IV domenica di quaresima b 22 marzo 2009 La Parola

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IV domenica di quaresima B
22 marzo 2009
La Parola
Prima lettura
Dal secondo libro delle Cronache
(2Cr 36, 14-16. 19-23)
In quei giorni, 14 tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in
tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a
Gerusalemme. 15 Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi
messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. 16 Ma essi si
beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che
l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. 19 Quindi [i suoi nemici]
incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i
suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi. 20 Il re [dei Caldèi] deportò a Babilonia gli
scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, 21
attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia scontato i suoi
sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni». 22 Nell’anno
primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa,
il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per
iscritto: 23 «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della
terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi
appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”». Parola di Dio.
Dal Salmo 136 (137)
Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia.
Lungo i fiumi di Babilonia,
là sedevamo e piangevamo
ricordandoci di Sion.
Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre.
Perché là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
allegre canzoni, i nostri oppressori:
«Cantateci canti di Sion!».
Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra.
Mi si attacchi la lingua al palato
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.
Seconda lettura
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini
(Ef 2, 4-10)
Fratelli, 4 Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, 5 da morti che
eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. 6 Con lui ci ha anche
risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, 7 per mostrare nei secoli futuri la straordinaria
ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. 8 Per grazia infatti siete
salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; 9 né viene dalle opere, perché
nessuno possa vantarsene. 10 Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio
ha preparato perché in esse camminassimo. Parola di Dio.
Lode e onore a te, Signore Gesù! (cfr Gv 3, 16)
Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito;
chiunque crede in lui ha la vita eterna.
Dal Vangelo secondo Giovanni
(Gv 3, 14-21)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «14 Come Mosè A innalzò il serpente nel deserto, così bisogna
che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15 perché chiunque crede in lui B abbia la vita eterna. 16 Dio infatti C
ha tanto amato D il mondo E da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto,
ma abbia la vita eterna. 17 Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma
perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è
già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19 E il giudizio è
questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le
loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue
opere non vengano riprovate. 21 Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente
che le sue opere sono state fatte in Dio». Parola del Signore.
Note del testo
Il brano di questa domenica è la conclusione del dialogo tra Gesù e Nicodemo. Può essere utile
ricordare qual è il tema del dialogo tra Gesù e questo “maestro in Israele” che va a trovarlo di notte.
Nicodemo è un capo dei Giudei e probabilmente va da Gesù per cercare di capire meglio chi è questa
persona in cui già riconosce un “maestro venuto da Dio”. Alla domanda posta da Nicodemo, Gesù
risponde che bisogna “rinascere dall’alto”, risposta che naturalmente Nicodemo non capisce. Nicodemo
ha scelto per il suo incontro l’ora del buio, forse con la vaga intuizione che Gesù lo può condurre alla
luce.
La lettura del libro delle Cronache dà una visione dell’alleanza tra Dio e il suo popolo: si nota il
contrasto tra l’infedeltà del popolo e la fedeltà di Dio. In un primo tempo l’ira di Dio si manifesta nella
distruzione di Gerusalemme e del tempio; ma questa ira è provvisoria e lascia poi il posto al trionfo
dell’amore e del perdono di Dio. Il decreto di Ciro che permette il ritorno degli esuli è il segnale della
rinascita di Israele; il peccato, per quanto grave non ha cancellato la fedeltà di Dio.
(A): Il termine ebraico e aramaico per ‘innalzare’ indica anche l’appendere, il sospendere da un luogo
alto. La parola aramaica che indica l’asta su cui è innalzato il serpente significa pure ‘segno’. Nel libro
della Sapienza, a proposito del segno di Mosè (16,6-7) è detto: “..chi si volgeva a guardarlo era salvato
non da quel che vedeva, ma solo da te, salvatore di tutti”. Solo Dio può essere autore della vera
salvezza, perché chi vede Gesù innalzato sulla croce, vede il Padre. Con il termine ‘innalzare’ (ebr.
Nasah) si può alludere tanto alla morte di croce quanto alla sua glorificazione. In entrambi i casi Gesù è
‘sollevato’ da terra. L’unione dei due concetti di morte-risurrezione attraverso l’unica categoria
dell’innalzamento (o elevazione) è fondamentale per capire la cristologia giovannea. La croce viene
considerata nella stessa linea dell’esaltazione. Essa non rappresenta il punto più basso dell’umiliazione
di Cristo, ma l’inizio del suo ritorno al Padre. In questo modo i tre momenti della morte-risurrezioneglorificazione costituiscono le fasi successive della sua esaltazione.
(B): Tutto quanto è legato alla vicenda pasquale del Cristo è necessario, poiché realizza il piano di Dio
predetto nelle Scritture. Nella sua morte, risurrezione e glorificazione si compie la profezia di Is 52,1314 sul Servo sofferente: la croce non è umiliazione subita per mano di uomini, ma inizio
dell’innalzamento del Servo, per mano di Dio. Nel Figlio prediletto sono espiate le colpe del popolo,
ecco perché ‘bisogna’ che ciò accada “affinché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Comunicare
la vita divina è lo scopo finale dell’azione salvifica di Dio.
(C): Per dire come Dio abbia tanto amato il mondo, non si dice solamente che Dio ha dato il suo Figlio
unigenito, non si dice soltanto che in questo Figlio unigenito bisogna credere per avere la vita eterna e
quindi non morire, ma si dice che “Dio infatti” e questo “infatti” collega strettamente questa
dichiarazione ai primi due versetti del vangelo dove si fa riferimento al serpente di bronzo innalzato da
Mosè nel deserto (Nm 28,1-9). Il senso di questo racconto è che attraverso il serpente di bronzo Dio
interviene per risanare i morsi di altri serpenti in cui il popolo vede un castigo per i propri peccati.
Dunque il segno del serpente innalzato rimanda al peccato e al perdono. L’amore di Dio, il suo darci il
Figlio, la sua volontà di darci la vita eterna, questo lo si riscontra nell’episodio dei serpenti velenosi.
Un evento inquietante, che i commentatori ci invitano a leggere in questo modo: la cosa che salva non è
il serpente, ma è il guardare in alto, l’essere posti in alto. Allora, naturalmente, l’amore di Dio è un
amore riconducibile all’elevazione di Cristo in croce. Nel Cristo elevato e al Cristo elevato siamo
invitati a guardare, a volgere il nostro sguardo: in lui noi abbiamo la salvezza. Certo, il guardare in alto
implica il sapere che la nostra condizione è la condizione dei minimi, è la condizione dei poveri, è la
condizione di coloro che non possono far altro che guardare tutto dal basso verso l’alto. Se siamo
innalzati e occupiamo una posizione elevata deve essere la posizione del Cristo in croce, deve essere la
posizione di coloro che vengono scelti per dire al mondo che Dio li ama, di coloro che vengono scelti
per dire al mondo che Dio non si è stancato di amarlo il mondo. In fondo gli innalzati sono coloro che
mediante la passione sono conformi al Cristo. E guardando a loro siamo certi che Dio non si è stancato
di noi. Guardando gli innalzati del mondo, guardando a coloro che sono innalzati per il peso delle loro
croci, per l’abisso della loro sofferenza, siamo certi che il Signore vuole comunicarci la vita eterna.
(D): Il mondo ha, nel vocabolario di S. Giovanni, una connotazione negativa, indicando quella realtà
concreta della storia umana che si è realizzata come lontana da Dio. Il mondo è la realtà da cui il
cristiano deve guardarsi, ma è nello stesso tempo quella realtà che Dio ama al punto da renderla degna
del dono del suo Figlio unigenito. Dio ha amato il mondo, cioè ha amato l’uomo concreto, l’uomo della
sfiducia, l’uomo del peccato, l’uomo dell’allontanamento da lui. In questo concetto sta un po’ tutto
l’agire di Dio. La considerazione che Dio ha del mondo la esprime dando il suo Figlio unigenito.
(E): Qualcuno legge: “da gettare il suo Figlio”. E’ tanto importante per Dio che si colga il bene che ci
vuole, che giunge perfino a fare di Gesù un “gettato”, un “buttato”. Certo, legare l’amore a questo
verbo “gettare” è proprio solo di Dio. Noi non getteremmo mai nessuno per dimostrargli il bene che gli
vogliamo. Dio lo ha fatto.
Quando si dice che Dio ha donato il suo Figlio unigenito, il senso è che Dio ha donato se stesso nel suo
Figlio unigenito: ha donato la ricchezza della sua vita e del suo amore. Lo scopo a cui tende l’amore di
Dio è la vita dell’uomo e questo termine vita va inteso nella sua pienezza. Pure intendendo certamente
un riferimento alla vita fisica, quella vita eterna è una vita che vince i limiti della condizione umana e si
intende vita di comunione con Dio.
Prefazio suggerito: “Nel mistero della sua incarnazione egli si è fatto guida dell’uomo che camminava
nelle tenebre, per condurlo alla grande luce della fede. Con il sacramento della rinascita ha liberato gli
schiavi dell’antico peccato per elevarli alla dignità di figli” (prefazio della IV domenica di quaresima).
Padri della chiesa
(Gv 3,14-21) La strada attraversa nuovamente il deserto e il popolo nella disperazione è esausto per la
fame e la sete. Il popolo è ancora attratto dai desideri terreni e inclinato alle voluttà egiziane: e poiché i
loro desideri sregolati suscitavano serpenti il cui morso inoculava un veleno mortale in coloro che ne
erano vittime, il grande legislatore supplicò il Signore che rendesse vano il potere dei serpenti. Il
Signore disse a Mosè: Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo
guarderà, resterà in vita. Qui si manifesta il mistero della fede, il cui segreto principale è guardare
verso la passione di colui che ha accettato di soffrire per noi. E passione vuol dire croce. Quelli che si
innalzano nella propria superbia e confidano nella loro giustizia non troveranno la salvezza che viene
da Dio; ma chi guarda verso la croce, come indica la Scittura, resta illeso dal veleno del desiderio.
Rivolgersi verso la croce vuol dire rendere tutta la propria vita morta al mondo e crocifissa, vuol dire,
come afferma il profeta, inchiodare la propria carne con il timore di Dio (cf. Sal 118,120). Il desiderio
disordinato fa uscire dalla terra serpenti mortali e ogni germoglio della concupiscenza cattiva è un
serpente; per questo la legge ci indica colui che si manifesta sul legno della croce e ci offre la salvezza.
L’uomo infatti viene liberato da colui che si è fatto simile a noi che ci eravamo rivolti verso la forma
del serpente. Grazie a lui, la morte che consegue al morso è fermata ma i serpenti stessi non vengono
distrutti. Infatti coloro che guardano alla croce non sono più soggetti alla morte, ma la concupiscenza
che agisce nella loro carne contro lo Spirito non è interamente distrutta. In realtà i morsi del desiderio si
fanno spesso sentire, ma l’uomo che guarda a colui che è stato elevato sul legno, respinge la passione,
dissolvendo il veleno con il timore del comandamento. Che il simbolo del serpente innalzato nel
deserto sia simbolo del mistero della Croce, il Signore stesso lo insegna chiaramente dicendo: Come
Mosè innalzò il serpente nel deserto,così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo (Gv 3,14).
(Gregorio di Nissa, Vita Moysis, nn. 269-277).
Altri autori cristiani
Dio per primo ci ha amati e continua ad amarci per primo; per questo anche noi possiamo rispondere
con l’amore. Dio non ci ordina un sentimento che non possiamo suscitare in noi stessi. Egli ci ama, ci
fa vedere e sperimentare il suo amore e, da questo «prima» di Dio, può come risposta spuntare l’amore
anche in noi. Nello sviluppo di questo incontro si rivela con chiarezza che l’amore non è soltanto un
sentimento. I sentimenti vanno e vengono. Il sentimento può essere una meravigliosa scintilla iniziale,
ma non è la totalità dell’amore. (...) Il riconoscimento del Dio vivente è una via verso l’amore, e il sì
della nostra volontà alla sua unisce intelletto, volontà e sentimento nell’atto totalizzante dell’amore.
Questo però è un processo che rimane continuamente in cammino: l’amore non è mai «concluso» e
completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso.
“Volere la stessa cosa e rifiutare la stessa cosa“, è quanto gli antichi hanno riconosciuto come autentico
contenuto dell’amore: il diventare l’uno simile all’altro, che conduce alla comunanza del volere e del
pensare. La storia d’amore tra Dio e l’uomo consiste appunto nel fatto che questa comunione di volontà
cresce in comunione di pensiero e di sentimento e, così, il nostro volere e la volontà di Dio coincidono
sempre di più (Benedetto XVI, Deus caritas est, 38-40).
I cristiani dovrebbero imparare ad essere più discreti nell’uso dei termini «amore» e «carità». Ben
prima di indicare ciò che dobbiamo fare, essi sono il Nome più alto di Dio: pertanto, nominare a
sproposito l’amore e la carità equivale a nominare invano Dio stesso, cioè a vanificare Dio, a
depotenziarlo, a svuotarlo. Dio è la fonte dell’amore, anzi, essendo Dio stesso «amore», essendo il
Cristo stesso «amore», la carità è prima di tutto un soggetto. (...) Io sogno una chiesa che non accetti di
lasciarsi definire dalle tante cose che vuole essere e fare, ma che sia semplicemente questa matrice in
cui il cristiano viene accolto e amato, in cui viene fatto crescere per diventare un giorno capace di
amore. Ho invece l’impressione che si facciano crescere persone che si vogliono protagoniste d’amore
per gli altri prima di averlo conosciuto esse stesse. E conoscere l’amore significa conoscere Cristo. Si
delinea così un itinerario dalla conoscenza all’amore che funziona in duplice senso: più conosco Cristo,
più mi sento amato da lui che è Amore; più conosco Cristo, più lo amo. Per questo l’Amore, l’Agape,
la Carità, con l’iniziale maiuscola, non possono essere stemperatte nella carità troppo sovente sulla
bocca dei cristiani (E. Bianchi, Da forestiero nella compagnia degli uomini, 84-86).
Tenebre e luce, negazione e accoglienza, ignoranza e conoscenza, limite umano e salvezza di Dio. La
conoscenza di Dio mette l’uomo di fronte a continue scelte, cioè ad una continua selezione fra ciò che
si sceglie e ciò a cui si rinuncia; e proprio la capacità di scegliere contemplando le inevitabili privazioni
è un elemento complicato nel nostro mondo, nel quale una grande varietà di possibilità illude l’uomo di
avere molte scelte, mentre vincola a molte dipendenze e genere l’incapacità e l’immaturità della
decisione. Il profondersi di grazia che sale dalla Parola di questa domenica può essere un tesoro
importante qui dove siamo ristretti noi per aiutarci a ripartire dal dono di Dio senza meriti dell’uomo;
se riusciremo in questo, in futuro saremo in grado di trasmettere a chi incontriamo questa esperienza di
amore che salva e testimoniare questa prospettiva ovunque andiamo. La vita è fatta di paure, violenze,
punti deboli, cedimenti, cadute. Passati dalla violenza, ci si è aperto l’orizzonte attraverso il perdono e
la speranza; con essi possiamo cercare di essere utili all’apertura degli altri. In questo modo, anche il
colloquio con i nostri familiari o congiunti non è più compianto, elemosina, commiserazione o
addirittura prevaricazione e rivendicazione, ma diviene incontro fra pari, in un dare e ricevere
reciproco. Tante volte nella vita siamo ad un bivio: il passaggio è grazia e richiede risposte e decisioni;
eppure non saranno queste a salvarci, ma l’azione di Dio attraverso la scelta fatta da Cristo di
condividere la sofferenza e la morte degli uomini. Ogni nostro atto non sarà mai paragonabile a questo.
Con questa consapevolezza anche lo sfruttare al meglio la propria intelligenza e sensibilità non potrà
mai essere motivo di vanto e orgoglio, ma solo la piccola e povera risposta all’azione di Dio che
continua la Creazione attraverso di noi (Diaconia dell’O.P.G.).
Paralleli e riferimenti biblici
vv 14-15 Nm 21,6-9: Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti velenosi i quali mordevano la
gente e un gran numero d’Israeliti morì. Allora il popolo venne a Mosè e disse: «Abbiamo peccato,
perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; prega il Signore che allontani da noi questi
serpenti». Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta;
chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di rame e
lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame,
restava in vita.
Gv 8,25.28: Gli dissero allora [i Giudei]: «Tu chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che vi dico. (…)
Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso,
ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo».
Gv 20,30-31: Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in
questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché,
credendo, abbiate la vita nel suo nome.
v 16 1Gv 4,9-10: In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito
Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad
amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri
peccati.
Gv 10,28-30: [Disse Gesù:] «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio
che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre
siamo una cosa sola».
Rm 8,31-32: Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha
risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?
v 17 Mt 9,12-13: Gesù disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate
dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto
a chiamare i giusti, ma i peccatori».
2Cor 5,17-20: Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne
sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha
affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo,
non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo
quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di
Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.
v 18 Giov 1,29: Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: «Ecco l’agnello di
Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!»
Gv 5,21-24.30: «Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole;
il Padre infatti non giudica nessuno ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio
come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. In verità, in
verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va
incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. (…) Io non posso far nulla da me stesso;
giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la
volontà di colui che mi ha mandato».
Mc 16,16: «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato».
At 4,8-12: Allora Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi
veniamo interrogati sul beneficio recato ad un uomo infermo e in qual modo egli abbia ottenuto la
salute, la cosa sia nota a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che
voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo. Questo Gesù è
la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non
vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati».
Fil 2,5-11: Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di
natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se
stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha
dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei
cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
v 19 Gv 8,12: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce
della vita».
Gv 1,9-13: Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il
mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi
non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che
credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio
sono stati generati.
Gv 20,23-24.27-36: Gesù rispose: «È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo. In verità, in
verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce
molto frutto. (…) Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per
questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho
glorificato e di nuovo lo glorificherò!». La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un
tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Rispose Gesù: «Questa voce non è venuta per me,
ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io,
quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me». Questo diceva per indicare di qual morte doveva
morire. Allora la folla gli rispose: «Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno;
come dunque tu dici che il Figlio dell’uomo deve essere elevato? Chi è questo Figlio dell’uomo?».
Gesù allora disse loro: «Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce,
perché non vi sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce
credete nella luce, per diventare figli della luce».
vv 20-21 Ef 5,1-2.8-14: Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità,
nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di
soave odore. (…) Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i
figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al
Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente,
poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare. Tutte queste cose che
vengono apertamente condannate sono rivelate dalla luce, perché tutto quello che si manifesta è luce.
Per questo sta scritto: «Svègliati, o tu che dormi, déstati dai morti e Cristo ti illuminerà».
Gv 18,37: [Disse Gesù a Pilato:] «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per
rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Gv 17,6-9.17: «Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li
hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato
vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno
veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego
per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi. (…) Consacrali nella verità».
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