persona - MCE - Movimento di Cooperazione Educativa

PERSONALIZZAZIONE E INDIVIDUALIZZAZIONE: E SE FACESSIMO UN PO’ DI
CHIAREZZA?
Di Giancarlo Cavinato
Ogni soggetto trova collocazione nel contesto sociale della classe; la sua formazione sarebbe
impensabile al di fuori di tale contesto.
Le buone pratiche che la scuola mette in atto costituiscono gli strumenti per avvicinarsi alla meta
dell’individualizzazione. Considerare questa non una meta ma il punto di partenza e la formula
organizzativa trasforma profondamente senso e obiettivi della conclamata
ricerca di
‘personalizzazione’. L’enfasi posta da Bertagna & c. sulla ‘persona’ distoglie l’attenzione da come,
nel tempo, si era posto il rapporto fra i due termini, ‘individualizzazione’ e ‘personalizzazione’.
Tutti e due sono impensabili al di fuori del contesto classe, ma le modalità e gli scopi cui
rispondono sono diversi.
L’individualizzazione risponde alla preoccupazione di una compensazione degli interventi: poiché
non tutti possono seguire lo stesso ritmo e conquistare nello stesso tempo e allo stesso livello di
approfondimento i concetti, i contenuti possono essere
scanditi in una serie più o meno
minuziosa di fasi e tappe, con minori passaggi per alcuni, con molti più passaggi-e molto più
dettagliati- per altri. Questa individualizzazione procede per semplificazioni e concretizzazioni, a
fronte di un percorso più complesso concettualmente ed astratto.
La personalizzazione risponde alla ricerca del ‘metodo di lavoro’ che più si adatta alle propensioni,
alle strategie, alle modalità di elaborazione, agli interessi profondi dei singoli.
I due tipi di cura e attenzione pedagogica differenziano notevolmente le scuole attive, ad esempio,
dalla proposta di Freinet, che polemizza con i ‘pedagoghi’ che prevedono gradi e gradini tutti
predisposti e ordinati da far percorrere agli allievi secondo la stessa progressione.
La classe e l’intreccio delle storie individuali
Più una classe è un contesto di vita autentico, più i singoli con i propri stili e le proprie intelligenze
e sensibilità troveranno collocazione e produrranno ricchezza e varietà di proposte e di
conoscenze. La classe è lo sfondo dinamico su cui si producono, nell’interazione, sempre nuove
configurazioni e intrecci di storie individuali.
Recenti ricerche (gli stili cognitivi,1; le neuroscienze, le nuove teorie sulla mente2,) hanno messo in
evidenza modalità non banali e riduzionistiche di concepire e attuare l’apprendimento.
Il risultato complessivo dell’attività di apprendimento di una classe non è la semplice sommatoria
di percorsi individuali, ma scaturisce da rapporti asimmetrici, dunque da differenze, è risultato di
processi interattivi che possono generare anche conoscenze e dimensioni nuove e in precedenza
non previste. Senza una consapevolezza, che nei testi Bertagna manca, del rapporto di
implicazione fra diversità e uguaglianza (quindi dell’uguaglianza nella diversità come finalità della
scuola), si rischia di trasformare la scuola in un’organizzazione di gruppi stabilmente distinti per
interessi, livello, attività, nella direzione della precoce individuazione di scelte per la vita.
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Quali valori?
Nei testi ministeriali troviamo un riferimento costante a tematiche valoriali (coincidenti con
l’interesse conclamato per la ‘persona’) del tutto separate dalla formazione culturale e civile che è
compito dell’istituzione scolastica:
il ‘progetto di vita’
le dimensioni esistenziali della personalità
il misurarsi con le “grandi questioni” dell’esistenza e del mondo (cfr. il PECUP)
cfr. A. De La Garanderie “I profili pedagogici. Scoprire le attitudini scolastiche”, La Nuova Italia 1991 ed anche A.
Brissard, Visuali o uditivi? RED, Como 1993
2
cfr. E. Damasio, L’errore di Cartesio, Adelphi, MI 1996
1
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la formazione morale e spirituale
Nell’idea di persona integrale che percorre il testo è prevalente la connotazione religiosa, sembra
invece assente la dimensione storica-sociale-culturale-antropologica: un ‘salto’ nei programmi del
1955 senza nemmeno quel tentativo di ‘veniciatura’-allora- attivistica, oggi costruttivistica per
dare corpo e fattività a teorie altrimenti astratte e filosofiche.
L’idea della conoscenza e la visione dell’uomo infatti fanno capo a un ‘principio della sintesi e
dell’ologramma’ di estrazione filosofica che implica la riduzione all’uno a fronte della pluralità
identitaria e delle intelligenze presenti nella scuola. Si ricava l’impressione che i percorsi educativi
proposti, partendo dalle discipline come corpus preesistenti ai concreti soggetti, prevedano
necessariamente l’approdo a una visione religiosa e spirituale della vita.
La relazione educativa e conoscitiva quali emergono dai ‘piani di studio’ risultano pertanto
univoche, non interrelate, a- temporali, decontestualizzate. Viene a mancare l’attenzione al
contesto educativo come tessuto di dinamiche socio-affettive e come sede di modalità cocostruttive e interattive di sapere.
Dalla soggettività alla intersoggettività: quale conoscenza?
Nel Movimento di Cooperazione Educativa ci riconosciamo nelle enunciazioni di Piero Bertolini,
in ‘Educazione e politica’ (Raffaello Cortina, 2003) sul rapporto fra soggettività e intersoggettività,
poli indispensabili nella costruzione dei soggetti. Qualsiasi ambito esperienziale nel discorso
pedagogico di Bertolini va inteso, in quanto attività intenzionale di una comunità di soggetti, in
termini costruttivistici e plurali.
Il percorso dalla soggettività all’intersoggettività rende possibile conciliare l’uno e il molteplice, la
necessità e la possibilità, il permanente e il transitorio. La finalità educativa si traduce in politica
come organizzazione di una prassi comunitaria secondo una progettualità non immiserita in
interessi particolari e di breve respiro. Una politica come orientamento delle istituzioni sociali
secondo la prospettiva del massimo di libertà possibile per tutti i cittadini del mondo, del
raggiungimento da parte di tutti/e del più elevato livello possibile di qualità della vita. Tale visione
è inconciliabile con il far scuola per le ‘eccellenze’ e con il rinchiudere ognuno/a nella sfera dei
propri ‘talenti’ in qualche modo immodificabili.
A fondamento di tale prassi noi riteniamo che un’attenzione ai soggetti, una valorizzazione delle
specificità, sia importante in quanto consente a ciascuno/a di rivelare la propria personalità
autentica. Per riconoscersi e riconoscere negli altri tale autenticità e dare impulso alla ricerca di
bene comune, non si può far leva sull’individualismo e su un’ambigua commistione di ‘solidarietà’
e ‘competizione’ quale fin dai primi documenti apparsi nel 2001 la signora Brichetto Moratti
sostiene.
L’attenzione ai soggetti si fonda, per noi, nella costruzione narrativa del sé, nell’autobiografia,
cognitiva e socio-affettiva, in quanto…’ il prodursi nel tempo della nostra attività cognitiva non è
avulso da un essere in carne ed ossa; esso è il risultato della storia dei nostri valori e desideri’3
(). E’ importante conoscere e dare spazio a ciò che proviene dal dentro, non dall’esterno, da entità
e autorità sovraordinate all’individuo.
L’identità, afferma la Fabbri, rifacendosi a Bateson, al pensiero della complessità, alla psicologia
culturale, è sistemica; è espressione di unicità e specificità, ma nell’ambito di situazioni interattive
in cui contano le differenze, le interazioni, i percorsi diversi, non il pensiero unico. Ci si può
chiedere come distinguere ciò che riguarda il singolo dalle caratteristiche dei rapporti in cui è
immerso. La risposta a tale domanda contrassegna la transizione da una epistemologia lineare ad
una sistemica. Nel modello di Bateson non ha senso attribuire al soggetto caratteristiche stabili; in
un’ottica sistemica il carattere non è più una proprietà dell’individuo, ma dell’unità interattiva. Gli
cfr Donata Fabbri, Laura Formenti in ‘Carte d’identità. Verso una psicologia culturale dell’individuo’, Angeli Mi 1991
ed anche D.Demetrio,L’educazione interiore, La Nuova Italia 2000
3
elementi caratterizzanti i tratti interni agli individui, per quanto oggettivi li si possa considerare,
divengono la descrizione di processi che hanno luogo nello spazio tra le persone.
La conoscenza stessa è frutto di una costruzione da parte del soggetto in interscambio con gli altri.
Personalizzazione e cooperazione
Da lungo tempo il Movimento di Cooperazione Educativa ha individuato nel lavoro di gruppo e
nella cooperazione gli strumenti per la personalizzazione in una classe-comunità di apprendimento.
Parlare in piccoli gruppi consente di costruire apprendimenti significativi.
Il linguaggio parlato, l’oralità, il racconto, le autobiografie, le storie personali, sono quindi le
risorse da sviluppare quali mezzi per apprendere.
L’apprendimento significativo consiste in:
* un comportamento attivo di - formulazione di domande
- sviluppo di strategie di risoluzione di problemi
- utilizzo di informazioni
* l’assunzione di quanto è già conosciuto come base per ampliare l’apprendimento
* la riflessione utile a esplicitare ciò che si apprende, ma, soprattutto, COME si apprende
(aspetto su cui a scuola si elabora molto poco)
* la condivisione di responsabilità, compiti, l’integrazione di competenze, la reciprocità sociale
In Piaget e in Vygotskj troviamo le fondamenta di tale concezione dell’apprendimento, in
particolare nei seguenti principi:





la conoscenza non è un corpus astratto e ‘puro’ a margine dei soggetti che conoscono, ma frutto
dell’attività mentale costruttiva dei soggetti, che operano forme di assimilazione e/o
accomodamento delle nuove informazioni così da ampliare o modificare la comprensione iniziale
di eventi e fenomeni; tale doppio movimento è equiparabile al freinetiano ‘metodo naturale’, o
procedimento per ‘tatonnement’ (tentativo sperimentale), che supera la tradizionale dicotomia e
separatezza soggetto/oggetto
il processo di costruzione è individuale quanto a interpretazione ed elaborazione; ma è sociale e
culturale alla sua origine e nel corso dello sviluppo e nel confronto che le diverse situazioni di
apprendimento in contesto richiedono; in particolare
nella messa a fuoco di strategie per la risoluzione di problemi
nella messa a punto del discorso che accompagna l’attività (quello che Mialaret definiva il
‘comportamento narrativo’)
attraverso la collaborazione con gli altri nella ridefinizione continua dei significati i ragazzi
incontrano e fanno proprie le principali fonti culturali.
Il processo di appropriazione presuppone la trasformazione attiva delle informazioni: la
conoscenza non è imitazione di modelli ma ricostruzione nuova, originale, con soluzioni creative e
nuove. I meccanismi costruttivi procedono per selezione e per combinazione, non per ripetizione
statica. Per questo risulta inadeguata a questa ottica co-evolutiva e adattativi la definizione di
‘individualizzazione’ presente nei testi Bertagna-Moratti, quasi si trattasse di confezionare ‘abiti’
esterni da adattare agli individui, mentre il movimento è opposto, i soggetti ‘investono ‘e
‘ricreano’ la realtà.
la risoluzione di problemi in collaborazione è facilitata dagli strumenti amplificatori delle
potenzialità umane e dai ‘manufatti culturali’ con cui si acquista via via confidenza (dagli
strumenti e oggetti materiali alle forme di rappresentazione, ai codici, ai libri,…) e, nel contempo,
dalle buone pratiche sociali che si facilitano e rendono possibili ( le azioni coordinate secondo
scopi definiti insieme, la suddivisione di responsabilità,…)
Il discorso è una forma di azione
Fra tutti gli strumenti di mediazione sviluppatisi culturalmente nel tempo il DISCORSO assolve un
compito particolarmente importante a scuola in quanto elaborazione interattiva e costruttiva di
significati. Il discorso cioè è forma di azione, non solo interazione linguistica. Attraverso di esso i
parlanti si guidano e si influenzano, devono sforzarsi di raggiungere e mantenere una
comprensione di insieme, intersoggettiva.
I discorsi assimilati in cui si viene implicati intermentalmente con altri si trasformano in mezzo
personale per la soluzione di problemi, in discorso interiore (cfr. Vygotskj)
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E il curriculo?
A seguito di tali considerazioni, risulta preoccupante la scomparsa di qualsiasi riferimento al
curricolo in quanto implica l’abbandono del riferimento a una progettualità condivisa e a una
collegialità dei docenti, necessario corrispettivo alla cooperazione fra alunni.
E’ attraverso l’intreccio curricolare che le singole pratiche di insegnamento possono trovare sfondo
e collocazione, esser parte di un progetto culturale ed educativo efficace dotato di senso per gli
allievi di quella specifica scuola, di quel corso, di quella classe, tradursi in cura dei gruppi e dei
contesti formativi e non solo dei singoli.
Sembra un controsenso parlare di individualizzazione dei percorsi e non inquadrare tale esigenza
in un’ottica curricolare che sola consente di far interagire proficuamente la pluralità di variabili
presenti nell’insegnamento/apprendimento, che nel M.C.E. fin dagli anni ’70 investono:
i concetti, le capacità, gli obiettivi
l’organizzazione dei concetti nella mente, le loro interrelazioni
il problema dell’integrazione personale, dell’unificazione curricolare nel soggetto
una metodologia quale rapporto dinamico fra la psicologia e le discipline
la strutturazione dell’ambiente formativo
gli alunni (nel loro insieme, individualmente,…)
gli insegnanti
gli esperti e il loro rapporto con insegnanti ed alunni
i rapporti con le forze e le risorse interne alla scuola
i rapporti con le forze e le risorse esterne alla scuola
la valutazione formativa; l’autovalutazione
la concezione socio-psico-pedagogica-politica sottesa al curricolo, in base a cui vengono definiti
gli obiettivi e operate le scelte educative4
4
Su questi temi si veda anche S. Fasoli, La curvatura della riforma, in Cooperazione Educativa n.2/03