Omelie per un anno - vol. 2
14ª Domenica del Tempo Ordinario
 Is 66,10-14c - Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un
fiume, la prosperità.
 Dal Salmo 65 - Rit.: Grandi sono le opere del Signore.
 Gal 6,14-18 - Porto le stigmate di Gesù nel mio corpo.
 Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Dio ha riconciliato il mondo in
Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione. Oppure: La
pace di Cristo regni nei vostri cuori; la Parola di Cristo dimori tra
voi con abbondanza. Alleluia.
 Lc 10,1-12.17-20 - La vostra pace scenderà su di lui.
Quale pastorale?
Il titolo è molto ambizioso: propone un interrogativo che coinvolge
molte questioni ed esigerebbe uno sviluppo ampio, articolato,
storicamente concretizzato e incarnato nella situazione specifica di cui
si vuole trattare. Questo va detto per dare la giusta dimensione a
quanto brevemente diremo, consapevoli di non battere l’aria, ma
nemmeno di dare risposte o soluzioni semplicistiche a problemi
complessi. Insomma, l’interrogativo è soltanto un invito a riflettere.
Niente di più, purché lo si prenda sul serio e si cerchi di darvi una
risposta alla luce della Parola di Dio. Dunque: quale pastorale
adottare e con quali “strategie” operare?
Come agnelli tra i lupi
Gesù invia in missione settantadue discepoli. Non si tratta dell’invio
dei dodici soltanto, anche se le parole qui dette per i settantadue
sono applicate anche ai dodici nel contesto dell’ultima cena (cf Lc
22,35-36). La missione coinvolge dunque tutti, gerarchia e fedeli, in
modi e a livelli diversi. Si tratta della missione di evangelizzare che
appartiene a tutta la Chiesa, anzi è costitutiva di essa, perché la
Chiesa è evangelizzazione. La “pastorale” è altro termine per indicare
questa missione che tutta la Chiesa riceve da Cristo.
La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Forse questa, più che
constatazione di una particolare circostanza, è una legge che si ripete
costantemente nella storia del mondo: gli operai saranno sempre
pochi. Sembra esserci una legge della minoranza che è costante nella
storia del popolo di Dio. Ciò non giustifica però, in nessun modo,
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alcuna forma di passività o di pigrizia. Gesù infatti comanda: “Pregate
il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe”. Essere
in minoranza e pregare incessantemente perché il Signore Gesù
mandi operai è il modo cristiano di vivere la totale dipendenza da Dio
per l’opera di salvezza. Nessun trionfalismo, ma nemmeno la stanca
rassegnazione pessimistica o lo scoraggiamento!
“Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate
borsa, né bisaccia né sandali”. Ogni cristiano sperimenta intorno a sé
estraneità e ostilità da parte di chi chiude il proprio cuore alla
chiamata di Dio: è circondato da lupi. L’immagine di agnelli in mezzo
ai lupi indica che i missionari del Vangelo sono indifesi come agnelli
nella grande lotta escatologica che alla fine dei tempi si scatenerà, al
momento della “raccolta della messe”, cioè della riunificazione del
popolo di Dio. La missione attuale della Chiesa va vista nella
prospettiva della riunificazione del popolo di Dio come evento della
fine dei tempi.
Ebbene, nella prospettiva di un tempo che incalza, come nei giorni
della mietitura, i discepoli di Gesù devono saper rinunciare a tutto ciò
che è superfluo e “fa perdere tempo”, come i normali e convenzionali
contatti umani: “Non salutate nessuno lungo la strada”.
Il missionario del Vangelo deve essere riconosciuto da ciò che porta,
cioè la “pace”. Egli non fa ricorso né alla propaganda né alla potenza
umana e ai suoi mezzi; deve presentarsi come disarmato portatore
della pace. Quando la società si organizza con leggi, istituzioni, poteri
che sono contrari al Vangelo, il cristiano sa di trovarsi precisamente
in mezzo ai lupi. Egli accetterà l’ospitalità di chi vuole accogliere il
Vangelo, si accontenterà di ricevere ciò che gli viene offerto, cioè
vivrà sobriamente e senza continui andirivieni (“non passate di casa
in casa”) inutili e vuoti. Il luogo privilegiato della pastorale è la
“casa”, ossia la comunità domestica.
È già prevista la possibilità di non essere accolti, come avvenne per
Gesù. Ebbene, i discepoli scuoteranno dai loro piedi la polvere delle
città che rifiutano la conversione al Vangelo. Gesù stesso ha voltato le
spalle alle città che l’hanno rifiutato!
L’annuncio che il cristiano deve portare nella sua missione è qui
indicato chiaramente. Egli deve proclamare la venuta del Regno: “È
vicino a voi il regno di Dio”. È l’annuncio della sovrana vittoria di Dio
sul male. Per questo il testo evangelico fa menzione dei malati cui è
diretto: essi sperimentano più di altri l’effetto della potenza salvatrice
di Dio. Dunque già da ora il demonio è sconfitto: “Io vedevo Satana
cadere dal cielo come la folgore”. La venuta del regno di Dio,
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inaugurata da Gesù, significa un cambiamento di dominio: ora trionfa
il Signore.
Ma il regno di Dio non si instaura in un lampo, né in un giorno né in
un anno. Gesù mette in guardia da troppo facili entusiasmi e ai
settantadue dice: “Non rallegratevi però perché i demoni si
sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti
nei cieli”. Cristo non chiede e non cerca il successo dei suoi discepoli,
ma anzitutto la loro fedeltà e la speranza della salvezza, espressa con
l’iscrizione dei nomi in cielo. Quale terribile parola per tutti noi che
siamo tentati di scrivere i nostri nomi nell’albo dei successi della
storia umana più che in cielo!
Vi consolerò
La missione di Gesù, pur nel linguaggio tagliente, non deve far paura
o angosciare. Anzi, come esorta il profeta della 1ª lettura:
“Rallegratevi con Gerusalemme (simbolo della Chiesa), esultate per
essa quanti la amate”. L’esistenza escatologica del popolo di Dio è già
iniziata; il regno di Dio ha già cominciato a portare i suoi frutti, visibili
nella Chiesa.
“Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; in
Gerusalemme sarete consolati”. Dio è una madre buona che consola
nell’umana avventura, ma tale consolazione ci è data “in
Gerusalemme”, nella Chiesa. Sapessimo sempre lasciarci consolare
da questa Madre di tutti che è Dio, nel luogo della consolazione che è
la Chiesa! Dunque: sfavillate di gioia con la Chiesa voi tutti che
partecipate alle sue lotte e sofferenze; così succhierete al suo petto e
vi sazierete delle sue consolazioni. Come, dopo l’esilio, Gerusalemme
risorse e fu ricostruita, così la Chiesa ha sempre dinanzi a sé una
possibilità di rinascita che le viene da Dio. Essa non è mai morta.
Vantarsi nella croce del Signore
Il missionario per eccellenza, l’apostolo Paolo, ha avvertito
fortemente la tentazione, cui non sfugge nessuno, di vantarsi dei
propri successi – sia personali sia “pastorali” – e di far conto quindi su
calcoli e strategie umane. Egli reagisce decisamente affermando:
“Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore Gesù
Cristo”. Il Crocifisso contesta ogni vanteria umana, mette in crisi ogni
desiderio egoistico di successo, condanna il “mondo”, cioè tutto il
complesso di idee e valori e comportamenti che si oppongono a Dio.
Le “stigmate di Gesù” dovrebbero essere il distintivo del cristiano:
esse indicano la fedeltà, la fatica, la persecuzione, l’impegno
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quotidiano per rimanere attaccati alla scelta fondamentale di Gesù
come ragione e fondamento unico di salvezza.
La vera “pastorale” della Chiesa è proclamare e vivere quel che Gesù
è venuto a portare, cioè “l’essere nuova creatura”. Non conta più
nulla al di fuori di questo, né l’essere giudeo o pagano, ricco o
povero, uomo o donna. Si può divergere sui “metodi” o le scelte
pastorali, ma su una cosa tutti i cristiani sono concordi: ciò che conta
veramente è essere nuova creatura in Gesù Cristo. Ma tale solidarietà
con il destino di Cristo va vissuta fino in fondo, fino a condividere le
sue stigmate per assaporare anche il frutto della “pace e
misericordia” di Dio.
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