Vittime del nazismo: olocausto e olocausti Introduzione Con l’istituzione, nel luglio del 2000, da parte del governo italiano del “Giorno della memoria” – da commemorare il 27 gennaio di ogni anno, data in cui l’Armata rossa entrò ad Auschwitz (1945) – si è aperto anche nel nostro paese un dibattito storiografico, iniziato all’estero già da diversi anni, attorno alla questione dell’unicità dello sterminio del popolo ebraico e, di conseguenza, al problema della trasmissione del ricordo dell’Olocausto (a tale termine attualmente si preferisce l’espressione Shoah, che significa “sterminio, distruzione”). Uno dei problemi dibattuti è se il progetto di distruzione integrale del popolo ebraico, sulla base di motivazioni esclusivamente biologiche abbia coinvolto anche altri soggetti. La questione, più specificamente, è quella della legittimità dell’allargamento del concetto di sterminio razziale anche agli zingari (detto porrajmos, letteralmente “grande divoramento”), ai disabili e agli omosessuali. Partendo dalla considerazione che l’idea di razza dei nazisti non investì solo la diseguaglianza fra le “razze” inferiori e superiori ma anche la differenza fra gruppi all’interno della stessa “razza”, la storiografia attuale ritiene che nella Germania di Hitler il razzismo antropologico (che promuove la differenza fra le razze) si sia fuso con il razzismo eugenetico (che sostiene l’inferiorità determinata da degenerazioni genetiche all’interno della stessa razza, come nel caso degli omosessuali e dei minorati). Gli zingari potrebbero costituire un esempio di questa fusione. Gunter Lewy, nella sua opera La persecuzione nazista degli zingari, sostiene che di politica pianificata di sterminio su base razziale si può parlare solo nel caso degli ebrei; la persecuzione degli zingari, che pure ci fu e fu massiccia (le stime parlano di 500 000 vittime), non raggiunse mai i caratteri di sistematicità “scientifica” volti alla totale scomparsa biologica di un popolo («A rendere unico il massacro degli ebrei non è il numero delle vittime, bensì l’intento perseguito dai loro assassini»). Piuttosto, furono l’integrazione sociale e la sedentarietà a costituire i criteri di selezione, discriminando i nomadi. Di diverso avviso Henry Friedländer, egli stesso vittima del lager nazista (fra cui Auschwitz), per il quale anche gli zingari furono perseguitati dai nazisti fino a una vera e propria “soluzione finale” in quanto appartenenti a una razza che, per fattori genetici, aveva comportamenti “antisociali” e criminali. Nel suo saggio, Giovanna Boursier affronta la questione degli zingari internati nell’Italia fascista, ponendosi il problema di stabilire se le persecuzioni furono determinate da problemi di ordine pubblico oppure se vi fossero motivi eugenetici e di purificazione della razza. In questo caso la questione è controversa perché se da un lato gli zingari non rientravano nella legislazione razziale del 1938, dall’altro studiosi e funzionari pubblici dell’epoca mettevano in risalto le qualità (negative) «psico-morali razziali» degli zingari. Per quanto riguarda gli omosessuali, un documento curato dal United States Holocaust Memorial Museum di Washington evidenzia l’intenzione di tipo eugenetico che ne ispirò la persecuzione: ad essere internati furono infatti gli omosessuali tedeschi e non quelli dei territori occupati durante la guerra, per il motivo che soltanto i primi rappresentavano un pericolo di corruzione per la razza ariana. Per zingari e omosessuali, fattori concomitanti rendono in ogni caso difficile definire in modo univoco natura e numeri delle persecuzioni: per gli zingari, avendo una cultura prevalentemente orale, mancano testimonianze scritte delle vittime del porrajmos (la memorialistica dello sterminio ebraico è al contrario vastissima), mentre per gli omosessuali è difficile valutare l’entità della persecuzione sia perché spesso, come in Italia, venivano internati per motivi ufficialmente diversi dall’omosessualità, sia per i pregiudizi, ancora oggi radicati, che hanno steso un velo di silenzio sulla storia, tuttora incompleta, di queste “vittime dimenticate”. L’unico olocausto fu quello degli ebrei Gunter Lewy è professore emerito all’università del Massachusetts. È specialista dei rapporti fra il nazismo e la chiesa. Tra le sue opere ricordiamo I nazisti e la chiesa (1965) e La persecuzione nazista degli zingari, da cui è tratto il brano che segue. Personalmente, ritengo che, oggi come oggi, abbiamo acquisito una documentazione sufficiente a dirimere la questione e a respingere il preteso parallelismo. Le azioni intraprese dai nazisti contro gli zingari non erano determinate da «una politica di sterminio coerente e complessiva, basata sull’ereditarietà», secondo la definizione di Sybil Milton. Nonostante l’indubbio richiamo a criteri razziali, in particolare a partire dal 1938 circa, va sottolineato come tali criteri siano stati utilizzati in maniera contraddittoria. Infatti, per quanto riguarda gli ebrei, gli «ebrei puri» erano il simbolo del male escatologico da distruggere, mentre ai Mischlinge veniva riservato un trattamento un po’ migliore. Nel caso degli zingari le cose si ponevano in modo esattamente contrario. I sanguemisti erano considerati l’elemento pericoloso e asociale, mentre «gli zingari puri» e i «Mischlinge buoni», in base al decreto Auschwitz, erano esentati da deportazione e sterilizzazione. Un numero notevole, se non la maggioranza degli zingari del Reich scampò alla deportazione nei territori orientali. Il criterio dell’integrazione sociale ebbe un ruolo importante nell’opera di selezione: gli zingari non furono selezionati per lo sterminio «perché esistevano». Cosa più importante: non fu mai formulato alcun piano generale di sterminio della popolazione zingara e, come già osservato, la documentazione mostra che non venne in alcun modo avviato. Anche l’ordine della soluzione finale non figura in alcun genere di documentazione scritta, e ci si può domandare se, in effetti, sia mai stata oggetto di una disposizione specifica. Tuttavia, in base agli eventi, ai documenti e alle testimonianze, è possibile ricostruire nelle grandi linee il meccanismo decisionale che portò all’annientamento degli ebrei. I massimi esponenti del potere nazista e una schiera di funzionari minori – da Hitler a Himmler scendendo sino ai vari Hans Frank e ai burocrati del ministero dei Territori orientali occupati – hanno sovente accennato alla distruzione degli ebrei come di un’operazione in corso. Nel caso degli zingari non esiste invece alcun apparato documentario del genere; nonostante la persecuzione e le iniziative assunte contro di loro avessero carattere di maggior pubblicità e trasparenza. In ultima analisi, come giustamente osservato da Steven Katz, «furono soltanto e unicamente gli ebrei le vittime di una feroce aggressione con caratteristiche di genocidio meditato e scientemente attuato dagli assassini nazisti». La politica nazista nei confronti degli zingari non ebbe quel carattere di fanatismo monomaniacale che contraddistinse l’aggressione omicida contro gli ebrei. A interi segmenti della popolazione zingara, dai «socialmente integrati» ai «sedentari», fu in linea generale riservato un trattamento più morbido. Gli zingari erano considerati una «molestia» e una «piaga», ma non certo la maggior minaccia incombente sul popolo germanico; proprio per questo fu loro riservato un trattamento diverso da quello riservato agli ebrei. [...] Il punto non è affatto quello di stabilire se il massacro degli ebrei nel corso della seconda Guerra mondiale sia più malvagio di altri abomini commessi dai nazisti. In gioco è, invece, unicamente la correttezza storiografica. A rendere unico il massacro degli ebrei non è il numero delle vittime, bensì l’intento perseguito dai loro assassini. Soltanto nel caso degli ebrei, l’intento dei nazisti fu quello di annientarli sino all’ultimo uomo, donna, bambino. Questo disegno di annientamento totale merita pertanto un suo appellativo specifico: quello di «olocausto» o di «Shoah». Il termine «genocidio», nella definizione che ne ha fornito la Convenzione, comprende vari atti finalizzati a distruggere un gruppo di popolazione in tutto o in parte e non si limita alle uccisioni. Il termine «olocausto» riguarda il tentativo di distruzione fisica di un intero popolo perseguita con spietata determinazione e realizzata, almeno nella sua fase finale di assoluta distruttività, mediante i metodi di produzione di massa caratteristici della fabbrica contemporanea. Unicamente gli ebrei furono vittima di una simile distruttività. [...] La questione delle somiglianze tra le persecuzioni attuate dai nazisti contro zingari ed ebrei è diventata motivo di divisione in sede di progettazione dell’U.S. Holocaust Memorial Museum di Washington. Nei primi anni Ottanta del secolo scorso, Ian Hancock, professore di inglese e di linguistica all’Università del Texas e rappresentante statunitense della International Romani Union presso le Nazioni Unite, avanza la duplice richiesta di una rappresentanza zingara in seno all’Holocaust Memorial Council e dell’adeguato inserimento del genocidio nazista degli zingari nella sezione espositiva del museo. Secondo Hancock, anche gli zingari erano stati assassinati per il semplice fatto di essere tali. Era la sopravvivenza di vecchi stereotipi del museo sono presenti le vittime zingare, ma risulta chiaramente che la loro esperienza fu differente da quella degli ebrei [...] l’Holocaust Memorial Museum non ha equiparato le persecuzioni di zingari ed ebrei. G. Lewy, La persecuzione nazista degli zingari, Einaudi, Torino 2002, pp. 323-326. La razza zingara come razza criminale Henry Friedländer (1930) insegna al Brooklyn College della City University di New York. È autore di Olocausto: ideologia, burocrazia e genocidio (1980) e di La rivoluzione tedesca del 1918 (1992). La sorte della minoranza zingara era destinata a cambiare radicalmente con l’ascesa al potere dei nazisti. La minoranza zingara, composta da un numero complessivo di individui che andava dai 30.000 al 35.000, era estremamente sparuta, dato che, nel 1933, all’incirca rappresentava solo lo 0,05 per cento della popolazione tedesca e in Austria la proporzione era più o meno la stessa. [...] Nel 1933, la maggioranza degli zingari tedeschi e austriaci aveva domicili e impieghi regolari, anche se alcuni di questi impieghi (per esempio, il commercio a cavallo e le arti circensi) erano impieghi itineranti [Wandergewerbe]. Sulle prime, il regime nazista si limitò a intensificare i vigenti regolamenti contro gli zingari. Ma tali regolamenti, pur basandosi su degli stereotipi, erano mirati essenzialmente a controllare la loro condotta e perciò tracciavano una distinzione tra zingari nomadi e domiciliati. In quanto regime della legge e dell’ordine, il governo nazista continuò a riconoscere questa distinzione, concentrandosi sugli zingari nomadi in quanto cosiddetti Asozialen [asociali] che costituivano una minaccia per la stabilità sociale. Il regime, tuttavia, aveva scopi più ampi. [...] I suoi capi erano convinti che determinati comportamenti avessero base ereditaria e, perciò, commissionarono degli studi scientifici per stabilire quali fossero i gruppi tendenti a manifestare atteggiamenti antisociali. Essi credevano anche che vi fosse un nesso tra comportamento e razza e che l’appartenenza a una data razza fosse una causa diretta di comportamento deviante. Per quanto concerne gli zingari, scienziati e ufficiali di polizia della Germania nazista credevano che i tratti di questa razza aliena generassero criminalità e che, di conseguenza, per definire un individuo come criminale, era sufficiente classificarlo come zingaro. Ovviamente, come nel caso dei disabili, la classificazione doveva avere basi «scientifiche». Robert Ritter fu lo scienziato della razza scelto per sovrintendere alla classificazione degli zingari. [...] La ricerca condotta da Ritter e dai suoi associati era mirata a ricostruire l’albero genealogico di tutti gli zingari, a registrare i membri di famiglie estese, i matrimoni con gli esterni al gruppo, la salute fisica, l’istruzione, la fedina penale e la posizione sociale. [...] Alla fine, essi classificarono circa 30.000 zingari, ricostruendo alberi genealogici accompagnati da storie di singoli individui con foto, documenti ufficiali, misure e altri dati fisici. Considerando il loro approccio di ricerca eugenetico, la loro visione razzista, e i loro pregiudizi nei confronti degli zingari, non sorprende che Ritter e la sua équipe giunsero alla conclusione che gli zingari in quanto gruppo erano degenerati, criminali e Asozialen e che questa loro natura era ereditaria. Essi erano inoltre convinti che l’impulso degli zingari a viaggiare fosse ereditario. [...] Una legge sugli zingari non venne mai promulgata. Furono gli eventi a precedere l’attività legislativa, man mano che il regime nazista intensificava senza sosta la persecuzione, abbracciando soluzioni sempre più radicali. Non era possibile promulgare una legge che legalizzasse simili provvedimenti perché le soluzioni radicali venivano tenute segrete e non venivano mai inserite in atti pubblici. Fu per questo stesso motivo che Hitler proibì di promulgare una legge sull’eutanasia e che nei documenti pubblici non venne scritta una riga a proposito della vera soluzione del problema ebraico. Le soluzioni finali – contro i disabili, gli ebrei e gli zingari – rimasero atti amministrativi segreti. H. Friedländer, Le origini del genocidio nazista. Dall’eutanasia alla soluzione finale, Editori Riuniti, Roma 1997, pp. 348-353 e 361. Omosessuali, vittime dimenticate United States Holocaust Memorial Museum di Washington è stato istituito nel corso degli anni ottanta e raccoglie documentazione, testimonianze e reperti sull’Olocausto. Il testo qui proposto fa parte di una delle pubblicazioni curate dal museo. Con l’intento di purificare la società tedesca e propagare l’ideale di razza Ariana, i nazisti condannarono gli omosessuali come “socialmente aberranti”. Subito dopo essere stato eletto, il 30 gennaio 1933, Hitler mise fuori legge tutte le associazioni gay e lesbiche. Le Camicie Brune (SS), razziarono i luoghi di incontro e di socializzazione degli omosessuali. [...] Nel 1934 fu istituito uno speciale reparto della Gestapo che si occupava degli omosessuali; la Gestapo era la Polizia segreta di Stato e il nuovo reparto si chiamava “Reichzentrale zur Bekämpfung der Homosexualität” (Centrale dell’Impero per combattere l’omosessualità). Uno dei suoi primi incarichi fu quello di stilare le “Liste rosa” – elenchi di dati personali privati sugli omosessuali – in tutta la Germania. La Polizia teneva già questi elenchi di sospetti omosessuali a partire dal 1900 circa. L’1 settembre 1935 fu approvata una versione modificata e più dura del Paragrafo 175 del Codice Criminale, originariamente istituito nel 1871; venivano così puniti un’ampia serie di comportamenti e idee “licenziosi o lascivi” fra uomini. Nel 1936 il leader nazista Heinrich Himmler creò un Ufficio centrale del Reich per combattere l’omosessualità e l’aborto. [...] Il collegamento nella persecuzione dell’omosessualità e dell’aborto rifletteva la politica demografica del regime nazista, che promuoveva un alto tasso di natalità della “razza Ariana”. [...] In conseguenza della revisione del Paragrafo 175 e della creazione dell’Ufficio speciale II S, il numero dei perseguitati aumentò notevolmente raggiungendo il massimo nel triennio 1937-1939. [...] Fra il 1933 e il 1945 circa 100.000 uomini furono arrestati come omosessuali, e di questi almeno 50.000 furono incriminati. La maggior parte di questi scontò la condanna in prigione ed un numero variabile da 15.000 a 30.000 fu deportato nei campi di concentramento. Non si saprà mai quanti vi morirono, soprattutto perché la ricerca storica è molto limitata. [...] Come altre categorie di internati, gli omosessuali furono fatti oggetto di crudeli esperimenti medici, compresa la castrazione. Nel campo di concentramento di Buchenwald, il medico danese delle SS Carl Vaernet operava i “175ini” per farli diventare eterosessuali: inseriva una capsula che rilasciava testosterone, un ormone maschile, nel basso ventre. Questa procedura, che non sortì i benché minimi effetti, rispecchiava appieno gli ideali di Himmler ed altri nazisti che cercavano una “soluzione medica” all’omosessualità. In seguito al fallimento dei differenti esperimenti medici, i vertici delle SS decisero di risolvere il “problema” dando il via alla eliminazione sistematica dei prigionieri omosessuali. [...] L’omosessualità al di fuori della Germania e dell’Austria, nei cosiddetti “territori annessi”, non era generalmente un obiettivo dell’ideologia e dell’azione del regime nazista; il punto focale, per l’ideologia nazista, rimaneva l’impatto negativo dell’omosessualità sulla consistenza e sul tasso di natalità della popolazione Ariana. Durante gli anni della guerra, dal 1939 al 1945, i nazisti non promossero specifiche campagne di arresti contro gli omosessuali dei paesi occupati. [...] Dopo la fine della guerra, i prigionieri omosessuali dei campi di concentramento non furono riconosciuti come vittime della persecuzione nazista e furono loro rifiutati gli indennizzi. [...] La ricerca sulle persecuzioni degli omosessuali da parte dei nazisti fu impedita dalla criminalizzazione e dalla stigmatizzazione degli omosessuali in Europa e negli Stati uniti nei decenni che seguirono l’Olocausto. La maggior parte dei sopravvissuti aveva paura o vergogna a raccontare le loro storie. Recentemente, soprattutto in Germania, sono state pubblicate nuove ricerche su queste “vittime dimenticate”, ed alcuni sopravvissuti hanno rotto il loro silenzio per testimoniare. Le ragioni di un silenzio. La persecuzione degli omosessuali durante il nazismo e il fascismo, a c. del Circolo Pink, Ombre Corte, Verona 2002, pp. 136-140.