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Picchio verde
Picus viridis (Linnaeus, 1758)
Codice lista italiana: 110.541.0.002.0
Priorità: 9
RARITÀ GENERALE: valore = 3: Il Picchio verde, secondo la nuova “Lista Rossa” italiana, appartiene
alla categoria delle specie minacciate “a più basso rischio”. Per l’Italia si stima la presenza di 500010.000 coppie nidificanti, con una distribuzione continua lungo tutta la penisola, con tendenza
generale apparentemente stabile anche se localmente in diminuzione. Assente nella Penisola
Salentina, in Sardegna e in molte aree della Pianura Padana; raro in Sicilia. La specie è concentrata
in Europa e, a livello continentale, lo stato di conservazione della specie è considerato non
favorevole. Come le altre specie di picchi, è particolarmente protetto dalla legislazione italiana
(L.157/92).
COROLOGIA: valore = 1: Il Picchio verde possiede un areale con un baricentro ricadente nella
Regione Paleartica occidentale, principalmente all’interno del continente europeo, con una
distribuzione abbastanza continua; la specie è tuttavia assente dalle principali isole mediterranee, in
Irlanda e alle latitudini più elevate della Penisola Scandinava (corologia europeo-anatolicocaucasica).
FRAGILITÀ [dimensioni della popolazione]: valore = 1: La popolazione europea è stimata tra
450.000 e 1.360.000 coppie, a cui si aggiungono le 10.000-100.000 russe e le 1000-10.000 turche.
Sebbene una parte della popolazione europea sia attualmente stabile, in altre parti dell’areale mostra
un marcato e preoccupante declino (Svezia, Svizzera, Italia, ma anche altrove) a causa dalla perdita
e della frammentazione degli habitat di nidificazione e di alimentazione, derivanti da pratiche
agricole e selvicolturali di tipo intensivo, che hanno comportato d un lato la scomparsa degli habitat
marginali tipici dei paesaggi agricoli estensivi, nonché la sostituzione dei boschi naturali, ben
strutturati e con alberi maturi, con piantagioni industriali e con l’adozione di turni di ceduazione
troppo ravvicinati; la moderna agricoltura intensiva ha nel contempo eliminato gli ambienti di
alimentazione in seguito a tecniche di aratura profonda e utilizzo di pesticidi, che hanno
drasticamente ridotto il numero dei formicai.
CONSISTENZA DEL POPOLAMENTO REGIONALE: valore = 1: Benché considerato comune nell’800 e
all’inizio del ‘900, durante gli ultimi decenni del XX secolo nel Nord Italia si è verificata una grave
diminuzione delle popolazioni nidificanti in seguito all’espansione di un’agricoltura di tipo
intensivo, soprattutto nell’area planiziale; qui attualmente sopravvivono piccole popolazioni (spesso
isolate e, quindi, a bassa vitalità) dislocate lungo i corsi dei fiumi principali. Risulta quasi
completamente assente dalla Provincia di Bergamo (è presente quasi esclusivamente nelle parti più
alte delle Valli Orobiche), così come in Provincia di Brescia appare limitato ad alcuni rilievi
prealpini e a quelli alpini. E’ presente nel Parco di Monza e al Bosco Fontana (Mantova). La
distribuzione è invece più continua e omogenea nell’Oltrepò Pavese, lungo i boschi ripariali del
Fiume Ticino e in Valtellina. Una stima della popolazione lombarda è stata effettuata nel corso della
stagione invernale ed è valutata in 15.000 individui.
SELETTIVITÀ AMBIENTALE: valore = 2: Necessita di consorzi boschivi o di lembi di vegetazione ad
alto fusto con la presenza di alberi maturi o senescenti dove poter costruire il nido, prossimi a radure
dove si siano conservati formicai attivi; meno selettivo del Picchio cenerino (Picus canus) utilizza
in modo abbastanza indifferente sia le formazioni di latifoglie che quelle di conifere pure.
CRITICITÀ: valore = 3: La regione, nel contesto nazionale, appare decisamente di grande valore per
la specie: in particolare sono importanti le aree collinari e montane dell’area prealpina e alpina,
nonché i rilievi della zona appenninica pavese. Un importante corridoio di collegamento tra queste
due aree disgiunte è rappresentato dalla fascia di bosco ripariale che corre lungo il corso del Fiume
Ticino.
STRATEGIE DI CONSERVAZIONE: Come per molte delle specie tipiche di ambienti forestali maturi
sono auspicabili interventi legati alla gestione del bosco che vadano nella direzione dell’incremento
di habitat disponibile [B] e l’esecuzione di monitoraggi sulla popolazione esistente [C]. Appare
inoltre importante intraprendere azioni sulla parte sociale [D].
TIPOLOGIE DI INTERVENTO: Le azioni sull’habitat finalizzate ad aumentarne la recettività riguardano
interventi di tipo silvicolturale come: rimboschimenti in relazione alla tipologia del bosco originario
[Bb1], interventi atti alla rinnovazione spontanea delle specie forestali indigene [Bb4] e al ripristino
ed al mantenimento di boschi autoctoni, nonché la conversione dei boschi cedui in alto fusto [Bb5],
con il mantenimento di alberi vetusti e senescenti, o con cavità, di alberi morti e altri potenziali
rifugi [Bb6] e il mantenimento o creazione di zone ecotonali (es. siepi e filari tra i campi) [Bc1].
Risulta altresì auspicabile la protezione dei siti riproduttivi [Bd4]; è inoltre necessario intervenire
sugli habitat di foraggiamento tramite la creazione e il mantenimento di zone aperte all’interno dei
boschi [Bb2], il mantenimento o ringiovanimento di ambienti aperti, anche attraverso il
decespugliamento [Bc10]. Sarebbe anche opportuno avviare programmi di monitoraggio sullo status
delle popolazioni [C2]. Si può infine prevedere l’elargizione di indennizzi per evitare
l’abbattimento degli alberi utilizzati dalla specie per la nidificazione, quando questi si trovino
all’interno di una fustaia o di pioppeti a uso industriale [D1] e comunque effettuare un controllo
sulle modalità e sui tempi di realizzazione del taglio nell’arboricoltura da legno [D7]
COSA NON FARE: Abbattimento di alberi maturi e di alberi cavi.
FATTORI CRITICI: Tra i fattori più critici per la specie vi sono alcune pratiche di gestione forestale
tendenti all’abbattimento degli alberi maturi o senescenti (oppure di quelli già scavati dai picchi):
con l’invecchiamento infatti gli alberi diventano sempre più idonei a essere utilizzati dalle specie
forestali per costruirvi il sito di nidificazione, ma nel contempo perdono di valore commerciale.
Uccello appartenente alla famiglia dei Picidi, raggiunge una lunghezza di circa 31 cm. Parti
superiori verdi. Il capo è grigio e, sia nel maschio che nella femmina, la parte superiore della calotta
è di colore rosso (dal becco anteriormente, sino alla nuca). Simile nella colorazione al Picchio
cenerino, si distingue da questo per avere un ampio mustacchio nero (che avvolge anche l’occhio)
sotto le guance che sono grigio-chiaro; nel maschio lungo il mustacchio è presente anche una sottile
striscia rossa. Tambureggia non molto frequentemente e con un picchiettio piuttosto debole, con un
ritmo simile a quello del Picchio rosso maggiore (Picoides major), ma di durata almeno doppia (11,5 secondi). Il volo è tipicamente ondulato.
In Italia la specie è sedentaria o limitatamente erratica. In Lombardia si trova con buone densità
presso i margini dei corpi boschivi estesi ben strutturati e con elementi di maturità: alberi maturi o
comunque di grandi dimensioni sono molto importanti per la costruzione del nido. Per questo
motivo in Lombardia il Picchio verde è prevalentemente diffuso nei Parchi a tipologia prettamente
forestale dell’area alpina e prealpina. Notevoli sono anche le densità nella zona appenninica
dell’Oltrepò Pavese (quindi al di fuori dei parchi regionali) dove ai lembi boschivi si alternano
appezzamenti deputati all’agricoltura estensiva: queste due tipologie di habitat danno origine ad un
paesaggio agro-forestale particolarmente idoneo alla specie sia per quanto riguarda i siti i
alimentazione che per quelli di nidificazione. Importante appare infine il ruolo esercitato dalla
vegetazione boschiva del Parco del Ticino che sottoforma di corridoio consente il continuum
ecologico tra le popolazioni alpine e quelle appenniniche.
La specie frequenta aree boschive con un elevato grado di diversità strutturale come quello che si
ritrova negli stadi successionali delle foreste naturali. Per la nidificazione necessita di lembi di
vegetazione matura, sia di latifoglie sia di conifere, mentre per l’alimentazione sono anche utilizzate
aree aperte, con vegetazione rada e bassa. Nidifica in cavità che vengono scavate dalle coppie nei
tronchi degli alberi (di preferenza in alberi morti o deperiti, con almeno la parte interna in
disfacimento), nella parte medio-alta dell’albero, al di sotto della chioma; il lavoro di costruzione
dura in genere da 1 a 4 settimane. L’ingresso è orizzontale mentre la coppa tubolare è allungata
verso il basso; solitamente per ogni covata viene scavato un nuovo nido, sovente nello stesso albero.
Le uova vengono covate sul fondo, che è ricoperto da frammenti di legno residui. La deposizione
delle uova (mediamente tra 5 e 7) si ha da fine aprile a giugno e l’incubazione, della durata di 17-19
giorni, è effettuata da entrambi i genitori. Dopo la schiusa i genitori alimentano i piccoli nel nido
ancora per 18-21 giorni. L’alimentazione è costituita principalmente di larve e adulti di insetti
xilofagi, da formiche e altri Imenotteri, Miriapodi, lombrichi e, talvolta, semi e bacche.
Luciano Bani
Bibliografia
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