TEATRO.ORG, IL PORTALE DEL TEATRO ITALIANO Le Interviste di Teatro.Org Interviste ai personaggi del teatro e dello spettacolo italiano ANDREA BRUNELLO: PARLARE DI GUERRA PER CREARE UN SENSO DI COMUNITÀ Se si riuscisse a mettere in una fila tutto quello che è stato detto e scritto sull’importanza di mantenere viva la memoria tra le generazioni, probabilmente si potrebbe fare il periplo della Terra. Forse più di una volta. Ma la memoria non è un pacco che si può passare di mano in mano. E’ qualcosa che vive, che scotta, che s’appiglia all’anima… I testimoni, nel tempo, se ne vanno. Non tutti possiedono gli archivi di famiglia con le lettere e le fotografie di guerra. Anche il cinema, malgrado i suoi effetti tridimensionali non sempre riesce a raggiungere lo spettatore. Il fragore delle superrealistiche esplosioni lo fanno sussultare, gli stereoscopici carri armati lo stringono dentro la poltrona. Ma dopo la proiezione, la sensazione che sotto-sotto gli rimane è che tutto questo comunque era “per finta”. Forse solo il teatro, dove il ruolo centrale continua a essere riservato all’uomo e non alla tecnologia – sia a quello in sala che a quello sul palcoscenico – resta l’unico luogo in grado di unire gli uomini attraverso lo spazio e il tempo. Lo conferma “Storie di uomini – un anno sull’Altipiano”, ultimo lavoro della compagnia trentina Arditodesìo. Basato sul celebre romanzo di Emilio Lussu sulla Prima Guerra Mondiale, è stato presentato in prima nazionale al Teatro della Cooperativa di Milano il marzo scorso. Ci siamo incontrati con Andrea Brunello, l’autore e il protagonista dello spettacolo, per parlare del perché ai giorni nostri resti importante parlare di guerra. Come si può parlare di guerra alle persone che la conoscono solamente dai libri e dagli schermi del cinema e della televisione? «Con il giusto equilibrio. Purtroppo, il rischio maggiore che si corre trattando il tema di guerra è quello di idealizzarla troppo o di cadere in un inutile pathos. Così come cercare di “addolcire la pillola” per renderla più accettabile al pubblico. E’ nella natura del teatro. Così come il fatto che nessun attore, anche il più bravo, mai riuscirà a raccontare con la stessa forza l’esperienza di colui che l’ha vissuta in prima persona. Per questo, nel mettere in scena “Le storie” la fatica grandissima, che ancora oggi non abbiamo superato del tutto, è stata quella di riuscire a trasmettere la drammaticità del lavoro di Emilio Lussu senza diventare protagonisti. Senza dire “io conosco queste cose”, ma “ve le voglio raccontare perché le ho lette in questo libro”. Per capirle meglio, per farcene una ragione e, in un certo senso, per riviverle insieme. E’ la premessa che faccio all’inizio dello spettacolo». Perché la vostra scelta è caduta proprio sulla Prima Guerra Mondiale della quale esistono esigue testimonianze e poche fonti letterarie? «Sicuramente non è stata una mossa commerciale. Qualche anno fa, mente preparavo un altro spettacolo, mi è capitato in mano il libro di E. Lussu. Dopo averlo letto tutto d’un fiato, ho capito subito la forza che nascondeva. Era una vera storia di vicende di uomini che solo a immaginarle sembrano impossibili; una storia di un’umanità enorme in situazioni assolutamente improbabili. Ho sentito un grande bisogno di raccontarla anche perché, pur trattandosi di avvenimenti di cent’anni fa, contiene dei messaggi che ancora oggi suonano importantissimi, che invitano a riflettere su cose che altrimenti, nel quotidiano, tendono a rimanere nell’oblio. C’è una scena nella quale il tenente Santini, obbedendo all’ordine del colonnello, esce dalla trincea per tagliare con le pinze il reticolato del nemico e rimane ucciso assieme al suo portaordini che l’ha seguito pur non avendo alcun obbligo di farlo. Quell’episodio, di un’intensità enorme, mi ha aperto un universo legato al tema dell’amicizia, della solidarietà cameratesca e anche dell’amore. Probabilmente, vi si potrebbe incentrare un’intera opera teatrale. Così come l’episodio del cappellano austriaco che grida: “Basta, soldati italiani, fermatevi, non potete farvi ammazzare così!”. In pochissime parole e con una schiettezza, che contraddistingue l’intera opera, Lussu riesce a esaltare il valore universale dell’umanità rispetto all’assurdità della guerra. Penso che sia molto importante mettere in scena dei testi come questo. Prima di tutto, per non dimenticare né il dramma di quella guerra né il valore che quegli uomini hanno mostrato, che sicuramente merita il nostro rispetto. Inoltre il fatto di ricordare che chi ci ha preceduto ha dovuto affrontare le disgrazie ben più gravi, senz’altro potrebbe aiutarci a superare meglio i nostri momenti di difficoltà». Leggendo il libro e anche assistendo allo spettacolo sembra di percepire un certo clima di rassegnazione… «Lussu non parla mai della rassegnazione. Dice che non è gente che piange. Avrebbe mille motivi per farlo, ma non lo fa. Parla della forza con cui la sua generazione ha affrontato l’immane tragedia dalla quale si è trovata travolta, senza avere alcun potere o alcun diritto di scelta. Di fronte a compostezza, dignità e maturità che questi uomini mostrano si fa fatica a credere che avessero vent’anni e per di più fossero dei semplici pastori e contadini. Queste qualità purtroppo non le riconosco nella gente di oggi». E se dovesse accadere ai giorni nostri? «Sono sicuro che riusciremmo a ritrovare la forza. Nei momenti di difficoltà, nei casi estremi, le qualità più nobili dell’uomo vengono fuori. Ma anche la sua natura peggiore, come dimostra il personaggio del generale Leone. Potrebbe sembrare un’assurdità che un condottiero mandi all’assalto i suoi uomini sapendo a priori che moriranno tutti. Invece è un fatto vero. E la cosa triste è che nei conflitti dei giorni nostri succede ancora. Il nostro problema è che viviamo in un mondo dove tutto è attutito: sentimenti, emozioni, passioni. Percepiamo la vita in un modo un po’ estraniato, come fosse un film 3D o un videogioco. Forse per svegliarci ci vorrebbe una scossa. In ogni caso, per quel che riguarda la forza interiore dell’uomo mi sento ottimista». C’è l’interesse del pubblico per l’argomento? «Direi di sì. Qualche tempo fa abbiamo presentato lo spettacolo ai ragazzi delle scuole medie. All’inizio temevo che non riuscissero a seguirlo, che l’argomento per loro fosse troppo complicato. Invece sono stati molto attenti e partecipi. Credo che spettacoli come “Le storie” generino un forte senso di comunità e di condivisione, sia per quel che riguarda il contenuto stesso che per il rapporto che si instaura tra il pubblico e l’attore. Certo, quelle persone sono morte perché non avevano molta scelta. Forse, avrebbero potuto cercare di scappare, invece sono rimasti fino alla fine, mostrando una grande dignità e un rarissimo senso di dovere nei confronti dei loro compagni». Pensate di continuare a lavorare su questo tema? «Sto facendo una ricerca per reperire varie testimonianze, non solo italiane, sulla Grande Guerra. Mi piacerebbe metterle a confronto per mostrare che, già all’epoca, vista da diverse persone in diversi paesi, questa appariva ugualmente insensata. Per ora, stiamo coordinando una tournee all’interno del mondo dei circoli sardi sparsi in tutta l’Italia. Non è facile, ma ci proviamo». Inserita il 10 - 04 - 12 Fonte: Olga Romanova Commenti 0 Stampato da WWW.TEATRO.ORG © Tutti i Diritti Riservati