la parola della domenica

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la parola della domenica
Anno liturgico B
omelia di don Angelo nella solennità dell’Epifania del Signore
secondo il rito ambrosiano
6 gennaio 2015
Is 60,1-6
Sal 71
Tt 2,11-3,2
Mt 2,1-12
Epifania, ovvero svelamento, festa legata al midrash di Matteo che costruisce un storia ricca
di simboli e allusioni. Vorresti sentirtela leggere, forse più volte all’anno, perché è un
racconto che si accende di stelle, di dune, di spaesamenti e di ritrovamenti e poi ancora di
cammini, perché le nostre storie non sono mai concluse. Forse, e senza forse, anche alla
mia età mai concluse.
E si riparte, come peraltro avviene per i magi, per un’altra via, si dovrebbe sempre ritornare
alla vita per un’altra via, intravvista in un tenue balenare di luce.
Festa di Gesù, adorato, l’epifania, ma anche di popoli in cammino, di donne e uomini in
ricerca. Lo spazio è l’immensità, il senza confini, un respiro universale. Festa per un
racconto di luce – era l’antica festa del natale, racconto della luce che viene nel mondo –
ma anche racconto delle ombre, delle notti dell’umanità. Per questo la sentiamo nostra,
l’epifania: perché al nostro vivere appartengono sì le luci, ma anche le tenebre, non solo le
accensioni delle stelle, ma anche la scomparsa delle stelle.
Le accensioni delle stelle o, se volete, per i magi l’accensione di una stella diversa, una
stella che sembrava parlare, che diceva qualcosa di più delle altre, sembrava segnalare, era
un inizio. Bisogna stare attenti agli inizi.
Vengono dall’Oriente: “Giunsero” è scritto “da Oriente a Gerusalemme”. Da Oriente, senza
aggettivi, senza precisazioni. E’ paese grande, questa parola “Oriente”: non è un paese, e
possono essere tutti i paesi. Certo è là dove sorge una luce. Sorge, non è luce piena, non è
luce imponente, luogo degli inizi, della tenerezza degli inizi, luogo dell’aurora: “voglio
svegliare l’aurora” sta scritto nel salmo. Questo stadio aurorale che non è luce
fiammeggiante su tutto il cielo. E, proprio perché non lo è, ti consente di vedere una stella
percorrere il cielo: “abbiamo visto sorgere la sua stella”. Senza qualche buio, senza qualche
ombra, non vedresti le stelle.
“Da Oriente” sta ad indicare dunque un paese dello spirito: terra di uomini e donne che non
danno mai niente per scontato. A loro basta una intuizione, un’accensione nella coscienza
per partire. Spesso con il risolino degli uomini del pragmatismo che fanno ironia su di loro,
suoi soliti sognatori che non sanno cosa vuol dire stare con i piedi per terra, quelli del loro
paese che, immaginiamo, non avranno fatto altro che continuare a irriderli quando, al loro
ritorno, si saranno sentiti raccontare che il re dei Giudei era un bambino in un casa
qualunque. Tutto qui? Tutto quel viaggio per vedere un bambino come tanti altri, in braccio a
una madre come tante altre, in una casa come tante altre? “Tutto qui?”. A volte
l’espressione risuona anche in mezzo a noi, con il triste potere di spegnere, quasi un gelo di
brina, gli entusiasmi, l’aurora degli entusiasmi, delle passioni. E come non augurarci di
essere come i magi, capaci di resistere a coloro che spengono le passioni, di lottare
tenacemente contro un mondo che spegne gli entusiasmi di giovani e meno giovani,
un’ironia che spegne l’immaginazione e la creatività di giovani e meno giovani, malattia
mortale: ”tutto qui?” E i magi osano dire che il tutto, sì il tutto era lì, in quel piccolo bambino,
in braccio a una donna, in una casa. Anche noi lo diciamo.
Essere dunque, come i Magi, attenti alle situazioni aurorali ed essere come i magi capaci di
mettersi in viaggio. Come Abramo, come i patriarchi. Vengono dall’Oriente.
I magi. Quante notti avranno attraversato nell’andata e nel ritorno. Ma il buio delle notti alla
fin fine non era stato così faticoso, anzi quasi tollerabile per via dell’oro della stella che
sembrava silenziosamente condurli. Il buio più buio, diciamocelo, lo odorarono in vista di
Gerusalemme: si immaginavano di trovare una città in festa, in un tripudio di strade per la
nascita di un erede al trono. Niente di tutto questo, solo silenzio, persino buio il silenzio.
Buio e inquietante quasi vi si annidasse un infausto presagio, alcunché di minaccioso. E i
gesti li sentivano misurati, i gesti delle autorità politiche e religiose, insieme colluse. La città,
contrariamente a quella evocata dal profeta Isaia, affondava nel buio degli occhi e del
cuore. Immobile, nessuno si mosse, né i capi né i sudditi. Leggevano freddi i libri, davano
parole senza accensioni. Dissero: “A Betlemme, così sta scritto”. Immobili, sospettosi.
Matteo sembra raccontare la vita di Gesù. Segnata in lungo e in largo, tutta la vita,
dall’ostilità di capi politici e religiosi, dalla cieca sudditanza, ai capi, della gente comune. Ne
abbiamo una controprova nei nostri giorni, quando dire il vangelo, dirlo senza sbavature,
scatena attacchi subdoli e vili, là dove ci si consuma in paure della novità del vangelo.
Lontani dalla passione dei cercatori di stelle.
Ebbene io vorrei lasciare queste figure inquietanti e ritornare a quelle fascinose dei magi, dei
cercatori di stelle. E disegnarvi a fianco un’altra figura, quella dei portatori di stelle. Alcuni
amici anni fa mi raccontarono un’antica usanza ancora diffusa nelle valli dell’Alto Adige:
quella di ricevere la visita dei magi nei giorni tra Capodanno e l’Epifania. Tre ragazzi vestiti
da re magi e accompagnati da un portatore della stella, bussano a tutte le case del paese:
vengono attesi e accolti con gioia, perché la loro visita, con canti e incenso, è un augurio di
bene e felicità per tutto l’anno. Per questo vengono ricompensati con piccoli doni. A
testimonianza del loro passaggio i magi tracciano con il gesso, sugli stipiti delle porte, le
iniziali del loro nome e all’interno, quasi fosse abbracciata, la data del nuovo anno. Mi
dicevo: oggi più che mai c’è bisogno di un portatore di stella! Quasi patetico questo ragazzo
che con il suo lungo bastone innalza la stella, se mai la possano intravedere i nostri occhi ,
insonnoliti dall’oppio delle cose. Per fortuna – mi sono detto – non è morta, non è ancora
estinta, la figura del portatore della stella: resiste ancora qualche raro esemplare dentro e
fuori la chiesa e tenta di fare avvertiti anche noi del grande mistero che avvolge la vita.
Forse anche questo è un dono da chiedere in questa eucaristia: essere cercatori, essere
portatori di stelle.
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