e monetario del sistema bancario, solo che al
posto delle monete in queste organizzazioni si deposita e si conteggia il
tempo.
- la Bdt che nasce all’interno di un’associazione, di una cooperativa
o di un’organizzazione sindacale (Arci, Misericordie, Mag, Auser ecc.).
Questi gruppi già costituiti e funzionanti fanno muovere (a mo’ di balie) i
primi passi alla neonata iniziativa sociale. In positivo, si lascia alla fine
che la Bdt proceda con le proprie gambe e che si apra alla comunità; in
negativo, può avvenire che il rapporto ideologico di fondo crei dipendenza,
perduri all'infinito e che il sistema rimanga chiuso ed individualizzato
all’ambiente sociale.
- la Bdt come sistema autonomo, autofinanziato e autogestito che
nasce su iniziativa di alcuni individui ampiamente motivati, spesso
carburati ideologicamente (in senso politico, ambientalista, solidaristico
ecc.), che si riuniscono ed elaborano un progetto di azione comune, che si
autofinanziano e che si autonormano con uno statuto ed un regolamento e
con degli strumenti semplici di informazione e di contabilità, per favorire e
per registrare gli scambi di reciprocità generalizzata. Non nascondo una
certa simpatia per questo modello, pur con qualche riserva. Infatti, il
substrato ideologico, se per un verso fa da collante, dall’altro può isolare il
gruppo dalla comunità. Inoltre, quando le controversie non si
ricompongono facilmente si rischia l’implosione del sistema.
Se dobbiamo rappresentare in percentuale le Banche del Tempo in Italia
possiamo indicare che al primo e al secondo modello (ove la presenza
dell’Ente locale sia preponderante) appartiene il 60% dei casi; le esperienze
rimanenti del secondo modello, prive di un sostegno decisivo sia pure
8
parziale del Comune rappresentano il 30%; al terzo modello appartiene il
rimanente 10%.
Le percentuali però non indicano un successo indiscusso nell’uno o
nell’altro modello. Le buone e le cattive esperienze si possono riscontrare
in ciascuno dei tre modelli.
Un principio fondamentale accomuna tutte le Banche del
tempo: la volontà di alcune persone che interagiscono mediante la pratica
della reciprocità indiretta, per il raggiungimento di un beneficio sociale ed
economico e per la crescita della comunità. Nelle esperienze in cui manca
questa base comune diventa molto difficile mettere in pratica una Banca del
tempo.
In generale si riscontrano eccessi di burocrazia e di procedure,
come pure forti motivazioni individuali o ideologiche. Tutto ciò può
generare dipendenza e isolamento. Spesso si organizzano molteplici
iniziative culturali, ma altrettanto spesso si dimentica l’idea originaria che
sta alla base della Bdt, che è la pratica dello scambio e la cultura della
reciprocità tra gli associati. Non si può dire quale modello sia il migliore da
seguire, perché ogni gruppo di persone che intendano promuovere una
Banca del tempo deve fare i conti con le proprie esigenze e con la realtà
sociale, economica e culturale di appartenenza.
Quando si è tentato di omogeneizzare un modello ritenendolo valido per
tutte le esperienze, queste sono quasi sempre miseramente fallite. Peggio
ancora quando, privi d’idee personali e di conoscenza adeguata della propria
realtà, si è copiato pedissequamente un modello: in questo caso non si è mai
registrato il benché minimo successo.
9
5. Leggi
e contesti socio-culturali
È stata emanata qualche anno fa una Legge dello Stato (Legge 8 marzo
2000, n. 53 contenente Disposizioni per il sostegno della maternità e della
paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento
dei tempi delle città) che tenta di stimolare la nascita di Banche del tempo.
Art. 27
(Banche dei tempi)
1. Per favorire lo scambio di servizi di vicinato, per facilitare l’utilizzo dei servizi
della città e il rapporto con le pubbliche amministrazioni, per favorire l’estensione
della solidarietà nelle comunità locali e per incentivare le iniziative di singoli e gruppi
di cittadini, associazioni, organizzazioni ed enti che intendano scambiare parte del
proprio tempo per impieghi di reciproca solidarietà e interesse, gli enti locali possono
sostenere e promuovere la costituzione di associazioni denominate “banche dei tempi”.
2. Gli enti locali, per favorire e sostenere le banche dei tempi, possono disporre a
loro favore l’utilizzo di locali e di servizi e organizzare attività di promozione,
formazione e informazione. Possono altresì aderire alle banche dei tempi e stipulare
con esse accordi che prevedano scambi di tempo da destinare a prestazioni di mutuo
aiuto a favore di singoli cittadini o della comunità locale. Tali prestazioni devono
essere compatibili con gli scopi statutari delle banche dei tempi e non devono costituire
modalità di esercizio delle attività istituzionali degli enti locali.
Come tutte le leggi in materia di legislazione sociale, tale norma
disciplina (o almeno cerca di disciplinare) e istituzionalizza, lo spazio
d’azione pubblico, che è cosa ben diversa dallo spazio comune.
In seno all’associazione sindacale CGIL è sorto verso la metà degli anni
‘90 un osservatorio (Tempomat) delle Banche del tempo, che ha censito,
registrato e stimolato la nascita di queste associazioni. Ha funzionato fino
al 2002, poi ha passato le sue attività principali (sito internet, software
gestionale Bdt e settore formazione) a persone e gruppi di lavoro in diverse
parti d’Italia. Oggi c’è un’Associazione nazionale di Bdt (non di tutte,
però!), vari coordinamenti provinciali e persone singole, come chi vi parla,
che continuano a divulgare e a promuovere l’idea di Banca del tempo
fondata sull’azione di reciprocità.
La regione Emilia-Romagna ha svolto e svolge un ruolo propositivo e
divulgativo, soprattutto nell’ambito delle politiche sociali, curando
l’informazione delle iniziative locali, la bibliografia e le pubblicazioni
inerenti le Bdt e i Sistemi di scambio e sostenendo un progetto di Banca
10
del tempo-on-line. Ma anche altri Enti locali, ai vari livelli, hanno cercato
di sostenere con mezzi finanziari e divulgativi queste associazioni. Spesso,
però, lo sforzo non è stato ripagato e parecchie esperienze sono rimaste a
livello di progetto, si sono arenate dopo i primi tempi o sono diventate
delle scatole vuote. Non sono mancate e non mancano, comunque, Bdt
attive ed interessanti lungo tutta la penisola italiana.
Il mondo della ricerca universitaria non è stato a guardare. Numerose
le tesi di laurea, nelle più disparate facoltà e discipline (Sociologia,
Antropologia, Giurisprudenza, Servizi sociali, Scienze della formazione,
Economia ecc.), e i dottorati di ricerca, in università prestigiose, come la
Sapienza, la Bicocca ecc.
Deludente invece l’intervento frettoloso dei giornalisti, soprattutto di
quelli della carta patinata, che hanno ricalcato nelle loro pagine una lunga
serie di luoghi comuni, senza riuscire a cogliere gli aspetti significanti e
qualificanti di questi sodalizi. Inutile dire che è mancato l’approfondimento,
a parte qualche rara eccezione, come la rubrica Diario dell’Unità (1996) o
qualche trasmissione televisiva (Speciale TG1, 1997) o radiofonica (Gr2cultura e I misteri della notte-Gr2, 2001, 2002) della RAI.
11
Un caso paradigmatico (l’esperienza diretta di chi
vi parla)
6.
A Martano (LE), il comune dove vivo all’estremo sud della Puglia,
l’esperienza di Banca del tempo autorganizzata e autogestita
nell’associazione ASSEM (Associazione per lo Sviluppo Sociale ed
Economico di Martano), a cui ho partecipato e che ho animato, è partita
verso la fine del 1996. All’inizio il sistema era molto simile ad un LETS,
infatti venne denominato Sistema di Scambio Locale (SSL), e fu finalizzato
alla fondazione di relazioni d’aiuto sociali ed economiche (reciproche ed
indirette) tra gli aderenti, mediante un sistema non-monetario. Il richiamo
economicistico in alcuni aderenti è stato predominante. Si utilizzava una
unità locale fittizia per conteggiare gli scambi: il mistόs, rapportato alla lira,
(un mistόs = una lira) (dal gríco – antica lingua locale – che significa
‘soldo’: ‘Vali quanto un soldo!’ nel linguaggio popolare martanese significa
ancora ‘non conti nulla!’). Dopo qualche mese, nella primavera-estate del
1997, il sistema di scambio non monetario si è evoluto. L’idea di fondo è
diventata il dono, quello libero, riconducibile al triplice comportamento del
dare, del ricevere e del ricambiare, così felicemente descritto da Marcel
Mauss (2002). Con la trasformazione del SSL in SRI (Sistema di
Reciprocità Indiretta) si passò ad un rapporto con il tempo (base oggettiva:
un’ora = 10 mistόs) e al grado di riconoscenza e di libertà del gesto del
donante percepito dal ricevente (su base soggettiva: valutazione libera). Ne
è venuto fuori un modo di quantificare completamente estraneo alla logica
economica, sia essa onerosa (di mercato) che temporale (delle BdT in
generale). Anche la registrazione della prestazione non avveniva con
assegni-tempo (usati nelle Bdt), ma con attestazioni di dono che il ricevente
rilasciava alla fine della prestazione. Non erano depositate ore come in
molte Bdt e i soci non erano clienti del sistema ma fruitori del loro sistema.
L’associazione garantiva che l’informazione fosse trasparente, comune.
Tutti i soci potevano conoscere in qualsiasi momento la propria e l’altrui
situazione di conto. Anche l’ASSEM (come organizzazione associativa) era
un socio del sistema (anche se un socio impersonale e virtuale), che
accorpava sul suo conto le quote tessera in mistόs (50 mistόs per socio) che
servivano per gestire il sistema in modo completamente non-monetario, per
la tenuta della contabilità, per la redazione del bollettino cerca-trova, per il
recapito della posta ai soci ecc. Nel sistema è transitato di tutto: verdure
spontanee, ortaggi biologici, trasporto di cose e persone, aiuto allo studio,
piccole manutenzioni, consigli estetici, lavori al computer, attività di cucito,
12
artistiche, sportive, lavori di giardinaggio, cibi, torte ecc. Ma è transitata
soprattutto tanta socialità, promozione sociale e comunicazione.
C’è stato un notevole interesse per l’esperienza da parte di massmedia locali e nazionali. Alcune tesi di laurea discusse in varie facoltà
universitarie italiane hanno trattato quest’esperienza associativa di scambio
locale.
I risultati previsti dall’idea-progetto dell’ASSEM erano: 1) la presenza
di un sistema di scambio non monetario; 2) una rete tra associazioni; 3)
una comunità interagente ed associata, partecipativa, capace di
programmare lo sviluppo locale; 4) la presenza di gruppi tematici e
territoriali dinamici e propositivi; 5) la costituzione di un fondo nonmonetario di partecipazione allo sviluppo locale, alimentato con percentuali
prelevate sul volume annuale degli scambi da destinare alla comunità.
I risultati ottenuti sono stati il sistema non-monetario e la costituzione
di alcuni gruppi di base tematici e territoriali, purtroppo non tutti dinamici.
Non sono nate reti tra associazioni ed è stato complicatissimo spiegare il
concetto di comunità interagente e associativa, cioè partecipativa. Ci sono
state alcune riunioni con altri gruppi, con associazioni e con
l’Amministrazione comunale, per spiegare l’idea-progetto e per attivare una
rete, ma non si sono viste concrete convergenze e tutto è rimasto nel vago e
nel provvisorio, soprattutto la costituzione del fondo di partecipazione allo
sviluppo locale.
Possiamo affermare che l’idea-progetto dell’Assem ha sempre
navigato in acque difficili e a volte anche controcorrente. Inoltre, non ha
avuto un impatto significativo sul territorio e sulla popolazione. Anche tra
gli stessi soci ci sono state attese, motivazioni, approcci e dinamiche
differenti e discordanti. Non è mancato, come in ogni buona famiglia, lo
scontro e il diverbio, la lite e la chiacchiera. Ci sono stati momenti buoni,
altri difficili, altri dolorosi, altri entusiasmanti. Ma tanti sono stati i
problemi e i momenti di difficoltà dovuti a fraintendimenti, incomprensioni,
polemiche che ne hanno rallentato cospicuamente l’attività nel 2000, fino a
veder cessare totalmente gli scambi tra i soci nel 2001. (Per un
approfondimento complessivo dell’esperienza si può visitare il mio sito
Internet http://digilander.libero.it/paolocoluccia e leggere la seconda parte
del mio libro del 2002).
Dove più, dove meno, difficoltà e problematiche compaiono in tutte le
esperienze finora conosciute in Italia e nel mondo. Forse un po’ tutti
abbiamo anticipato ‘i tempi’ o sbagliato in molte cose! Ma non bisogna
abbattersi! Al contrario, occorre stimolare le esperienze a continuare e a
ricrearsi, anche seguendo le derive e i nuovi orientamenti sociali e culturali.
13
7. L’innovazione
sociale
La Banca del tempo può essere considerata un’innovazione sociale. È
un termometro sociale con cui è possibile misurare la promozione di sé, la
cittadinanza attiva, la solidarietà, la capacità di progettazione della
comunità d’appartenenza, nella coesione sociale e nella salvaguardia
delle diversità individuali, psicologiche e culturali.
È difficile inquadrare le Bdt e i Sistemi di scambio locale non monetari.
Ma proprio per questo la Bdt è un’innovazione socio-culturale ed
economica. La sua azione sociale è molto complessa ed articolata, al limite
dell’irrazionale. Non ha niente a che vedere con il volontariato, né con la
gratuità, l’assistenzialismo, la filantropia. La Bdt non ha niente in comune
con il baratto, che altro non è che un mercato vero e proprio tra equivalenti,
privo dell’intermediazione del denaro. Difficile infine il suo rapporto con
il settore pubblico (spazio pubblico), in quanto lo spazio d’azione della
Bdt è lo spazio comune, fondato sulla condivisione e sulla reciprocità.
La modernità ha teorizzato e legittimato nel suo progetto socioeconomico lo spazio d’azione pubblico e lo spazio d’azione privato.
Esiste, infatti, il diritto pubblico e il diritto privato. Manca totalmente (o
quasi) la teorizzazione dello spazio comune (etimo di cum munus, con
dono), del diritto comune, della comunità, luogo consacrato, fondamentale e
determinante, al legame sociale, alla solidarietà, generatore di capitale
sociale, da cui tutto discende (mercato, società, cultura, famiglia,
istituzioni…) e non il contrario, come spesso si pensa o come molti
economisti contemporanei vogliono farci credere.
La Bdt può essere considerata una chance per poter ancora vivere
insieme, liberi, uguali e diversi (Touraine, 1998). Ma è anche uno stimolo
all’autorganizzazione: non si può ancora credere che possa essere la
società (una pura astrazione concettuale!) ad organizzarsi, in quanto
possono farlo solo gli individui, qualora ne sentano la necessità, il bisogno e
trovino la giusta volontà. È un viaggio cominciato oltre diecimila anni fa,
nel neolitico, che non si è mai interrotto e che è destinato a continuare fino a
che la specie umana non si estinguerà. E le istituzioni e le organizzazioni
sociali, se ci credono, possono accompagnare questi movimenti,
collaborando e operando nella complementarietà, ma mai prevaricando
con arroganza e paternalismo intriso di subalternità. Anche questo
modo di vedere le cose può essere un’importante innovazione sociale, per
non dire una scommessa.
14
8. Difficoltà
e speranze: uno scenario possibile
Queste esperienze di scambio locale non monetario sono state intraviste
nel 1999 in un importante documento di lavoro di un gruppo di studiosi
operanti nel Nucleo Valutazioni Prospettive, gruppo di saggi in seno alla
Presidenza della Commissione Europea, che complessivamente disegna
cinque probabili scenari europei nell’anno 2010. In uno di questi scenari,
il secondo, definito I cento fiori, purtroppo caratterizzato dal un «equilibrio
instabile», dove «la distribuzione sempre più disomogenea della ricchezza,
la proliferazione della criminalità internazionale e la moltiplicazione dei
piccoli conflitti regionali stanno destabilizzando il sistema mondiale, che
tuttavia continua a reggere alla meno peggio», poiché «prigionieri di
mentalità e modalità operative arcaiche, gli apparati amministrativi e i
sistemi politici delle capitali non sono riusciti a tenere il passo con questi
fenomeni di micro-rinascimento e hanno lentamente perso il contatto col
mondo reale», considerato che «l’immobilismo delle gerarchie, lo
spezzettamento delle competenze e l’eccessiva fiducia nella scienza avevano
gettato i semi di un diffuso disimpegno», «in un’epoca in cui le società si
facevano sempre più complesse, il progresso tecnologico sempre più rapido
e le esigenze individuali sempre più differenziate, le burocrazie rimanevano
rigide e incapaci di adeguarsi a situazioni sempre eterogenee», e «la classe
politica si rivelò intrinsecamente incapace di rispondere al grande disagio,
oscillando tra immobilismo e demagogia», le Banche del tempo, insieme a
cento micro-iniziative innovative, fanno capolino nella società europea, in
quanto, per fronteggiare la crisi politica, economica, sociale e culturale
determinatasi nel quinquennio 2000-2005, «l’opinione pubblica mostrò un
forte spirito d’iniziativa: nacquero centinaia di gruppi civici». Pertanto «si
assiste in questo periodo all’ascesa di collettività locali dinamiche come
quelle odierne», si osserva nel documento futuribile. «È ormai raro –
continua lo studio – trovare un comune o un quartiere che non abbia la
propria valuta e una banca del tempo in cui scambiare lezioni private,
attività culturali e ogni tipo di servizi alla persona (come ripetizioni,
assistenza a bambini e anziani e collaborazioni familiari). Le associazioni
locali, spesso gestite da donne, pensionati o neolaureati, si sono moltiplicate
e di fatto trasformate in piccole imprese. Gran parte di queste opera in modo
informale, senza preoccuparsi di registrarsi presso le autorità competenti o
di pagare le imposte. Alcune, con l’aiuto delle autorità locali, svolgono un
ruolo importante nell’erogazione di piccoli prestiti ai privati e alle imprese
con problemi immediati di liquidità. Altre hanno istituito ‘casse comuni’
per finanziare reti di sostegno economico e, se necessario, persino offrire
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borse di studio o di riqualificazione professionale. Le più avanzate possono
anche erogare prestazioni sociali. Altrove sono nate nuove forme di
aggregazione sindacale per difendere i diritti dei cittadini in generale oltre a
quelli dei lavoratori. La stragrande maggioranza di queste strutture locali è
rimasta molto aperta al mondo esterno. Sfruttando tutte le possibilità
dell’informatica (senza la quale molte di loro non sarebbero mai nate) hanno
instaurato comunicazioni, partnership e scambi di esperienze a livello
internazionale non soltanto all’interno dell’UE ma anche con controparti
nell’Europa orientale, nel Mediterraneo e in Africa».
Nessuno di noi si augura uno scenario possibile della società europea
nell’immediato futuro fondato sul paradigma dell’equilibrio instabile,
anche se in sostanza è quello che stiamo vivendo oggi) ma in ogni caso
occorre non farsi trovare impreparati, in quanto, per dirlo in senso
metaforico, o se si preannuncia il temporale o se le previsioni prevedono
ottimisticamente il cielo sereno e il sole splendente, non costa nulla
portarsi nello zaino il parapioggia ben piegato, che, se indossato con il bel
tempo fa scoppiare dalle risate i passanti, ma se estratto al momento giusto e
all’inizio di un violento temporale può farci passare per persone previdenti
ed intelligenti. E le Banche del tempo sono quasi la stessa cosa.
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9. Emergenza
di tre nozioni sociologiche
Intervento, azione, ricerca, coinvolgimento: quattro termini non
obbligatoriamente in sequenza ordinata. Il problema sta nella
concettualizzazione e generalizzazione di un’azione sociale complessa che
coinvolga l’io, l’altro e il mondo. Emerge il tema della coscienza che, come
ha osservato Francisco Varela, non sta nella testa. La coscienza è un fattore,
un processo emergente e richiede la coesistenza di un corpo (il cervello), di
un mondo e degli altri. In questa visione la coscienza appartiene ad un
organismo incessantemente coinvolto in cicli interattivi ricorrenti.
Emerge una nuova terminologia sociologica, dunque, come esigenza di
generalizzazione dei termini e dei simboli, in quanto ogni modello
d’intervento non può non definirsi che in un rinnovato processo di
generalizzazione e di rideterminazione continua e indipendente di atti,
inerente gli ambiti, le persone, i gruppi e le istituzioni. Lungi da ideologie,
programmi e pianificazioni, la sfida dei nostri tempi sta nel cogliere il senso
della realtà, caotica e indecifrabile, rappresentata da aspettative e speranze
individuali, di gruppi e di società.
L’identità è una specie d’interfaccia, è un collegamento di se stessi con
il mondo e con gli altri, che non si può localizzare o materializzare in un
certo posto del corpo o in qualche gruppo di neuroni del cervello. Essa,
infatti, esiste solo come codice, come pattern relazionale. La cosa
importante è che, una volta emersa, l’identità ha effetti sul mondo e sulla
società, ha continue ricadute locali e dispone di una forza dinamica. Nessun
dualismo cartesiano, pertanto, tra res cogitans/res extensa, nessun
riduzionismo e, di conseguenza, nessun determinismo. L’identità, collegata
allo stato di coscienza (io-altro-mondo), è un fenomeno complesso e come
tutti i fenomeni complessi, funziona in modo non lineare ed imprevedibile.
Nel pensiero di Marcel Bolle de Bal emergono tre nuove nozioni
sociologiche: reliance, deliance, liance (rileanza, delianza, leanza). Tre
termini intraducibili, in verità. Cerchiamo di spiegarne i contenuti
essenziali. La reliance è ontologicamente legata ai concetti di deliance e
di liance, come concetto a-posteriori, bisogno psico-sociale, risposta
all’isolamento. Rileanza sociale come ricerca di legami funzionali, dunque,
comunione umana, lo status di sentirsi collegati. Anche idee e cose possono
essere collegate, ma qui ci s’interessa della persona umana, che deve
rappresentare almeno uno dei poli da legare. Azione: atto di collegare.
Status: risultato dell’atto. Dunque, creazione o ri-creazione di legami: a)
rileanza tra una persona ed elementi naturali; b) rileanza tra una
persona e l’umanità; c) rileanza tra una persona e le istanze della sua
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personalità; d) rileanza tra due o più attori sociali collettivi, fatti di
persone che rappresentano le istituzioni. Dimensione non solo
psicologica, ma anche sociologica della rileanza, perché l’atto di ricollegare implica un sistema mediatore: produzione di relazioni sociali
mediatizzate e complementari, tramite sistemi di segni e di istanze sociali.
La rileanza non può esistere senza istanze mediatrici: compito del
sociologo è quello di comprendere le dinamiche del tessuto sociale e della
sua tessitura, per stabilizzare legami sociali complementari, legami
disgiunti, o entrambi. Vocazione e orientamento della ricerca in senso psicosociologico. Rileanza a sé/Rileanza al mondo: identità, fraternitàsolidarietà, cittadinanza. Complessità: questo termine esprime
un’emergenza del sistema sociale globale, stanco di divisioni e
particolarismi. La rileanza come indispensabile concetto-cerniera:
approccio sociologico, psicologico, filosofico. I casi concreti di processi di
rileanza che falliscono dimostrano ed insegnano la profondità dello stato di
delianza in cui versa la società umana moderna.
Le basi della delianza sono le seguenti: dividere per dominare (in
politica, in scienza, in economia, nella produzione ecc.); razionalità
strumentale e semplificante (analisi estremizzata delle parti, mentre sfugge
il tutto). In sociologia pertanto si notano quattro spaccature: 1) tra ricerca
pura e ricerca applicata; 2) tra ricercatore e strutture sociali studiate; 3)
tra progettisti ed esecutori della ricerca; 4) psicologico-interna alla
persona stessa del ricercatore. Sono queste paradossalmente le
razionalizzazioni che slegano: dagli altri, dalla terra, dal cielo. Carenze
di rileanza come: a) delianza socioeconomica (lavoro minacciato); b)
delianza sociotecnica (lavoro ‘razionalizzato’); c) delianza sociopsicologica (lavoratore isolato); delianza socio-organizzativa (potere
esploso); e) delianza socio-culturale (solidarietà dislocate). La ‘ri-leanza’
suppone l’esistenza preliminare di una ‘de-lianza’ e questa uno stato di
‘pre-delianza’ che definiamo con ‘leanza’, fenomeno di partenza, di
fusione, ma non più raggiungibile (per es. feto-madre).
Si va alla ricerca di una società ragionevole fondata sulla relianza.
Strumenti: ragione complessa e nuove alleanze scientifiche per evitare
delianze intellettuali e delianze esistenziali. Tre punti euristici fondamentali:
a) la delianza paradigma della modernità; b) la rileanza paradigma della
post-modernità (l’impulso che spinge a ricercarsi, ad unirsi, l’ideale
comunitario, la società vitale, il vivere insieme); c) delianza/rileanza
paradigma duale della iper-modernità (iper-complessità), ovvero sintesi
indissociabile, ontologia insuperabile, coppia duale: giorno/notte,
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amore/odio, centro/periferia, divieto/trasgressione, vita/morte, yin/yang ecc.
Quest’insieme forse spiega meglio la società contemporanea.
E, allora, la leanza che cos’è? Uno stato di fusione primaria, come il
feto fuso e fondente con la madre, nel contempo fisico e psichico, destinato
a dividersi. La nascita, pertanto è fine di un mondo/creazione di un mondo.
Doppio choc, libertà dai legami che legano, desiderio di fondersi
nuovamente. All’inizio c’è sempre una separazione, come le tenebre
dalla luce; poi la speranza di ritrovare qualcosa che unisca, che ci
riunisca. La rileanza non abolirà la separazione, ma la trasformerà: metterà
in relazione, passando dall’azione disgiunta (delianza) ad un’azione
congiunta (lianza), però condivisa e conviviale, premessa di un’azione
comune, ovvero di una vera comunic-azione sociale (azione-comune).
Su questa linea di pensiero e nella prospettiva della ricercazione si
tenta scandalosamente una trasformazione e una ridefinizione dello schema
AGIL: da adaptation, goal, integration, latency (organizzazione, obiettivo,
norma, valori) ad amicizia, gioia, impegno, lealtà (incontro con alter, vita
buona, concretezza, dignità). Ha osservato Nestor Garcia Canclini (1998):
«La sociologia, la psicologia e le scienze dell’informazione e della
comunicazione di massa hanno contribuito notevolmente a ‘secolarizzare’,
‘pianificare’ e ‘modernizzare’ le relazioni sociali. Alleate con le industrie e
con i nuovi movimenti sociali, fecero sì che la versione strutturalfunzionalista dell’opposizione tradizione-modernità diventasse il nucleo del
senso comune. Di fronte alle società rurali rette da un’economia di
sussistenza e da valori arcaici, predicavano i vantaggi delle relazioni di tipo
urbano, competitive, dominate dalla libera scelta individuale. La politica
‘sviluppista’ diede impulso a questa visione ideologica e scientifica e la usò
per creare consenso intorno al suo progetto modernizzatore presso le nuove
generazioni di politici, professionisti e studenti». E ancora: «Le scienze
sociali contribuiscono a questa difficoltà utilizzando differenti scale di
osservazione. L’antropologo arriva alla città a piedi, il sociologo in
macchina e per l’autostrada principale, lo studioso della comunicazione
in aereo. Ognuno registra quello che può, costruisce una visione diversa, e
quindi parziale. C’è una quarta prospettiva, quella dello storico, che non
consiste nell’entrare ma piuttosto nell’uscire dalla città, dal suo centro
antico verso bordi contemporanei. Ma il centro della città attuale non è più
nel passato». Eppure, c’è una quinta prospettiva: la nostra. Noi viviamo e
agiamo nella nostra città. E forse è proprio questo il senso della
ricercazione condivisa e conviviale.
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Conclusione:
Reti sociali, ricerc-azione e trame di
possibilità
È innegabile il valore della rete. Qualcuno lo ha calcolato V=n(n-1), dove
n è il numero di nodi. La rete è un moltiplicatore formidabile di possibilità e
di chances. Ma non basta! Può essere anche uno strumento perverso.
Occorre andare oltre.
Lungo questa linea di ricerca e di azione ho avuto modo di riscoprire il
pensiero di Ivan Illich, che s’inserisce a pieno titolo nella prospettiva della
ricerc-azione, scevra da pianificazioni, programmi e manipolazioni
ideologiche e sociali, spesso camuffate da reti: «Vorrei – egli dice – che
avessimo a disposizione un’altra parola per designare le nostre strutture
reticolari intese a permettere un accesso reciproco, una parola che facesse
meno pensare all’intrappolamento, che fosse meno degradata dall’uso
corrente e che suggerisse meglio il fatto che qualunque ordinamento di
questo tipo comporta aspetti legali, organizzativi e tecnici» (Illich, 1972).
Anziché parlare di reti, dunque, occorrerebbe parlare di trame di
possibilità da ricercare insieme, liberandosi dei facilitatori, degli esperti, dei
manager e dei professionisti/dirigenti. Passare dagli imbuti didattici alle
trame didattiche, alla vita attiva, alle trame di possibilità, allo scambio di
capacità, alla disoccupazione felice, al tempo liberato e allo svago (scholé),
con una rivoluzione culturale dell’istruzione e con la rifondazione dello
strumento conviviale.
Quattro sono le libertà fondamentali: 1) liberare l’accesso alle cose; 2)
liberare la trasmissione delle capacità; 3) liberare le risorse critiche e
creative della gente; 4) liberare l’individuo dall’obbligo di adattare le
proprie aspettative. Dice Illich: «Se vogliamo un futuro desiderabile,
dovremo scegliere decisamente una vita d’azione anziché una vita di
consumi, dovremo inventare una maniera di vivere che ci consenta di essere
spontanei, indipendenti e tuttavia in stretto rapporto con gli altri. [...] Il
futuro dipende dalla nostra capacità di scegliere istituzioni che
favoriscano una vita attiva, più che dall’elaborazione di nuove ideologie
e tecnologie» (1972).
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Riferimenti bibliografici
Bolle de Bal M. (2007), Reliance, deliance, liance: emergenza di tre nozioni sociologiche,
in «M@GM@. Rivista elettronica di Scienze umane e sociali», tr. it. di Paolo Coluccia,
vol. 5 n. 1 marzo 2007.
Canclini N. G. (1998), Culture ibride, Guerini, Milano.
Castells M. (2002, La nascita della società in rete, Università Bocconi, Milano.
Coluccia P. (2001), La Banca del tempo, Bollati Boringhieri, Torino.
Idem (2002), La cultura della reciprocità, Arianna, Casalecchio (BO).
Idem (2003), Il tempo non è denaro, BFS, Pisa.
Illich I. (1972), Descolarizzare la società, Mondadori, Milano.
Idem (1974), La Convivialità, Mondadori, Milano.
Maturana H./Varela F. (1999), L’albero della conoscenza, Garzanti, Milano.
Mauss M. (2002), Saggio sul dono, Einaudi, Torino.
Nucleo Valutazioni Prospettive (1999), Scenari Europa 2010. Cinque futuri possibili per
l’Europa, Commissione Europea, Bruxelles.
Touraine M. (1998), Libertà, uguaglianza, diversità: si può vivere insieme?, Il Saggiatore,
Milano.
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Breve nota bio-bibliografica di Paolo COLUCCIA
(http://digilander.libero.it/paolocoluccia)
Dottore in Pedagogia, osservatore socio-economico indipendente e saggista, ad una
formazione psicopedagogica e filosofica associa una buona conoscenza della legislazione
sociale e del lavoro. Proveniente dai ruoli del Ministero del Lavoro e della P. S., lavora in
un Centro per l’Impiego della Provincia di Lecce, dove si occupa di dinamiche istituzionali
e legislative, di rilevazioni statistiche e d’orientamento ad adolescenti, giovani, gruppi ed
imprese.
Si è interessato di Sistemi di scambio locale non monetario e di Banche del tempo,
intravisti come spazi sociali d’interazione e di comunicazione sociale, su cui ha scritto vari
libri, come La Banca del tempo (Bollati Boringhieri, Torino 2001, Introduzione di Serge
Latouche), La cultura della reciprocità (Edizioni Arianna, Casalecchio 2002), Il tempo...
non è denaro! (BFS, Pisa 2003), e vari saggi e articoli pubblicati su riviste e siti internet, in
particolare Monete locali per il bene comune. Lo spirito del SEL, nel volume collettivo
Processo alla globalizzazione curato da Teddy Goldsmith, con prefazione di Serge
Latouche, Edizioni Arianna, Casalecchio 2002.
Il suo ultimo lavoro è la traduzione in lingua italiana, con un’introduzione ed una
postfazione, del Rapporto al Ministro per l’economia solidale francese scritto da Patrick
Viveret nel 2001/2002: Ripensare la ricchezza. Dalla tirannia del PIL alle nuove forme di
economia sociale, edizioni TerrediMezzo/Altreconomia, Milano 2005. L’elenco completo
delle sue pubblicazioni è sul suo sito internet.
Presente a convegni nazionali e internazionali, è stato in particolare relatore nel
laboratorio Riappropriarsi del denaro durante il ‘Colloquio internazionale sul doposviluppo – Disfare lo sviluppo, rifare il mondo’, UNESCO, Parigi 2002 e ha introdotto il
Seminario sulle Reti di economia solidale durante l’European Social Forum di Firenze nel
novembre del 2002. Ha, inoltre, partecipato come relatore alle giornate conclusive del
Forum Per una ripartizione egualitaria del tempo organizzato dall’Instituto Andaluz de la
Muyer, Junta de Andalucia (Espana), Granada, 12 e 13 dicembre 2002.
Dal 2003 al 2007 ha fatto parte del Centro Interdipartimentale di Studi e Ricerche
sull’Utopia dell’Università di Lecce, composto di filosofi, storici e ricercatori in scienze
umane e sociali, e del Movimento per la Società di Giustizia e per la Speranza, nato nello
stesso Centro.
Collabora come saggista e traduttore con “M@GM@. Rivista elettronica di scienze
umane e sociali” (www.analisiqualitativa.com), con direzione a Catania e con vari siti
internet impegnati nelle scienze umane e sociali. Ha collaborato con la rivista “Meridione”
(Napoli), con “Il Consapevole”, del gruppo Macro Edizioni (Forlì), con la “Rivista di Studi
Utopici” (Lecce) e con “Areté”, quadrimestrale dell’Agenzia per le ONLUS (Milano).
È in corrispondenza con l’Istituto di Terapia Cognitiva di Santiago del Cile (fondato da
H. Maturana), il cui attuale direttore è Alfredo Ruiz, del quale ha tradotto in italiano
numerosi saggi e conferenze, pubblicati nella casa ed. virtuale Lilliput-on-line (in
http://digilander.libero.it/paolocoluccia.
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