Danni al socio od alla società? Cass. 2087/2012 01.06.2017 www.personaedanno.it Avv. Adolfo Tencati Svolgimento del processo . (…) Motivi della decisione. (…). Quanto al merito delle doglianze fatte valere dalla ricorrente società, il collegio ritiene fondate quelle svolte nel sesto, nell' ottavo e nel nono motivo di ricorso che, oltre ad essere intrinsecamente connesse, pongono questioni preliminari ed assorbenti rispetto alle critiche formulate negli altri mezzi. Punto dirimente dello scrutinio demandato alla Corte è quello della titolarità del diritto al risarcimento del danno cagionato da un terzo al patrimonio sociale, verifica che impone due puntualizzazioni di carattere dogmatico: Pag. | 1 a) la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità di una situazione giuridica idonea ad abilitare un soggetto a promuovere o a subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale versato in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'attore, con conseguente dovere del giudice di verificarne l'esistenza in ogni stato e grado del procedimento; da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito l'esame d'ufficio, poiché la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell' onere deduttivo e probatorio della parte interessata (confr. Cass. civ. sez. un. 9 giugno 2011, n. 12538; Cass. civ. sez. un., 15 novembre 2005, n. 23022; Cass. civ. 10 2008, n. 355); b) la quota, a prescindere dalla sua natura giuridica, sulla quale si tornerà tra breve, è, come l'azione, una frazione del capitale sociale. Questo è un'entità puramente numerica, in quanto esprime in termini monetari il valore attribuito ai conferimenti promessi o eseguiti dai soci al momento della costituzione della società o per effetto di successive delibere di aumento o diminuzione. La rilevanza economica della quota è però data dalla consistenza del patrimonio sociale, e cioè dal complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo alla società, nonché dalle prospettive di crescita o diminuzione delle potenzialità economiche dell' impresa collettiva: tale consistenza e tali prospettive determinano il valore effettivo della partecipazione, al di là di quello puramente nominale. Ora, le sezioni unite di questa Corte, dirimendo un contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla legittimazione del socio di società di capitali ad agire nei confronti del terzo per far valere fatti illeciti incidenti sul mantenimento in vita della società o che possano comportare un depauperamento del patrimonio sociale suscettibile di risolversi nella diminuzione del valore della partecipazione del socio, incidendo negativamente sui diritti ad essa connessi e sulla sua consistenza, hanno statuito che il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche al socio, in quanto l'illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio, mentre l'incidenza negativa sulla partecipazione sociale costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell'illecito (confr. Cass. civ. 24 dicembre 2009, n. 27346). Mette conto evidenziare che la pronuncia del Supremo Consesso era stata sollecitata in relazione a un caso in cui, nel giudizio instaurato da una società assicuratrice nei confronti di soggetto incaricato della certificazione dei bilanci, al fine di sentir dichiarare la risoluzione per inadempimento del relativo contratto e la condanna del convenuto al risarcimento dei danni, era intervenuto un socio della società attrice che aveva aderito alle domande da questa proposte, chiedendo, a sua volta, il risarcimento dei danni subiti dalla propria quota di partecipazione e alla propria immagine a seguito delle condotte della convenuta. L'iter argomentativo seguito dalle sezioni unite può essere così sintetizzato: Pag. | 2 a) la tesi che predica la legittimazione del socio ad agire nei confronti dei terzi che abbiano cagionato un danno alla società, in quanto danno che incide sul suo diritto agli utili e alla quota di liquidazione, si pone in conflitto con il principio fondamentale secondo il quale, essendo le società di capitali fornite di personalità giuridica, ed essendo a questa coessenziale una perfetta autonomia patrimoniale, v' è una netta separazione tra il patrimonio della società e quello personale dei soci, così da essere i rispettivi patrimoni direttamente e reciprocamente insensibili l'uno alle vicende che riguardano l'altro; b) la logica di un sistema in cui alla normale limitazione del rischio economico per il socio all'ammontare del conferimento, corrisponde l'esclusiva imputabilità alla società degli atti compiuti e dell'attività svolta dai propri organi rappresentativi, con le relative conseguenze patrimoniali passive, non può che essere, sul versante delle poste attive del patrimonio sociale, che la società è l'unica titolare dei diritti, reali come di credito, ad essa spettanti, nascano questi ultimi da contratto o da altra fonte prevista dall'art. 1173 c.c., ivi compresi i fatti illeciti, di qualunque genere; c) consegue da tanto l'esclusiva legittimazione della società all'azione diretta al conseguimento del risarcimento nei confronti del terzo che con la propria condotta illecita abbia prodotto effetti negativi sullo svolgimento dell' attività dell' ente e sul suo patrimonio. Pacifico che una siffatta lesione tenderà a ripercuotersi, in qualche misura, sugli interessi economici del socio, derivanti dalla sua partecipazione sociale, anche sotto forma di possibile diminuzione del valore della quota e compromissione della redditività della stessa; non si tratterà tuttavia di una conseguenza diretta ed immediata dell'illecito, ma di un danno solo indiretto, in quanto mero riflesso del danno subito dalla società, come tale non rilevante sul piano giuridico; d) a ben vedere, il risarcimento ottenuto dalla società elimina automaticamente ogni danno per il socio, il che conferma che questo non è direttamente danneggiato dall' illecito subito dalla società, mentre può esserlo dal comportamento degli organi gestori, ove non si attivino per ottenere il risarcimento ad essa dovuto; e) l'opposto orientamento risente della concezione che costruiva la posizione del socio nei confronti della società essenzialmente come un diritto di credito eventuale su una quota del patrimonio sociale: ammessa la risarcibilità, in via aquiliana, della lesione esterna dei diritti di credito, ne deriverebbe che il socio di società di capitali, danneggiato dal fatto illecito del terzo, consistente, nello specifico, in un inadempimento contrattuale nei confronti della società, subendo un danno diretto, sarebbe titolare dell'azione risarcitoria. Sennonché detto orientamento — come ha messo in evidenza da tempo la dottrina — non interpreta adeguatamente la posizione del socio nelle società di capitali, posto che tutte le società vengono costituite (art. 2247 c.c.) per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili, con un contratto che lega fra loro i soci, anche futuri, vincolandoli a perseguire tale scopo: vincolandoli, in particolare, a eseguire il contratto secondo buona fede e, quindi, con divieto per ciascuno di essi di pregiudicare, Pag. | 3 nell'esercizio di facoltà e poteri sociali, la realizzazione dell'interesse che è alla base del contratto. Nelle società di capitali la personalità giuridica, che rende la società un soggetto diverso dai soci, costituisce un mezzo per perseguire le suddette finalità, attraverso quell'autonomia patrimoniale perfetta alla quale si è innanzi accennato. Peraltro, in correlazione con la nascita, in conseguenza del contratto, dell'ente sociale, questo non è immediatamente tenuto ad alcuna prestazione nei confronti dei soci, la quale possa fare assimilare la loro posizione giuridica nei suoi confronti a un diritto di credito. Piuttosto il socio diventa immediatamente titolare di un insieme di facoltà e poteri, esercitabili all'interno della struttura societaria, strumentali al suo funzionamento e al perseguimento dello scopo sociale costituito dal conseguimento di utili e, in caso di scioglimento della società, della quota di liquidazione. Ora, la partecipazione sociale che attribuisce al socio tale complessa posizione contrattuale si caratterizza, nelle società di capitali, per una sua spiccata autonomia giuridica rispetto al patrimonio sociale, autonomia che le consente di avere un suo proprio valore. Ma tutto ciò dimostra come essa sia un bene giuridicamente distinto dal patrimonio sociale e quindi, anche sotto tale aspetto, inidoneo a venire direttamente danneggiato da vicende che riguardino quest'ultimo, le quali potranno avere su di essa effetti solo indiretti e riflessi. E invero, come insegna la disciplina economica, il valore di mercato della partecipazione non è dato solo dalla frazione di valore del patrimonio sociale che essa rappresenta, ma è influenzato da molteplici fattori ulteriori, che rendono limitatamente correlabili i due valori, cosicché non ad ogni diminuzione patrimoniale della società corrisponde una diminuzione di valore delle azioni e delle quote e, viceversa, non ad ogni incremento di detto patrimonio corrisponde un corrispondente aumento del valore di mercato delle azioni e delle quote; f) infine, se si ammettesse che i soci di una società di capitali possano agire per ottenere il risarcimento dei danni procurati da terzi alla società, in quanto incidenti sui diritti loro derivanti dalla partecipazione, non potendosi negare lo stesso diritto alla società, si finirebbe con il configurare un duplice risarcimento per lo stesso danno. L'adesione del collegio all' enunciato delle sezioni unite comporta che deve negarsi che il (…) sia legittimato ad agire in giudizio per ottenere il ristoro dei danni in tesi prodotti dall'allegato inadempimento della società convenuta sul valore della sua quota. Né tale conclusione si presta a essere ripensata in ragione della circostanza che, nella fattispecie, siffatta quota è pari all'intero capitale sociale di Valdipicciola. Trattasi, invero, di dato meramente fattuale, giuridicamente irrilevante, inidoneo a scalfire il principio per cui, stante la netta separazione tra patrimonio della società e patrimonio personale dei soci, qualsiasi danno che attinga il patrimonio sociale può riguardare la partecipazione solo indirettamente e non è quindi suscettibile di autonoma risarcibilità. Per puro scrupolo di completezza si ritiene opportuno evidenziare che sulla scelta decisoria che si va ad adottare non può incidere sotto alcun profilo la circostanza che Pag. | 4 la questione della legittimazione del socio ad agire in risarcimento per la diminuzione del valore della sua quota conseguente a un inadempimento contrattuale perpetrato nei confronti della società risulti sollevata per la prima volta nel presente giudizio. Deve invero negarsi che sulla questione della legittimazione ad agire del (…) si sia formata per implicito la cosa giudicata. Infatti l'implicita affermazione della legittimazione dello stesso, resa dal giudice di primo grado, risulta altrettanto implicitamente contestata dalla parte privata attraverso l'atto d'appello concernente le questioni di merito. Questa Corte ha invero a più riprese ribadito che, in tema di giudicato implicito, qualora il giudice decida esplicitamente su una questione, risolvendone in modo implicito un'altra, rispetto alla quale la prima si ponga in rapporto di dipendenza, e la decisione venga impugnata sulla questione risolta espressamente, non è possibile sostenere che sulla questione risolta implicitamente si sia formato un giudicato implicito, in quanto l'impugnazione sulla questione dipendente preclude la formazione di tale giudicato, il quale suppone il passaggio in giudicato della decisione sulla questione dipendente espressamente decisa (confr. Cass. civ., 9 giugno 2010, n. 13833) . Con specifico riguardo alla legittimatio ad causam è stato segnatamente evidenziato che l'impugnazione nel merito della pronuncia di primo grado impedisce la formazione del giudicato implicito sul punto, anche quando la specifica eccezione sia prospettata per la prima volta in sede di giudizio di legittimità, atteso che la corretta individuazione delle parti attiene alla stessa finalità della funzione giurisdizionale e, che inoltre, dall'erronea dichiarazione di avvenuta formazione del giudicato, può derivare un dispendio di attività processuale, non potendosi escludere la proponibilità dell'opposizione di terzo ai sensi dell'art. 404 c.p.c. In tale prospettiva le stesse sezioni unite hanno esplicitamente circoscritto la portata del principio, espresso in materia di riparto di giurisdizione (Cass. Sez. un. 9 ottobre 2008 n. 24883, 18 novembre 2008 n. 27348), segnatamente precisando che la massima enunciata con le citate decisioni vale soltanto per le questioni di riparto della giurisdizione ma non anche per questioni di altro genere, come quella di legittimazione alla causa, la quale riguarda l'individuazione della vera parte del giudizio ossia, come testé detto, il perseguimento della stessa finalità della funzione giurisdizionale (confr. Cass. civ. sez. un. 30 ottobre 2008 n. 26019; Cass. civ. 13 ottobre 2009, n. 21703). In definitiva il ricorso deve essere accolto. La sentenza impugnata deve conseguentemente essere cassata. Non ostando alla decisione della causa nel merito la necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, in applicazione dell'art. 384 c.p.c., rigetta la domanda di (…). La difficoltà delle questioni induce il collegio a compensare tra le parti le spese dell'intero giudizio. Pag. | 5 P.Q.M. La Corte accoglie il sesto, l'ottavo e il nono motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di (…). Compensa tra le parti le spese dell'intero giudizio.