Chiusura del lavori On. Rocco Buttiglione, Vice Presidente della Camera dei Deputati Al termine del Convegno vorrei sottoporvi due osservazioni, la prima riguardo alla necessità di mettere la “persona al centro”. E’ un problema drammatico oggi perché le Professioni Sanitarie stanno vivendo una trasformazione epistemologica di cui voi siete di in qualche modo i portatori, i rappresentanti. Una volta il medico per capire quello che succedeva all’interno del paziente doveva avvalersi della semeiotica, dell’interpretazione dei sintomi, fidarsi del dialogo con il paziente e la capacità di ascoltare era alla base della professione medica. Progressivamente, grazie all’evoluzione delle tecnologie, abbiamo imparato a guardare dentro la persona, siamo in grado di sapere tante cose senza passare attraverso un rapporto diretto con il paziente. La capacità di conoscere molte cose ha portato poi alla nascita di professioni mediche le quali hanno assunto aspetti qualitativamente diversi legati alla cura di un organo o alla cura di alcuni aspetti di un organo o alla capacità di eseguire alcune particolari operazioni mediche. Tutte cose che si possono fare senza avere un rapporto diretto con il paziente. Dobbiamo allora domandarci se sia sufficiente una Medicina che affidi il rapporto con il paziente al solo medico di base a sua volta molto oberato dalla prescrizione degli esami che di volta in volta debbono esser fatti. Oppure se c’è bisogno di una formazione medica in senso ampio, non solo nella Facoltà di Medicina, grazie alla quale venga considerata la centralità del rapporto con la persona anche quando non è possibile vederla o si hanno rare occasioni di parlargli. Si tratta di un aspetto non secondario dal momento che sempre più la terapia ha bisogno di essere ritagliata sul paziente e di non curare genericamente una malattia. Una terapia che deve rappresentare una garanzia per il paziente di ricevere ogni trattamento nelle condizioni ottimali per la sua vita; questo vale soprattutto per il paziente complesso e per l’anziano dove è necessario trovare un equilibrio tra le varie problematiche presenti ed i diversi approcci terapeutici. La “persona al centro” è innanzitutto una sfida epistemologica, tanto più forte quanto più si vanno frammentando le professioni mediche. Una seconda osservazione riguarda invece il tema controverso degli Ordini e delle Professioni. Stiamo assistendo alla nascita di un sistema di professioni mediche europee, non possiamo pensare il nostro Sistema al di fuori di esso. La professione medica ormai è diventata una professione europea che implica un interscambio tra i professionisti dei vari Paesi sia a livello di formazione che di esercizio della professione. Ma quale è la concezione di professione? Che significa essere un professionista? Il professionista per un verso è un piccolo imprenditore che gestisce un certo tipo di sapere che gli consente di esercitare una professione in modo autonomo sia in strutture private ché pubbliche. La tendenza anglosassone è quella di sottolineare il fatto che egli è un piccolo imprenditore di se stesso, la tendenza continentale invece è sempre stata quella di sottolineare un’altra dimensione ovvero che il professionista è il titolare di un rapporto fiduciario con il paziente o con il cliente il quale gli affida qualcosa di fondamentale per sé (la propria salute nel caso delle Professioni sanitarie). E’ fondamentale allora garantire il paziente sulla qualità della persona cui si affida. La differenza tra il ciarlatano ed il professionista è una delle basi dello sviluppo della società moderna. Dobbiamo garantirci che questa differenza rimanga a tutela del professionista che non deve essere scambiato con il ciarlatano e deve essere protetto dalla concorrenza scorretta e a tutela del paziente che richiede una prestazione sanitaria. Il sistema anglosassone ha puntato molto sulle Associazioni, il sistema continentale ha puntato molto sugli Ordini; a livello europeo si è raggiunta una mediazione che non ha eliminato le professioni ordinistiche, ma le ha limitate. Non credo pertanto che sia facile istituire nuove Professioni ordinistiche all’interno dei vincoli imposti dalla direttiva europea sulle Professioni. Piuttosto va fatta una riflessione su come si possano consolidare le Associazioni assumendo funzioni simili a quelle ordinistiche. Noi abbiamo istituito le Associazioni, ma la loro regolamentazione non è ancora pienamente compiuta. La mobilità del sistema, ovvero il fatto che nuove professioni nascono mentre altre scompaiono o vengono accorpate rende difficile la costituzione di Ordini. In questo contesto anche le Professioni ordinistiche necessitano di una riflessione nel momento in cui abbiamo professioni che hanno una storia centenaria che si vanno frammentando e dentro le quali nascono nuove Associazioni. Dal punto di vista legislativo va definito con precisione il ruolo e le funzioni delle Associazioni per una migliore tutela degli iscritti. Una certa variabilità nel sistema è inevitabile e se non dobbiamo fossilizzare il sistema non dobbiamo neanche permettere che una variabilità indefinita lasci l’ operatore privo di riferimenti. Occorre allora avere una visione d’insieme dell’evoluzione del sistema delle Professioni sanitarie, pensando anche alle nuove prospettive come quelle della “Telemedicina”. Le soluzioni possono nascere soltanto da un dialogo intenso tra chi fa la professione e chi deve fare le normative. Dialogo che oggi abbiamo cercato di attivare e di promuovere. Abbiamo bisogno di una politica che ascolti e che sia in grado di considerare seriamente le preoccupazioni degli operatori così come abbiamo bisogno di operatori che imparino a formulare i propri problemi inserendoli in un orizzonte comune. Dentro un tale orizzonte abbiamo grandissime prospettive.