del saggio “L`inserimento delle professioni nel Titolo V

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Una prima splendida vittoria!
PROFESSIONI – Colto un primo successo significativo, ma
rimane “torbido e pesante” il clima attorno alla nuova
disciplina
regolamentare dell’esame di Stato di 21
Ordini e Collegi.
Pubblicato (era ora!) il “dlgs La Loggia”:
spianata la strada a una rapida
approvazione (da parte del Consiglio
di Stato in adunanza generale) del
“dpr Siliquini” sul nuovo esame di Stato.
Frattanto la legge 27/2006 chiede
la laurea agli enologi e agli infermieri.
intervento di Franco Abruzzo
presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia e docente a contratto di Diritto dell’Informazione
presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e presso l’Università Iulm di Milano
-------------------------------------INDICE
1. Premessa. Clima “torbido e pesante” attorno al “dlgs La Loggia” e al “Dpr Siliquini” sulle
professioni. Frattanto è scattato l’obbligo della laurea triennale per enologi ed infermieri della
prevenzione.
2. Analisi del “Dlgs La Loggia”: l’esame di Stato allo....Stato. Il comma 2 dell’articolo 4 afferma
poi che “la legge statale definisce i requisiti tecnico-professionali e i titoli professionali necessari
per l'esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di
interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato”.
3. Il comma 18 dell’articolo 1 della legge 4/1999 fissa un nuovo principio nell’ordinamento
giuridico, recuperando la direttiva comunitaria 89/48/Ce (dlgs 115/1992: laurea almeno triennale
per i professionisti delle professioni regolamentate).
4. La relazione dell’Ufficio legislativo del Ministero dell’Istruzione/Università al nuovo
regolamento (”decreto Siliquini”) che disciplina l’esame di Stato di 21 professioni intellettuali (tra
le quali quella di giornalista).
5. Il parere interlocutorio della Sezione Atti Normativi del Consiglio di Stato. Errori giuridici,
dimenticanze e regola del due pesi e due misure. L’Ue, con la direttiva 89/48/Ce (recepita dal dlgs
115/1992), vuole che i professionisti (e i giornalisti sono tali per legge) siano in possesso almeno di
una laurea triennale.
6. Il “progetto Siliquini” richiede agli aspiranti praticanti giornalisti il possesso di una laurea
triennale “qualsiasi”, ma non “ad hoc”, nel solco dei lavori parlamentari del 1962/1963.
7. Gli attacchi al “Dpr Siliquini”. Potentati economici (Confindustria e Fieg), Regioni guidate dalla
sinistra e spezzoni della sinistra in prima linea. La posizione dei due relatori/estensori del parere
interlocutorio (23 gennaio 2006) del Consiglio di Stato.
In coda gli indirizzi elettronici dei pareri 2228/2002 e 50/2006 del Consiglio di Stato;
dei dlgs 115/1992; 319/1994 e 277/2003; della direttiva 2005/36/Ce; del saggio
“L’inserimento delle professioni nel Titolo V della Costituzione” del prof. Vincenzo
Caianiello. Sempre in coda il testo del Dlgs 2 febbraio 2006 n. 30 (“La Loggia”),
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 32 dell’8 febbraio 2006.
1.
Premessa. Clima “torbido e pesante” attorno al “dlgs La Loggia”
e al “decreto Siliquini” sulle professioni. Frattanto è scattato l’obbligo
della laurea triennale per enologi ed infermieri della prevenzione.
E’ stato pubblicato nella “Gazzetta Ufficiale” dell’8 febbraio 2006 il Dlgs 2 febbraio 2006 (“La
Loggia”) n. 30, varato il 2 dicembre 2005 dal Consiglio dei Ministri. Esattamente due mesi dopo, il
presidente della Repubblica aveva firmato il provvedimento. Il “dlgs La Loggia”, che è una
“ricognizione dei principi fondamentali in tema di professioni”, attua l’articolo 1 della legge
131/2003 e fa chiarezza sulle competenze di Stato e Regioni in tema di professioni intellettuali nel
senso che spetta allo Stato disciplinare le professioni intellettuali di cui parla l’articolo 33 (V
comma) della Costituzione. Questo dlgs rompe in maniera definitiva l’assedio di alcune forze
economiche e politiche (Confindustria, Fieg, potentati editoriali rappresentati da Repubblica e
Corriere della Sera, una certa sinistra liberista impersonata da Amato, D’Alema e Bersani) alle
professioni intellettuali. Il clima nelle settimane precedenti era apparso “torbido e pesante”. Era in
atto un nuovo scontro tra Governo Berlusconi e opposizioni. Le opposizioni volevano bloccare il
“dlgs la Loggia” (che, rispettando 5 sentenze della Consulta, assegna allo Stato la competenza sulle
professioni) per tagliare la strada al “dpr Siliquini”, che disciplina l’esame di Stato di 21
professioni intellettuali (tre le quali quella di giornalista) così come impone l’articolo 1 (comma
18) della legge 4/1999 (varata dal Governo D’Alema). Il “decreto Siliquini” in sostanza è un
regolamento (figlio di una legge) che “disciplina i requisiti per l’ammissione all’esame di
Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, le prove relative e il loro svolgimento”.
Il Consiglio di Stato ha discusso il 23 gennaio la richiesta del Ministero dell’Università/Istruzione
di pronunciarsi con parere sul nuovo regolamento. Poi non ha atteso la firma di Ciampi sul “dlgs la
Loggia” e il 3 febbraio ha notificato il parere interlocutorio, che ha questa conclusione: “La Sezione
ritiene pertanto opportuno che il Ministero riferente, di intesa con il Ministero della giustizia,
riesamini il testo proposto alla luce delle considerazioni svolte ed anche sulla base della eventuale
emanazione del decreto legislativo che individua i principi fondamentali in materia di professioni,
sospendendo nel frattempo l’espressione del parere, che si riserva di formulare in termini definitivi
e compiuti sul testo che sarà trasmesso all’esito del suddetto riesame”. Il dlgs ora c’è, non è più
“eventuale”. Nelle stesse ore la “Gazzetta Ufficiale” ha pubblicato il testo della legge 3 febbraio
2006 n. 27, che, all’articolo 1-undecies (Accesso alla professione di enologo), afferma: “1. Il «1. Il
titolo di enologo spetta a coloro che abbiano conseguito un diploma universitario di 1° livello,
previsto dalla legge 19 novembre 1990, n. 341, relativo al settore vitivinicolo. La laurea triennale
di primo livello relativa al settore vitivinicolo, rilasciata ai sensi del regolamento di cui al decreto
del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509, è
equipollente a tutti gli effetti di legge al diploma universitario di 1° livello previsto dalla legge 19
novembre 1990, n. 341, relativo al medesimo settore»”. L’articolo 4-quater (Disposizioni urgenti
in materia di accesso alle professioni sanitarie) della stessa legge, invece, afferma: “1. Ai sensi
dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive
modificazioni, la formazione per l'accesso alle professioni sanitarie infermieristiche e tecniche
della riabilitazione e della prevenzione è esclusivamente di livello universitario”. Che dire?
Vogliamo prevedere per i giornalisti professionisti almeno lo stesso livello di studi universitari
degli enologi e degli infermieri?
2. Analisi del “Dlgs La Loggia”: l’esame di Stato allo....Stato. Il comma 2
dell’articolo 4 afferma poi che “la legge statale definisce i requisiti tecnicoprofessionali e i titoli professionali necessari per l'esercizio delle attività
2
professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi
pubblici generali la cui tutela compete allo Stato”.
Il “dlgs La Loggia” “individua i principi fondamentali in materia di professioni, di cui all'articolo
117, terzo comma, della Costituzione, che si desumono dalle leggi vigenti ai sensi dell'articolo 1,
comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni”.
Il comma 4 dell’articolo 1 del dlgs dispone testualmente che non rientrano nell’ambito di
applicazione del decreto “la formazione professionale universitaria; la disciplina dell’esame di stato
previsto per l’esercizio delle professioni intellettuali, nonché i Titoli, compreso il tirocinio, e le
abilitazioni richiesti per l’esercizio professionale; l’ordinamento e l’organizzazione degli ordini e
dei collegi professionali; gli albi e i registri; gli elenchi o i ruoli nazionali previsti a tutela
dell’affidamento del pubblico; la rilevanza civile e penale dei Titoli professionali e il riconoscimento
e l’equipollenza, ai fini dell’accesso alle professioni di quelli conseguiti all’estero”. L’Ufficio
legislativo del Ministero dell’Università/Istruzione a ragione “ritiene di poter trarre il definitivo
riconoscimento che la disciplina dell’esame di Stato richiesto per le professioni intellettuali e dei
relativi requisiti di ammissione, compresi i Titoli di studio, rientra nell’ambito della legislazione
esclusiva dello Stato”. Le materie, di cui parla il comma 4 dell’articolo 1 del dlgs, sono tutte
disciplinate dagli articoli 33 e 35 della Costituzione, dal dlgs 300/1999, dall’articolo 2229 del Cc,
dal Codice penale e dalle varie leggi delle professioni intellettuali, insomma da norme che
conferiscono allo Stato una particolare capacità esclusiva di azione.
Il comma 2 dell’articolo 4 afferma poi che “la legge statale definisce i requisiti tecnicoprofessionali e i titoli professionali necessari per l'esercizio delle attività professionali che
richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela
compete allo Stato”. Ha scritto la sezione Atti Normativi del Cds: “La prima e principale
questione posta dallo schema di regolamento in esame riguarda il fondamento costituzionale della
potestà regolamentare esercitata e la sua idoneità a disciplinare la materia che ne costituisce
l’oggetto alla luce del testo vigente dell’articolo 117 della Costituzione, che disciplina il riparto
delle competenze legislative tra Stato e Regioni”. Il comma 2 dell’articolo 4 del “dlgs La Loggia”
(con il sostegno, come riferito, di 5 sentenze della Consulta) è la risposta ai dubbi espressi dalla
Sezione Atti Normativi del Cds.
In sostanza il “dlgs La Loggia” afferma che il Governo ha mantenuto, dopo la riforma del Titolo V
della Costituzione, i poteri di disciplinare le professioni, come riconosciuto ripetutamente, dopo
l’entrata in vigore nel 2001 del nuovo Titolo V della Costituzione, dalla Corte costituzionale con le
sentenze 353/2003, 319/2005, 355/2005, 405/2005 e 424/2005). Va detto che l’articolo 33 (quinto
comma) della Costituzione conferisce il potere esclusivo allo Stato di legiferare in tema di “esame
di Stato” per l’accesso alle professioni intellettuali: “....Innanzitutto dobbiamo leggere la
Costituzione nel suo complesso, dove c'è ancora la norma che dice che per l'esercizio
dell'attività professionale occorre l'esame di Stato (art. 33 Cost.): "E' prescritto un esame di
Stato... per l'abilitazione all'esercizio professionale". Quindi tutto ciò che attiene allo status del
professionista e delle libere professioni è riconducibile all’articolo 33 della Costituzione, il
quale parla di esame di Stato... una volta recuperato l'art. 33 che in effetti vuol dire che lo
status delle professioni continua a rimanere nelle mani dello Stato, la devoluzione della
materia "professione" alle Regioni può avere il significato di affidare alle Regioni la disciplina
delle specificità delle professioni nelle realtà locali” (intervento conclusivo del prof. Vincenzo
Caianiello-presidente emerito della Corte costituzionale, ”L’inserimento delle professioni nel titolo
V della Costituzione”, in Atti del Convegno nazionale “Quale federalismo per le professioni” del
18 marzo 2002 in Codroipo-Ud, promosso dal Cup del Friuli Venezia Giulia).
Il Consiglio di Stato non può oggi ignorare le clausole del “dlgs la Loggia”. E per quanto riguarda i
giornalisti non potrà non rispettare il parere 2228/2002 della II sezione consultiva, che richiama la
direttiva 89/48/Cee (dlgs 115/1992). Sono in ballo la sua coerenza e anche la sua credibilità. La
Sezione Atti Normativi ha mostrato limiti culturali, comunitari e costituzionali; e attaccando
soltanto i giornalisti ha mostrato di essere in (strana) sintonia soprattutto con Massimo D’Alema
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(che nel dicembre 2005 ha attaccato l’Ordine dei Giornalisti), con Eugenio Scalfari e Francesco
Giavazzi (Repubblica e Corriere della Sera), mentre la Fieg cerca di distruggere il Contratto di
lavoro giornalistico costruito dalla categoria dal 1911 in poi. Un’alleanza di ferro (oggettiva) tra
taluni consiglieri di Stato (con un passato di collaborazione strettissima con personaggi
istituzionalmente potentissimi e schierati a sinistra) e potentati economici con l’obiettivo
possibile di limitare fortemente la libertà, l’autorevolezza, la crescita culturale e l’autonomia di
una categoria essenziale nella connotazione democratica della Repubblica.
3. Il comma 18 dell’articolo 1 della legge 4/1999 fissa un nuovo principio
nell’ordinamento giuridico, recuperando la direttiva comunitaria 89/48/Ce (dlgs
115/1992: laurea almeno triennale per i professionisti delle professioni
regolamentate).
La legge n. 4/1999, all’articolo 1(comma 18), prevede che “…con uno o più regolamenti adottati, a
norma dell’articolo 17, comma 2, della legge n. 400/1988, su proposta del Ministro dell’università
e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia, sentiti gli
organi direttivi degli ordini professionali, con esclusivo riferimento alle attività professionali per il
cui esercizio la normativa vigente già prevede l’obbligo di superamento di un esame di Stato, è
modificata e integrata la disciplina del relativo ordinamento, dei connessi albi, ordini o collegi,
nonché dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e delle relative prove”.
In attuazione di tale disposizione è stato emanato (con il parere favorevole 7 maggio 2001 della
sezione Atti Normativi del Consiglio di Stato) il Dpr 5 giugno 2001 n. 328, “recante modifiche e
integrazioni della disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e delle relative prove
per l’esercizio di alcune professioni, nonché della disciplina dei relativi ordinamenti”. Con questo
provvedimento si sono istituite le sezioni A e B degli albi professionali dei dottori agronomi e
forestali, degli architetti, pianificatori paesaggisti e conservatori, degli assistenti sociali, degli
attuari, dei biologi, dei chimici, dei geologi e degli ingegneri, prevedendo l’iscrizione alle stesse,
rispettivamente, dei laureati specialistici e triennali, che abbiano superato l’apposito esame di
abilitazione, precisando le relative competenze professionali e stabilendo altresì i requisiti di
ammissione all’esame di Stato e le relative prove. La “Commissione Rossi”, incaricata dal ministro
Zecchino, di preparare il testo del Dpr, aveva escluso dal dpr la professione di giornalista,
sostenendo che la “prova di idoneità professionale” (art. 32 della l. 69/1963) non è l’esame di Stato
di cui all’articolo 33 (comma 5) della Costituzione, decisione poi travolta e fulminata dal parere
2228/2002 della II sezione consultiva del Consiglio di Stato nel quale si legge che “la prova di
idoneità è l’esame di Stato richiesto dalla Costituzione” e che “non sussistono motivi ostativi alla
riforma dell’ordinamento professionale dei giornalisti”. Si legge ancorain quel parere del 2002:
“La natura pubblicistica dell’Ordine dei giornalisti vale poi a smentire l’ulteriore argomentazione
del Ministero di Giustizia, laddove si tende a negare il carattere specialistico della professione
giornalistica, ciò che giustificherebbe la mancanza di un titolo di studio e, correlativamente, la
natura selettiva della prova d’idoneità. Oltre a quanto già detto circa il contenuto prettamente
specialistico e mirato delle materie oggetto di prove d’idoneità, la creazione di un ente pubblico
preposto istituzionalmente al governo di una data professione sta a dimostrare, al contrario, la
particolare complessità della professione sul piano dei contenuti e, correlativamente, la necessità
di una valutazione preventiva e di un controllo continuo sulle capacità di svolgere la professione
stessa, a tutela degli iscritti e dei cittadini destinatari di essa….Al quesito posto
dall’amministrazione deve dunque darsi la seguente risposta: non sussistono motivi ostativi alla
riforma dell’ordinamento professionale dei giornalisti, come prevista dall’art. 1, comma 18, della
legge n. 4 del 1999, citato all’inizio delle presenti considerazioni”.
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4. La relazione dell’Ufficio legislativo del Ministero dell’Istruzione/Università al
nuovo regolamento (”decreto Siliquini”) che disciplina l’esame di Stato di 21
professioni intellettuali (tra le quali quella di giornalista).
Lo schema del regolamento (“decreto Siliquini”) si compone di 77 articoli, raggruppati in 4 Titoli,
di cui il II e il III a loro volta suddivisi in Capi. Il titolo I contiene le disposizioni di carattere
generale. L’articolo 1 definisce il contenuto e l’ambito di applicazione della disciplina, aggiungendo
alle professioni già disciplinate con il Dpr 328/2001 quelle di consulente del lavoro, farmacista,
geometra, giornalista, statistico, tecnologo alimentare, veterinario. L’articolo 2 pone le regole di
carattere generale sui requisiti di ammissione, l’articolo 3 disciplina il tirocinio, l’articolo 4 detta
regole generali in materia di prove d’esame, gli articoli 5 e 6 disciplinano le corrispondenze tra
Titoli universitari.
La relazione dell’Ufficio legislativo del Ministero dell’Istruzione/Università al nuovo regolamento è
stata riassunta ottimamente nel parere interlocutorio: “Osserva l’Amministrazione che a seguito
della modifica del titolo V della Costituzione introdotta con la legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 la materia delle professioni rientra tra quelle attribuite dal nuovo testo dell’articolo 117 alla
potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, in relazione alle quali la potestà
regolamentare spetta esclusivamente a queste ultime: pertanto la potestà conferita dal citato
articolo 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999 può ora essere esercitata solo per la parte
concernente la disciplina dell’esame di Stato (requisiti di ammissione, prove d’esame e svolgimento
delle stesse), che deve ritenersi tuttora rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi del
comma quinto dell’articolo 33 della Costituzione, che prescrive il superamento di un esame di Stato
per l’abilitazione professionale e dell’articolo 1, comma 4, del decreto legislativo recante principi
fondamentali in materia di professioni, approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 2
dicembre 2005 ed in corso di emanazione: quest’ultima disposizione, includendo tra le materie alle
quali il decreto non è applicabile, la disciplina dell’esame di Stato previsto per l’esercizio delle
professioni intellettuali, nonché i Titoli, compreso il tirocinio, e le abilitazioni richieste per
l’esercizio professionale, ha riconosciuto che tali materie rientrano nell’ambito della legislazione
esclusiva dello Stato e non già in quello della legislazione concorrente. Si è perciò ritenuto di
potersi avvalere dell’autorizzazione all’esercizio della potestà regolamentare in questione per
modificare e integrare la normativa introdotta con il d.P.R. n. 328 del 2001 per la parte
concernente i requisiti di ammissione, compresi i Titoli di studio, agli esami di Stato, le relative
prove e il loro svolgimento, sia per le professioni già disciplinate da quel decreto sia per molte
altre, in considerazione delle novità intervenute a livello di ordinamenti didattici universitari e
della conseguente inapplicabilità, anche alla luce delle modifiche introdotte dallo stesso d.P.R. n.
328 del 2001, delle normative precedenti in materia di composizione delle Commissioni
esaminatrici e delle modalità di svolgimento degli esami”
Nella Costituzione il termine “professioni” ricorre in varie disposizioni: in particolare nell’art. 33,
quinto comma (che prescrive un esame di Stato per l’abilitazione professionale), e nell’art. 35 (che
affida alla Repubblica la tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni e la cura della
formazione professionale), nonché negli articoli 104, settimo comma e 135, sesto comma, che, nello
stabilire determinate incompatibilità, fanno riferimento rispettivamente agli iscritti negli albi
professionali e alla professione di avvocato. Nella legislazione ordinaria occorre fare riferimento al
codice civile, il cui libro V “Del lavoro” si apre con un titolo dedicato alle attività professionali.
“La giurisprudenza costituzionale ha avuto più volte occasione di precisare che la norma dell’art.
33 Cost. reca in sé un principio di professionalità specifica. Essa, cioè, richiede che l’esercizio di
attività professionali rivolte al pubblico avvenga in base a conoscenze sufficientemente
approfondite ed ad un correlato sistema di controlli preventivi e successivi di tali conoscenze, per
tutelare l’affidamento della collettività in ordine alle capacità di professionisti le cui prestazioni
incidono in modo particolare su valori fondamentali della persona: salute, sicurezza, diritti di
difesa, etc. (C.Cost., 23 dicembre 1993, n. 456; 26 gennaio 1990, n. 29)” (parere n. 2228 della
Sezione Seconda del Consiglio di Stato emesso nell’adunanza13 marzo 2002).
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5. Il parere interlocutorio della Sezione Atti Normativi del Consiglio di Stato.
Errori giuridici, dimenticanze e regola del due pesi e due misure. L’Ue, con la
direttiva 89/48/Ce (recepita dal dlgs 115/1992), vuole che i professionisti (e i
giornalisti sono tali per legge) siano in possesso almeno di una laurea triennale.
Il Consiglio di Stato, chiamato a dare il parere di legge sul “decreto Siliquini” (approvato dal
Governo il 22 dicembre 2005), come già riferito, ha, concludendo, ritenuto “pertanto opportuno
che il Ministero riferente (Università/Istruzione, ndr), di intesa con il Ministero della Giustizia,
riesamini il testo proposto alla luce delle considerazioni svolte ed anche sulla base della eventuale
emanazione del decreto legislativo che individua i principi fondamentali in materia di professioni,
sospendendo nel frattempo l’espressione del parere, che si riserva di formulare in termini definitivi
e compiuti sul testo che sarà trasmesso all’esito del suddetto riesame”. Il “dlgs la Loggia” non è
più “eventuale”, ma norma che troverà la sua consacrazione con la pubblicazione imminente nella
“Gazzetta Ufficiale”.
Il Consiglio di Stato ha scritto (autentica bestemmia giuridica!!!) che il nuovo Dpr non può
“riguardare le professioni per le quali tale titolo di studio (la laurea, ndr) non è richiesto dalle
norme legislative vigenti, tanto meno modificando tale requisito, come è invece previsto dallo
schema di regolamento in esame per varie professioni tra le quali quella di giornalista”.
La sezione Atti Normativi del Consiglio di Stato ha dimenticato che l’Ue, con la direttiva 89/48/Ce
(recepita dal dlgs 115/1992), vuole che i professionisti (e i giornalisti sono tali per legge) siano in
possesso almeno di una laurea triennale. La direttiva 89/48/Cee ha introdotto (con l’articolo 2/bis
del dlgs 115/1992) la definizione di professione "regolamentata". Si definisce formazione
regolamentata “qualsiasi formazione direttamente orientata all'esercizio di una determinata
professione e consistente in un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni oppure di
durata equivalente a tempo parziale in un'università o in un altro istituto di livello di formazione
equivalente e, se del caso, nella formazione professionale, nel tirocinio o nella pratica
professionale richiesti oltre il ciclo di studi post-secondari: la struttura e il livello di formazione
professionale, del tirocinio o della pratica professionale devono essere stabiliti dalle disposizioni
legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro interessato o soggetti al controllo o
all'autorizzazione dell'autorità designata a tal fine”. La direttiva (recepita nel dlgs 115/1992) in
conclusione ha fissato il principio per cui l’esercizio delle professioni presuppone il superamento di
un ciclo di studi postsecondari di una durata minima di tre anni o di durata equivalente a tempo
parziale, in una università o in un istituto di istruzione superiore o in altro istituto dello stesso
livello di formazione. I principi fissati dalla direttiva 89/48/CEE sono stati realizzati dalla
Repubblica Italiana con la Riforma universitaria 1999/2000/2005
e con il contestuale
collegamento (tramite il comma 18 dell’articolo 1 della legge 4/1999) delle lauree (triennali) e delle
lauree biennali specialistiche (o magistrali) alle professioni regolamentate organizzate con l’Ordine
(o con il Collegio) e con l’esame di Stato. Tra le professioni regolamentate rientra quella di
giornalista (ex legge n. 69/1963, sentenze nn. 11 e 98/1968; 2/1971; 71/1991; 505/1995 e 38/1997
della Corte Costituzionale) alla quale si accede tramite esame di Stato al pari delle altre.
La Repubblica Italiana ha recepito in maniera inadeguata, discriminatoria e parziale la direttiva n.
89/48/CEE, non includendo (al pari delle altre) la professione giornalistica nell’Allegato A del Dlgs
n. 115/1992, pur in presenza dell’allora Diploma triennale universitario (o laurea breve) in
Giornalismo (decreto 31 ottobre 1991 noto come “riforma Salvini”). La Repubblica Italiana, pur
avendone la facoltà in base all’articolo 11 (punto 1a) del Dlgs n. 115/1992, non ha modificato o
integrato (“con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri”) detto Allegato A, “tenuto conto
delle disposizioni vigenti o sopravvenute”, abrogando i commi 4, 5, 6 e 7 dell’articolo 33 della
legge n. 69/1963, i quali non stabiliscono alcun percorso formativo universitario minimo per chi
intende accedere alla professione giornalistica.
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Soltanto nel 2003, con il dlgs 277, la Repubblica italiana ha compiuto un atto di riparazione
sostanziale, modificando la tabella delle professioni (allegato C), con cittadinanza piena nella Ue,
inclusa nel dlgs 319/1994 (che ingloba la direttiva 92/51/CEE). Oggi, infatti, la professione di
giornalista rientra tra quelle riconosciute come tali dal dlgs 2 maggio 1994 n. 319, che ha dato
“attuazione alla direttiva 92/51/CEE relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento
della formazione professionale che integra la direttiva 89/48/CEE”. Il dlgs 8 luglio 2003 n. 277 ha
dato, invece, attuazione della direttiva 2001/19/CE, che modifica le direttive del Consiglio relative
al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali. L’allegato II (di cui all'art. 2,
comma 1, lettera l) del dlgs 277/2003 cita espressamente la professione di giornalista come vigilata
dal Ministero della Giustizia. L’allegato II del dlgs 277/2003 ha anche sostituito, come riferito,
l’allegato C del dlgs 319/1994. I dlgs 277/2003 e 319/1994 in sostanza dicono, con l’allegato II (ex
allegato C), che la professione giornalistica (italiana), organizzata (ex legge 69/1963) con
l’Ordine e l’Albo (in base all’art. 2229 Cc) e costituzionalmente legittima (sentenze 11 e
98/1968, 2/1971, 71/1991, 505/1995 e 38/1997 della Consulta), ha oggi il riconoscimento
dell’Unione europea.
Sono mutati i requisiti culturali per l’esercizio delle professioni nell’ambito dei Paesi Ue e, quindi,
gli aspiranti giornalisti professionisti italiani non possono essere discriminati (con violazione
dell’art. 3 Cost.) rispetto agli altri aspiranti professionisti italiani e a quelli europei sotto il profilo
della preparazione universitaria minima di tre anni, principio al quale devono attenersi (ex Dpr
328/2001) anche alcune professioni un tempo collegate (al pari di quella giornalistica) a un
diploma di scuola media superiore (geometri, ragionieri, periti agrari e periti industriali). “Il titolo
di studio precede la maturazione professionale” (Corte Cost., 27 luglio 1995, n. 412, a proposito
della professione di psicologo).
Frattanto il sistema ordinistico italiano esce rafforzato dal varo di una nuova direttiva comunitaria.
La direttiva 2005/36/Ce (“direttiva Zappalà”) sulle qualifiche professionali (pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea L 255/22 del 30 settembre 2005) consente, infatti, agli Stati
membri di delegare parte della gestione delle professioni a organismi autonomi, come gli Ordini e i
Collegi professionali. Questa direttiva è stata recepita nella “legge comunitaria 2005”.
Le direttive prevalgono sulle leggi interne con la conseguenza che oggi l’Ordine dei giornalisti,
quale autorità amministrativa, ha il potere (e l’obbligo) di disapplicare sul punto la normativa
nazionale del 1963 e dare spazio a quella comunitaria, chiedendo il possesso di una laurea
triennale a chi intende scriversi nel Registro dei Praticanti. La direttiva n. 89/48/CEE e la
sentenza della quarta sezione della Corte di Giustizia europea nella causa C- 285/00 possono essere
utilizzate subito (Corte costituzionale, sentenze nn. 170/1984; 113/1985; 389/1989 e 168/1991),
mentre il Consiglio di Stato ha spiegato tale principio in maniera limpida: “Costituisce ormai
insegnamento assolutamente consolidato il principio che nel contrasto fra diritto interno e diritto
comunitario la prevalenza spetta a quest'ultimo anche se la norma interna confliggente venga
emanata in epoca successiva; che la Corte di giustizia delle Comunità europee ha la funzione di
interpretare i principi del diritto comunitario equiparabili alle norme quanto all'obbligo di
osservanza degli Stati membri e quindi in funzione di fonte suppletiva di diritto; che la applicazione
del diritto comunitario avviene in via diretta in luogo di quello interno da disapplicare e che tale
disapplicazione fa carico non solo al giudice, ma anche agli organi della p.a. nello svolgimento
della loro attività amministrativa e, cioè, anche d'ufficio indipendentemente da sollecitazioni o
richieste di parte” (Cons. Stato, Sez.IV, 18/01/1996, n. 54; FONTE Riv. It. Dir. Pubbl. Comunitario,
1997, 177). Le sentenze di condanna della Corte di giustizia della Comunità europea integrano tanto
la normativa comunitaria quanto quella interna dei singoli Stati membri come afferma la sentenza
n. 389/1989 della Corte costituzionale: “Poiché ai sensi dell'art. 164 del Trattato spetta alla Corte di
giustizia assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione del medesimo
Trattato, se ne deve dedurre che qualsiasi sentenza che applica e/o interpreta una norma
comunitaria ha indubbiamente carattere di sentenza dichiarativa del diritto comunitario, nel senso
che la Corte di giustizia, come interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritariamente il
significato con le proprie sentenze e, per tal via, ne determina, in definitiva, l'ampiezza e il
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contenuto delle possibilità applicative”. “Le sentenze di condanna della Corte di giustizia della
Comunità europea integrano tanto la normativa comunitaria quanto quella interna dei singoli Stati
membri” (Cons. Stato, Sez. I, 09/04/1997, n. 372; fonte Cons. Stato, 1998, I, 1856).
L’Ordine dei giornalisti non ha agito con l’arma della disapplicazione, perché non aveva motivo di
dubitare della volontà del Governo di dare corpo alle direttive comunitarie e alla legge 4/1999, pur
forte della sentenza n. 389/1989 della Corte costituzionale.
Le difficoltà vengono ora create in maniera arbitraria e artificiosa da una sezione del Consiglio di
Stato, che non vuole ubbidire alle sentenze della Consulta in materia, pur scrivendo: “In
conclusione, in tutti i casi portati al suo esame la Corte costituzionale da un lato ha ribadito che, nel
vigore della riforma del titolo V, parte seconda, della Costituzione, la materia delle professioni deve
ritenersi attribuita alla legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni, e dall’altro ha
affermato che continua a spettare allo Stato, in sede di determinazione dei principi fondamentali, la
individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici e l’istituzione
di nuovi albi, dovendo invece ritenersi rientrare nella materia “ordinamento e organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”, riservata alla competenza esclusiva dello
Stato dall’articolo 117, secondo comma lettera g), l’istituzione e l’organizzazione di appositi enti
pubblici ad appartenenza necessaria, cui affidare il compito di curare la tenuta degli albi e
garantire il corretto esercizio delle professioni a tutela dell’affidamento della collettività”.
La sentenza della quarta sezione della Corte di giustizia europea del 10 maggio 2001 - (nella causa
C-285/00 contro la Repubblica francese, che non aveva adottato la normativa europea per il
riconoscimento della professione di psicologo) - ha stabilito che “la direttiva 89/48/CEE va
applicata alle professioni regolamentate, cioè a quelle per le quali l’accesso o l’esercizio sono
subordinati, direttamente o indirettamente, mediante disposizioni legislative, regolamentari o
amministrative, al possesso di un diploma universitario della durata minima di tre anni”. Questa
sentenza rilancia l’applicazione del comma 18 dell’articolo 1 della legge 4/1999, che, come riferito,
collega l’esame di Stato delle professioni regolamentate al sistema nazionale delle lauree.
Nel parere n. 2228/2002 la Sezione Seconda del Consiglio di Stato ha scritto: “La natura
professionale dell’attività giornalistica trova conforto dal combinato dispositivo dell’art. 1, comma
3, e dell’art. 2 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 115 (Attuazione della direttiva n. 89/48/CEE relativa
ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione che sanzionano formazioni
professionali di una durata minima di tre anni) e nel decreto MURST del 28 novembre 2000. La
prima fonte ha fissato il principio per cui l’esercizio delle professioni presuppone il superamento di
un ciclo di studi postsecondari di una durata minima di tre anni o di durata equivalente a tempo
parziale, in una università o in un istituto di istruzione superiore o in altro istituto dello stesso
livello di formazione. La seconda, emanata in attuazione dell’art. 4, comma 2, del D.M. n. 509 del 3
novembre 1999 sull’autonomia didattica degli atenei, nel determinare le classi delle lauree
specialistiche (il diploma di laurea di una volta) ha individuato all’allegato 13 la classe 13/S,
intitolata “Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo”, indicandone le relative materie
d’esame (“attività formative”). L’attività giornalistica si configura, dunque, vieppiù oggi come
professione in relazione all’aumentato bagaglio culturale specifico per il suo espletamento:
bagaglio in relazione al quale appare obsoleto – e dunque suscettibile di revisione normativa
secondo l’intento legislativo della legge n. 4/1999 – il contenuto delle prove d’idoneità come oggi
configurato dall’art. 32 della L. n. 69/1963 e dall’art. 44 del DPR n. 115/1965. Infatti, mutati i
requisiti culturali per l’esercizio di una professione, l’accertamento dell’idoneità professionale non
può prescindere da essi, tenuto conto che “il titolo di studio precede la maturazione professionale”
[C. Cost., 27 luglio 1995, n. 412, a proposito della professione di psicologico]”.
Il 21 maggio 2001 la stessa sezione consultiva (Atti normativi) del CdS ha dato via libera al decreto,
preparato dal Governo Amato, che richiedeva (correttamente) la laurea triennale per tre professioni
(geometra, perito agrario e perito industriale) vincolate per legge - come i giornalisti – al possesso
di un diploma. Perché oggi si nega ai giornalisti (e ai consulenti del lavoro) quello che ieri è stato
riconosciuto a geometri, periti agrari e periti industriali)? Due pesi e due misure. Meglio dire due
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Governi (Amato e Berlusconi) e due decisioni (opposte). Ma non è finita. La II sezione consultiva
del Cds, con il parere 2228/2002, chiesto da Giuliano Amato (nella veste di ministro ad interim
dell’Istruzione/Università), ha concluso scrivendo: ”Al quesito posto dall’amministrazione deve
dunque darsi la seguente risposta: non sussistono motivi ostativi alla riforma dell’ordinamento
professionale dei giornalisti, come prevista dall’art. 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999, citato
all’inizio delle presenti considerazioni”.
La legge 4/99, non opera distinzioni tra professioni con laurea e senza laurea. La sezione Atti
Normativi del CdS non ha tenuto in nessun conto: a) il parere 2228/2002 dei colleghi della II
sezione consultiva, incorrendo in una omissione molto grave; b) la direttiva 89/48/Ce (dlgs
115/1992) che impone ai professionisti regolamentati (come i giornalisti) l’obbligo di munirsi di
una laurea almeno “triennale”. Non è vero, come si legge nel parere interlocutorio, che per la
professione di giornalista non sia previsto il titolo di laurea, anzi quel titolo è richiesto da una
direttiva comunitaria che prevale sulla legge interna (n. 69/12963). La professione di
giornalista è stata “aggiunta” nel novero delle professioni italiane (di cui al dlgs n. 115/1992) dal
Dlgs 319/1994 così come modificato dal dlgs 277/2003 (Allegato II, già allegato C).
La sezione consultiva per gli atti normativi del Cds conosce perfettamente la portata del Dlgs n.
277/2003 in quanto, nel parere interlocutorio 16 maggio 2005 (n. 2284/05) scrive testualmente: “Il
dlgs n. 277 del 2003, successivo all’entrata in vigore della legge costituzionale 18.10.2001,
n. 3, ha peraltro continuato a riconoscere al Ministero della giustizia il potere
regolamentare nella materia anzidetta, sicché, allo stato, l’esercizio del relativo potere
sembrerebbe trovare fondamento in una apposita norma primaria”. Quel parere interlocutorio
riguarda la richiesta 26 aprile 2005 del Ministero della Giustizia di emettere un parere su uno
“Schema di decreto ministeriale recante ‘Regolamento di cui all’art. 11 del decreto legislativo 2
maggio 1994, n. 19, in materia di misure compensative per l’esercizio della professione di
giornalista professionista’”. Quante dimenticanze!
Le decisioni radicalmente difformi tra la II sezione consultiva (parere 2228/2002) e la Sezione Atti
normativi (atto interlocutorio 50/2006) sulla professione di giornalista dovrebbero spingere il
presidente del Consiglio di Stato a sottoporre l’intero “decreto Siliquini” all’adunanza generale del
Consiglio di Stato. La questione è “di massima di particolare importanza”. Anche i ministri
Moratti e Castelli possono chiedere che il Consiglio di Stato esprima il parere in adunanza
generale (art. 23 del Rd 1054/1924). I ministri, il sottosegretario di Stato Maria Grazia Siliquini e i
loro stretti collaboratori in queste ore stanno riflettendo sull'iniziativa prevista dalla legge che
regola l'attività del Consiglio di Stato.
La sezione Atti Normativi ha sostanzialmente accolto il punto di vista, illustrato in una memoria,
degli editori Fieg da sempre impegnati nella difesa delle loro prerogative, che risalgono al 1928, di
“creare” i giornalisti, prescindendo dai titoli di studio. Il “nuovo” Dpr 328, invece, sana una
discrasia tra Ordine dei giornalisti e normativa comunitaria in tema di accesso, mandando in soffitta
le restrizioni attuali. Oggi sono gli editori che decidono chi entra nella professione giornalistica
come praticante, prescindendo dal titolo di studio. La normativa professionale del 1963 (legge 69)
ferisce i principi costituzionali della dignità della persona e dell’uguaglianza, quando assegna agli
editori il potere esclusivo di manipolare, con scelte incontrollabili, il diritto costituzionale al lavoro
professionale dei giornalisti. Con il passaggio dell’accesso all’Università, viene superato un sistema
medioevale di selezione paternalistica e per giunta fortemente antidemocratico. L’Università,
invece, aprendo le porte a tutti, è la via maestra della formazione dei “nuovi” giornalisti.
6. Il “progetto Siliquini” richiede agli aspiranti praticanti giornalisti il possesso
di una laurea triennale “qualsiasi”, ma non “ad hoc”, nel solco dei lavori
parlamentari del 1962/1963.
Il “progetto Siliquini”, con l’inserimento dei giornalisti nel “nuovo” Dpr 328/2001, richiede agli
aspiranti praticanti il possesso di una laurea triennale “qualsiasi”, ma non “ad hoc”. Gli editori
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erano contrari all’obbligo di assumere praticanti con laurea specialistica (Giancarlo Zingoni,
Convegno di Verona 31 maggio 2002). Il “progetto Siliquini ” sostanzialmente accoglie il punto di
vista liberista degli editori e rimane fedele alla impostazione della Corte suprema di Cassazione in
tema di titoli per l’accesso all’esame di stato (o prova di idoneità professionale) dei giornalisti: “La
mancata individuazione di un tipico titolo di studio per sostenere quella prova si spiega con la
particolare natura dell’attività giornalistica, che è la più liberale delle professioni, consistente in un
particolare prodotto della manifestazione del pensiero attraverso la stampa periodica o i servizi
radiofonici e televisivi, la cui specificità sta nella particolare sintesi fra manifestazione del pensiero
e la funzione informativa” [Cass., sez. lav., 25 maggio 1996, n. 4840; id., 20 febbraio 1995, n.
1827].
Il nuovo Dpr/328 si muove nel solco dei lavori parlamentari del 1962/1963 che portarono al varo
della legge professionale 69/1963, che non individuò un titolo di studio predeterminato per
l’accesso alla professione di giornalista. La nuova normativa stabilisce che è indispensabile una
“laurea” (che oggi è soltanto triennale), ma non dice che è quella in “Scienze della
comunicazione”. Tutte le lauree possono costituire la base per svolgere il praticantato abbinato alla
laurea specialistica in giornalismo, a un master biennale in giornalismo o a un corso biennale
presso uno degli Istituti di formazione al Giornalismo riconosciuti dal Consiglio nazionale
dell’Ordine. In sostanza, come ha scritto il Consiglio di Stato (parere 2228/2002), sono “molteplici
le forme ed i percorsi culturali attraverso i quali si prepara la capacità del giornalista, la quale,
oltretutto, è di tipo e contenuti non solo astratti, ma anche e essenzialmente pragmatici “ e ciò
affiora dal nuovo testo del Dpr/328 (articolo 32). La mancanza, da parte del legislatore
dell’individuazione, di un titolo universitario predeterminato per l’ammissione al praticantato si
spiega anche “con il valore costituzionale del diritto attivo all’informazione ed alla manifestazione
del proprio pensiero, nonché della libertà di stampa” nonché con la circostanza che i giornalisti si
occupano soprattutto di “argomenti di attualità” sui quali poi sostengono la prova scritta dell’esame
di Stato (art. 32 sia della legge 69/1969 sia del nuovo Dpr/328). Capire l’attualità significa avere
una preparazione vasta, aperta alla gran parte dei saperi universitari. Ma nulla esclude che la
situazione non possa essere destinata a mutare in futuro con la creazione di uno specifico percorso
accademico di laurea triennale propedeutica al biennio di praticantato sotto forma esclusiva di
laurea specialistica (o magistrale).
7. Gli attacchi al “Dpr Siliquini”. Potentati economici (Confindustria e Fieg),
Regioni guidate dalla sinistra e spezzoni della sinistra in prima linea. La
posizione dei due relatori/estensori del parere interlocutorio (23 gennaio 2006)
del Consiglio di Statto (Sezione Atti Normativi).
Gli attacchi al “Dpr Siliquini” non sono venuti soltanto dalla Fieg (struttura di Confindustria) e da
Massino D’Alema. La Conferenza delle Regioni il 20 dicembre 2005 ha scritto al Consiglio di Stato
“forte” di un presunto diritto di intervento in tema di professioni. Le due manovre a tenaglia (Fieg e
Regioni) sono state contrastate dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Milano, che ha
trasmesso alla suprema magistratura amministrativa e anche al Quirinale una memoria documentata
con la quale, come ha scritto la Corte costituzionale in 5 sentenze tra il 2003 e il 2005, ha
rivendicato allo Stato il diritto di disciplinare l’esame di Stato e l’aggancio dell’esame alle lauree
della riforma universitaria.
La maggioranza delle Regioni (16 su 20) sono amministrate da giunte di sinistra. In passato i
Governi di centrosinistra hanno elevato diversi alti funzionari statali al rango di magistrati del
Consiglio di Stato: bisogna capire come si muovono oggi per gratitudine questi ex burocrati. Il
“decreto Siliquini” era finito in una morsa, mentre l’Ufficio legislativo del Quirinale da due mesi
circa studiava il “dlgs La Loggia”. Una situazione assurda, perché il dlgs ha alle spalle cinque
sentenze della Consulta sulla legge/madre (la 131/2003) e altre 5 sentenze in tema di competenza
esclusiva dello Stato sulle professioni.
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Un capitolo a parte merita la posizione del dott. Paolo De Joanna e del dott. Donato Marra,
consiglieri relatori ed estensori del parere interlocutorio 50/2006 sul “regolamento governativo
recante disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio
professionale, delle prove relative e del loro svolgimento”. Paolo De Joanna ha svolto le funzioni
altissime di segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri all’epoca del Governo
D’Alema (ottobre 1998-aprile 2000), mentre Donato Marra ha svolto le funzioni altissime di
segretario generale della Camera dei deputati i Montecitorio (a fianco del presidente Nilde Jotti) e
poi quelle di sottosegretario alla Giustizia nel Governo Dini.
In data 6 febbraio, il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha indirizzato una
istanza motivata al Presidente del Conasiglio di Satto, che qui viene ruiportata integralmente:
“Ill.mi Signori, ieri sera, navigando in internet, ho scoperto un comunicato del Quirinale del 20
gennaio 2000, che riporto integralmente:
C O M U N I C A T O (in: http://www.quirinale.it/comunicati/comunicato.asp?id=4031)
Il Presidente Ciampi ha ricevuto il Presidente del Consiglio D'Alema, Il Sottosegretario alla
Presidenza, Micheli, e il Segretario Generale De Joanna
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CARLO AZEGLIO CIAMPI HA RICEVUTO
QUESTA SERA AL QUIRINALE IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, ON.
MASSIMO D'ALEMA, ACCOMPAGNATO DAL SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, ON. ENRICO MICHELI E DAL SEGRETARIO
GENERALE DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, DOTT. PAOLO DE JOANNA. HA
PRESO PARTE ALL'INCONTRO IL SEGRETARIO GENERALE DELLA PRESIDENZA
DELLA REPUBBLICA, CONSIGLIERE DI STATO GAETANO GIFUNI.
ROMA, 20 GENNAIO 2000
Successivamente ho recuperato un testo de “IL SOLE 24 ORE” del 28 ottobre 1998
Palazzo Chigi, De Ioanna verso la segreteria
ROMA - Paolo De Ioanna, attuale capo di Gabinetto di Carlo Azeglio Ciampi, sarà con ogni
probabilità il nuovo Segretario generale della presidenza del Consiglio. La formalizzazione della
nomina potrebbe avvenire già oggi da parte del presidente del Consiglio, Massimo D'Alema. De
Ioanna, che ha avuto la meglio rispetto all'altra candidatura "forte" di Donato Marra, ex
segretario generale della Camera, sostituisce Alessandro Pajno (di area cattolica), che è stato
segretario generale con Prodi, e che probabilmente sarà il nuovo capo di Gabinetto del
vicepresidente del Consiglio, Sergio Mattarella. A pochi giorni dalla formazione del nuovo Governo,
si mette così in moto il rituale valzer delle poltrone eccellenti. É stata del resto proprio la legge di
riforma della Presidenza (la legge 400 del 1988) ad attribuire al segretario generale una
molteplicità di funzioni che ne fanno a ben vedere il principale collaboratore del Presidente. Per
questo, la stessa legge ha previsto che i decreti di nomina del segretario e vicesegretario generale
cessino di avere efficacia <dalla data del giuramento del nuovo Governo>, legando così
direttamente la figura del responsabile della "macchina organizzativa" di Palazzo Chigi al premier.
De Ioanna è un tecnico stimato e dalla lunga esperienza dei meccanismi e delle procedure
parlamentari, oltre a essere uno dei massimi esperti di finanza pubblica. Prima di essere nominato
capo di Gabinetto da Ciampi, ha infatti ricoperto per anni l'incarico di responsabile del Servizio del
Bilancio del Senato. (D.Pes.).
Nella giornata del 3 febbraio ho acquisito il parere interlocutorio 50/2006 della Sezione consultiva
per gli Atti normativi dal quale emerge che i consiglieri relatori ed estensori del provvedimento
sono il dott. Paolo De Joanna e il dott. Donato Marra. Il provvedimento concerne la richiesta di
parere avanzato dal Ministero dell’Università/Istruzione circa il “regolamento governativo recante
disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio
professionale, delle prove relative e del loro svolgimento.
Tra il Paolo De Joanna di Palazzo Chigi e il Paolo De Joanna di Palazzo Spada c’è una relazione?
Sono la stessa persona o è un caso omonimia? Se dovesse essere la stessa persona si pone un
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problema di conflitto di interesse enorme. Il Paolo De Joanna, braccio destro tecnico di D’Alema,
avrà sicuramente condiviso le posizioni dell’ex premier, orientate a una liberalizzazione spinta (si
legga Maria Carla De Cesari, La svolta di D’Alema, su “Il Sole 24 Ore” del 23 ottobre 1998) degli
Ordini e dei Collegi professionali e in particolare alla soppressione dell’Ordine dei giornalisti.
D’Alema è tornato sull’Ordine dei giornalisti nel dicembre 2005 in una popolare trasmissione
condotta dal collega Bruno Vespa, rivelando che nel referendum del giugno 1997 aveva votato per
la sua abolizione (si legga la notizia in: www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2124).
Altro quesito. Il Donato Marra di cui parla “Il Sole 24 Ore” del 28 ottobre 1998 è lo stesso dott.
Donato Marra, consigliere relatore ed estensore (con De Joanna) del parere interlocutorio 50/2006?
E’ il Donato Marra, già segretario generale della Camera (epoca della presidenza Jotti) e poi
sottosegretario alla Giustizia del Governo Dini nel gennaio 1995? (Si leggano sui due punti “Il Sole
24 Ore” del 30 aprile 1992 e del 24 gennaio 1995). E’, comunque, una persona presa in
considerazione da Massimo D’Alema per la carica di segretario generale di Palazzo Chigi.
Nessuno mette in dubbio le qualità tecniche e professionali dei consiglieri De Joanna e Marra. I
giudici devono essere e anche apparire indipendenti. Gli stessi, però, sono stati contaminati dalla
politica e possono anche apparire avversari del Governo Berlusconi, che attribuisce grande valore e
valuta un successo la riforma dell’esame di Stato delle professioni intellettuale varato il 22
dicembre 2005 dal Consiglio dei Ministri. Creare difficoltà al Governo nell’imminenza del voto non
è una ipotesi peregrina.
Il parere interlocutorio, a mio modesto avviso, contiene troppi errori e svariate distrazioni su
passaggi qualificanti, come dimostro nello studio allegato (pubblicato oggi nella home page del
portale dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia-www.odg.mi.it). Nessuno ha capito la fretta di
depositare il parere il 3 febbraio, quando si sapeva che la sera prima il Presidente della Repubblica
aveva apposto la sua firma sul “dlgs la Loggia”, che assegna allo Stato le competenze sulle
professioni nel rispetto di 5 sentenze della Corte costituzionale (in particolare le sentenze nn. 353
del 2003; 319, 355, 404 e 424 del 2005). Come è possibile che due valorosi consiglieri di Stato, pur
avendo ricevuto una memoria a mia firma, ignorino che la direttiva 89/48/Cee vuole che i
professionisti (e i giornalisti sono tali) abbiano alla spalle almeno una laurea triennale? Come è
possibile accantonare (e mai citare) il parere 2228/2002 della seconda sezione consultiva che vuole
la professione di giornalista tra quelle comprese nel Dpr 328/2001? La II sezione consultiva del
Cds, con il parere 2228/2002, chiesto da Giuliano Amato (nella veste di ministro ad interim
dell’Istruzione/Università), ha concluso scrivendo: ”Al quesito posto dall’amministrazione deve
dunque darsi la seguente risposta: non sussistono motivi ostativi alla riforma dell’ordinamento
professionale dei giornalisti, come prevista dall’art. 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999, citato
all’inizio delle presenti considerazioni”.
De Joanna e Marra, trascurando la direttiva 89/48/Cee, scrivono che il nuovo Dpr non può
“riguardare le professioni per le quali tale titolo di studio (la laurea, ndr) non è richiesto dalle
norme legislative vigenti, tanto meno modificando tale requisito, come è invece previsto dallo
schema di regolamento in esame per varie professioni tra le quali quella di giornalista”. Ma il 21
maggio 2001 la stessa sezione consultiva (Atti normativi) del CdS ha dato via libera al Dpr
328/2001, preparato dal Governo Amato, che richiedeva la laurea triennale per le professioni di
geometra, perito agrario e perito industriale vincolate per legge - come i giornalisti – al possesso di
un diploma. Due pesi e due misure. Anzi due Governi (Amato e Berlusconi) e due pareri (opposti).
Le decisioni radicalmente difformi tra la II sezione consultiva (parere 2228/2002) e la Sezione Atti
normativi (atto interlocutorio 50/2006) sulla professione di giornalista potrebbero spingere il
presidente del Consiglio di Stato a sottoporre, in tempi ragionevolmente veloci, l’intero “decreto
Siliquini” all’adunanza generale. La questione è “di massima di particolare importanza”. Bisogna
fugare ombre e perplessità. La Sezione Atti Normativi ha mostrato incredibili limiti culturali e
costituzionali; e attaccando soltanto i giornalisti (l’unica categoria nominata in chiave negativa) ha
mostrato di essere in (strana) sintonia soprattutto con Eugenio Scalfari e Francesco Giavazzi
(Repubblica e Corriere della Sera) nonché con Massimo D’Alema.
12
Ill.mi Signori, mi fermo. La mia sofferenza è grande, è la sofferenza di una persona educata ad
avere fiducia nell’imparzialità e nella trasparenza dell’amministrazione. Vi chiedo la cortesia di
leggere la memoria allegata e di fare in modo che non si perda altro tempo. Il parere interlocutorio
rappresenta anche una manovra dilatoria rispetto alla data del 9 aprile 2006. Pauca intelligenti”.
…………..
LE SENTENZE CONTRADDITORIE DEL CONSIGLIO DI STATO:
1)
In: www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2328
Parere 2228 del 7 maggio 2002
della II sezione consultiva:
Al quesito posto dall’amministrazione deve dunque
darsi la seguente risposta: non sussistono motivi
ostativi alla riforma dell’ordinamento professionale
dei giornalisti, come prevista dall’art. 1, comma 18,
della legge n. 4 del 1999, citato all’inizio delle presenti considerazioni”.
2)
In: /www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2329
Parere 50 del 3 febbraio 2006 della Sezione
consultiva Atti Normativi:
“Decreto Siliquini” sull’esame
di Stato di 21 professioni:
sospesa l’espressione
del parere e chiesta al Governo
“una nuova istruttoria”.
DOCUMENTAZIONE GIURIDICA
Dlgs. 27 gennaio 1992 n. 115. Attuazione della direttiva n. 89/48/CEE relativa ad
un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che
sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni. (in:
www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2158).
Dlgs 2 maggio 1994 n. 319. Attuazione della direttiva 92/51/CEE relativa ad un
secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale che
integra la direttiva 89/48/CEE. (in: www.odg.mi.it/docatts/319dlgs94-26dic05.rtf).
Dlgs 8 luglio 2003 n. 277. Attuazione della direttiva 2001/19/CE che modifica le
direttive del Consiglio relative al sistema generale di riconoscimento delle
qualifiche professionali e le direttive del Consiglio concernenti le professioni di
infermiere professionale, dentista, veterinario, ostetrica, architetto, farmacista e
medico. (in: www.odg.mi.it/docatts/277dlgs2003.rtf).
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Direttiva 2005/36/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre
2005 (detta “Zappalà”) relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.
(in: www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2193)
(Fonti: www.deaprofessionale.it)
Decreto Legislativo (“La Loggia”) 2 febbraio 2006 n. 30. Ricognizione dei
principi fondamentali in materia di professioni a norma dell'articolo 1 della
legge 5 giugno 2003 n. 131. (Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’8 febbraio 2006 n. 32 ).
(In: www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2333).
Intervento conclusivo del prof. Vincenzo Caianiello, “L’inserimento delle professioni
nel Titolo V della Costituzione”, in Atti del Convegno nazionale “Quale federalismo
per le professioni” del 18 marzo 2002 in Codroipo-Ud, promosso dal Cup del Friuli
Venezia Giulia. (in: www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2331).
------------------------Decreto Legislativo 2 febbraio 2006 n. 30. Ricognizione dei principi
fondamentali in materia di professioni a norma dell'articolo 1 della legge 5
giugno 2003 n. 131. (Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’8 febbraio 2006 n. 32)
Capo I. Disposizioni generali
Art. 1. Ambito d'applicazione
1. Il presente decreto legislativo individua i principi fondamentali in materia di professioni, di cui
all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, che si desumono dalle leggi vigenti ai sensi
dell'articolo 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni.
2. Le regioni esercitano la potestà legislativa in materia di professioni nel rispetto dei principi
fondamentali di cui al capo secondo.
3. La potestà legislativa regionale si esercita sulle professioni individuate e definite dalla normativa
statale.
4. Nell'ambito di applicazione del presente decreto non rientrano: la formazione professionale
universitaria; la disciplina dell'esame di stato previsto per l'esercizio delle professioni
intellettuali, nonché i titoli, compreso il tirocinio, e le abilitazioni richiesti per l'esercizio
professionale; l'ordinamento e l'organizzazione degli ordini e dei collegi professionali; gli albi,
i registri; gli elenchi o i ruoli nazionali previsti a tutela dell'affidamento del pubblico; la
rilevanza civile e penale dei titoli professionali e il riconoscimento e l'equipollenza, ai fini
dell'accesso alle professioni, di quelli conseguiti all'estero.
Capo II. Principi fondamentali
Art. 2. Libertà professionale
1. L'esercizio della professione, quale espressione del principio della libertà di iniziativa economica,
è tutelato in tutte le sue forme e applicazioni, purché non contrarie a norme imperative, all'ordine
pubblico e al buon costume. Le regioni non possono adottare provvedimenti che ostacolino
l'esercizio della professione.
2. Nell'esercizio dell'attività professionale è vietata qualsiasi discriminazione, che sia motivata da
ragioni sessuali, razziali, religiose, politiche o da ogni altra condizione personale o sociale, secondo
quanto stabilito dalla disciplina statale e comunitaria in materia di occupazione e condizioni di
lavoro.
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3. L'esercizio dell'attività professionale in forma di lavoro dipendente si svolge secondo
specifiche disposizioni normative che assicurino l'autonomia del professionista.
4. Le associazioni rappresentative di professionisti, che non esercitano attività regolamentate o
tipiche di professioni disciplinate ai sensi dell'articolo 2229 del Codice civile, se in possesso dei
requisiti e nel rispetto delle condizioni prescritte dalla legge per il conseguimento della personalità
giuridica, possono essere riconosciute dalla regione nel cui ambito territoriale si esauriscono le
relative finalità statutarie.
Art. 3. Tutela della concorrenza e del mercato
1. L'esercizio della professione si svolge nel rispetto della disciplina statale della tutela della
concorrenza, ivi compresa quella delle deroghe consentite dal diritto comunitario a tutela di
interessi pubblici costituzionalmente garantiti o per ragioni imperative di interesse generale, della
riserva di attività professionale, delle tariffe e dei corrispettivi professionali, nonché della pubblicità
professionale.
2. L'attività professionale esercitata in forma di lavoro autonomo è equiparata all'attività di impresa
ai fini della concorrenza di cui agli articoli 81, 82 e 86 (ex artt. 85, 86 e 90) del Trattato Ce, salvo
quanto previsto dalla normativa in materia di professioni intellettuali.
3. Gli interventi pubblici a sostegno dello sviluppo delle attività professionali sono ammessi,
secondo le rispettive competenze di stato e regioni, nel rispetto della normativa comunitaria.
Art. 4. Accesso alle professioni
1. L'accesso all'esercizio delle professioni è libero, nel rispetto delle specifiche disposizioni di
legge.
2. La legge statale definisce i requisiti tecnico-professionali e i titoli professionali necessari per
l'esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di
interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato.
3. I titoli professionali rilasciati dalla regione nel rispetto dei livelli minimi uniformi di preparazione
stabiliti dalle leggi statali consentono l'esercizio dell'attività professionale anche fuori dei limiti
territoriali regionali.
Art. 5. Regolazione delle attività professionali
1. L'esercizio delle attività professionali si svolge nel rispetto dei principi di buona fede,
dell'affidamento del pubblico e della clientela, della correttezza, della tutela degli interessi pubblici,
dell'ampliamento e della specializzazione dell'offerta dei servizi, dell'autonomia e responsabilità del
professionista.
Capo III. Disposizioni finali
Art. 6. Regioni a statuto speciale
1. Per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano resta fermo quanto
previsto dall'articolo 11 della legge 5 giugno 2003, n. 131.
Art. 7. Norma di rinvio
1. I principi fondamentali di cui al presente decreto legislativo si applicano a
tutte le professioni. Restano fermi quelli riguardanti specificamente le singole
professioni. Il presente decreto, munito del sigillo dello stato, sarà inserito nella
Raccolta ufficiale degli atti normativi della repubblica italiana. È fatto obbligo a
chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare.
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Milano, 8 febbraio 2006
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