Cosa sono i Fondi Comuni di Investimento - Digilander

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Cosa sono i Fondi Comuni di Investimento
(“Valori” giugno 2001, Fabio Salviato – Presidente Banca Etica)
Il fondo comune è uno strumento di investimento collettivo, raccoglie cioè il risparmio da molti investitori e
investe il capitale raccolto in obbligazioni o azioni, a seconda della tipologia del fondo stesso. I fondi, entrati
nel nostro ordinamento nel 1985, non offrono rendimenti certi, ma possono investire in maniera più efficiente
di un singolo risparmiatore perché, a fronte di investimenti anche molto contenuti (di solito a partire da 1
milione di lire e in alcuni casi cifre inferiori), consegue vantaggi in termini di costi dell'investimento e di
diversificazione su un maggiore spettro di titoli, settori e aree geografiche. L’accesso al fondo si concretizza
attraverso l'acquisto di singole quote, il cui valore varia in funzione del valore dei titoli in portafoglio. Il valore
delle quote è pubblicato ogni giorno, al netto di spese e tasse, dai quotidiani e le quote possono essere
vendute in qualsiasi momento al valore di mercato.
L'investimento in fondi comuni non comporta alcun onere dal punto di vista fiscale e i proventi subiscono una
tassazione alla fonte (praticata cioè dalla stessa società di gestione) del 12,5%. Dal punto di vista dei costi, i
fondi presentano una commissione di gestione annua, calcolata in percentuale sull'importo investito, che
remunera l'attività di selezione degli investimenti svolta dalla società di gestione. A questa spesa si possono
aggiungere, a seconda del prodotto scelto, una commissione di sottoscrizione, trattenuta al momento
dell'acquisto delle quote, una commissione di incentivo, applicata soltanto nel caso in cui il rendimento del
fondo superi un determinato parametro di riferimento, e una commissione di uscita, che normalmente
diminuisce o si azzera con il passare del tempo, per esempio, trascorsi tre anni dalla data dell'investimento. I
fondi possono essere acquistati presso gli sportelli bancari, i promotori finanziari e attraverso alcuni siti
Internet.
La finanza etica in Italia cresce. Con difficoltà. «Se trasferissimo la nostra sede legale in Olanda potremmo
usufruire di agevolazioni fiscali enormi» spiega a Valori Fabio Salviato, presidente di Banca Etica. «Oggi
siamo parificati a una società per azioni: scontiamo il 38% di ritenuta Irpeg per ogni miliardo di raccolta. La
finanza etica è ancora un oggetto sconosciuto per il legislatore italiano». Non è così però per cittadini,
associazioni e imprese. Per le organizzazioni di volontariato il tema della gestione responsabile delle risorse
finanziarie è all'ordine del giorno, vantiamo la più solida realtà europea del settore, la Banca Etica, per
l'appunto, operativa da appena due anni (8 marzo 1999), e gli stessi operatori finanziari tradizionali sono
entrati in questo mercato.
Di mercato si tratta, infatti: oggi la raccolta di risparmio da parte degli strumenti di investimento che si
richiamano a scelte responsabili supera gli 8 mila miliardi di lire, pari allo 0,8% dei patrimoni gestiti da
banche e società di gestione, il tutto in assenza di qualsiasi stimolo esogeno verso questa tipologia di
investimento, quali per esempio agevolazioni fiscali e campagne di informazione. Per contro, all'estero la
raccolta dei prodotti etici rappresenta 1'8% del totale in Francia, il 9% in Gran Bretagna, i113% negli Stati
Uniti. «Le potenzialità del settore sono enormi», commenta Salviato, «ma anche le differenze tra quanto
accade in Italia e all'estero: in Olanda i finanziamenti a scopo ambientale e per la cooperazione
internazionale sono stati defiscalizzati e una percentuale del gioco del Lotto è destinata a un fondo di
garanzia per i finanziamenti bancari verso il sociale; in Francia le associazioni non governative possono
raccogliere risparmio per finanziare, fino a 5 milioni di lire, le iniziative a scopo sociale; in Spagna esiste dal
2000 una suddivisione dei fondi comuni di investimento tra fondi di solidarietà, che semplicemente
devolvono una parte dei rendimenti o delle commissioni di gestione ad associazioni o iniziative sociali, da
quelli propriamente etici. In Italia, invece, la finanza etica semplicemente non è prevista». «Le difficoltà di
Banca Etica sono comprensibili», aggiunge Marco Gallicani, coordinatore dell'Associazione finanza etica
(Afe), «il problema è che non solo non esiste nulla che sostenga queste iniziative, ma addirittura le istituzioni
sono talmente distanti da non riuscire neppure a comprenderne le necessità».
Tutti puntano sui Fondi
Tuttavia fervono le nuove iniziative, sia nel campo degli operatori legati al non profit sia nel sistema
finanziario tradizionale, e l'interesse si sta concentrando soprattutto sui fondi comuni di investimento etici. I
fondi rappresentano infatti uno strumento di raccolta del risparmio estremamente flessibile e negli ultimi anni
hanno ottenuto un successo enorme. Per due motivi. Per i risparmiatori
motivi. Per i risparmiatori acquistare fondi è facile: il meccanismo di funziona- mento è semplice, le quote
possono essere rivendute in tempi brevi e il valore è pubblicato quotidianamente sui giornali, gli importi
minimi di sottoscrizione sono contenuti, i costi accessibili, il trattamento fiscale favorevole. Per le banche, i
fondi hanno rappresentato lo strumento ideale per traghettare il risparmio individuale dai titoli di Stato, su cui
lucravano esclusivamente una commissione di compravendita, al cosiddetto risparmio gestito (i fondi
appunto), che permette di conseguire guadagni costanti grazie alle commissioni di gestione, che sono
sempre presenti per qualunque tipologia di prodotto, e a possibili altre voci di costo.
L'investimento responsabile La cosa singolare è che, oggi, mentre il sistema finanziario etico (Banca Etica,
associazioni per il microcredito, organizzazioni non governative) costruisce a piccoli passi gli strumenti che
consentono di investire in maniera autenticamente responsabile (certificati di deposito legati a precise aree
di intervento nel sociale, conti correnti etici, ecc.), è la finanza tradizionale a trarre vantaggio da questa
accresciuta sensibilità etica. Utilizzando il termine, magari, con finalità unicamente commerciali. Basta
guardare alla dozzina di fondi comuni che si definiscono etici, promossi da alcuni tra i maggiori operatori
finanziari nazionali: alcuni semplicemente consentono di devolvere una quota dei guadagni a
un'associazione (Gestiras Cedola; Bipielle Fondicri Roma Caput Mundi; Azimut Solidity), altri seguono
direttive di investimento precise, pur mantenendo una struttura tradizionale (Gestnord Ambiente e
Euromobiliare Green Equity investono prevalentemente in società attente alle problematiche ambientali o
che si occupano attivamente di tutela dell'ambiente), altri ancora si sono dotati di una struttura di controllo
delle scelte di gestione (Sistema etico San Paolo, basato su criteri di selezione ispirati alla morale cattolica).
Di certo, il fatto che su questi prodotti non si faccia molta informazione è strumentale alla scarsa chiarezza
sull'uso del termine "etico". Alla realizzazione di prodotti rigorosamente etici sta invece lavorando Banca
Etica, che ha promosso una società di gestione, Etica Sgr, insieme con la Banca popolare di Milano, con
l'obiettivo di lanciare i primi tre fondi entro la fine del 2001.
«L'evoluzione dei fondi etici è passata per diverse fasi», spiega Salviato: «la prima generazione è stata
quella dei fondi che selezionavano i titoli utilizzando soltanto criteri negativi, escludendo, per esempio, le
società che producono armamenti, alcolici, eccetera. l fondi di seconda generazione hanno iniziato ad
adottare anche criteri positivi, volti a individuare e includere, cioè, aziende con comportamenti virtuosi. La
terza generazione si è concentrata sulle categorie di prodotti, selezionando i titoli all'interno dei diversi settori
produttivi, in funzione del profilo etico di ogni singola azienda. La quarta generazione, in cui vorremmo far
rientrare i nostri fondi, prevede l'istituzione di un comitato tecnico-scientifico che analizzi in profondità ogni
azienda potenzialmente oggetto di investimento da parte del fondo». La strada tracciata conduce alla
creazione di strumenti di analisi e valutazione etica delle società quotate. Anche in questo settore stanno
nascendo nuove iniziative, come gli indici azionari composti secondo criteri etici, quale l'Ethical index euro,
realizzato dalla società di analisi E. Capital Partners, e il Ftse4Good, in corso di costituzione da parte di una
delle maggiori società specializzate nel mondo (Ftse è partecipata dal Financial Times e dalla Borsa di
Londra).
«Ben venga la contaminazione dei settori tradizionali», dice Gallicani, «che tra l'altro contribuisce a far
affluire risorse e attenzione sulla finanza etica. Ma questo fa aumentare a maggior ragione le esigenze di
chiarezza e trasparenza sulle caratteristiche dei prodotti di investimento e sul profilo etico di chi li propone».
La questione ritorna: il sistema finanziario etico ha dimostrato di avere idee ed energie per crescere, ma per
sviluppare le proprie potenzialità deve essere riconosciuto, a livello istituzionale, fiscale, normativo, come un
attore economico a tutti gli effetti.
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