«Ladri di bambini» Lo stereotipo senza prove che perseguita i rom

«Ladri di bambini»
Lo stereotipo senza prove che perseguita i rom
Sabrina Tosi Cambini
Quando si dà notizia di fatti come quello recente di Napoli, si apre una voragine in cui la confusione
e i luoghi comuni si alimentano a vicenda. Uno studio sui presunti rapimenti di infanti da parte di
rom e sinti (che sta per andare alle stampe presso la casa editrice Cisu) ci aiuta a capire meglio.
L'indagine fa parte di un progetto di ricerca più ampio sotto la direzione di Leonardo Piasere
commissionato dalla Fondazione Migrantes al Dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale
dell'Università di Verona. La ricerca originariamente copriva il ventennio dal 1986 al 2005, ma si è
protratta fino al 2007. I casi studiati sono stati individuati e analizzati partendo dall'archivio Ansa e
arrivando alla consultazione dei fascicoli dei tribunali. Tra i risultati generali dobbiamo anzitutto
dire che non esiste nessun caso in cui si riscontra un rapimento. Nessun esito, infatti, corrisponde a
una sottrazione dell'infante effettivamente avvenuta e provata oggettivamente. Anche laddove si
apre un processo, il fatto contestato viene sempre qualificato come delitto tentato e non commesso,
le cui circostanze aprono a una complessa valutazione dell'esistenza o meno della volontà dolosa.
Inoltre, in alcuni casi l'identità rom della persona è solo ipotizzata dai denuncianti; in altri l'esito
dell'intervento delle Forze dell'Ordine e delle indagine portano a ritenere che si è trattato di un
equivoco, che i fatti svolti non erano tesi a un'azione criminosa e comunque all'assoluta certezza
dell'inesistenza di un tentativo di rapimento; ancora: si scopre che coloro che denunciano il fatto
sono persone che cavalcano volontariamente il luogo comune degli «zingari ladri di bambini» per
un secondo fine; oppure controlli e perquisizioni nei campi nomadi non portano a niente.
Comparando i casi studiati è possibile notare il ricorrere di poche variabili sia per quanto riguarda
gli attori coinvolti che le dinamiche: gli elementi ripetitivi dei fatti narrati vanno a costruire una
struttura contestuale che si ripete. Ad esempio, nella grande maggioranza, si tratta di «donne contro
donne» ossia è la madre (o un'altra parente stretta) ad accusare una donna zingara (o più donne
zingare) di aver tentato di prendere il bambino; non ci sono testimoni del fatto, tranne i diretti
interessati; gli eventi accadono spesso in luoghi affollati come mercati o vie commerciali; nessuno
interviene in soccorso della madre. Si può affermare che laddove vi è la presenza di un infante,
l'avvicinamento di una persona rom è subito vissuto come un pericolo per il proprio figlio: lo
stereotipo «gli zingari rubano i bambini» risulta essere molto più potente di qualsiasi altro. Non si
ha paura, infatti, che sottraggano il portafogli o la borsa (secondo lo schema mentale «gli zingari
rubano»), ma che portino via il bambino. Infine, per quanto riguarda episodi di sparizione di
bambini, abbiamo ricostruito i vari momenti in cui i rom e sinti entravano tra i soggetti sospetti e gli
esiti degli accertamenti investigativi (sempre negativi).
“Il Manifesto” 22 maggio 2008