Ss. Corpo e Sangue del Signore 29 maggio 2005 La Parola Prima lettura Dal libro del Deuteronomio (Dt 8, 2-3. 14-16) Mosè parlò al popolo dicendo: 2 “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi. 3 Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. 14 Non dimenticare il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione servile; 15 che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; 16 che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri. Parola di Dio. Dal Salmo 147 Benedetto il Signore, gloria del suo popolo. Glorifica il Signore, Gerusalemme, loda, Sion, il tuo Dio. 13 Perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte, in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli. 12 Egli ha messo pace nei tuoi confini e ti sazia con fior di frumento. 15 Manda sulla terra la sua parola, il suo messaggio corre veloce. 14 Annunzia a Giacobbe la sua parola, le sue leggi e i suoi decreti a Israele. 20 Così non ha fatto con nessun altro popolo, non ha manifestato ad altri i suoi precetti. 19 Seconda lettura Dalla prima lettera di Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 10, 16-17) Fratelli, 16 il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? 17 Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane. Parola di Dio. Alleluia, alleluia. (Gv 6, 51) Io sono il pane vivo disceso dal cielo, dice il Signore; chi mangia di questo pane vivrà in eterno. Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 51-58) In quel tempo, Gesù disse alle folle dei Giudei: 51 “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo paneA vivrà in eterno e il paneB che io darò è la mia carneC per la vitaD del mondo”. 52 Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. 53 Gesù disse: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. 54 Chi mangiaE la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui F. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangiaG di me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno”. Parola del Signore. Note del testo Il sacramento dell’eucaristia è il memoriale della Pasqua ed è il centro della vita della comunità cristiana. Nella forma di un convito sacrificale, la chiesa rivive l’evento totale della Pasqua; fa memoria della morte e risurrezione del Signore, una memoria che non è semplice ricordo, ma ripresentazione reale dell’evento stesso nel rito. Il Crocifisso risorto si fa presente come Agnello immolato e vivente. La sua parola con la potenza dello Spirito compie davvero quello che annunzia: il pane è realmente il suo corpo donato; il vino è realmente il suo sangue versato. Far comunione con il Signore crocifisso e risorto significa donarsi a lui e ai fratelli. La vita che egli comunica è la sua carità verso il Padre e verso tutti gli uomini. L’uomo – dice il Libro del Deuteronomio – non vive solo di pane. Per questo, accanto al pane che esce dalla terra si ricorda un pane che viene dal Cielo; è quella manna che per quarant’anni ha nutrito gli israeliti nel deserto; anche questo è un dono materiale, ma non solo, perché quella manna, come cibo del corpo, veniva regolarmente dal Signore, e Israele la coglieva dal Signore. Cibarsi con la manna significava per Israele essere oggetto della premura paterna di Dio, dell’attenzione con cui Dio accompagnava il suo cammino nel deserto. Dunque, un pane concreto, materiale, ma che contiene in sé la presenza della benevolenza e della bontà di Dio. (A): Il cap. 6 del vangelo di Giovanni è introdotto da un brano molto noto che noi conosciamo come il testo in cui Gesù ha spezzato e distribuito il pane per i 5000 uomini. Evidentemente il discorso che Gesù fa con il pane di vita è un discorso radicato nella fame della folla. Questo per dire che se vogliamo veramente cogliere il senso dell’Eucaristia non possiamo prescindere dalla fame della folla. Gesù è pane per chi ha fame, non per chi è sazio. Allo stesso modo noi potremmo dire che l’Eucaristia è per la gente che ha fame, non per chi è sazio. (B): La “manna” era un cibo materiale, concreto, che veniva a Israele come dono di Dio ed era figura del vero pane che viene dal Cielo. Invece, Gesù non è semplicemente un dono di Dio, ma è Dio stesso che in lui si fa dono. L’uomo, per vivere, ha bisogno del nutrimento e di tante cose; ma l’uomo è così importante, secondo la Scrittura, che per vivere ha bisogno niente di meno che di Dio stesso; tutto quello che è meno di Dio lo può nutrire per un po’ ma non a sufficienza, perché il cuore dell’uomo è aperto all’infinito, alla ricchezza del dono che Dio solo è in grado di colmare. (C): Gesù è il dono di Dio, ma proprio per questo la vita umana di Gesù è una vita “per” il mondo. Perché il mondo viva. Ma questo dono, che si compie nella Pasqua di Gesù, nella sua croce, ci è offerto continuamente e perennemente attraverso il tempo nel segno dell’Eucaristia, nel segno di “un pane spezzato” e “di un calice versato”, che condensano tutta la vita di Gesù. Tutto quello che Gesù ha potuto dire e fare è come riassunto in quel gesto. La vita di Gesù è una vita spezzata come dono, offerta e amore. Per questo celebrare l’Eucaristia significa per noi assumere la vita di Gesù come Padre della nostra esistenza. (D): Questa è la forma giovannea delle parole dell’istituzione dell’Eucaristia. La mia carne vuole dire: tutta la vita di Gesù nella sua dimensione umana di fragilità, di debolezza. La vita umana di Gesù è per la vita del mondo e la sottolineatura è sulla preposizione “per”, perché esprime il senso di tutta la vita di Gesù. La vita di Gesù è una esistenza per…, la vita di Gesù è una lavanda dei piedi. (E): Naturalmente “mangiare e bere” sono azioni che esprimono e realizzano l’accoglienza, realizzano l’assimilazione. “Mangio e bevo”, vuole dire: accolgo dentro di me un nutrimento e una bevanda e li assimilo, diventano miei. Ebbene, “la carne e il sangue di Gesù” contengono la vita, perché sono “sangue e carne per”, perché sono state trasformate da un amore oblativo. Quella “carne e sangue” – che sono carne e sangue umano, quindi con tutta la debolezza della condizione umana – in Gesù sono trasformate in amore, e per questo contengono la vita. Se “ mangio e bevo” accolgo dentro di me quella vita trasformata in amore, che è la vita del Signore; accolgo la forma del Signore dentro di me; assimilo la vita del Signore trasformata in amore; accolgo, mi lascio formare dentro secondo la forma della vita di Gesù. Per cui se la vita di Gesù è “una vita per”, e io l’accolgo e l’assimilo, il senso è che la mia vita diventi “una vita per”. Ed è l’unico senso che si può dare alla parola “assimilare”, non posso assimilare una vita come quella di Cristo senza che la mia vita prenda quella forma, senza che la mia vita assuma la logica della vita del Signore. (F): È la traduzione giovannea di quella che biblicamente si chiamava la “formula dell’alleanza”. La formula originaria, è: “Io sono il vostro Dio e voi siete il mio popolo” (Es 6, 7). È Dio che considera Israele come suo popolo e quindi si rivela come il Dio di Israele. E in questa appartenenza reciproca sta il mistero e la profondità dell’alleanza. Per cui Dio si assume la responsabilità di proteggere Israele. E se tutti gli altri popoli hanno un angelo custode, invece Israele ha come angelo custode Dio stesso. Quindi c’è questo atteggiamento di premura, di attenzione, di difesa, di protezione di Israele da parte del Signore. Israele, da parte sua, prende Dio come suo Dio, quindi la legge di Dio diventa la sua vita e i Comandamenti sono lo strumento di questa appartenenza a Dio. Ebbene, quello che l’Antico Testamento esprime con la formula dell’alleanza, Giovanni lo esprime con una formula di immanenza: “io in voi, voi in me”; “chi mangia la mia carne rimane in me e io in lui”. È una formula che ha qualche cosa di profondamente legato all’alleanza, ma che va più in profondità: non solo uno per l’altro, ma uno nell’altro. (G): Lo stesso rapporto, che c’è tra Gesù e il Padre, si sviluppa tra noi e Gesù, attraverso l’Eucaristia. Per cui attraverso l’Eucaristia riconosciamo di avere Gesù come sorgente della nostra vita e riconosciamo di avere Gesù come scopo, meta, traguardo della nostra vita. La vita cristiana diventa un cammino di maturazione che assume pian piano progressivamente la forma di Gesù: la sua capacità di amare, la sua fiducia e obbedienza senza riserve al Padre, la sua capacità di dire sì alla volontà di Dio nel momento della gioia e della passione. La trasformazione che l’Eucaristia opera avviene non solo nella vita di ciascuno di noi individualmente, ma anche nella vita della comunità cristiana. Prefazio suggerito: “Sacerdote vero ed eterno, egli istituì il rito del sacrificio perenne; a te per primo si offrì vittima di salvezza e comandò a noi di perpetuare l’offerta in sua memoria. Il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è bevanda che ci redime da ogni colpa” (Prefazio I dell’Eucaristia). Padri della chiesa Quando, nella ricerca spirituale, giungiamo alle profondità dei misteri che ci danno la vita, dobbiamo seguire con ardore le delizie di questi misteri. Resi partecipi della vocazione celeste, affrettiamoci subito verso la mistica Cena, rivestiti di fede sincera, come da una veste nuziale. È tremendo quel che si dice, è formidabile ciò che si compie. Cristo è ucciso come il vitello grasso; è immolato l’Agnello di Dio, che prende su di sé il peccato del mondo. Il Padre si rallegra, il Figlio spontaneamente si offre al sacrificio, oggi non per opera di nemici di Dio, ma da se stesso, mostrando che per la salvezza dell’uomo, egli è andato incontro al supplizio perché lo ha voluto. O ammirabile mistero, o ineffabile piano del pensiero divino, o bontà imperscrutabile! Creatore offre se stesso in cibo alla sua creatura, e colui che è la stessa vita si dona ai mortali (Cirillo di Alessandria, Omelia 10). Spezzate un unico Pane che è farmaco di immortalità, antidoto per non morire ma vivere in Gesù Cristo per sempre (Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini). Altri autori cristiani Il pane e la parola sono l’uno e l’altra a servizio della comunione a cui dio chiama la Chiesa (cfr 1Cor 1,9): l’Eucaristia permette già l’incontro finale e la parola di dio è fin da ora cristo in voi, speranza della gloria (Col 1,25-27). Ma poiché la comunione è ancora imperfetta, l’Eucaristia è anche la manna che ci sostiene nel cammino, e la parola, dal canto suo, è luce ai nostri passi, è lampada che brilla in un luogo oscuro, finchè non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei nostri cuori (2Pt 1,19), la stella del mattino che è la radice di Davide (F. Durrwell, L’Eucharistie… pp. 205-6). Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Questo “dimora” va inteso in modo così profondo, che dà origine a una vita nuova. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me (Gv. 6, 57). Gesù Cristo vive la sua vita, non come un possesso autonomo, ma come dono gratuito e perfetto del Padre. Proprio perché la sua vita gli viene dal Padre, Egli la spende per Lui, nel fare con amore la sua volontà.(…) Si noti: il non prendersi cura dei poveri falsifica l’Eucarestia; il creare delle divisioni all’interno della comunità cristiana falsifica l’Eucarestia. Se l’Eucarestia fosse una cena “nostra”, in essa si rifletterebbero le nostre divisioni. Così ci sarebbe la cena abbondante del ricco, e quella frugale del povero. L’Eucarestia invece è la cena del Signore, e quindi in essa devono riflettersi solo gli atteggiamenti del Signore. Perciò, effetto fondamentale dell’Eucarestia diventa l’amore fraterno; e la presenza di questo amore diventa la verifica più chiara della validità del sacramento. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso, e poi mangi di questo pane e beva di questo calice (1 Cor. 11, 28). L’Eucarestia ci obbliga a ritornare in noi stessi e a verificare i sentimenti del nostro cuore, per armonizzarli con quelli del cuore di Cristo (G. Baroni, Lettera pastorale 1983 nn. 35,40-41). Nell’eucaristia abbiamo solo un simbolo, sia pure molto denso e molto efficace, oppure abbiamo di più? Le parole del Signore, già nel preannuncio del discorso di Cafarnao (cfr. Gv 6, 24-59), sono sempre parole che dicono sul serio, verbi duri che dicono che bisogna, per potere avere la vita, masticare il suo corpo e bere il suo sangue. E sappiamo benissimo che questo linguaggio crudo, tremendamente realistico, scandalizza e determina il rifiuto. […] Se il discorso era realistico, come poteva essere accettato da un ebreo? E come l’hanno inteso i primi cristiani? […] L’hanno inteso talmente in senso realistico che fin dal principio ci sono state varie zone nelle quali si praticava l’eucaristia solo sotto la specie del pane. E si è accertato che queste zone erano effettivamente quelle dei giudei cristiani, cioè dei giudei convertiti al cristianesimo, i quali, proprio in virtù della loro fede, proprio perché credevano che quello non era solo un segno e non era semplicemente vino, sia pure fortemente carico di simboli, ma era sangue realmente, inorridivano di fronte a questa realtà e se ne astenevano. […] Se poi noi prendiamo realisticamente l’eucaristia, dobbiamo anche prendere realisticamente un’altra cosa: il Signore ha strettamente collegato la sua eucaristia, in cui consiste tutta la trasmissione della sua vita, della sua realtà di essere umano e divino e la sua presenza nel mondo, al fatto che essa debba servire fino a che egli non ritorni e tutte le narrazioni dell’eucaristia dei tre Sinottici lo sottolineano […] (Mt 26,29; Mc 14,25; Lc 22,18). E come si capisce meglio dal testo di Paolo (cfr. 1 Cor 11,23-26), non è semplicemente una determinazione di tempo, fino a che, ma è anche una determinazione di fine: fate questo in memoria di me e annunziate la morte del Signore fino a che, finché, egli venga […]. Il fine ultimo di ogni celebrazione eucaristica, che ricapitola tutti gli altri, è provocare la parusia, il ritorno di Cristo.[…] La provocazione del suo ritorno è il fine supremo dell’eucaristia […]: perché sia allora totalmente consumato il mistero del nostro incontro nuziale con colui che noi crediamo che è veramente risorto e che adesso nuovamente si comunica (G. Dossetti, Omelie e Istruzioni pasquali 1968-1974, pp. 127-129). Un solo corpo, pur essendo molti. Forse che il peccato di uno diventi il peccato di tutti e la santità di uno si riversi su tutti? È questa la “comunione dei santi”, dei “separati”, dei cristiani? Accettare di far dipendere la nostra salvezza dagli altri fratelli e accollarci un pezzo della loro salvezza nelle nostre scelte, nei nostri inciampi, nelle nostre faticose fedeltà? Questo tipo di condivisione ci è più chiaro se riusciamo a concepirci come tutti compagni di un solo, lungo cammino. “Ricordati di tutto il cammino”, dice il Deuteronomio (Dt 8,2), un cammino fatto “per umiliarti e per provarti”, ma poi “per farti felice nel tuo avvenire”. Quanto è importante, qui dentro come fuori, ricordare ciascuno il proprio cammino nella sua interezza, per impostare e immaginare il proprio futuro? Il Signore ci aiuta a leggere le umiliazioni sofferte e attraverso di esse ad apprezzare ciò che altrimenti non avremmo potuto; ci aiuta ad affrontare le batoste, le false e ingannevoli soddisfazioni, quell’insieme di illusioni di cui ci circondiamo per aggirare le responsabilità. Lette poi le umiliazioni come elementi di svolta del cammino personale siamo in grado di aprirci alla com-passione dei fratelli, alla comunione del cammino, alla condivisione della povertà che costituisce ogni uomo e di cui i cristiani non si possono vergognare, se non vergognandosi del Vangelo (Gruppo O.P.G.). Passi biblici paralleli v. 51 Lc 22,19-20: Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”. 1Cor 11,23-24: Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Gv 6,35: Gesù rispose: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete”. Gv 6,48 Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Dt 8,3: Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. Eb 10,5-10: Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà. Dopo aver detto prima non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre. v. 53 Gv 1,14: E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Gv 4,13-14: Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”. v. 54 Gv 6,39-40: E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Gv 11,24: Gli rispose Marta: “So che risusciterà nell’ultimo giorno”. v. 56 (dimora in me) Es 25,8: Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro. Gv 17,20-23: Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me. Gv 17,26: E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro”. 1Gv 2,24: Quanto a voi, tutto ciò che avete udito da principio rimanga in voi. Se rimane in voi quel che avete udito da principio, anche voi rimarrete nel Figlio e nel Padre. 1Gv 3,24: Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato. 1Gv 4,12-16: Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio. Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui. v. 57 Gv 10,38: Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre” Gv 14,10: Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Gv 14,20: In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Gv 15,4-7: Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. v. 58 Es 15,4.12-15.35: Allora il Signore disse a Mosè: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina secondo la mia legge o no. (…) Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore vostro Dio”. Ora alla sera le quaglie salirono e coprirono l’accampamento; al mattino vi era uno strato di rugiada intorno all’accampamento. Poi lo strato di rugiada svanì ed ecco sulla superficie del deserto vi era una cosa minuta e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: “ Man hu: che cos’è?”, perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: “È il pane che il Signore vi ha dato in cibo. (…)Gli Israeliti mangiarono la manna per quarant’anni, fino al loro arrivo in una terra abitata, mangiarono cioè la manna finché furono arrivati ai confini del paese di Canaan.