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Lezione 1. Introduzione
1. La filosofìa del diritto e le altre discipline che studiano il diritto
Due questioni: c'è bisogno della filosofia del diritto per essere giurista, e
poi concretamente per essere canonista?
prima, va considerato che il giurista non è un filosofo- due modi di essere assai
divergente (speculativo il primo, pratico il secondo). Poi di fatto sembra inutile la filosofia del
diritto per gli studi giuridici: in alcuni Paesi nemmeno c'è una materia di filosofia del diritto,
e quando e e per molti risulta essere qualcosa di assai lontano dagli interessi della propria
professione giuridica.
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In fondo, si pensa spesso che la filosofia del diritto, come ogni filosofia, apparterrebbe
ali ambito di. ciò che e opinabile, Sarebbero delle idee, molto diverse e perfino'contraadittorie
tra dì loro, che non interesserebbero i/giuristi, preoccupati' invece di ciò che e positivo, di
ciò che si trova nei testi legislativi, giurisprudenziali o in quelle della scien; a giuridica
che
dipendono da essi. In definitiva, nel mondo giuridico non ci sarebbe nulla di permanente ne di
universale: tutto sarebbe mutevole e particolare.
C'è però bisogno di una filosofia del diritto: anzitutto perché cjè una
verità permanente e universale sul diritto e suoi aspetti fondamentali, il che incluqe
l'esistenza di un'essenza del diritto (e della legge, e dei beni giuridici fondamentali
còme la vita, la famiglia, la comunicazione umana, la religione, ecc. Un giurista non
può ignorare l’essenza delle cose, che la nostra conoscenza umana può veramente
raggiungere. Ciò è l’unica base di qualsiasi vera ermeneutica_dei testi giuridici, e
di qualsiasi vero dialogo che porti verso la ricerca di soluzioni giuste dei problemi giuridici.
Di fatto poi dietro ogni pratica giuridica e dietro ogni scienza giuridica ci sono sempre
presupposti filosofici/ almeno impliciti, sul diritto e su quanto e connessof con il
diritto
(l'uomo, i rapporti interumani, i rapporti con Dio, ecc.). Oggi ad es. molti à dopérario,
almeno
in parte, uno schema dialettico tra individuo e società , tra libertà ed autorità .
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2. Ruolo della filosofìa giuridica nell 'ambito canonico
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Tradizionalmente nella Chiesa non ci sono stati dubbi (al di fuori di posizioni
apertamente eterodosse) sul fatto che il diritto canonico o ecclesiale fosse veramente diritto.
Invece, nel periodo successivo al Concilio Vaticano II questo è stato uno dei punti nodali del
dibattito (che vedremo nella Teoria Fondamentale del diritto canonico).
Per adesso basta far presente che in ogni caso è indispensabile sapere che cosa sia il
diritto in generale per conoscere cosa sia il diritto nella Chiesa. Se quest'ultimo è vero diritto
(in senso univoco, per esprimerlo nei termini della logica tradizionale), allora è evidente che il
suo studio presuppone quello della sua giuridicità . Se non lo fosse (o si trattasse di un diritto
in senso solo analogo), occorrerebbe comprendere la differenza, perché sempre esso viene
concepito in relazione all'esperienza umana sul diritto.
Per cui non si può pensare che si possa prescindere dalla filosofia del diritto in campo
canonico, come se essa fosse sostituita da un approccio di fede o teologico. Anzi,
quest'ultimo, come avviene in tutte le discipline teologiche, presuppone un'adeg uata
conoscenza filosofica (e naturalmente ciò implica una fiducia nella ragione, tratto tipicamente
cattolico).
3. Prima approssimazione al concetto di diritto: i vari significati del diritto: oggetto della
giustizia, facoltà di esigere, norma, scienza; il rapporto tra il diritto e la giustizia
Cerchiamo di sistemare i significati del diritto che si trovano nel linguaggio comune e in
quello degli specialisti.
I quattro significati principali sono: l'oggetto della giustizia (ciò che è giusto o, in
senso oggettivo, il giusto), la facoltà di esigere qualcosa (o diritto soggettivo o pretesa), la
norma (o l'insieme delle norme, che vengono descritte in vari modi per specificare il loro essere
giuridiche; si parla pure di ordinamento o di sistema giuridico), e la conoscenza scientifica di
quest'airi jito.
Non in tutte le lingue esiste una sola parola che abbia tutti questi sensi: in inglese, ad
esempio, si deve usare i volta law e a volte right, e nessuna di queste espressi oni è adeguata per
parlare di ciò che è ; iusto ("what is just" o "thè just").
Dal punto di vista della filosofia, non ci interessa tanto lo studio dell'uso empirico di
questi termini, quanto il cercare di comprendere l'essenza della realtà a cui si riferiscono i
nostri concetti. Può darsi che l'uso corrente sia un ostacolo per arrivare a quell'essenza.
Quando una parola ha vari significati è decisivo trovare l'ordine che esiste tra di essi:
non un ordine meramente etimologico, ma di corrispondenza con la realtà . Quale tra questi
significati di "diritto" corrisponde all'essenza del diritto?
Potremmo direttamente rispondere che è il giusto, se siamo convinti di ciò (e si tratta
di una questione che si pone sul piano dell'evidenza). Ma conviene tentare un esperimento
mentale, vedendo che cosa succede se assegniamo ad ognuno degli altri sensi il posto centrale,
cioè la funzione di indicare l'essenza del diritto.
Se il diritto consistesse essenzialmente nella facoltà di esigere, apparirebbe subito una
domanda fondamentale: che cosa si può esigere? È facile rendersi conto che l'esigere poggia
sulla cosa giusta, la quale fornisce il suo oggetto e il suo fondamento. Altrimenti, avremmo delle
pretese illimitate che lottano tra di loro per rendersi di fatto compatibili (ma ciò è un fenomeno
di potere, non di diritto). Anzi, anche quando un soggetto non esige o addirittura non è in grado
di esigere nulla, il suo diritto come il giusto continua ad esistere e deve essere rispettato dagli altri.
Il dovere giuridico non dipende dall'attuazione di un'esigenza da parte di colui che ha un diritto.
Anche in tema di esigibilità vanno distinti, senza separarli, un piano naturale ed un altro positivo.
Se il diritto fosse essenzialmente la norma o l'insieme delle norme, basta per adesso
considerare che ciò non mi consentirebbe di comprendere l'essenza della norma giuridica in
quanto giuridica. Devo sempre aggiungere qualche elemento per specificare la sua giuridicità .
Tale elemento, se non vuoi essere empiricamente ridotto a qualche volontà o potere che è in
grado di imporsi per la forza, deve essere il giusto. Le norme giuridiche sono norme su ciò che
è giusto. Perciò si può distinguere tra norma giusta ed ingiusta, che non è vera norma. Il
concetto di norma non riflette l'essenza del diritto.
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Vi sono due modi di concepire i diritti soggettivi e le norme: indipendentemente da ciò
che è giusto, o come aspetti, peraltro fondamentali, della realtà giuridica. Secondo questo
secondo modo, il diritto soggettivo e la norma sono diritto proprio in quanto riguardano ciò che
è giusto, come la facoltà di esigerlo e come sua regola.
Per quanto riguarda la conoscenza (ad es. studio del "diritto romano", o "diritto
canonico"), è evidente che soltanto in una prospettiva idealista essa può sostituirsi alla
realtà del diritto; la conoscenza giuridica, realisticamente, è sempre conoscenza di una
realtà . Perciò, noi studiarne la conoscenza giuridica alla fine.
Se il diritto è l'oggetto della giustizia, allora esiste una connessione essenziale tra
giustizia e diritto, la connessione resa evidente in latino tra ius e iustitia, oscurata dai nostri usi
e dalle teoria giuridiche del positivismo, ma non persa dal buon senso.
Lezione 2. Panorama star, co del pensiero giuridico
Qui potremmo rimanere i i resto del corso. È appassionante conoscere la stori i di
qualunque realtà umana, e ciò vale ancor di più per la storia del pensiero: come è stato
concepito il diritto lungo la storia?
Uno si potrebbe limitare ai filosofi: Piatone, Aristotele, Kant, Hegel... Ma non vanno
dimenticati i teologi (che sono stati anche talvolta dei grandi filosofi): S. Tommaso, Oceani. E non
vanno esclusi i pensatori cristiani non cattolici, ad es. quelli della Riforma protestante (Luterò,
Calvino). Si devono aggiungere gli stessi giuristi, da quelli romani, così importanti per la
nascita dell'arte giuridica, fino ai teorici moderni del diritto. E l'opinione della gente
comune conta molto.
La storia della filosofia del diritto può essere fatta in mille modi: alcuni consistono nel
presentare un vasto materiale, con grande erudiziene (ad es. storie di Truyol 1, Passò2). Vi sono
storie fatte dagli stessi filosofi del diritto (ad es. quella di Villey3, che seguiamo in diversi punti
di questa esposizione) che a partire dalla loro visione del diritto offrono un'interpretazione
dell'evoluzione delle idee, ed una critica positiva o negativa di ogni autore o tendenza. Questo
secondo tipo di storia evita la falsa neutralità storiografica, che è figlia del relativismo, ed offre
qualcosa di ben più interessante: la storia critica degli sforzi umani per comprendere la realtà del
diritto, con i suoi progressi e i suoi regressi.
Ovviamente si tratta di una storia molto complessa, che dobbiamo semplificare per forza.
Il criterio di scelta degli autori e degli argomenti sarà quello che ci aiuti a comprendere meglio
l'esposizione sistematica che seguirà nella seconda parte del programma.
1. Premessa
A. TRUYOL SERRA, Historia de la filosofia del derecho y del Estado, 8a ed., 2 voi., Alianza, Madrid
1987.
2Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â
G. PASSÃ’, Storia della filosofia del diritto, 3" ed., 3 voi. Il Mulino, Bologna 1974-1977. Questo
pregevole
lavoro ha il limite di contrapporre Cristianesimo e diritto (cfr. infra, n. 3).
M. VlLLEY, La formation de la pensée juridique moderne : cours d'histoire de la philosophie du droit, Nouv. ed.
corrigée, Montchrestien, Paris 1975. Trad. it.: La formazione del pensiero giuridico moderno, introduzione di F.
D'Agostino, Jaca hook, Milano 1986. Pur in modo meno radicale, anche in Villey è visibile la difficoltà ad armonizzare
Cristianesimo e diritto.
1Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â
Nella sua essenza il diritto è una realtà che accompagna l'uomo dagli inizi. Questa
affermazione può sorprendere, perché siamo più o meno abituati a vederlo come un fenomeno
culturale, che avrebbe un inizio posteriore (come quando si inventa la ruota o si scrive la Divina
Commedia). Invece, il diritto è qualcosa di naturale, nel senso che accompagna l'uomo non in
virtù di una creazione sua, ma come aspetto o dimensione della sua natura o essenza.
Da sempre ci sono state le condizioni naturali perché ci sia diritto: una pluralità di
essere umani, il fatto che ognuno di essi abbia cose sue (legate al suo essere - la vita, la
libertà esterna - o alle cose esteriori - il cibo, il vestito, l'abitazione, ecc. -), e in terzo luogo il
fatto che il possesso di quelle cose dipenda dall'agire degli altri (sia positivamente, come il cibo
che viene dato al bambini, sia negativamente, per via del rispetto dovuto).
Questo non significa che l'aspetto culturale non sia rilevante. In effetti, la
distribuzione fra le persone e le collettività pone dei problemi: sapere di chi è ogni cosa,
tenendo conto dei continui mutamenti, e stabilire dei mezzi per far rispettare quella
distribuzione. A questo serve l'arte giuridica, grande creazione dei romani (ma il diritto c'era
prima, e pure qualche rudimento di quell'arte).
Alla base dell'arte giuridica e di tutta h. vita del diritto c'è sempre un'idea sul diritto.
L'approfondimento di tale idea costituisce l'oggetto principale della filosofia del diritto, per
conoscere meglio la realtà del diritto. Le idee influiscono ed hanno una storia: la storia
dell'idea di diritto è ciò che ci occuperà di più in questa visione panoramica.
2. L'antichità greca e romana
Per la filosofia del diritto quest'antichità è decisiva: perché Grecia lo è stato per la
filosofia (compresa quella giuridica) e perché Roma lo è stata per il diritto. Ciò non comporta
nessuna esclusione di altre culture raffinate (ad es. indiana e cinese), ma solo ammettere che quelle
culture sono riuscite a sintonizzarsi in un modo emblematico con quelle dimensioni umane: il
pensare fìlosofico e l'arte del diritto. Ciò non significa che tali dimensioni siano assenti in
altre culture; e peraltro se ci si interessano quelle culture per la filosofia del diritto è perché
hanno colto qualcosa di veramente universale (espresso in un modo culturale, com'è ovvio).
Per la filosofia prendiamo i due più grandi: Piatone (attraverso il quale conosciamo
Socrate) ed Aristotele. È molto interessante far notare che fra i tre e''e il rapporto maestrodiscepolo, e che il discepolo veramente ha imparato ad amare la sapienza (filosofia), anche
perché la cerca senza rimanere attaccato unicamente alle tesi del maestro.
a) Piatone
Penso che il modo migliore per conoscere che cosa sia filosofare sia leggere i dialoghi
platonici, capolavori di filosofia e di arte letteraria. S'impara il metodo: quell'interrogarsi
sull'essenza delle cose, e quel procedere dialettico in cui consiste il vero dialogo, come
confronto aperto e serio per cercare di penetrare nella verità .
Uno dei più importante e forse il più noto dei dialoghi platonici è la Repubblica, di cui
consiglierei la lettura diretta. L'argomento è proprio la giustizia, e ciò potrebbe far pensare
subito ad un dialogo rilevante per la filosofia del diritto. Ma dobbiamo esaminare la questione con
più attenzione.
A prima vista, è rilevantissima ai nostri effetti la tesi del sofista Trasimaco: "lo ritengo
che il giusto non sia altro che l'interesse del più forte" (I 338C). Socrate lo porta a chiarire
sempre di più la portata di questa affermazione: "quelli che son soliti condannare l'ingiustizia, la
condannano non perché abbiano paura di farla, ma di subirla. Ecco, Socrate, perché
l'ingiustizia, quando sia in sé perfetta, è più forte, più libera, più autorevole della
giustizia. (...) Il vantaggio del più forte è il giusto, (...) l'ingiustizia procura vantaggio e profitto
a se stessa" (I 344C).
Socrate esprime il^suo totale dissenso: "Quel che mi pare - gli dissi - è che a te non
importi nulla di noi, e che non ti preoccupi minimamente se viviamo nel modo migliore o
peggiore, essendo all'oscuro di quel che tu affermi di sapere" (I 344E). Mostra che il vero politico
cerca il vantaggio degli altri e non il proprio, e confuta la tesi secondo cui l'ingiustizia è un
bene. "A conti fatti, risulta che gli uomini giusti sono anche più sapienti, moralmente superiori,
e pure più efficaci nelle loro azioni, e che gli ingiusti, invece, non sono capaci di collaborare fra
loro" (I 352B).
Nel libro secondo prosegue positivamente la sua indagine sulla giustizia. Glaucone, fn
:ello di Socrate, lo spinge ad approfondire il disco; so: "nel tuo discorso, non volerti limitare
a dimostrare la superiorità della giustizia sulla ingiustizia, ma spiega, attraverso gli effetti che
ciascuna delle due ha su chi la coltiva, perché esse siano un bene o male, indipendentemente
dal fatto che risultino visibili o meno agli dèi o agli uomini" (II 367 E).
Nel rispondere Socrate distingue tra la giustizia del singolo uomo e la giustizia dello Stato
intero, e tenendo conto che lo Stato è più grande del singolo, dice: "È quindi verosimile che
nella realtà più grande si trovi anche più giustizia, e che sia più facile metterne a fuoco i
caratteri. Pertanto (...) cercheremo nello Stato che cosa essa sia e poi, allo stesso modo la
cercheremo anche in ogni singolo individuo per vedere se nell'ordine delle cose più piccole
c'è qualcosa che le rende simili a quelle più grandi" (II 368 E - 369 A). Segue una
descrizione dello Stato ideale, e si spiega l'analogia strutturale tra anima e Stato: nella
Città ciascuna delle classi sociali svolge il compito che le spetta; parallelamente le
facoltà dell'anima (facoltà razionale, irascibile, concupiscibile). La giustizia è unificante,
l'ingiustizia è disgregante.
Ma è giuridico questo approccio? Non ci sembra che lo sia: è piuttosto etico (bene
dell'anima, del singolo) e politico (bene della polis, della Città o Stato), in una visione in cui quei
due beni sono assai intrecciati.
b) Aristotele
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