LEGITTIMAZIONE AL RISARCIMENTO DEL DANNO AMBIENTALE DA PARTE DELLE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE La scelta normativa di escludere la legittimazione delle associazioni ambientaliste ad agire per il risarcimento del danno ambientale appare coerente con un modello in cui vi è il dovere dello Stato di sostituire con misure compensative le perdite, anche temporanee, di utilità ambientale subite dalla collettività e in cui è lo Stato legittimato a chiedere il risarcimento del danno. Le associazioni ambientaliste, individuate in base all’art. 13 l. 349/86, è riconosciuto il diritto di intervenire nei giudizi per danno ambientale, ai sensi del vigente art. 18 comma 5 l. 349/86. La norma in esame ha subito ingenerato dei dubbi interpretativi in ordine al carattere esclusivo o meno della legittimazione attribuita alle associazioni individuate con il suddetto decreto ministeriale. A fronte di una scelta del legislatore che individua la situazione legittimante nel preventivo riconoscimento dell’associazione, inizialmente la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che la mancata inclusione di una associazione ambientalista negli elenchi ministeriali previsti dalle norme sopra citate comportasse la carenza in radice di legittimazione all’impugnativa di provvedimenti incidenti in materia ambientale1. Si è però osservato che la normativa in commento definisce un titolo ulteriore di legittimazione senza tuttavia far venire meno i criteri selettivi in precedenza a tal fine elaborati dalla giurisprudenza. Alla 1 “La legittimazione ad agire per le associazioni ambientaliste riconosciute ex art. 18 L 8 luglio 1986 n. 349 non preclude l’accertamento in concreto della legittimazione di altre associazioni che si assumano portatrici di interessi diffusi di protezione ambientale purché venga verificata la sussistenza di una pluralità di indici, riferiti in particolare alle finalità statutarie, al grado di rappresentatività, alla maggiore o minore risalenza temporale dell’associazione, alle iniziative ed azioni intraprese per la tutela degli interessi di cui alla stessa si proclama portatrice nonché al concreto e stabile collegamento con un dato territorio tale da rendere localizzabile l’interesse esponenziale dell’associazione.” (Cons. Stato sez. IV 14 aprile 2006, n. 2151) 1 stregua di tale indirizzo, l’esistenza di associazioni comunque legittimate in quanto riconosciute non preclude al giudice di accertare caso per caso la legittimazione di singolo organismi non accreditati, purché gli stessi esibiscano elementi di differenziazione ed un concreto e stabile collegamento con un dato territorio, tale da rendere localizzabile l’interesse esponenziale. In forza di tale precisa scelta ermeneutica la normativa in questione ha introdotto un doppio binario in forza del quale l’accertamento del grado di rappresentatività dell’associazione o del comitato può essere effettuato una volta per tutte in sede amministrativa ovvero caso per caso in sede giurisdizionale. Dunque il potere ministeriale di individuare gli enti abilitati al ricorso non elide il potere del giudice amministrativo, che è tipico di ogni giudice, di verificare la sussistenza della legittimazione dell’organismo collettivo che ha esperio il ricorso sulla base dei criteri elaborati in via pretoria e non di quelli indicati dall’art. 13, per l’azionabilità degli interessi collettivi. Del resto, una volta riconosciuta la riconducibilità dell’interesse collettivo nel genus interesse legittimo, sostenere che solo le associazioni individuate dal Ministero possono ricorrere in sede giurisdizionale amministrativa configgerebbe con gli artt. 24,103,113 Cost., poiché anzitutto si attribuirebbe all’amministrazione in via esclusiva il potere di selezionare i soggetti legittimati ad agire avverso i propri atti soprattutto quando questi provengano dall’autorità statale. In ogni sarebbe in tal modo preclusa la tutela giurisdizionale ad un soggetto portatore di un interesse differenziato e qualificato, qual è l’interesse collettivo, tutte le volte in cui il Ministero dell’Ambiente respinga illegittimamente l’istanza di riconoscimento ovvero non l’abbia ancora esaminata. Acclarato che , ricorrendo determinati presupposti, anche le associazioni non iscritte nell’elenco ministeriale sono legittimate al ricorso, si pone, tuttavia, un ulteriore problema di stringente attualità. Occorre individuare quali siano gli atti impugnabili e i vizi denunciabili dalle associazioni ambientaliste legittimate al ricorso. 2 Così come sostenuto dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. di Stato, sez. IV, 9 novembre 2004, n. 7246) <<il combinato disposto degli artt. 13 e 18 della legge 8 luglio 1986 n. 349, che conferisce la legittimazione ad agire nella materia ambientale alle associazioni ambientalistiche riconosciute con decreto del Ministro dell’Ambiente, deve essere inteso come attributivo di una legittimazione eccezionalein quanto essa deroga all’ordinario processo di giuridicizzazione degli interessi di fatto in interessi legittimi- che va peraltro delimitata in relazione alla qualificazione dell’interesse sostanziale fornita dalla norme di legge. La legittimazione delle associazioni ambientalistiche a far valere in giudizio interessi diffusi in materia lato sensu ambientale va riconosciuta sulla scorta o del concreto collegamento con un dato territorio, tale da rendere ‘localizzabile’ l’interesse esponenziale, ovvero di situazioni soggettive riconosciute normativamente nell’ambito di procedimenti amministrativi. Affinché sia riconosciuta la (eccezionale) legittimazione in capo alle associazioni ambientalistiche occorre, in ogni caso, che il provvedimento che si intende impugnare leda in modo diretto ed immediato l’interesse all’ambiente; tale legittimazione, viceversa non consente la proposizione di motivi aventi una diretta valenza urbanistico - edilizia, e che solo in via strumentale ed indiretta, e non in ragione della violazione dell’assetto normativo di tutela dell’ambiente, possano determinare un effetto utile anche ai fini della tutela dei valori ambientali>> In altri termini, secondo tale impostazione i profili di gravame devono essere attinenti alla sfera di interesse ambientale dell’associazione ricorrente; come tali essi devono essere orientati al conseguimento di una utilità ‘direttamente rappresentata’ alla posizione legittimante. Nell’affrontare il tema del danno ambientale non sempre si attribuisce rilevanza al processo amministrativo in quanto ci si sofferma piuttosto sui profili risarcitori che appartengono alla giurisdizione ordinaria.2 In particolare, troppo spesso viene in 2 Consiglio di Stato sez. VI 13 settembre 2010 n. 6554: Sussiste la legittimazione ad agire delle associazioni di protezione ambientale non individuate ai sensi dell’art. 13 della legge 8 luglio 1986 n. 349 che si costituiscono al precipuo scopo do proteggere l’ambiente, la salute o la qualità della vita delle popolazioni residenti nell’ambito di un territorio circoscritto. Il giudice amministrativo deve valutare caso 3 rilievo il processo penale, ove le associazione di tutela ambientale hanno statisticamente proferito agire nonostante le non poche difficoltà superate con un importante intervento normativo che attribuisce loro con certezza il potere di agire sia pure in sostituzione degli enti locali inerti (art. 9 comma 3 d.lgs. 267/2000). Ciò al di là della grande sensibilità dimostrata dalla magistratura penale è dovuto ad una ragione di ordine pratico: l’eccessivo costo del giudizio amministrativo e le maggiori per caso le diverse fattispecie per evitare che la mancata azione da parte delle associazioni individuare nel caso di atti potenzialmente lesivi dell’ambiente comporti un diniego di giustizia a discapito delle situazioni di potenziale danno trascurate dalle associazioni cd. riconosciute. Sussiste la legittimazione e l’interesse ad agire delle associazioni di protezione ambientale non individuare ai sensi dell’art. 13 della legge 8 luglio 1986 n. 349(86 che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l’ambiente, la salute o la qualità della vita delle popolazioni residenti nell’ambito di un determinato territorio circoscritto nonché dei singoli individui in base alla vicinitas ovvero i base al criterio, elastico, dello stabile collegamento con il territorio oggetto della potenziale lesione ambientale. Occorre però che il sodalizio e il singolo identifichino quale bene della vita (il paesaggio,l’acqua , il suolo, il proprio terreno) possa essere oggetto di potenziale lesione da parte dell’iniziativa dei pubblici poteri; non è invece necessario che i soggetti interessati risiedano nei terreni direttamente toccati dall’intervento. La pronuncia in esame è meritevole di interesse sotto il profilo della questione operato dal Consiglio di Stato circa le prerogative processuali in materia di tutela degli interessi diffusi da parte e di associazioni locali e di privati cittadini in quanto in esso vi è un inaspettato richiamo al principio di sussidiarietà ancora poco considerato dalla giustizia amministrativa. La questione delle prerogative processuali degli Enti non individuati a livello ministeriale, non nuova né in dottrina né in giurisprudenza.2 Nelle pieghe della motivazione della sentenza di cui si è poc’anzi riportato la massima si richiamano i precedenti dei Tar e del Consiglio di Stato in forza dei quali può ormai essere dato per assodato che l’art. 13 della legge istitutiva del Ministero dell’ambiente non abbia istituito un divieto di accesso tout court al circuito giudiziario per questi soggetti al di fuori di tale disciplina e ciò per garantire la copertura del sindacato del Giudice Amministrativo anche nel caso in cui gli Enti Esponenziali maggiori per dimensioni e capacità organizzative restino inerti. Tale impostazione appare condivisa dai più recenti orientamenti della Corte di Giustizia in materia di accesso al circuito giudiziario laddove si tenga conto che in una sentenza sia stato affermato che qualunque sia l’orientamento scelto da uno Stato membro con riferimento al criterio della ricevibilità di un ricorso amministrativo, le associazioni a tutela dell’ambiente hanno in conformità all’art. 10 bis della direttiva 85/337, legittimazione ad agire allo scopo di contestare la legittimità, quanto al merito o alla procedura, delle decisioni, degli atti o delle omissioni previste dal detto articolo. La sentenza di cui si è riferito la massima si inserisce dunque perfettamente in tale solco ribadendo che anche le associazioni minori, quelle non individuare a livello ministeriale, appunto, nonché i comitati spontanei e perfino il privato cittadino che agisce uti singulus possano vantare legittimazione attiva nei confronti di provvedimento potenzialmente lesivi di qualificati interessi ambientali. L’argomento giuridico utilizzato dal giudicante di 2° grado è sia quello della vicinitas sia quello, da qui la novità, del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 u.c. Cost. Rilevante è l’accostamento del criterio della finitimità, frutto di un’interpretazione delle disposizioni legislative vigenti in materia di associazioni individuare, sviluppatori per superare il limite derivante da una risalente interpretazione restrittiva secondo la quale le Enti privi di investitura formale e i singoli individui venivano estromessi dalle aule di giustizia, con il principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale che postula lo sviluppo democratico della società civile e livello volontario, a prescindere da ogni strutturazione organizzativa in enti. Non si può non rilevare che, in ogni caso, la legittimazione ad agire sia stata fatta discendere esclusivamente dall’accertamento della residenza del ricorrente nell’area di Punta Ala. In altri termini, il criterio risolutore pare sia stato il collegamento stabile con la dimensione territoriale di incidenza del potenziale danno all’ambiente e non invece quello sussidiaristico. 4 difficoltà di carattere tecnico-giuridico per accedervi.3 Tuttavia il processo amministrativo è la sede privilegiata di tutela ambientale poichè ivi si realizza la prevenzione del danno ambientale imposta dal diritto comunitario. La tutela preventiva non si riscontra infatti nell’azione di risarcimento del danno ambientale innanzi al giudice civile né nel procedimento penale. Resta altresì controverso se l’intervento delle associazioni ambientaliste sia subordinato o meno al consenso della persona offesa ai sensi dell’art. 92 c.p.p.4 In giurisprudenza, tuttavia, è maggioritario l’orientamento che legittima le associazioni ambientaliste alla costituzione di parte civile nei giudizi penali per richiedere il risarcimento del danno ambientale, ogni qualvolta si reputino titolari d una situazione soggettiva differenziata rispetto ai beni ambientali danneggiati.5 Secondo questa giurisprudenza non sarebbe rilevante l’interesse dei componenti al godimento delle utilità che derivano dalla risorsa naturale, ma l’interesse dell’associazione al compimento dei propri fini istituzionali di conservazione del bene ambientale per il quale il sodalizio si è costituito o ha svolto la sua attività. Le ragioni sottese alla legittimazione delle associazioni di costituirsi parte civile oltre la possibilità dell’intervento sono duplici. In primo luogo vi è l’esigenza di consentire alle associazioni di partecipare al processo penale6 anche qualora non si siano costituiti né lo Stato, né gli enti locali, 3 T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 07 luglio 2009 , n. 1786 che ha riconosciuto la legittimazione di un comitato a chiedere l'attivazione dei poteri sindacali di cui all'art. 217 TUS, in virtù dell’art. 3-ter del d. lgs. n. 152 del 2006 il quale prevede che la tutela dell'ambiente .deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dallepersone fisiche e giuridiche pubbliche e private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, del'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente.. Nella decisione citata si evidenzia il nuovo modello di .governance ambientale., ossia un .modello di gestione dei beni ambientali non più ispirato al classico modello gerarchico ma ad un nuovo stile di governo diversamente caratterizzato da un maggior grado di cooperazione ed interazione tra poteri pubblici da una parte ed attori non statuali dall'altra parte (realtà economica e realtà sociale).La governance ambientale presuppone, in chiave di progressiva democratizzazione dei processi decisionali in subiecta materia e nell'ottica del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art., 118, quarto comma, Cost., necessità di visione comune intorno ad un problema, con il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati per raggiungere risultati migliori.. 4 Secondo la Cass. pen. 15 gennaio 2007 n. 544 in Ambiente e Sviluppo, 2007, 580 5 Cfr. Cass. pen. 15 gennaio 2007 n. 544 6 Cfr. Cass. pen., sez. III, 2 dicembre 2004, n. 46746, per la quale le associazioni ecologiche avranno 5 in modo che il giudice possa condannare l’autore dell’illecito quantomeno al ripristino dello stato dei luoghi7. In questa prospettiva il riconoscimento del diritto a promuovere l’azione ripristinatoria consente di aggirare la mancata previsione di strumenti specificamente idonei a perseguire le finalità di enforcement , quali l’azione sostitutiva , che avrebbe consentito al soggetto legittimato di sollecitare l’intervento dell’ente titolare del diritto al risarcimento del danno ambientale8. L’azione sostitutiva de qua è stata, in effetti, prevista, dall’art. 9 della legge 142/1990, con la quale si è consentito alle associazioni ambientaliste di richiedere il risarcimento del danno che spetta agli enti locali; mentre per il danno ambientale a favore dello Stato un’azione è stata riconosciuta dall’art. 18 comma 3, agli enti locali. L’azione esercitatile dagli enti locali apparirebbe sostitutiva, anche se si è affermato in giurisprudenza l’orientamento che riconosce agli enti locali il diritto di agire iure proprio9. legittimazione .quando hanno subito dal reato una lesione di un diritto di natura patrimoniale (ad esempio, per i costi sostenuti nello svolgimento delle attività dirette ad impedire pregiudizio al territorio o per la propaganda) o non patrimoniale (ad esempio, attinente alla personalità del sodalizio per il discredito derivante dal mancato raggiungimento dei fini istituzionali che potrebbero indurre gli associate a privare l.ente del loro sostegno personale e finanziario). 7 Corte di Cassazione sez. III penale- 27 maggio 2011 n. 21311:Il risarcimento del danno ambientale quale lesione dell’interesse pubblico e generale dell’ambiente, spetta esclusivamente allo Stato (ex art. 311 decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152). Gli enti territoriali sono legittimati a costituirsi parte civile nel giudizio penale al fine di ottenere il risarcimento del danno ambientale ex art. 2043 c.c. La legittimazione alla costituzione di parte civile delle associazioni ecologiche operanti nel settore dell’ambiente richiede che le associazioni si atteggino quali enti esponenziali di interessi ambientali diffusi. Al fine di accertare se la situazione giuridica soggettiva dell’Ente sia differenziata e qualificata rispetto al mero interesse collettivo, di natura diffusa, è necessario che l’associazione abbia come fine essenziale statutario la tutela dell’ambiente, che essa sia radicata nel territorio anche attraverso sedi sociali, che sia rappresentativa di un gruppo significativo di consociati e che abbia dato prova di continuità del suo contributo a difesa del territorio (cfr. Corte di Cassazione sez. III, 11 febbraio 2010 n.14828). (vedi in quale rivista si possono trovare …un po’ di bibliografia ci vuole) Le associazioni ambientaliste portatrici di interessi <<superindividuali>> possono costituirsi parte civile nel processo penale invocando la risarcibilità del danno ambientale , con poteri identici a quelli della persona offesa, munendosi del consenso di quest’ultima, quale requisito essenziale della legittimazione processuale (cfr. Corte Cass. sez. III pen., 3 novembre 2006n. 36514). 8 La sentenza n. 14828/10 (reperibile su www. Giuffrè.it) ha riconosciuto da un canto la legittimità della costituzione di parte civile da parte del Circolo Legambiente e del WWF Italia avendo tali enti subito una <<potenziale lesione di natura non patrimoniale attinente alla personalità del sodalizio per il discredito derivante dal mancato raggiungimento dei fini istituzionali>> ma dall’altro si è premurata di escludere esplicitamente che questi stessi enti possano costituirsi per chiedere la liquidazione del danno ambientale di natura pubblica, che , a norma dell’art. 311 T.U ambientale, spetta unicamente al Ministero dell’ambiente. 9 Corte di Cassazione Sez. III penale 22 novembre 2010 n. 41015: A seguito dell’introduzione dell’art.311 d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152, il titolare della pretesa risarcitoria per il danno ambientale , inteso 6 E’da rilevare, tuttavia, che entrambe le disposizioni postulanti azioni sostitutive sono state espressamente abrogate dall’art. 318 comma 2 d. lgs. 152/06 In secondo luogo, la possibilità offerta alle associazioni ambientaliste di costituirsi parte civile mirerebbe alla opportunità di recuperare le spese processuali. quale risarcimento del danno di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell’interesse pubblico e generale all’ambiente, è esclusivamente lo Stato, in persona del Ministro dell’ambiente mentre i soggetti singoli o associati, ivi compresi gli Enti pubblici territoriali e le Regioni, possono agire, in forza dell’art. 2043 c.c. per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriori e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell’ambiente in relazione alla lesione di altri loro diritti patrimoniali, diversi dall’interesse pubblico e generale alla tutela dell’ambiente come diritto fondamentale e valore a rilevanza costituzionale. In particolare, si legge nel corpo della sentenza che: ‘la giurisprudenza di questa Corte, successiva al mutamento legislativo, ha rilevato che la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali spetta non soltanto al Ministro dell’ambiente, ai sensi del d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152, art. 311, comma 1, ma anche all’Ente pubblico territoriale (come la Provincia) che per effetto della condotta illecita abbia subito un danno patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c. (Sez. III, 28 ottobre 2009 n. 755/10, Ciarloni, m. 246015). La sentenza della sez. III, 3 ottobre 2006 n. 36514, Censi, m. 235059, ha più dettagliatamente precisato che, a seguito della abrogazione della legge349/86 art. 18, ed ai sensi del d. lgs. 152 del 2006, art. 311, <<titolare esclusivo della pretesa risarcitoria in materia di danno ambientale è lo Stato nella persona del Ministro dell’Ambiente>> relativamente al danno all’ambiente come interesse pubblico, anche se ad ogni persona singola od associata spetta il diritto di costituirsi parte civile per il risarcimento degli ulteriori danni subiti. Anche la più recente sentenza della sez. III, 11 febbraio 2010 n.14828, De Flammineis n. 246812, ha affermato che il d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152 <<ha attribuito in via esclusiva la richiesta risarcitoria per danno ambientale al Ministero dell’Ambiente>> (sicchè le associazioni ecologiste sono legittimate a costituirsi parte civile al solo fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali patiti a causa del degrado ambientale, <<mentre non possono agire in giudizio per il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica>>)’. Le precisazioni che qualificano la sentenza ritagliando lo spazio del danno risarcibile in favore di altri soggetti, diversi dal Ministero dell’Ambiente, a ciò espressamente legittimato ex art. 311 T.U. ambientale in materia di reati ambientali: 1. tale danno non può essere e non può coincidere, con il danno ambientale <<generico di natura pubblica>> e dunque con la <<lesione dell’ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale>> ed anzi rispetto a questo deve essere <<ulteriore e diverso>>, oltre che <<diretto e specifico>> e deve aver provocato la << lesione di altri loro diritti patrimoniali, diversi dall’interesse pubblico e generale alla tutela dell’ambiente come diritto fondamentale e valore a rilevanza costituzionale>>. 2. il danno deve avere carattere <<patrimoniale>> Pertanto se la condotta di reato è conditio sine qua non del danno ambientale, nulla impedisce che allo stesso tempo essa sia la conditio della lesione di altri diritti patrimoniali, degni di tutela risarcitoria; cionondimeno, tale lesione deve comportare un danno diretto e specifico. In tali ipotesi si è in presenza di posizioni giuridicamente rilevanti, ma non di diritti patrimoniali lesi e di danni patrimoniali patiti, requisito necessario per la legittimazione all’azione risarcitoria, secondo la decisione in commento. Occorre precisare che una tale interpretazione non frustra minimamente i diritti risarcitori dei privati cittadini che abbiano subito, quale conseguenza del fatto produttivo del danno ambientale, un danno alla salute: occorrerà piuttosto appurare l’integrazione di un delitto contro la persona concorrente con il reato ambientale. Qualora tale ipotesi fosse integrata costoro potranno agire attraverso la costituzione di parte civile anche per il risarcimento del danno biologico non già quale conseguenza dell’illecito ambientale quanto dell’autonomo reato contro la persona. Ai privati costituitisi parti civili, invece, il diritto al risarcimento risulta riconosciuto per la situazione di stabile collegamento con la zona interessata dalla autorizzata edificazione e per la lesione dei valori urbanistici della stessa…>>9 7 In altri termini, così facendo si consentirebbe alle associazioni ambientaliste di ottenere contributi statali per il pagamento delle spese connesse all’esercizio delle facoltà attribuite dall’art. 18 della legge 349/86. Per inciso e concludendo sul punto è opportuno rilevare che l’assenza di poteri idonei a supplire all’eventuale inerzia delle autorità statali ha contribuito a rendere meno effettiva la tutela in presenza dei danno ambientale e la situazione era solo parzialmente cambiata con l’entrata in vigore dell’art. 4 comma 3 della legge n. 266/1999 poi riformulato nell’art. 9 comma 3 del d.lgs. n. 267/2000 che ha introdotto la cd. azione popolare delle associazioni di protezione ambientale, prevedendo che tali enti esponenziali possano esercitare davanti al giudice ordinario le azioni conseguenti a danno ambientale che spettino al comune e alla provincia e che l’eventuale risarcimento è liquidato in favore dell’ente sostituito e le spese processuali sono liquidate in favore o a cario dell’associazione . Tale norma è stata formalmente abrogata rendendo in tal modo inefficace l’istituto del risarcimento del danno ambientale. 8