Gennaio-Marzo 2010 n.1 Anno XXIV Quaderni di Minimondo Rivista culturale Braille Periodico trimestrale Fascicolo III Direzione Redazione Amministrazione Biblioteca Italiana per i Ciechi 20052 Monza - Casella postale 285 c.c.p. 853200 - tel. 039/28.32.71 e-mail: [email protected] Dir. Resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani, Antonietta Fiore, Luigia Ricciardone, Pietro Piscitelli (Responsabile) Copia in omaggio Stampato in Braille a cura della Biblioteca Italiana per i Ciechi «Regina Margherita» onlus via G. Ferrari, 5/a 20052 Monza Sommario Lucia Jandolo: Musica per il cervello (Psicologia contemporanea» n. 217/10) Chiara Beretta Mazzotta: Santissima Fiction («Meridiani» n. 184/09) Giuliana Rotondi: Suonala ancora Sam («Focus Storia» n. 39) Mauro Novelli: Emilio Lussu: a schiena dritta per la democrazia («Letture» n. 656/09) Comunicato: Modalità utilizzo Corriere per recapito testi Musica per il cervello - È dimostrato che la musica stimola il cervello. Svariate ricerche forniscono importanti fondamenti scientifici alle sue applicazioni terapeutiche. Finalmente si schiudono. Al Dipartimento di Anatomia dell'All India Institute for Medical Sciences di Nuova Delhi, i giovani polli fanno capolino nel mondo e hanno già una certa esperienza in fatto di musica. Dal decimo giorno del loro stadio embrionale, infatti, ogni giorno per 15 minuti, ogni ora per 24 ore al giorno, le uova fertilizzate hanno «ascoltato» il suono del sitar, oltre ad alcuni suoni caratteristici della loro specie. Ovviamente, nessuno dei ricercatori si aspetta di poter allevare dei virtuosi del sitar pennuti! Sperano piuttosto di poter confermare l'ipotesi che la stimolazione uditiva prenatale influenzi lo sviluppo del sistema nervoso dell'embrione di pollo. Musica e intelligenza Da dove nasce una supposizione così apparentemente curiosa? Facciamo un passo indietro. Il 14 ottobre 1993 la rivista scientifica Nature pubblicò una sintesi di un singolare esperimento svolto da Rauscher, Shaw e Ky, i quali avevano indagato la possibile influenza della musica sulle capacità di ragionamento spaziale. I ricercatori testarono un gruppo di 36 studenti universitari, divisi a loro volta in 3 sottogruppi: il primo ascoltò la «Sonata per due pianoforti in Re maggiore» di Mozart (K 448) per 10 minuti, il secondo ascoltò musica rilassante per altrettanto tempo e il terzo gruppo non ricevette alcuna stimolazione sonora. In seguito, tutti gli studenti furono sottoposti ad un test per misurare appunto la capacità di ragionamento spaziale astratto. Il test prevedeva che gli studenti ricomponessero mentalmente un foglio di carta che era stato piegato molte volte e poi tagliato: dovevano cioè essere in grado di riconoscere, scegliendola tra 5 proposte, la forma di partenza del foglio di carta. Quelli che avevano ascoltato Mozart ottennero dei risultati significativamente migliori, ma tale presunto «effetto Mozart» si dimostrò transitorio (durò per 10-15 minuti, il tempo necessario a svolgere il test). Rauscher e colleghi ipotizzarono comunque che la musica di Mozart, in particolare, possa avere un effetto sull'intelligenza, grazie all'analogia, riscontrata da Shaw, Leng e Wright qualche anno prima, tra le onde cerebrali e l'andamento ritmico proprio della musica del famoso artista. L'effetto Mozart Questo studio suscitò grande interesse e provocò reazioni inaspettate: molti studenti statunitensi cominciarono addirittura ad ascoltare la musica di Mozart durante le lezioni e diverse nuove ricerche furono condotte per tentare di riprodurre i risultati di Rauscher e colleghi. In realtà, nessuna di esse è fino ad ora riuscita a ottenere le stesse conclusioni dell'ormai celebre studio del 1993, ancorché nel 1999 Steele, Bass e Crook abbiano tentato di replicarlo fedelmente con un maggior numero di studenti. Le ricerche di Rauscher e colleghi hanno comunque avuto il merito di far rivolgere l'attenzione di molti studiosi ai rapporti tra musica e cervello, compresi i possibili effetti terapeutici dell'ascolto e della pratica della musica sulle malattie del sistema nervoso. Nel 2001 John Jenkins, membro del Royal College of Physicians, fece ascoltare per 10 minuti proprio la Sonata K 448 ad un gruppo di pazienti con epilessia e osservò una diminuzione degli attacchi epilettici. Lo stesso Jenkins ha poi ipotizzato che altri brani musicali con caratteristiche simili alla Sonata di Mozart (ad esempio del repertorio di Bach) possano avere un effetto paragonabile sul sistema nervoso, ma ha anche aggiunto che, affinché la musicoterapia possa effettivamente rivelarsi utile nella cura dell'epilessia, sono necessarie ulteriori ricerche. Nel complesso, tenendo in considerazione le prove a favore e quelle contro, non sembra sia possibile confermare scientificamente l'esistenza di un «effetto Mozart». Tuttavia, l'elaborazione e la produzione della musica sono senza dubbio attività molto complesse che stimolano il cervello a diversi livelli. Questa stimolazione si concretizza nel propagarsi delle sinapsi tra i neuroni, un processo che migliora la conduzione del segnale nervoso. Anzi, un'adeguata stimolazione sensoriale sembra proprio essere necessaria affinché vengano conservati intatti i «corridoi neurali» attraverso i quali viaggiano le informazioni che vengono processate a livello cerebrale. Le basi della musicoterapia Da un punto di vista terapeutico è molto interessante ciò che avviene nel nostro cervello quando reagiamo emotivamente alla musica. A tutti noi è capitato senz'altro di avere la pelle d'oca o di sentire un nodo in gola nell'ascoltare un brano musicale particolarmente emozionante: in uno studio del 2001, Blood e Zatorre hanno dimostrato che la musica, infatti, stimola i medesimi sistemi neurali che vengono attivati dal cibo, dal sesso e dalle droghe. Non solo, gli stessi ricercatori hanno anche osservato che la musica può inibire le strutture del sistema nervoso centrale responsabili dell'ansia e attivare invece quelle che determinano la capacità di attenzione. Queste e altre ricerche forniscono un importante fondamento scientifico alle terapie basate sulla musica, suffragato in molti casi dalle stesse risposte dei pazienti intervistati a proposito dell'utilità di tali procedure. Un recente studio di Rose e Weis (2008), che hanno intervistato pazienti oncologici, ha fornito una prova in tal senso, mostrando come una musica particolarmente ripetitiva e ricca di armonici, ad esempio suonata col monocordo, venga percepita come estremamente rilassante, anche senza che i pazienti abbiano acquisito una specifica tecnica di ascolto. I pazienti particolarmente gravi, invece, traggono grande sollievo dall'imparare a comporre musica. Alcune metodologie musicoterapeutiche, infatti, si basano proprio sulla stimolazione della creatività, allo scopo di facilitare l'elaborazione dei traumi dovuti alla malattia e di aiutare a esprimere liberamente le emozioni. Persino una patologia neurodegenerativa inguaribile, ad oggi, quale la demenza senile, può essere trattata con l'ausilio della musicoterapia. Le ricerche di Götell, Brown e Ekman (2008) hanno dimostrato, in particolare, il valore del canto come attività da associare alle cure quotidiane di questo tipo di pazienti. Se l'infermiere, nell'aiutare il paziente con demenza a lavarsi e a vestirsi, comincia a cantare, stimolando il paziente stesso a fare altrettanto, le tensioni si allentano, le emozioni positive aumentano e il paziente acquisisce un maggiore controllo dei propri movimenti e della propria postura, oltre ad ottenere un miglioramento della propria competenza ed espressività verbale. Anche il ritmo può essere utilizzato come strumento terapeutico, con lo scopo di migliorare la capacità di movimento e la coordinazione. Thaut, McIntosh e Rice (1997) hanno addirittura potuto dimostrare che uno stimolo acustico ritmico può migliorare il controllo dei movimenti nei pazienti colpiti da morbo di Parkinson, così come ascoltare un ritmo regolare può contribuire significativamente a velocizzare le procedure fisioterapeutiche necessarie per la riacquisizione delle capacità motorie da parte di coloro che sono rimasti vittime di incidenti. Naturalmente non bisogna illudersi che la musica sia la panacea di tutti i mali, neppure «soltanto» di quelli che riguardano il sistema nervoso! Tuttavia è ormai certo che possa essere sfruttata con successo per ridurre lo stress e la sensazione di dolore, oltre che per migliorare le capacità espressive e la comunicazione interpersonale. Forse gli studenti poco volenterosi non possono sperare che basti ascoltare passivamente della musica prima di sostenere un esame per poterlo superare a pieni voti, ma, come dimostrato da Bugos e colleghi (2007), giovani e meno giovani possono trarre grande giovamento dallo studio e dalla pratica della musica, soprattutto nelle attività che richiedono memoria. Alla luce di quanto detto, l'idea bizzarra dei ricercatori di Nuova Delhi ci appare senz'altro meno peregrina, tanto più che i giovani polli sottoposti a stimolazione uditiva prenatale hanno effettivamente mostrato un incremento dei fattori responsabili della sopravvivenza e della plasticità delle cellule nervose. Ciò non ci autorizza ad aspettarci che uno di loro sia presto in grado di incantare le platee col suono di un sitar, ma può e deve invece indurci a non sottovalutare il prezioso contributo che la musica, ascoltata, suonata o cantata, può dare al nostro sviluppo, alla nostra maturazione culturale e, in definitiva, al nostro benessere, in tutte le fasi della vita. Glossario essenziale Armonici: I suoni armonici corrispondono a tutti i possibili modi di vibrazione di un corpo sonoro. Ciò significa che un suono prodotto da un corpo vibrante non è mai puro, bensì è costituito da un amalgama in cui al suono principale si aggiungono altri suoni più acuti e meno intensi (gli armonici, appunto). Demenza senile: Tipica della popolazione al di sopra dei 65 anni, è un disturbo, con base organica, delle funzioni intellettive, quali la memoria, il pensiero astratto, la capacità critica, il linguaggio, l'orientamento spaziotemporale. Epilessia: È una condizione cronica neurologica, caratterizzata da crisi violente e improvvise. Tali crisi dipendono dalle scariche eccessive di una popolazione di neuroni più o meno estesa, facente parte della sostanza grigia dell'encefalo. Monocordo: È uno strumento composto da una sola corda, tesa sopra una cassa di risonanza tra due ponticelli e posata su un terzo ponticello intermedio che può essere spostato. Così facendo si può dividere la corda a piacere per ottenere suoni di altezza (frequenza) variabile. Morbo di Parkinson: È una malattia dovuta alla degenerazione cronica e progressiva di un nucleo situato a livello del mesencefalo in cui viene prodotta la dopamina, un neurotrasmettitore con funzione inibitoria, essenziale per il controllo dei movimenti corporei. Nell'organismo si crea perciò uno squilibrio fra i meccanismi inibitori e quelli eccitatori, a favore di questi ultimi. Ciò provoca molti disturbi, tra i quali: tremore a riposo, rigidità, instabilità posturale, disturbi della parola e della scrittura, sintomi ansiosodepressivi. Sebbene il deterioramento intellettivo non rappresenti un elemento tipico delle fasi precoci della malattia, la demenza appare molto frequentemente nelle fasi tardive. Sinapsi: È una struttura altamente specializzata che consente la comunicazione tra le cellule del tessuto nervoso, i neuroni. Attraverso la trasmissione sinaptica, l'impulso nervoso può viaggiare da un neurone all'altro o da un neurone ad una fibra muscolare (giunzione neuromuscolare). Lucia Jandolo I vantaggi dell'insegnamento musicale in età scolastica Il talento musicale si manifesta spesso fino dai primi anni di vita e per diventare musicisti bisogna cominciare molto presto, non oltre i sette anni. Ma a parte questa riconosciuta esigenza professionale, quali effetti ha sul cervello la pratica intensiva e precoce della musica? È la domanda cui ha cercato di rispondere l'équipe condotta dal neurologo Ernst Póppel e dal musicologo Lorenz Welker in una ricerca presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera. Lo studio è stato condotto a Hof, perché in questa città bavarese è in corso ormai da trent'anni un'interessante esperienza didattica: un migliaio di alunni delle scuole elementari e medie hanno la possibilità di frequentare, oltre alle normali lezioni, una scuola di musica dove insegnano 100 professori della locale orchestra sinfonica. Questo modello didattico, unico in tutto il territorio della Repubblica federale, ha permesso ai ricercatori dell'Università di Monaco di formare due campioni omogenei: un gruppo sperimentale di 21 alunni che da circa 12 anni avevano dedicato il tempo libero allo studio della musica e un gruppo di controllo di 21 coetanei che nel tempo libero avevano coltivato altri interessi. Il confronto fra i due gruppi ha prodotto alcuni risultati interessanti. Gli alunni del gruppo sperimentale: - tendevano a percepire le emozioni in maniera più intensa e differenziata, in particolare la gioia e il dolore; - erano capaci di mantenere più a lungo la concentrazione; - soprattutto nei maschi c'era una maggiore resistenza allo stress: esami e altre situazioni difficili anziché inibirli li stimolavano a un maggiore impegno; - le femmine in particolare presentavano una maggiore capacità di lavoro. Per evidenziare i meccanismi neuronali interessati, i soggetti dei due gruppi sono stati sottoposti a uno scanning mediante risonanza magnetica. Come reagiscono le strutture cerebrali dei soggetti in presenza di uno stato d'animo triste o felice, comunicato attraverso la musica o parole espressive? Riferisce lo psicologo Evgeny Gutyrchik: «Nei soggetti che praticano la musica, in risposta a impressioni gioiose o tristi entrano in gioco reti neuronali supplementari. Oltre ai consueti centri di elaborazione degli stimoli percettivi, sono coinvolti in particolare anche centri, come la corteccia orbito-frontale, che presiedono alle emozioni sociali». Ma non è possibile che i bambini che scelgono la musica siano in partenza quelli che presentano queste caratteristiche più spiccate di emotività, concentrazione e capacità di lavoro? Secondo Ernst Póppel, i risultati della ricerca sul cervello indicano che è proprio la pratica della musica a suscitarle, in quanto contribuisce a rafforzare la struttura stessa del tempo mentale: «Una più solida strutturazione del tempo soggettivo permette di ottimizzare certe funzioni cerebrali. Ciò è molto importante ovviamente per suonare uno strumento, ma c'è poi anche un transfer in ambiti diversi, che permette di costruire una cornice adeguata per altre attività». Ciò spiega a suo avviso perché spesso i musicisti riescano bene anche in matematica, nell'espressione verbale e perfino nello sport. Póppel sottolinea però che questi effetti positivi non si ottengono lasciandosi semplicemente inondare dalla musica riprodotta dall'iPod o dallo stereo: «L'apprendimento è sempre legato a una partecipazione attiva». Beatrice Wagner («Psicologia contemporanea» n. 217/10) Santissima Fiction - La Città del Vaticano possiede uno straordinario fascino letterario, e in pochi luoghi al mondo sono state ambientate così tante storie. Quasi tutte - ma non tutte - legate ad atmosfere mystery, thriller e noir. Ecco un parziale catalogo di tanta produzione... Quante storie in Vaticano! Anzi quante storie noir. L'ultima è arrivata in libreria nell'ottobre scorso, l'ha scritta Ugo Barbàra, palermitano trasferito a Roma, redattore all'Agenzia Italia: si intitola In terra consacrata e costruisce un intreccio da quasi cinquecento pagine intorno alla scomparsa di Emanuela Orlandi, la giovane (cittadina vaticana) scomparsa a Roma nel giugno 1983. Il romanzo di Barbàra è in effetti l'ultimo di una lunga serie, che è culminata - almeno come copie vendute - nel noto Angeli e demoni, di Dan Brown. In effetti ci sono pochi luoghi al mondo ad avere una pari capacità di stimolare l'interesse dei narratori e la curiosità dei lettori, cui spesso il Vaticano appare, in certa misura, un posto insondabile e quindi misterioso. «Il turista qui entra in contatto con religione, arte, storia, che stanno a monte di tanti capolavori», dice Claudio Rendina, scrittore e storiografo. «E spesso subentra, nel visitatore, il desiderio di approfondire le origini remote di certa ispirazione, o comunque di viverle in modo nuovo, diverso, appassionante. E nascono così testi di storia alternativa, racconti, romanzi ambientati in questo suggestivo scrigno di misteri». La narrativa, in effetti, continua a giocare sull'idea che la Chiesa sia depositaria di oscuri segreti da difendere a ogni costo, e non è un caso che i romanzi ambientati tra le mura leonine siano, appunto, per lo più thriller, gialli e noir. Non mancano certo i saggi anche se la fiction - rispetto alla saggistica, che vive di teorie e dati certi - permette allo scrittore di valicare il limite del «vero e dimostrato» e di manipolare la realtà con la fantasia, per creare una trama che sappia avvincere. Che si tratti dunque di una «ricostruzione romanzata» o di un romanzo storico, il Vaticano è terreno fertile per far germogliare l'ispirazione. «L'importante è trovare una buona trama», dice la giallista Elisabetta Bucciarelli. «L'ambientazione poi fa il resto. Il Vaticano ha le sue leggi e i suoi misteri. È un mondo piccolo, ma con ramificazioni ovunque. È chiuso, invalicabile, ricco: manoscritti, opere d'arte, enigmi e quesiti esistenziali. È un luogo musicale e altamente evocativo: canti gregoriani, musiche d'organo, odore di incensi... Non ci vuol molto a entrare in clima, ancora meno per sentirsi piccoli di fronte a tanta grandezza».. Di opere di narrativa ambientate fra le mura vaticane ce ne sono tantissime. In un immaginario scaffale, eccone alcune significative. Il tredicesimo apostolo di Michel Benoît Benoît è stato monaco benedettino per vent'anni, dunque conosce la Chiesa dall'interno. Oggi è scrittore, saggista e storico (si interessa soprattutto della Chiesa delle origini). E non a caso il suo romanzo inizia con un delitto che ha, come vittima, padre Andrei, studioso di testi antichi ucciso sul treno che lo riportava a Parigi, dal Vaticano. Il caso è archiviato come suicidio. Ma padre Nil, amico e compagno di studi, decide di indagare. La sua ricerca lo porta indietro nel tempo, ai giorni precedenti la morte di Gesù, all'ultima cena con gli apostoli, a un tradimento che forse non era tale e alla presenza di un tredicesimo apostolo. Una figura scomparsa dalle testimonianze ufficiali, ignorata dai Vangeli, ma che in realtà sarebbe il seguace prediletto del Nazareno, il successore predestinato, che avrebbe consegnato a una lettera la propria testimonianza. E Nil vuole a tutti i costi ritrovare quella lettera, che nessuno vorrebbe veder rivelata, né il Vaticano, né Gerusalemme e neppure la Mecca... La chiave del Vaticano di Clara Spada Nella frenesia del maggio 1999, mentre il Giubileo è alle porte, alcune stranezze si verificano nella vita quotidiana di diversi religiosi. In particolare monsignor Philbey americano trasferitosi a Roma - un giorno ascolta in confessione lo sfogo di un giovane, in apparenza farneticante. Seguiranno morti sospette, legate in qualche modo a quella confessione. Una semplice coincidenza? Oltre alla polizia, a indagare sarà ovviamente monsignor Philbey, che si muoverà tra le nebbie degli infiniti segreti vaticani, che porteranno infine a un'associazione segreta che punta ai piani alti dello Stato pontificio. Clara Spada, l'autrice, vive fra Roma e la Sardegna, sua terra natale, ed è laureata in teologia. L'ultimo Catone di Matilde Asensi Suor Ottavia Salina, massima autorità dell'Archivio segreto del Vaticano in fatto di paleografia, ha un compito difficile e soprattutto segreto: decifrare un tatuaggio - sette croci e sette lettere in greco antico che formano la parola stauros, ossia croce - inciso sul cadavere di un etiope, ritrovato sui monti della Grecia accanto a tre frammenti di legno che potrebbero anche essere schegge della Croce. Aiutata da archeologi e guardie svizzere, suor Ottavia scoprirà l'esistenza di una setta misteriosa: gli Staurophylakes, i guardiani della croce, intenzionati a trafugarne i frammenti dalle principali chiese del mondo. Come scovarli? Cercando significati reconditi nei versi del «Purgatorio» di Dante, superando pericolose prove iniziatiche e passando attraverso le sette città simbolo dei peccati capitali: Roma, Ravenna, Gerusalemme, Atene, Costantinopoli, Alessandria e Antiochia. Matilde Asensi, prima di dedicarsi alla narrativa, ha lavorato per molte radio spagnole. Oggi i suoi romanzi di avventure storicoarcheologiche hanno un grande successo. Il papa e la ragazzina di Robert Schneider Loredana ha solo nove anni e vive a Roma con la madre separata. Un giorno, durante una gita scolastica nella Città del Vaticano, si perde nei meandri del Palazzo apostolico fino a ritrovarsi nello studio privato del papa, Silvestro IV (una figura immaginaria, che l'autore, 48 anni, notissimo autore di lingua tedesca, ha creato fondendo tratti di Roncalli, Montim, Luciani e Wojtyla). Tra l'anziano e stanco pontefice e la ragazzina scocca la scintilla: una profonda empatia che genera fiducia e confidenza. Dopo essersi informato sulla vita della giovane e inaspettata visitatrice, Silvestro IV la rende partecipe della propria infanzia, le svela le radici della propria vocazione religiosa e persino un tenero idillio amoroso vissuto prima dell'ordinazione sacerdotale. Quella sera, Loredana ritornerà rasserenata a casa mentre il Papa, in prossimità del Natale, riprenderà a caricarsi delle sue immani responsabilità. Ma solo per breve tempo. Il mistero del candelabro di André Soussan Un prelato vaticano, cinquantacinquenne, muore nella propria stanza per un attacco cardiaco. Il caso dunque non sembra richiedere alcuna indagine, ma l'intuito di un commissario di polizia, e della sua assistente, va oltre. Si scoprirà che il defunto, impiegato come giardiniere, in realtà era il custode delle chiavi dell'ingresso di alcuni sotterranei, all'interno del cimitero teutonico, che davano accesso a un luogo noto soltanto al Sommo Pontefice e al camerlengo. L'indagine si complicherà quando andrà a intrecciarsi con un'operazione dei servizi segreti israeliani intesa a ritrovare la Menorah - il mitico candelabro d'oro a sette bracci sottratto a Gerusalemme dai romani quasi duemila anni fa - che si troverebbe proprio nei sotterranei del cimitero. Soussan è morto nel 2005: era marocchino di origine, poi emigrato in Israele e infine trasferito in Danimarca. La casa di Dedalo di Kai Meyer Kai Meyer è uno scrittore e sceneggiatore tedesco assai prolifico (già 45 romanzi pubblicati). In questo libro racconta le vicende di Coralina, giovane restauratrice che, durante un lavoro presso la chiesa di Santa Maria del Priorato a Roma, effettua un sensazionale ritrovamento: una serie di tavole dell'incisore settecentesco Giovanni Battista Piranesi, e il frammento di un antico recipiente d'argilla. Coralina decide di chiedere l'aiuto dell'amico Jupiter, un detective specializzato in opere d'arte. Inizia così una ricerca appassionata che - nonostante omicidi misteriosi, l'incontro con un monaco folle e sinistre apparizioni - conduce a una porta che, secondo una leggenda, corrisponderebbe all'entrata dell'inferno. E invece, al di là di questo uscio, si apre la casa di Dedalo, un labirinto che si snoda sotto la Città del Vaticano e che era in origine una necropoli etrusca. Ma anche altri stanno cercando di penetrare in questo mondo oscuro: sono gli adepti di una setta segreta che agisce per conto della Chiesa... Cabala di Michael Dibdin Giallista inglese, Dibdin ha vissuto in Italia dal 1979 al 1984 e qui ha inventato il personaggio dell'investigatore Aurelio Zen, che esordisce proprio in Cabala. Durante un pomeriggio invernale fedeli e turisti riempiono la basilica di San Pietro dove si celebra una messa. Il raccoglimento è rotto da un grido: il principe Ludovico Raspanti è precipitato dal balcone interno della cupola. Omicidio o suicidio? E perché l'uomo si era rifugiato in Vaticano ed era tenuto sotto sorveglianza? Per far chiarezza sulla vicenda viene convocato Aurelio Zen, che si trova coinvolto in un caso di difficile soluzione. Le autorità vaticane infatti premono affinché il caso venga chiuso al più presto, con il verdetto di suicidio. Ma l'investigatore, di fronte ai troppi interrogativi irrisolti, sente invece di essere soltanto all'inizio di un'indagine complessa e delicata, che lo porterà sempre più a fondo nei misteri del Vaticano, fino a una società segreta legata ai Cavalieri di Malta. I sotterranei del Vaticano di André Gide Scritto nel 1914, è forse il più citato dei romanzi riferiti al Vaticano. André Gide (18691951; l'autore ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura nel 1947) ha diviso l'opera in cinque grandi capitoli, dedicati ad altrettanti personaggi, da Anthime (lo scienziato ateo e massone convertito per interesse alla fede cristiana) a Lafcadio (l'uomo innamorato di sé, autore di delitti immotivati, compiuti solo in nome dell'estetica del gesto). Al centro del romanzo la famiglia parigina de Baraglioul, di fervente fede cristiana e appartenente alla colta nobiltà della città, e una colossale truffa ai danni dei fedeli basata sulla falsa notizia che il Papa era stato imprigionato nei sotterranei del Vaticano e sostituito da un impostore. Una spia in Vaticano di Branko Bokun Nel 1941 Branko Bokun, 21 anni, è inviato a Roma dal capo del servizio di controspionaggio dell'esercito iugoslavo come funzionario della Croce Rossa. Lo scopo è ottenere l'intervento del Vaticano a favore dei serbi di religione ortodossa, degli ebrei e degli zingari; che vengono sterminati da gruppi di fanatici cattolici croati. Bokun si ritrova così a vivere il lato oscuro della Roma del fascismo che sta crollando, un mondo popolato da avventurieri, spie, disertori, prigionieri di guerra in fuga, criminali, belle donne dell'aristocrazia. Il serbo Bokun oggi vive in Inghilterra. La spia di Dio di Juan Gómez Jurado Nell'aprile del 2005, quando il mondo cattolico è scosso per la morte di Giovanni Paolo II, vengono ritrovati fra le mura vaticane i cadaveri di due cardinali brutalmente uccisi. A occuparsi del caso sarà una criminologa, Paola Dicanti, profiler formata alla scuola dell'Fbi. Ad affiancarla ci sarà anche Anthony Fowler, sacerdote ma già agente della Cia, richiamato in servizio per collaborare alla caccia all'assassino (che lui sembra conoscere bene). È il romanzo d'esordio di Juan Gòmez Jurado, 32 anni, spagnolo di Madrid. Un lungo e misterioso intreccio Già «Il quinto evangelio» (1975) di Mario Pomilio, ben prima del famoso «Angeli e demoni», ci trasportava nei misteri celati oltre le mura vaticane, svelando l'esistenza di un Vangelo nascosto. Di certo, però, sull'onda del successo di Dan Brown sono arrivate in libreria moltissime storie che giocano sul medesimo tema. In «La mappa di pietra», di James Rollins, il Vaticano deve risolvere il furto delle reliquie dei Re Magi e affida le indagini a un agente segreto della Santa Sede. Tutt'altre atmosfere per «Il nemico» di Michael O'Brien, che vede protagonista il carmelitano Elijha, ebreo polacco convertitosi al cristianesimo, chiamato dal Papa per una complessa opera di mediazione con il mondo politico. Il Pontefice è invece la vittima designata di un complotto in «L'ultima messa» di Kenneth Moore. Si parla sempre di misteri da svelare ne «Il terzo segreto», in cui Steve Berry mette al centro della narrazione l'Archivio vaticano e il terzo segreto di Fatima. Con «Enigma in Vaticano» si torna a Roma durante il pontificato di Wojtyla: l'autore Tristan Frédérick «svela» l'esistenza di un manoscritto dell'XI secolo, la «Vita di Silvestro». C'è posto anche per il poliziesco di Ben Pastor (pseudonimo di Maria Verbena Volpi), che in «Kaputt Mundi» spedisce Martin Bora, tormentato ufficiale e investigatore tedesco ispirato alla figura di Claus von Stauffenberg, l'attentatore di Hitler nel 1944, a indagare sul suicidio di un cardinale e sulla morte «accidentale» di una segretaria dell'ambasciata tedesca. Chiara Beretta Mazzotta («Meridiani» n. 184/10) Suonala ancora Sam - Nel 1942, mentre Parigi era occupata dai nazisti, nacque Casablanca: un classico di Hollywood (e della propaganda). «Ilsa, le cose da eroe non mi piacciono, ma tu sai bene che i problemi di tre piccole persone come noi non contano in questa immensa tragedia...». È il dicembre del 1941. Rick Blaine (Humphrey Bogart) nel nebbioso aeroporto di Casablanca, in Marocco, sta dando il suo addio a Ilsa (Ingrid Bergman), la donna amata tempo prima e incontrata inaspettatamente nel suo night club di Casablanca. Lei lo ascolta piangendo. L'illusione di essersi ritrovati per sempre svanisce davanti all'avanzare della Storia. «Felice il Paese che non ha bisogno di eroi» scrisse in quegli anni il drammaturgo tedesco Bertolt Brecht. E i protagonisti del film Casablanca (del 1942) a loro modo eroi lo sono. O lo diventano: così almeno vollero gli studios americani, che, riadattando per il grande schermo il dramma Everybody comes to Rick's di Murray Burnett e Joan Alison, si affidarono al regista Michael Curtiz: un ungherese emigrato nel 1926 negli Stati Uniti, come uno dei protagonisti, Victor Laszlo. A fare da scenario alla vicenda del film sono le vie di Casablanca. Il Marocco, dal 1912 protettorato francese, dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale era diventato un punto di transito per molti oppositori di fascismo e nazismo che volevano abbandonare l'Europa: da qui facevano scalo nel neutrale Portogallo per imbarcarsi verso l'America (fuori dal conflitto fino al dicembre del 1942). È questa anche la storia di Ilsa, che giunge a Casablanca con il marito Laszlo (Paul Henreid) nel dicembre del 1941, quando la città era un brulicare di contrabbandieri, spie naziste, inglesi e francesi, avventurieri e sciacalli. Benché il Marocco non fosse formalmente una colonia, Parigi ne controllava di fatto gli affari esteri, la difesa e anche la politica interna. Evidente quindi che con l'occupazione nazista della capitale francese (giugno 1940) e con la nascita del governo collaborazionista di Vichy lo status del Paese nordafricano si facesse ancora più ambiguo. In una delle prime scene del film si vede un manifesto con il volto del maresciallo Pétain. Già eroe della Grande guerra, Philippe Pétain guidò il governo fantoccio insediatosi a Vichy, nella cosiddetta «zona libera», la parte meridionale della Francia. E se da un lato la mantenne estranea ad azioni belliche, limitandosi a fornire milizie alle potenze dell'Asse durante l'operazione Barbarossa in Russia, dall'altro sostituì il motto repubblicano «fraternità, libertà e uguaglianza» con il più fascista «famiglia, patria e lavoro». E sciolse partiti e sindacati. Anche Laszlo, il marito di Ilsa, appartiene alla schiera degli antifascisti europei. Prima di ritrovarlo a Parigi, e credendolo morto nei campi di prigionia, la donna aveva avuto una storia d'amore con il tenebroso Rick, un americano. Nel frattempo l'avanzata tedesca aveva travolto i Paesi Bassi e il Belgio e dopo aver sfondato il fronte alleato a Sedan (Francia), era dilagata fino alla Manica. Parigi fu dichiarata «città aperta» (e ceduta senza combattimenti) l'11 giugno 1940. «Mentre il mondo crolla, scegliamo proprio questo momento per innamorarci» si erano detti Ilsa e Rick durante la loro breve avventura. «Sono colpi di cannone o è il mio cuore che batte?» aveva chiesto lei. «È il nuovo cannone tedesco. Sono a meno di 35 miglia e si avvicinano sempre più» le aveva risposto lui. Avevano così deciso di abbandonare la Francia, ma il giorno della partenza Ilsa era sparita nel nulla, avendo saputo che Laszlo era vivo. Il 14 giugno del 1940 veniva dichiarata la resa francese. Il Corriere della Sera titolava: «La bandiera del Reich sventola sull'Eliseo e sulla Tour Eiffel». Quattro giorni dopo il generale Charles de Gaulle lanciava da Londra un appello a tutti i francesi a unirsi nella resistenza all'occupazione. È in questo clima cupo che Rick, Ilsa e Laszlo si incrociano di nuovo a Casablanca, un anno dopo quegli eventi. Rick ha aperto un night club che è diventato ritrovo della varia umanità di esuli e spie in attesa di un passaggio verso la libertà. Quando Ilsa, entrando nel locale, vede Sam (il pianista amico di Rick che aveva già conosciuto a Parigi) gli chiede: «Suonala, Sam». Vuole risentire la «loro» canzone d'amore, As time goes by («Mentre il tempo passa»). La battuta divenne così celebre (seppure nella versione impropria «Suonala ancora, Sam») da ispirare anni dopo il titolo di un film di Woody Allen. Ilsa non è in quel club per caso. Solo l'americano, apparentemente un cinico senza ideali, è in grado di procurare due visti di transito che garantirebbero a Ilsa e al marito di raggiungere il Portogallo. Laszlo, come i veri antifascisti del tempo, è infatti ricercato dalle autorità, ma pur di salvare la moglie è disposto a lasciarla fuggire con il rivale. Rick, colpito dal gesto, si riscatta arrivando a uccidere un ufficiale tedesco (omidicio per il quale sarà coperto dal capitano Renault, simbolo della resistenza invocata da de Gaulle) e obbligando la donna a partire con il marito, che potrà così continuare a combattere per la libertà: «Un giorno capirai. Buona fortuna, bambina...» le dice. Rick non poteva immaginare che, due anni dopo, la Storia sarebbe davvero passata da Casablanca. Dal 14 al 24 gennaio 1943 Roosevelt, Churchill e de Gaulle pianificheranno qui lo sbarco in Italia che segnerà l'inizio della fine dei nazisti. Bogart: una vita da duro Duri, onesti, incapaci di compromessi. Poco inclini ai sentimentalismi. E quasi sempre con una sigaretta tra le labbra e un trench (l'impermeabile in stile militare) sulle spalle. Humphrey Bogart (o Bogey come veniva chiamato da fan e colleghi) è entrato nel mito con questi ruoli. E rimanendo fedele a quest'immagine è diventato un'icona del cinema statunitense. Nato a New York il giorno di Natale del 1899, morì a Hollywood nel gennaio di 58 anni dopo. Interpretò alcuni dei grandi classici del cinema americano degli Anni '40, da Il mistero del falco (1941), tra i primi noir del cinema, a Il grande sonno (1946) di Howard Hawks, ispirato a un giallo di Raymond Chandler. Memorabile nella commedia di Billy Wilder Sabrina (1954), al fianco di Audrey Hepburn, Bogart ebbe una vita sentimentale travagliata anche fuori dal set: ebbe tre mogli, ma la più famosa fu Lauren Bacall, che conobbe quando lei aveva 19 anni e lui 44. E con Woody Allen Casablanca si fece parodia Nelle sale americane uscì nel 1972 con il titolo Play it again, Sam («Suonala ancora, Sam»). Nella versione italiana divenne Provaci ancora, Sam tradendo il riferimento alle parole di Ingrid Bergman nel film. Il protagonista della commedia è Woody Allen, al quale appare Bogart stesso, che gli dà consigli su come conquistare le donne. Grazie alle sue dritte Sam sedurrà Linda (Diane Keaton), moglie di un amico. Ma sarà una relazione senza futuro, come per Rick e Ilsa. Il film termina con una parodia di Casablanca, con tanto di aereo pronto a partire e Woody Allen in impermeabile alla Bogart che sfodera la stessa fermezza nel rinunciare a lei, dicendole che è meglio così per tutti. Giuliana Rotondi («Focus Storia» n. 39/10) Emilio Lussu: a schiena dritta per la democrazia - Ottant'anni dopo la leggendaria evasione da Lipari, la sua figura e le sue opere continuano a brillare, splendide e inattuali, indicando una via di coraggio, coerenza e rigore a quanti si ostinano a confidare nei valori civili. «Mi era sempre sembrato che, per un uomo d'onore, richiedesse maggior coraggio la diserzione che l'eroismo di guerra». Non è la provocatoria uscita di un anarchico, ma il fermo parere di Emilio Lussu, valoroso capitano della Brigata Sassari, al petto quattro medaglie guadagnate nel fuoco della Grande guerra. Non occorre altro per comprendere le difficoltà che si parano dinanzi a chi voglia inquadrare un personaggio eccezionale, che parrebbe sortito da un romanzo di Salgari. Dalle imprese in divisa all'attività antifascista, dalla clamorosa fuga da Lipari all'esilio francese, dalla guerra di Spagna alla Resistenza. E nel contempo, dall'interventismo democratico all'autonomismo sardo, da Giustizia e libertà al Partito d'Azione, dal Psi al Psiup, lungo un percorso quanto mai accidentato, nel quale brilla la cristallina coerenza di uno spirito inflessibilmente democratico. Uno spirito che si ritrova nei discorsi conservati negli Atti del Parlamento (dove sedette dal 1921 al 1926, e dal 1945 al 1968), ma anche nella sferzante ironia che accende le pagine scritte durante l'esilio, tra le quali spiccano due vette della memorialistica novecentesca, come Marcia su Roma e dintorni, lucidissima analisi della maniera in cui la malapianta fascista attecchì; e Un anno sull'Altipiano, semplicemente il più bel libro italiano sulla Prima guerra mondiale, come ha scritto Mario Rigoni Stern. Peraltro, vale la pena di osservare come - prima di trovare posto nello scaffale che ospita i capolavori europei del disincanto, accanto a Il fuoco e Niente di nuovo sul fronte occidentale Un anno sull'Altipiano sia rimasto nella penombra fino agli anni Sessanta, quando le ristampe, prima nei «Coralli» Einaudi, poi negli «Oscar» Mondadori, trovarono lettori indisponibili ad accettare l'accusa di disfattismo che troppo a lungo un malinteso amor patrio aveva rivolto al libro. Di lì a poco fiorirono le edizioni scolastiche, nonostante le perplessità di Lussu, che riteneva le sue rievocazioni troppo scioccanti per un pubblico giovanile, ma - per una volta rinunciò all'isolana caparbietà che ne contraddistingueva il carattere. L'importanza della Sardegna per Lussu, in effetti, va ben oltre il mero dato anagrafico, che lo vuole nato nel 1890 in una casa del piccolo borgo di Armungia. Come scrisse in vecchiaia, tra le irsute vallate del Gerrei, solcate dal Flumendosa, ebbe modo di conoscere «gli ultimi avanzi di una comunità patriarcale, senza classi e senza stato», nella quale l'ordine pubblico era garantito da anziani pastori-contadini. Da essi, insieme alla tradizionale balentìa, apprese i valori di egualitarismo e libertà cui rimase sempre fedele, facendone la bussola che guidò le idee politiche maturate durante gli studi, a Roma e Cagliari, dove si distinse nelle manifestazioni a sostegno dell'intervento italiano contro gli Imperi centrali. Ad accenderlo non erano soltanto astratti furori irredentisti, ma la volontà di estendere la democrazia in terra germanica, come rivendicò in un vibrante intervento pronunciato alla Camera, il 24 maggio del 1922: «Non tanto per un palmo di più lontana frontiera abbiamo gettato al vento la nostra giovinezza, ma per uno sconfinato senso e desiderio di libertà e di giustizia». Quell'anno sull'Altipiano In qualità di ufficiale di complemento, nella Grande guerra Lussu aveva offerto numerose prove di abilità e coraggio sui principali fronti italiani: dal Carso all'Altopiano dei Sette Comuni, dalla Bainsizza al Piave. Inquadrato nella strenua Brigata Sassari, costituita per lo più da contadini e pastori sardi, dovette tuttavia confrontarsi con una realtà assai distante dagli slogan che avevano infiammato il «maggio radioso» del 1915. La sostanziale estraneità dei fanti agli ideali nazionalisti, e d'altra parte l'assoluto sprezzo manifestato dai comandi nei confronti delle loro vite, suscitarono in Lussu una dolorosa presa di coscienza. Fu questa a indurlo vent'anni più tardi - a redigere una testimonianza palpitante, del tutto estranea alle ricostruzioni enfatiche e scioviniste accreditate nel frattempo dal fascismo. Si trattava piuttosto di demistificare, di considerare la guerra di trincea per ciò che in primo luogo fu: un immane massacro, a monte di ogni speculazione sulla sua presunta utilità. Un anno sull'Altipiano nacque per un'esigenza di verità, nell'intento di accendere in Italia un barlume della consapevolezza da tempo diffusa tra le opinioni pubbliche degli altri Paesi che avevano pagato un altissimo tributo di sangue. Nel 1936, quando si pose all'opera, Lussu si trovava in un sanatorio svizzero, in attesa di una difficile operazione ai polmoni, sgomento dinanzi ai trionfi delle dittature in Italia, Germania e Spagna. Nel libro (uscito nel 1938 a Parigi, preceduto dalla traduzione in spagnolo, apparsa a Buenos Aires nel 1937) la fermezza della sua opposizione si coglie innanzitutto sul piano dello stile, indifferente ai pennacchi della retorica bellica allora dilagante, e teso piuttosto a dare un'impressione di asciutto decoro, sorretto da una sintassi lineare, cui Lussu non rinuncia neppure nei momenti più drammatici, sottolineati da efficaci anticipazioni. «Io ho dimenticato molte cose della guerra, ma non dimenticherò mai quel momento», scrive ad esempio con semplicità prima di narrare la morte di un amico durante un momento di riposo, fulminato da un cecchino. All'episodio, accaduto dinanzi ai suoi occhi, non fa seguito alcun commento. Allergico al patetismo, Lussu lascia che la tragedia si sprigioni dai fatti, orchestrando magistralmente l'intollerabile alternanza di stati d'animo che logorò i combattenti, sospesi tra angoscia e stupore di essere ancora vivi. Allo stesso modo, per restituire al lettore l'incubo della durata immensa di una guerra che era parsa senza fine, scelse di concentrarsi su un anno o poco più, ritagliando il periodo che va dal giugno del 1916 all'estate del 1917. Al trasferimento iniziale dal Carso all'Altopiano di Asiago, dove gli asburgici avevano scatenato la Strafexpedition, fa dunque riscontro nell'ultima pagina l'ordine impartito ai «diavoli rossi» della Sassari di recarsi sul fronte orientale, in previsione della cruenta offensiva della Bainsizza. Di fatto, Un anno sull'Altipiano non si legge per sapere «come va a finire». Tiene più dell'epica e della memorialistica che del romanzo (non a caso Lussu si inalberò, quando alla traduzione tedesca venne apposta la dicitura Roman). D'altra parte alcuni episodi furono condensati o rielaborati, mentre altri nella realtà avvennero prima, o altrove, come hanno fatto notare alcuni storici militari. Ma non è solo per questo che il capolavoro di Lussu andrebbe considerato un ibrido, come del resto suggerisce l'epigrafe, dedicata sì al tema della memoria, ma levata a Baudelaire: «J'ai plus de souvenirs que si j'avais mille ans». Ad avvicinare questa storia di fango e trincee alla narrativa, in particolare, è il diffuso ricorso ai dialoghi, nel corso dei quali le contrapposizioni ideologiche emergono vigorosamente. Accade ad esempio nei confronti tra ufficiali, divisi tra quanti trattano i soldati come ascari e quanti li ritengono cittadini tout court. Tra questi ultimi è il comandante della decima Compagnia, ovvero il medesimo Lussu, che nel capitolo XXV difende contro un collega incline alla sovversione - le ragioni dell'intervento, al di là della stanchezza e degli orrori: «Perché se così non fosse, alcuni briganti ci avrebbero perennemente in loro arbitrio impunemente solo perché noi abbiamo paura della strage. Che ne sarebbe della civiltà del mondo, se ingiusta violenza si potesse sempre imporre senza resistenza?». Una questione cruciale, e tanto più ai tempi in cui comparve l'opera. Dai discorsi diretti, inoltre, si comprende quanto l'arroganza, l'impreparazione, il cinismo dei superiori fossero la miccia di una carica dissacrante che può trovare un degno corrispettivo solo in certe pagine del Giornale di guerra e di prigionia redatto da Carlo Emilio Gadda. A demolire le folli pretese del generale Leone, o le grottesche pignolerie del generale Piccolomini, è il veleno di un'ironia amara e corrosiva, almeno quanto l'alcol che scorre a fiumi dalla prima all'ultima pagina. Sia nelle bottiglie cercate con ansia dagli ufficiali sconvolti, o nelle botti recate alle truppe prima degli assalti, è il cognac la vera benzina della guerra. Lo sanno bene i fanti, come si coglie dai loro concitati discorsi, ascoltati da Lussu in silenzio («Ingrassano bene il porco prima di ammazzarlo». «Lo ingrassano bene!». «C'ingrassano bene!»). Stordirsi è l'unica alternativa all'insostenibile consapevolezza della morte, quando non si scelga il suicidio o la diserzione. Proprio da ciò, tuttavia, scatta la volontà di resistenza del narratore, deciso a conservare la propria dignità in un universo claustrofobico, nell'impatto con rumori, odori, visioni insostenibili. Non è il coraggio o l'intelligenza a renderlo eroico, ma questa tenace umanità, che lo spinge a bere soltanto caffè, a leggere Ariosto tra scoppi di granate e sibili di pallottole, a conservare un aspetto decente, a vincere la tentazione di abbandonarsi all'inerzia, alla nostalgia, all'abbrutimento, all'ala della follia che pure lo sfiora in mezzo ai cadaveri, quando sente il «cervello sciaguattare nella scatola cranica, come l'acqua agitata in una bottiglia». La scrittura di Lussu nasce di fronte alla terra di nessuno, al luogo in cui la violenza si fa norma, ogni morale è sospesa, e l'avversario perde individualità e diritti. Nasce di fronte al versante più buio e scosceso della modernità, al cospetto della natura: boschi e montagne impassibili, da dove giunge di lontano «il guaito della volpe, rauco e stridulo, simile a un riso sarcastico». Irriducibile Le traumatiche esperienze vissute in divisa determinarono in Lussu una progressiva presa di responsabilità politica, dalla quale scaturì nel 1921 la scelta di fondare - insieme ad altri reduci - il Partito Sardo d'Azione: un movimento di matrice autonomista, teso a coinvolgere i ceti popolari intorno all'obiettivo di sradicare i residui feudali presenti sull'isola, in nome della redistribuzione di terre e pascoli, opportunisticamente promessa dai comandi in guerra e presto finita nel dimenticatoio. Il vento della sospirata riforma agraria, insieme alla fama di audace combattente, spinsero Lussu tra i banchi del Parlamento, appena trentenne. Qui tuttavia si trovò a fare i conti con una situazione di stallo, nella quale andava emergendo il fascismo. Dopo un'iniziale sottovalutazione del fenomeno, all'inizio del 1923 i dirigenti sardisti si spinsero al punto di valutare un'eventuale fusione, alla quale Lussu dopo qualche esitazione preferì sottrarsi, ritenendo le due fazioni incompatibili. Riconfermato deputato nel 1924, si distinse anzi tra i più acerrimi nemici di Mussolini, assumendo un ruolo di primo piano dopo il delitto Matteotti, quando partecipò all'Aventino. Bersaglio di aggressioni e intimidazioni, Lussu fu incarcerato nel 1926 e spedito al confino l'anno successivo, a Lipari, dove non trovò certo un'atmosfera di vacanza (come qualcuno oggi vorrebbe far credere), ma condizioni durissime. L'isolamento, le provocazioni dei sorveglianti, il rischio di umilianti punizioni corporali non valsero tuttavia a fiaccarne la tempra, tanto che nell'estate del 1929 riuscì a evadere dalle Eolie in motoscafo, per raggiungere Parigi, dove sfruttò il clamore sollevato dalla fuga per riportare sulle prime pagine della stampa europea la disperante situazione politica italiana. I precipizi del totalitarismo furono inoltre denunciati da Lussu in un libello scritto e pubblicato a caldo, La catena: classico esempio di memorie dell'esule, pervase di sdegni danteschi, appena velati dal sarcasmo di certe notazioni sulfuree. Un solo esempio: grazie al duce, «il Consiglio dei ministri avrebbe potuto tenere seduta in una cabina telefonica, e sarebbe avanzato dello spazio». I medesimi toni pervadono Marcia su Roma e dintorni, un lavoro ben più vasto e articolato, pubblicato nel 1933 a Parigi, ma subito diffuso clandestinamente in Italia grazie ai militanti di Giustizia e Libertà, il movimento fondato da Lussu con Gaetano Salvemini e Carlo Rosselli. Per raccontare il modo in cui il fascismo prese il sopravvento, Lussu vi adotta una prospettiva personale, lasciando sfilare gli eventi vissuti a Roma e in Sardegna nel decennio che va dal 1919 al 1929, senza fingere un'obiettività inverosimile: «Chi dà un colpo di sciabola, non proverà evidentemente le stesse impressioni di chi lo riceve. Non per tanto il colpo di sciabola sarà sempre un colpo di sciabola». La metafora si attaglia bene alla maniera coupé dell'opera, che dà rilievo a intermezzi gnomici («La tragedia, spesso, non è nel battersi ma nel non potersi battere»), immagini icastiche (Mussolini, durante il discorso del 25 giugno 1922, «così in alto, sembrava un avvoltoio accovacciato su una rupe») e stoccate impareggiabili. Come quella riservata a D'Annunzio, venuto a conoscenza della mancata concessione di Fiume all'Italia: «Debitore, poeta e guerriero si fusero in uno: egli decise l'impresa». La brevità a effetto, ben più degli arzigogoli retorici, era particolarmente adatta a colpire il pubblico internazionale cui Lussu intendeva rivolgersi nel libro (presto tradotto in francese, inglese, portoghese), scritto in primo luogo per mettere in guardia le democrazie sopravvissute sino ad allora, perché non ripetessero gli errori compiuti in Italia. Se il consolidarsi della dittatura poteva apparire in qualche misura inevitabile, in virtù dei saldi accordi stretti con la monarchia, l'esercito e il Vaticano, non così la presa del potere da parte delle camicie nere, che avevano approfittato dell'eccessiva confusione, debolezza, litigiosità che allignavano negli apparati pubblici. Un discorso a parte è riservato all'attitudine al trasformismo, mascherato da «crisi di coscienza», e alle responsabilità dei troppi che si rivelarono inferiori ai compiti loro assegnati. A cominciare dal re, protagonista di un momento memorabile, allorché le associazioni dei combattenti gli chiesero il ripristino delle libertà costituzionali per sentirsi rispondere, dopo un attimo di silenzio: «Mia figlia, stamattina, ha ucciso due quaglie». Il biasimo sarcastico, occorre notare, oltrepassa la sfera delle autorità statali, per dardeggiare quanti temevano i bolscevichi sino a credere che avrebbero socializzato anche le donne; e ancor più il rassegnato attendismo degli aventiniani, speranzosi - alle voci sull'ulcera del duce - che i microbi compissero l'opera da loro temuta. Il Lussu degli anni Trenta si era invece ormai convinto dell'improcrastinabile necessità di combattere il fascismo con le armi. Arrivò dunque a comporre un vero e proprio manuale sull'argomento, Teoria dell'insurrezione (pubblicato a Parigi nel 1936), nel quale passa in rassegna i moti dell'Otto-Novecento, con particolare attenzione all'Ottobre russo, traendone spunti per le azioni da realizzarsi. Scettico sull'ipotesi di una spontanea presa di coscienza antifascista delle masse, Lussu crede piuttosto nell'azione suscitatrice di un'avanguardia risoluta, che a suo parere avrebbe dovuto recuperare alla causa proletaria tanto l'universo contadino quanto la piccola borghesia, in nome dei diritti dell'individuo. È questo, in effetti, il totem libertario per il quale Lussu si batté sino all'ultimo, recisamente convinto che «all'infuori della democrazia non v'è socialismo, ma terrore permanente». Uomini e cinghiali Nella seconda metà degli anni Trenta Lussu prese parte alla guerra civile spagnola, arruolandosi nelle Brigate Internazionali nonostante la salute malferma. Allo scoppio del conflitto mondiale andò intensificando le attività cospirative, agendo col nome in codice di Mister Mills in mille angoli d'Europa, tra perquisizioni, inganni e sparizioni rocambolesche, di cui scrisse più tardi in Diplomazia clandestina (le medesime peripezie furono narrate a caldo e con verve dalla moglie, la scrittrice marchigiana Joyce Salvadori, in Fronti e frontiere). Dopo avere sperato invano di organizzare una rivolta popolare in Sardegna, con la collaborazione degli inglesi, Lussu rientrò in Italia nell'estate del 1943 per stabilirsi a Roma, dove assistette all'ignominiosa fuga del re e partecipò alla Resistenza nelle file di G.L., poi confluita,nel Partito d'Azione, di cui divenne un leader. Come tale, fu ministro con Parri e con De Gasperi nell'immediato dopoguerra, quando finalmente le sue opere principali furono stampate in Italia, dove si guadagnarono l'ammirazione di lettori del calibro di Benedetto Croce, Luigi Russo, Eugenio Montale. Non per questo negli anni successivi Lussu si lasciò tentare dall'attività letteraria. Preferì piuttosto concentrarsi nel ruolo di senatore del Partito Socialista, guardando sempre con attenzione alle vicende della sua regione, perplesso dinanzi all'oblio sulla questione sociale e alla deriva separatista del Partito Sardo d'Azione, che lo ricambiò con un astio non ancora spento. Ci fu persino chi giunse a rimproverargli di non essere Grazia Deledda: di non avere cioè posto i luoghi natii e il loro patrimonio di abitudini e mentalità al centro delle sue opere. Senonché si può rammentare un testo breve, l'unico racconto d'invenzione composto da Lussu, che fa eccezione. Alludo a Il cinghiale del diavolo, scritto negli anni Trenta ma pubblicato solo nel 1967, nel quale rievoca le battute di caccia cui partecipò da ragazzo e le storie di incanti udite nelle pause intorno al fuoco. Certo sarebbe eccessivo legare a doppio filo l'intera condotta di una vita alle regole apprese nella società rurale ove Lussu ebbe la ventura di crescere. Eppure resta difficile sottrarsi alla suggestione del rimando, quando si pensi alla scena più celebre di Un anno sull'Altipiano. La scena del capitolo XIX in cui, non visto, il capitano Lussu riesce ad avvicinarsi alle trincee nemiche, abbastanza per sparare a colpo sicuro a un nemico, ignaro. «Tirare così, a pochi passi, su un uomo... come su un cinghiale!». Sarebbe un dovere. Ma ripone il fucile. Vita di un capitano 1890: Lussu nasce ad Armungia, tra le colline della Sardegna sudorientale, da Giuannicu, proprietario terriero, e Lucia Mereu, figlia di ambulanti cagliaritani, sposata contro il parere della famiglia. Emilio cresce con il fratello maggiore Peppino, tra scorribande all'ombra di un nuraghe, storie di caccia e balentìas. 1902: Collegio salesiano a Lanusei. 1907-1910: Frequenta il liceo Mamiani di Roma, con risultati alterni. Ottiene la licenza da privatista al Dettori di Cagliari, per poi iscriversi alla locale Facoltà di giurisprudenza. 1911-1912: A Torino, allievo del corso ufficiali, presso il 92° reggimento di fanteria. 1915-1917: Fresco di laurea, nel maggio del 1915 parte per il fronte con la Brigata Sassari, da poco costituita. Combatte sul Carso, sullo Zebio, sulla Bainsizza, ottenendo svariate promozioni e medaglie al valore. 1918: Il 28 gennaio è seriamente ferito al Col del Rosso. Trascorre quattro mesi a Milano, ricoverato in un ospedale militare. A fine maggio torna in prima linea per difendere la linea del Piave. 1919-1922: A settembre, congedato, rientra in Sardegna, dove si impegna nelle associazioni di combattenti, schierandosi con piglio giacobino accanto a minatori, operai e contadini. 1921-1922: È tra i fondatori del Partito Sardo d'Azione, con il quale entra in Parlamento, sedendo all'estrema sinistra. Si spende per l'autonomia e per i diritti del proletariato rurale. Vota contro il governo Facta. Avverso al fascismo, si salva per miracolo da un'aggressione, rimediando una commozione cerebrale. 1923: Partecipa alle trattative in vista di un'eventuale fusione tra sardisti e camicie nere, attratto da una serie di concessioni abilmente ventilate, ma deve presto ricredersi. In maggio a Roma presenta le dimissioni da deputato, che vengono respinte. 1924-1925: Rieletto a Montecitorio, dopo il delitto Matteotti partecipa all'Aventino, predicando invano forme di lotta più efficaci. 1926: Le pressioni dei fascisti si fanno insostenibili. Il 31 ottobre rischia il linciaggio, quando un gruppo di facinorosi tenta di irrompere nella sua casa di Cagliari. Viene arrestato per avere sparato a uno squadrista, che muore. 1927: Trascorre lunghi mesi in una cella malsana, dove si ammala ai polmoni. Al processo contro ogni previsione gli si riconosce la circostanza di legittima difesa. È assolto, ma l'indomani viene condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato a cinque anni di confino a Lipari, in quanto reo di attività sovversive. 1929: In estate riesce a evadere in motoscafo dall'isola, insieme a Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti. Raggiungono Tunisi e di qui la Francia, dove danno vita a «Giustizia e Libertà». A Parigi scrive di getto La catena. 1930-1934: Anni di esilio, tra viaggi in incognito, complotti e mille difficoltà. Tra le poche fonti di reddito, i diritti per Marcia su Roma e dintorni, che esce nel 1933 a Parigi. 1935-1936: I malanni ai polmoni lo costringono a ricoverarsi in un sanatorio svizzero, dove viene operato. Durante la degenza scrive Teoria dell'insurrezione e Un anno sull'Altipiano. 1937: Raggiunge la Spagna, per aggregarsi alla Brigata Garibaldi. Rientra a Parigi alla notizia dell'assassinio dei fratelli Rosselli. 1938: Rivede Joyce Salvadori, conosciuta nel 1933 a Ginevra. Diverrà la compagna di una vita. 1940: Poco prima dell'occupazione nazista lascia Parigi per Marsiglia, dove si adopera per organizzare la fuga di antifascisti e perseguitati. 1941-1942: Viaggia clandestinamente in Portogallo, a Malta, in Gran Bretagna, negli Stati Uniti. Accarezza l'idea di predisporre un'insurrezione popolare in Sardegna. 1943: In agosto rientra finalmente in Italia, per partecipare alla Resistenza. 1944: Sposa Joyce a Roma. Nasce il figlio Giovanni. In estate rimette piede in Sardegna, dove destano sconcerto le sue posizioni antiseparatiste. 1945: Ministro dell'Assistenza postbellica nel governo Parri. Ministro per i Rapporti con la Consulta nel successivo governo De Gasperi. 1946-1947: Nel Partito d'Azione difende posizioni filosocialiste, che causano l'uscita del gruppo liberalrepubblicano capitanato da Ugo La Malfa. Si batte senza successo per orientare in senso federalista la Costituzione. 1948-1968: Tramontato il Partito d'Azione, dà vita al Partito Sardo d'Azione Socialista, con cui entra nel Psi. Sotto le insegne dei socialisti viene eletto più volte senatore. Ostile all'intesa con la Dc, nel 1964 partecipa alla scissione da cui nasce il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. 1972: Contrario alla confluenza del Psiup nel Partito Comunista, si ritira definitivamente dall'attività politica. 1975: Muore a Roma. Dispone che il corpo venga cremato e le ceneri disperse nel Tirreno. Una lapide oggi lo ricorda, insieme a Joyce, al Cimitero degli Inglesi. Mauro Novelli («Letture» n. 656/09) Comunicato Modalità utilizzo Corriere per recapito testi Informiamo quanti hanno scelto di avvalersi del Corriere Espresso Bartolini per il ricevimento delle opere in lettura (a carico della Biblioteca) e per la restituzione delle medesime (a carico proprio) che il pagamento delle spese di restituzione dovrà essere effettuato, in forma anticipata, già alla consegna dei colli da parte del Corriere e che quindi nulla verrà poi richiesto al momento del ritiro.