Omelie per un anno - vol. 2
34ª Domenica del Tempo Ordinario
Nostro Signore Gesù Cristo re dell’universo
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2 Sam 5,1-3 - Unsero Davide re sopra Israele.
Dal Salmo 121 - Rit.: Regna la pace dove regna il Signore.
Col 1,12-20 - Dio ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto.
Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Benedetto colui che viene nel
nome del Signore: benedetto il suo regno che viene. Alleluia.
 Lc 23,35-43 - Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo
regno.
Il regno di Cristo: un dono e un impegno
L’anno liturgico volge al termine; ancora una settimana e con
l’Avvento avrà inizio una nuova tappa del cammino con cui la Chiesa
va giorno per giorno incontro al suo Signore, “nell’attesa della sua
venuta”. La solennità di nostro Signore Gesù Cristo re dell’universo dà
un suo timbro particolare a questa domenica, quasi a riassumere le
meraviglie compiute da Dio per la nostra salvezza, che abbiamo
ricordato via via dall’inizio dell’Avvento fino ad ora. Questa festa ci
richiama un dono, anzi un insieme stupendo di doni che Dio ci ha
fatto, ci stimola a un impegno che investe tutta la nostra vita di
cristiani.
“Ringraziamo con gioia il Padre”
Le tribù d’Israele riconoscono in Davide, che ha già combattuto e
vinto i loro nemici, l’uomo scelto dal Signore per essere il loro pastore
e il loro capo, e gli anziani, in rappresentanza di tutto il popolo, lo
ungono re. Sotto la sua guida Israele poteva camminare fiducioso sul
cammino che Dio gli aveva segnato. Era una figura di Gesù, il “buon
pastore” (Gv 10,11), il “capo del corpo, cioè della Chiesa”, come
spiegherà Paolo; il “re dei Giudei”, come dirà la scritta, motivazione
della condanna, posta sul suo capo; il “re dell’universo”, come
proclama il prefazio della Messa di oggi.
Paolo è preoccupato per certe idee che si erano diffuse nella comunità
di Colosse da parte di alcuni che attribuivano a misteriose potenze
celesti un ruolo che oscurava il primato assoluto e incomparabile
dell’unico “Figlio diletto” del Padre nell’opera della creazione, del
governo del mondo e della salvezza degli uomini. Ciò porta l’apostolo
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a enumerare i doni che il Padre ci ha fatto in vista di Cristo e per
mezzo di lui: creazione, liberazione, remissione dei peccati,
partecipazione “alla sorte dei santi nella luce”, ingresso nel regno di
Cristo, incorporazione a lui come membra del corpo che è la Chiesa, e
di cui Cristo è il capo, pacificata e riconciliata. Il Vangelo, mentre ci
presenta un re confitto in croce, che si assoggetta alla più abbietta
umiliazione e alle sofferenze più atroci perché ci ha amati “sino alla
fine” (Gv 13,1), riferisce un episodio nel quale la misericordia del Re
crocifisso si manifesta nel dono fatto a un “malfattore”. Appeso
accanto a lui alla croce, egli si riconosce colpevole e gli chiede di
ricordarsi di lui quando entrerà nel suo regno: “In verità ti dico, oggi
sarai con me in paradiso”. Non è come un richiamo, in quel momento
supremo, a tutti i doni che il Padre ci ha elargito in Cristo? Il prefazio,
dove si esalta il “regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia,
regno di giustizia, di amore e di pace”, ci fa comprendere che i doni
del Padre attraverso il “suo Figlio diletto” non sono circoscritti solo
alle singole persone ma vengono offerti a tutti come fermento capace
di suscitare un’umanità nuova in cui gli uomini possano vivere come
fratelli.
“Ringraziamo con gioia il Padre”, come ci esorta s. Giovanni
Crisostomo: “Avendo ricevuto un beneficio così grande, sempre
dobbiamo ricordarcene e meditare continuamente sul dono che Dio ci
ha dato, pensare a quanto ci è toccato in sorte: così saremo
riconoscenti, così cresceremo nell’amore per lui”. Non commettiamo
l’errore di considerare la regalità di Cristo, giustamente intesa, quasi
come un giogo che limiti la libertà e ci opprima, ripetendo
stoltamente con i cittadini che odiavano il signore venuto da un paese
lontano per ricevere il titolo regale: “Non vogliamo che costui venga a
regnare su di noi!” (Lc 19,14).
“Fa’ che obbediamo con gioia a Cristo, re dell’universo”
Con questa invocazione, con cui si conclude la Messa, siamo invitati a
riconoscere e assumere l’impegno di corrispondere al dono che ci fa il
Padre in Cristo nostro re.
Se egli è il nostro pastore, noi, sue pecorelle, lo dobbiamo conoscere,
ascoltare la sua voce (cf Gv 10,14-16); se egli è il nostro capo e il
nostro re, dobbiamo, come suoi sudditi, fare della sua legge, il
Vangelo, la norma della nostra vita. Dobbiamo pensare anche alle
altre pecore che non sono ancora del suo ovile e collaborare con lui
perché ascoltino la sua voce e diventino “un solo gregge e un solo
pastore”, con la preghiera, col nostro contributo all’azione ecumenica
e missionaria (Gv 10,16).
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“Grazie ai sacramenti dell’iniziazione cristiana” (Ad gentes, 14) siamo
stati “liberati dal potere delle tenebre” e “messi in grado di
partecipare alla sorte dei santi nella luce”, ottenendo “la redenzione e
la remissione dei peccati”. Dobbiamo quindi lottare contro le forze del
male, dentro di noi e fuori di noi, per non ricadere nelle tenebre e
nella schiavitù del peccato ma vivere nella luce della verità e della
libertà dei figli di Dio.
Se egli è “il capo del corpo, cioè della Chiesa”, di cui noi siamo
membra, dobbiamo vivere uniti a lui nella fede e nell’amore, operare
nella Chiesa in modo che possa presentare veramente al mondo il
volto di Cristo. Se egli deve “ottenere il primato su tutte le cose”,
dobbiamo impegnarci perché sia riconosciuto come maestro e
salvatore, perché si affermi il suo “regno di verità e di vita, di santità
e di grazia, di giustizia, di amore e di pace”, non solo nella Chiesa,
ma in tutto il mondo, poiché Cristo è “re dell’universo”. “La Chiesa”,
insegna il Concilio, “riceve la missione di annunziare e instaurare in
tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce il
germe e l’inizio” (Lumen gentium, 5). Ciò non certamente attraverso
un’indebita ingerenza della Chiesa in sfere che non sono di sua
competenza, ma “osservando fedelmente i suoi precetti di carità,
umiltà e abnegazione” (Lumen gentium, 5), e animando dal di dentro
anche le realtà temporali col fermento del Vangelo, nella fede
apertamente professata, nella carità sinceramente vissuta, “affinché il
mondo sia imbevuto dello spirito di Cristo e raggiunga più
efficacemente il suo fine nella giustizia, nella carità e nella pace”
(Lumen gentium, 36).
Se Cristo, “re dei Giudei” e re del mondo, ha sopportato sulla croce
gli scherni e gli insulti e ha accettato di morire come un infame
criminale, noi dobbiamo tenere “fisso lo sguardo su Gesù, autore e
perfezionatore della nostra fede”, il quale, “in cambio della gioia che
gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando
l’ignominia, e si è assiso alla destra di Dio” (Eb 12,2), dobbiamo
portare “il suo obbrobrio” (Eb 13,13), memori della sua parola: “Beati
voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno
ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed
esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt
5,11-12).
Se il Re crocifisso al malfattore pentito non solo ha concesso il
perdono ma l’ha assicurato: “Oggi sarai con me in paradiso”,
dobbiamo, riconoscendoci peccatori, ricorrere a lui con immensa
fiducia e attendere, col desiderio ispirato dalla fede, il paradiso nel
quale regneremo con lui dopo che con lui avremo perseverato nella
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fedeltà e nell’amore (cf 1 Tm 2,11-13). Ciò vale per tutta la Chiesa, la
quale, “mentre va lentamente crescendo, anela al regno perfetto, e
con tutte le sue forze spera e brama di unirsi col suo Re nella gloria”
(Lumen gentium, 5).
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