Omelie per un anno
Volume 1 - Anno “B”
Anno “B”
DOMENICA DI PENTECOSTE
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At 2,1-11 - Furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a
parlare.
Dal Salmo 103 - Rit.: Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra.
Gal 5,16-25 - I frutti dello Spirito.
Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Vieni, Santo Spirito, riempi i
cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore. Alleluia.
Gv 15,26-27; 16,12-15 - Lo Spirito di verità vi guiderà alla verità
tutta intera.
«Ed essi furono tutti pieni
di Spirito Santo»
La festa di Pentecoste ci richiama alla ricca tematica dello «Spirito»
che davvero, come ci ricorda l’antifona di ingresso con un leggero
adattamento di Sap 1,7, «riempie l’universo e, abbracciando ogni
cosa, conosce ogni voce»; «conosce» perfino quei «gemiti
inesprimibili» che affiorano, per suo impulso, dalle profondità del
nostro cuore.1 Sarebbe perciò interessante studiare i vari aspetti di
questa tematica, che vanno dall’opera dello Spirito nella creazione
(«E lo spirito di Dio aleggiava sulle acque»: Gn 1,2), fino al grido
struggente della consumazione finale, che esprime l’anelito di ritorno
di tutta la creazione a Dio: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”»
(Ap 22,17).
Molto più modestamente, invece, seguiremo alcune piste di riflessione
che ci suggerisce la Liturgia nelle tre letture bibliche odierne: ognuna
di esse sottolinea qualche aspetto dell’attività dello Spirito nella
nostra vita e nella vita della Chiesa.
«Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire...»
Si prenda, ad esempio, la prima lettura, che oggi vogliamo
privilegiare proprio perché è quella che più direttamente è impegnata
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Cf Rm 8,26.
2ª domenica di Pasqua “B” • © Elledici, Leumann 2005
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a presentarci, sia pure con estrema sobrietà, l’evento di Pentecoste
nel suo significato «teologico» di fondo.
Ecco dunque come si esprime il testo: «Mentre il giorno di Pentecoste
stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne
all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte
gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro
lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di
loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a
parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di
esprimersi» (At 2,1-4).
La prima osservazione da fare è che qui san Luca si ispira quasi
certamente alla descrizione con cui in Esodo 19,3-20 si narrano i
preparativi per la pattuizione dell’«alleanza» fra Dio e il suo popolo, ai
piedi del Sinai: anche lì fuoco, rimbombo impetuoso, sbigottimento
generale! «Ed ecco al terzo giorno, sul far del mattino, vi furono
tuoni, lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di
tromba: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da
tremore... Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era
sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una
fornace: tutto il monte tremava molto» (Es 19,16.18).
Però ci sono anche delle differenze: allora Dio parlò di mezzo al
fuoco, stando lontano dal suo popolo che, intimorito, non ardiva
avvicinarsi;2 qui invece il «fuoco» di Dio, cioè il suo Spirito, investe
direttamente della sua potenza di trasformazione gli apostoli, che
rappresentano la incipienza del nuovo popolo di Dio. Allora il
destinatario di questo gesto di amore e di salvezza era soltanto
Israele; qui invece è la moltitudine dei popoli che in quei giorni di
festa (la Pentecoste era una delle tre grandi feste di pellegrinaggio
per i Giudei) si erano dati convegno a Gerusalemme: «Parti, Medi,
Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia,
del Ponto... stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi, li
udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio» (At 2,911).
Tutto questo sta a significare, per un verso, la «continuità» degli
interventi salvifici di Dio nella storia, come, del resto, dirà subito dopo
nel suo discorso san Pietro (At 2,14-36) che vede attuata nell’evento
di Pentecoste la celebre profezia di Gioele (3,1-5); per un altro verso,
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Cf Dt 5,4-5.
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la «novità» radicale introdotta da Cristo che, in virtù della sua morte
e risurrezione, ci ha conquistato il dono dello Spirito e «lo ha effuso,
come voi stessi potete vedere e udire», ricorda ancora san Pietro (At
2,33).
«La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù»
E la «novità» principale è che Dio, in Cristo, ci ha fatto dono non
tanto di una «nuova» legge, che era l’aspetto più caratteristico e
rilevante dell’alleanza antica e che la festa giudaica della Pentecoste
sembra volesse rievocare,3 quanto dello Spirito Santo, che di fatto
abolisce la legge: «...Dove c’è lo Spirito del Signore, c’è la libertà» (2
Cor 3,17).
Però lo Spirito abolisce la legge, diventando lui stesso la nuova
«legge» che ci ispira sempre e dovunque quello che piace al Signore:
in tal modo, l’«alleanza» è appesa non tanto a delle condizioni
esterne da osservare, quanto piuttosto alla presenza e all’azione dello
Spirito di Dio in noi. Dio si fa sempre più «interiore» all’uomo, per
possederlo di più e realizzare in lui il suo «regno». È quanto san Paolo
ci ricorda in alcuni testi meravigliosi, che vogliamo qui riportare: «La
legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge
del peccato e della morte... Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo,
non gli appartiene. E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a
causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione...
Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono
figli di Dio» (Rm 8,2.9-10.14).
Si sarà notato, in questi testi di san Paolo, come l’apostolo parli dello
Spirito come di colui che «dà la vita», che ci «libera dalla legge del
peccato e della morte», che ci fa «appartenere» a Cristo, che ci
«guida» in modo da realizzare sempre più in noi la «figliolanza»
divina. In altre parole, lo Spirito ci immette nel pieno possesso della
nostra «eredità» celeste: «Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito
che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di
Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze
per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8,16-17).
A questo punto ci accorgiamo facilmente come la festa di Pentecoste
è la celebrazione della nostra «figliolanza» divina, prodotta e
Cf in questo senso il Libro dei Giubilei 6,20 e la letteratura di Qumran. Si veda
anche S. CIPRIANI, Missione ed evangelizzazione negli Atti degli Apostoli, Elledici,
Leumann (To) 1994, pp. 50-80.
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realizzata in noi dallo Spirito: questa è l’alleanza «nuova» che Dio ha
pattuito con noi nel sangue di Cristo e nel fuoco bruciante dello
Spirito. Una festa dunque che, più della stessa Pasqua e come frutto
di quella, ci immette nei «beni» celesti che già possediamo come
«primizia», in virtù di quella «primizia» fondamentale che è lo Spirito:
«...Anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo
interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro
corpo» (Rm 8,23).
«Li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di
Dio»
L’agire interiore e segreto dello Spirito non è però un agire a livello
«intimistico»: proprio perché è lui il «pegno» e il «frutto»
dell’alleanza, coinvolge in questo speciale rapporto di amore tutti gli
uomini, al di là delle stesse barriere di razza, di lingua, di cultura, di
pratiche di culto esteriori, ecc. È quanto risulta da quel meraviglioso
quadro di universalismo salvifico, che ci viene descritto dal libro degli
Atti: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com’è che li
sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?... Li udiamo
annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio» (At 2,7-8.11).
Non ci interessa qui intrattenerci sul misterioso fenomeno delle
«lingue». Al di là di quello che poté essere il fatto in sé e per sé, è
chiaro che l’autore del libro degli Atti vuol dirci che la «forza» dello
Spirito ha potere di «unificazione» delle menti e dei cuori degli
uomini, di illuminazione e di convincimento interiore: egli ha bisogno
soltanto di testimoni e di mediatori talmente intrisi di lui, «battezzati»
nel suo fuoco trasformante e purificante, da saperne comunicare
immediatamente il calore e la fiamma. Proprio per questo la Chiesa
necessita di sempre nuove Pentecosti: Pentecosti dello Spirito, certo,
ma soprattutto di cristiani che, come gli apostoli, si lascino bruciare
dal fuoco dello Spirito!
Perciò abbiamo tutti bisogno di gridare con l’accorata acclamazione al
Vangelo: «Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi
in essi il fuoco del tuo amore».
«Quando verrà il Consolatore, mi renderà testimonianza»
Il brano del Vangelo, ripreso da san Giovanni, è una cucitura di due
passi relativi alla «missione» dello Spirito Santo nella vita e nella
storia della Chiesa: peccato però che, distaccati dai loro contesti più
immediati, perdano un po’ della loro densità teologica. È risaputo,
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infatti, che Giovanni, fra tutti gli scrittori del Nuovo Testamento, ha la
teologia più ricca e più profonda sullo Spirito Santo.
Il primo passo è ripreso da un contesto, in cui Gesù preannuncia per i
suoi discepoli avversità e persecuzioni: lo Spirito Santo li aiuterà a
rendere fedelmente la loro «testimonianza» a Cristo.
«Quando verrà il Consolatore, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito
di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e
anche voi mi renderete testimonianza perché siete stati con me fin
dal principio» (15,26-27).
Il sostantivo «consolatore» traduce il greco paràkletos (= Paraclito),
un termine che ricorre solo nei discorsi di addio di san Giovanni4 per
indicare lo Spirito Santo. La stessa espressione è applicata due volte
anche a Gesù.5
«Lessicalmente la parola non presenta alcuna difficoltà, ha senso
passivo e significa “colui che è chiamato (a portare aiuto)”, da cui
però deriva il significato attivo di “assistente”, cioè di uno che sta a
fianco di un altro come suo avvocato o testimone o consigliere.
Oggettivamente la traduzione “consolatore” ne restringerebbe il
significato; il suo significato più preciso si ricava di volta in volta dal
contesto in cui la parola si trova».6
Qui è evidente che lo Spirito darà «assistenza», ma anche
«consolazione» agli apostoli che si troveranno in difficoltà davanti al
mondo, che non è disposto ad accettare la «testimonianza» da loro
resa al Cristo morto e risorto. Fortificando gli apostoli nella loro
«testimonianza», lo Spirito darà lui stesso, in maniera invisibile ma
altrettanto efficace, «testimonianza» a Gesù (v. 26).
«Lo Spirito di verità vi guiderà alla verità tutta intera»
Il secondo passo mette in maggior evidenza la funzione dello Spirito
Santo nella penetrazione della «verità» relativa a Cristo. Perciò, in
ultima analisi, «è bene che io me ne vada» (Gv 16,7), dice Gesù ai
suoi discepoli per consolarli.
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di
portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà
alla verità tutta intera, perché non vi parlerà da sé, ma dirà tutto
quello che ha udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà,
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Gv 14,16s.26; 15,26; 16,7-10.
Cf 1 Gv 2,1 e Gv 14,16.
H. STRATHMANN, Il Vangelo secondo Giovanni, Paideia Ed., Brescia 1972, p. 373.
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perché prenderà del mio e ve lo annunzierà. Tutto quello che il Padre
possiede è mio; per questo vi ho detto che prenderà del mio e ve lo
annunzierà» (Gv 16,12-15).
Pur essendo lo «Spirito di verità», lo Spirito non annunzierà una
«sua» verità, ma quella che avrà «udita» da Cristo (v. 13). Proprio
per questo non ci potrà essere contrasto fra lui e Cristo: «Per questo
ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà» (v. 15).
Lo Spirito dunque è in funzione di Cristo e del suo mistero.
Determinanti perciò rimangono sempre l’incarnazione, morte e
risurrezione del Signore, che lo Spirito ci aiuterà a meglio penetrare e
a meglio vivere. È per questo che tutti i cristiani debbono riscoprire la
presenza dello Spirito nella loro vita di ogni giorno, proprio per essere
sempre più «cristiani»: la pneumatologia è ordinata alla cristologia.
«Se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la
legge»
Il brano della lettera ai Galati è particolarmente significativo al
riguardo, perché fa vedere come concretamente lo Spirito può e deve
afferrare la vita del cristiano, in modo da diventare non solo
«principio» animatore, ma addirittura «legge» interiore del suo
operare: «Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la
legge... Contro queste cose non c’è legge» (Gal 6,18.23).
Lo Spirito si interiorizza talmente all’uomo, da spingerlo ad agire
secondo i suoi dettami e le sue esigenze. La «legge» prescrive, certo,
cose buone, ma rimane sempre un codice «esterno» all’uomo; lo
Spirito, invece, diventa luce «interiore», che fa vedere ciò che
dobbiamo fare e si trasforma in impulso e «forza» vitale.
È solo affidandosi allo Spirito che il cristiano può sottrarsi all’altra
«forza», che fatalmente tenterà di impadronirsi di lui, diventando
anch’essa «legge», tendente però a schiavizzarlo: la «carne», che
deve qui intendersi non come equivalente di «corpo» quasi che
questo fosse intrinsecamente cattivo, ma come espressione di
qualsiasi concupiscenza perversa che alberga nel cuore dell’uomo e
che può andare dalla «fornicazione» allo «spirito» di dominio, di
divisione, ecc. È in questa lotta e tensione continua fra due principi
antitetici che il cristiano realizza la sua non facile liberazione e il suo
lento passaggio da servo del peccato ad autentico figlio di Dio.
«Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i
desideri della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e
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lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a
vicenda sicché voi non fate quello che vorreste.
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge.
Del resto, le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità,
libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordie... Il frutto
dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza,
bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è
legge... Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche
secondo lo Spirito» (Gal 5,16-25).
Il problema, dunque, è di arrivare a «vivere» dello Spirito, per poter
anche «camminare» secondo lo Spirito. Il realismo paolino esige
molto di più che una generica, e pur sempre apprezzabile, «fedeltà»
allo Spirito: esige una immersione in lui e una «nutrificazione»
costante di lui, in modo da diventare il principio vitale della nostra
santità, come l’anima della nostra stessa anima.
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