ASL 102 CHIETI CORSO DI AGGIORNAMENTO AZIENDALE PER MEDICI DI MEDICINA GENERALE ANNO 2007 LA GESTIONE INTEGRATA DEL PAZIENTE PSICHIATRICO TRA MMG E SERVIZI PSICHIATRICI TERRITORIALI Docente di contenuto Dr. Lannutti Quirino Animatore di formazione Dr. Ferrara Pietro Diego 1 Le psicosi, e quindi l'uso degli antipsicotici, sono di comune riscontro nell'ambito della MG in quanto si verificano spesso durante il corso di altre patologie quali demenza, abuso di farmaci, droghe, alcool, disturbi affettivi e stato di ansia, condizioni generalmente prese in carico dal MMG. A differenza di quanto accade generalmente nel trattamento dei disturbi affettivi, il MMG contribuisce al management dei disturbi psicotici perlopiù in stretta collaborazione con gli specialisti psichiatri. Ciò nonostante, con il trasferimento della gestione a lungo termine di malattie mentali dagli ospedali psichiatrici alla comunità, negli ultimi 20 anni il MMG ha assunto progressivamente un ruolo importante nel management a lungo e breve termine del paziente psicotico. La maggiore preoccupazione a livello sanitario nella MG è la comorbidità psichiatrica nascosta, che comporta una carente cura del paziente e costi elevati per la società. L'elevata proporzione di morbidità psichiatriche non riconosciute in MG è rimasta essenzialmente immodificata nell'arco delle ultime due decadi, ed i costi risultanti in termini di necessità non individuate, disabilità funzionali ed elevata utilizzazione dei servizi, continuano a costituire uno dei maggiori problemi della Sanità Pubblica. Ogni volta che il MMG è chiamato ad intervenire su un comportamento di disagio psichico, egli deve <scoprire> qual'è la situazione di difficoltà che questo comportamento segnala a livello dell'individuo, della famiglia e del contesto sociale. Molto spesso esso è l'espressione di una rete di relazioni disfunzionali e il paziente è colui che è <designato> dagli altri componenti ad esprimere il disagio dell'intero sistema familiare. Per pianificare un intervento terapeutico, il medico non può più servirsi solo del modello di sequenzialità lineare “osservazione – diagnosi – terapia” ma deve avere consapevolezza della circolarità del processo diagnostico. Le psicosi sono disturbi psichiatrici di frequente riscontro e particolarmente 2 gravi di per sé in quanto associate ad una maggiore incidenza di malattie mediche generali, e ad un elevato tasso di mortalità dovuto prevalentemente ai suicidi che si verificano nel 10% circa dei pazienti psicotici, mentre è stato calcolato che una percentuale variabile tra il 20 e il 40% fa almeno un tentativo di suicidio nel corso della malattia. Il disturbo psicotico, specie nelle sue forme croniche come la schizofrenia, produce effetti devastanti su molti aspetti della vita dei pazienti. Ciò si verifica perché i sintomi caratteristici della psicosi producono una serie di importanti deficit del funzionamento sociale e lavorativo, tanto più se si considera che la schizofrenia e gli altri disturbi psicotici esordiscono durante l’adolescenza o la prima età adulta, con un picco che è poco sopra i vent’anni per gli uomini e intorno ai trenta per le donne. Il potenziale destrutturante delle psicosi è ulteriormente aumentato dalla elevata comorbidità psichiatrica presente in questi pazienti: di particolare frequenza e importanza è l’abuso di sostanze come alcool e nicotina che producono, con particolare frequenza, quadri internistici gravi e correlati all’abuso stesso. ELEMENTI CLINICI CARATTERIZZANTI LE PSICOSI Al di là di sofisticati e complessi modelli psicopatologici, useremo i termini di “psicosi/psicotico” riferendoci a quelle condizioni cliniche rilevabili nell’esercizio quotidiano della pratica medica, caratterizzate essenzialmente dalla presenza di: Disturbi del contenuto del pensiero (deliri e allucinazioni) Gravi disturbi formali del pensiero (che vanno da una perdita progressiva dei nessi associativi tra le idee ad una vera e propria incoerenza con perdita di logicità del pensiero e conseguente linguaggio disorganizzato o addirittura incomprensibile) Disturbi della psicomotilità (soprattutto catatonia) Tali sintomi conducono a quella compromissione del giudizio di realtà che per tanti anni è stata considerata caratteristica di questa condizione psicopatologica. DELIRIO Il Delirio è un disturbo del pensiero. Ci sembra utile proporre la definizione di Jaspers che attribuisce all’idea delirante tre caratteristiche fondamentali: Assoluta certezza oggettiva (ad esempio una macchina passa suonando e questo per il paziente delirante è segno indiscutibile di un complotto 3 contro di lui) Inconfutabilità delle idee (le idee deliranti non vengono corrette neanche al cospetto di evidenze che vanno a confutare le idee suddette) Assurdità di contenuto (le idee deliranti, che associandosi, strutturano un delirio, hanno contenuti vari: persecuzione, riferimento mistico, gelosia) Sebbene le manifestazioni deliranti sono il più delle volte riconducibili ad una psicosi schizofrenica, occorre non trascurare la possibilità di una eziologia organica: Patologia endocrina o metabolica (disturbi della tiroide, iper o ipoglicemia, ipossiemia, ipercapnia, insufficienze epatica o renale gravi, febbre) Intossicazioni acute da alcool, oppiacei, ossido di carbonio Intossicazione da farmaci (anticolinergici, sedativi, antidepressivi, sali di litio, cortisonici, teofillina, digitalici) Astinenza da alcool o da stupefacenti Patologie infettive Lesioni del SNC (ictus, ematoma subdurale, trauma cranico, encefalite, vasculite) È ovvio che queste condizioni, pur avendo manifestazioni di tipo psicotico, non sono di competenza psichiatrica ma vanno indirizzate a cure mediche. ALLUCINAZIONE L’allucinazione è una “ percezione senza oggetto “. Il paziente cioè riferisce di vedere o sentire un oggetto (visivo o sonoro). Le pseudoallucinazioni, pur avendo i caratteri delle allucinazioni, non vengono obiettivate nel mondo esterno ma nello spazio interno (il paziente dice ad esempio di sentire una voce senza suono nella testa o di sentire il suo pensiero). Le allucinazioni possono essere visive, uditive, olfattive, somatiche. Nella schizofrenia sono più frequenti le allucinazioni uditive, nelle psicosi organiche quelle visive. DISTURBI FORMALI DEL PENSIERO Consistono in una serie di alterazioni della formulazione del pensiero, schematizzabili come segue: o Accelerazione ideica (il pensiero appare tanto ricco di idee quanto 4 labile, incapace di fissarsi su specifici contenuti) o Rallentamento del pensiero (eloquio difficoltoso, scarno, tempo di latenza alle domande aumentato); il rallentamento ideico è spesso associato ad un rallentamento motorio e una diminuzione della espressività mimica o Dissociazione (disturbo tipico delle psicosi, caratterizzato dal venir meno dei nessi associativi tra le idee; il linguaggio conseguente perde progressivamente di logicità e diventa bizzarro e sconclusionato. DISTURBI DELLA PSICOMOTILITA’ I disturbi della psicomotilità includono le compromissioni della capacità di esprimersi e sono rappresentati da: Abulia impulsività Arresto psicomotorio (il paziente non reagisce ad alcun stimolo, è indifferente a quanto accade nell’ambiente conservando piena lucidità di coscienza) Stupor catatonico (assume atteggiamenti posturali inusuali con ipertonia muscolare. I DISTURBI PSICOTICI VENGONO COSI’ SUDDIVISI (DSM IV) SCHIZOFRENIA (disturbo che dura almeno sei mesi, durante i quali per almeno un mese sono stati presenti 2 dei seguenti sintomi -deliri -allucinazioni -eloquio disorganizzato -appiattimento affettivo abulia -comportamento grossolanamente disorganizzato o afinalistico) DISTURBO SCHIZOFRENIFORME (quadro sintomatologico equivalente a quello della schizofrenia ma di minor durata) DISTURBO SCHIZOAFFETTIVO (un episodio di alterazione dell’umore e i sintomi della fase attiva della schizofrenia ricorrono assieme, sono precedenti o seguiti da almeno 2 settimane di deliri o allucinazioni senza rilevanti sintomi della sfera affettiva DISTURBO DELIRANTE (caratterizzato da almeno un mese di deliri non bizzarri in assenza di altri sintomi della fase attiva della schizofrenia) DISTURBO PSICOTICO CORRELATO AD UNA CONDIZIONE MEDICA GENERALE 5 DISTURBO PSICOTICO INDOTTO DA SOSTANZE DISTURBO PSICOTICO NON ALTRIMENTI SPECIFICATO Compito del MMG è l’identificazione di elementi di “sospetto” e di “allarme” di malattia psicotica del proprio paziente. Il momento della raccolta anamnestica è un momento fondamentale sia per la realizzazione di un primo orientamento diagnostico, sia per l’importanza che ricopre nella costruzione della relazione “medico-paziente-famiglia del paziente”, fondamentale nella gestione del paziente psichiatrico. Per quanto riguarda i fattori di “sospetto” e di “allarme” che possono essere repertati, dobbiamo distinguere tra un paziente all’esordio della patologia e uno con patologia già diagnosticata che si rivolge al proprio curante nei periodi intercritici della malattia. PAZIENTE ALL’ESORDIO DELLA PATOLOGIA Agli esordi soprattutto schizofrenici, il paziente può presentare due modalità fenomeniche della patologia a) una forma clamorosa con improvvisa comparsa di delirio, allucinazione, aggressività, comportamento disorganizzato; l’iniziativa più corretta va nella direzione di un intervento psichiatrico urgente attraverso l’intervento delle strutture psichiatriche territoriali o un ricovero in regime volontario o in TSO b) una forma subdola con la comparsa di elementi psicopatologici di non grande risonanza ma lentamente ingravescenti; in questi casi la patologia può essere a lungo misconosciuta e variamente etichettata, a seconda dei casi, come crisi adolescenziale, depressione, timidezza ecc.; ci si riferisce soprattutto ad adolescenti o giovani al di sotto dei 30 anni che presentano progressivo ritiro sociale, scarsa iniziativa, esitamento dei contatti umani. Questi segni devono indurre il medico di famiglia ad un atteggiamento di sospetto che potrebbe concretizzarsi in una più attenta vigilanza al comparire degli elementi distintivi della psicosi (delirio, allucinazioni). PAZIENTE CON PATOLOGIA GIA’ DIAGNOSTICATA Diverse sono le considerazioni per il paziente già diagnosticato durante una fase intercritica della malattia; un elemento importantissimo di valutazione è l’adesione o meno del paziente al trattamento 6 farmacologico prescrittogli; i pazienti psicotici, nella grande maggioranza, arrivano prima o poi alla decisione di ridurre o addirittura interrompere la terapia. Tale decisione, qualche volta motivata dalla persistenza di effetti collaterali dei farmaci, è spesso determinata dalla natura stessa della patologia: il malato che in seguito alla terapia migliora dal punto di vista sintomatico, va’ incontro a consapevolezze che riguardano la propria condizione esistenziale che spesso risultano insopportabili e lo inducono ad interrompere la terapia. La riduzione o la sospensione della terapia su iniziativa autonoma del paziente è un elemento che deve essere sempre ricercato dal medico di famiglia inducendolo ad un immediato confronto con gli specialisti che lo hanno in cura (di regola gli psichiatri delle istituzioni psichiatriche territoriali: CSM). Altrettanto importante è il reperimento dei segni e dei sintomi di ripresa della malattia, anch’essi da comunicare come dati di urgenza allo psichiatra di riferimento. Il trattamento dei disturbi psicotici deve essere un trattamento“integrato” tra MMG e psichiatri soprattutto del territorio, per tentare di risolvere, nel miglior modo possibile, tutti gli aspetti e le conseguenze del disagio psichico del paziente: data infatti la gravità e la cronicità della patologia, il paziente vede enormemente menomata la sua vita di relazione con gravi ripercussioni familiari e sociali che, a loro volta, peggiorano il decorso della malattia. Perché è necessario una integrazione tra medico di famiglia e psichiatra? a) per individuare tutti i casi presenti nella popolazione generale b) per migliorare l’efficacia dei trattamenti e potenziare il processo di promozione della salute con attività di prevenzione c) perché i MMG si confrontano con disturbi sfumati e cronici ed hanno conoscenza del contesto familiare e sociale nell’ambito del quale il paziente vive d) perché i MMG si trovano di fronte alla complessità del problema della persona sofferente e non solo alla sua malattia Aree problematiche per la gestione dei disturbi psichiatrici nella Medicina Generale: I. identificazione dei disturbi (diagnosi) 7 II. scarso tempo a disposizione III. conoscenza non sempre elevata di utilizzo degli psicofarmaci IV. formazione di una competenza psichiatrica specifica del MMG (i criteri utilizzati per la pratica specialistica non sono altrettanto predittivi nella Medicina Generale) V. relazione e rapporti fra MMG e servizi specialistici VI. creazione di una base comune per protocolli e linee guida di diagnosi e trattamento. Le strutture territoriali di psichiatria sono rappresentate dai Centri di Salute Mentale (CSM) che hanno il compito di intervenire sul paziente con una adeguata terapia psicofarmacologica sulla componente biologica della malattia, con un supporto psicoterapeutico sulla componente psicologica e con un sostegno sociale. Al fine di evitare processi di ulteriore desocializzazione del paziente si vanno istituendo, all’interno dei CSM, i centri diurni che dovrebbero provvedere, attraverso una cosiddetta “terapia riabilitativa” al progressivo reinserimento del paziente nel tessuto sociale. Va’ da sé che il paziente psicotico mantiene i rapporti con il proprio medico di famiglia, al cui ambulatorio afferirà non solo per eventuali patologie organiche intercorrenti, ma anche per segnalare possibili effetti collaterali della terapia psichiatrica, chiedere spiegazioni o manifestare perplessità sull’iter terapeutico cui è sottoposto, chiedere che il proprio curante si metta in comunicazione con lo psichiatra per chiarire alcuni aspetti clinici o anamnestici che personalmente non è capace di esplicitare. Da tutto questo si evince che il trattamento integrato del paziente psicotico prevede un lavoro sinergico tra il CSM e il MMG e, a volte, con lo specialista psichiatra ospedaliero deputato ad accogliere e contenere il paziente nella fase acuta o durante le riacutizzazioni della malattia. Con la legge 180 del 13-05-1978, fatta poi propria dalla più vasta legge istitutiva del SSN (legge n° 833 del 23-12-1978), gli Ospedali Psichiatrici furono aboliti con progressiva chiusura programmata da parte delle Regioni; la legge 180 ha rappresentato una legge di rottura rispetto alle norme legislative precedenti e la sua entrata in vigore ha rovesciato completamente i criteri giuridici dell’assistenza 8 psichiatrica italiana. La legge precedente del 14-02-1904 definiva il compito dell’assistenza psichiatrica quale protezione della società dai disturbi comportamentali degli psicotici gravi internandoli anche per decenni, fornendo loro un’assistenza stabile e soddisfacente. La legge 36 del 1904 prevedeva il concetto di pericolosità verso se stessi e gli altri, a cui si aggiungeva anche il concetto di pubblico scandalo. Contestualmente all’entrata in vigore della legge 180, il concetto di pericolosità per malattia mentale è stato abolito anche dal Codice Penale. L’internamento definitivo secondo la legge del 1904 prevedeva l’automatica interdizione del paziente che, se dimesso, vedeva annotato sul proprio casellario giudiziario il procedimento di internamento in manicomio per alienazione mentale. Verso la fine degli anni ’30 l’introduzione delle terapie fisiche, quali l’elettroschok e l’insulinoschok terapia, modificarono notevolmente la vita interna dei manicomi. E’ infatti in questo periodo che il manicomio cambia il nome in Ospedale Psichiatrico per sottolineare la nuova prevalenza del fine terapeutico rispetto a quello custodialistico. Contemporaneamente si rafforzava l’idea che l’assistenza psichiatrica non potesse essere deafferentata dall’assistenza medica generale e una legge transitoria, la n° 431 del 18-03-1968, iniziava questa fase di trasformazione. Sotto le spinte di un clima ideologico che vedeva l’avversione verso qualsiasi forma di istituzione totale e di autoritarismo e quindi a maggior ragione verso l’istituzione manicomiale, nasce in Italia negli anni a cavallo tra il 1960 e il 1970 un movimento innovatore che trova in un gruppo di psichiatri guidato da Franco Basaglia i principali promotori. Principalmente su loro ispirazione viene formulata ed entra in vigore la legge 180 del 13 maggio 1978. Nasce quindi il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) composto da diverse strutture 1) il Centro di Salute Mentale (CSM): è la sede operativa dell’equipe degli operatori e punto di coordinameto dell’attività sul territorio; vi lavora un’equipe multiprofessionale che svolge attività di prevenzione, cura e riabilitazione tra loro integrate ed in particolare attività di valutazione delle richieste che giungono da 9 utenti, familiari, MMG, medici del Servizio di Continuità Assistenziale, Pronto Soccorso attività di filtro e prevenzione dei ricoveri ospedalieri visite ambulatoriali visite domiciliari psicoterapie individuali e di gruppo terapia psicofarmacologica attività di sostegno infermieristico attività riabilitativa e risocializzanti interventi socio-assistenziali per gli utenti a carico proposte di ricovero nei reparti ospedalieri psichiatrici consulenze specialistiche a istituti o altri servizi sia territoriali che ospedalieri collaborazione con enti preposti alla tutela della salute mentale del minore (del DSM fa parte anche il Servizio di Neuropsichiatria Infantile) 2) Day-hospital e Centro Diurno; il DH rappresenta uno spazio di assistenza semiresidenziale per prestazioni diagnostiche e terapeutico-riabilitative a breve termine. Può essere collocato in strutture ospedaliere o esterne all’Ospedale ma collegate con il CSM. Può permettere di ridurre la durata del ricovero e dei avviare e monitorare interventi farmacologici e psicoterapeutici. Il Centro Diurno è una struttura semiresidenziale aperta otto ore al giorno per sei giorni la settimana. Dispone di locali idonei e attrezzati, si avvale di operatori propri o di coperative sociali o organizzazioni di volontariato. I suoi compiti sono volti a consentire lo sviluppo, nell’ambito di progetti terapeuticoriabilitativi, di attività personali nella cura di sé e nelle attività quotidiane. 3) Strutture Residenziali: rappresentano uno strumento essenziale del DSM per portare a termine il definitivo superamento degli Ospedali Psichiatrici e per fornire una adeguata assistenza ai pazienti più gravi. Inizialmente esse sono sorte per favorire il reinserimento nel contesto territoriale (quindi in case di normale abitazione) dei pazienti dimessi dagli Ospedali Psichiatrici, mentre successivamente si è cercato di soddisfare la necessità 10 di fornire un contesto abitativo soddisfacente a quei pazienti più gravi che non possono vivere da soli o nelle famiglie di origine e che necessitano di una assistenza continuativa, al fine di tutelare e ricostruire il tessuto relazionale, sociale e affettivo di queste persone. 4) Il Servizio Psichiatrico di diagnosi e cura, collocato in un ospedale generale. Esso accoglie pazienti per i quali si rende necessario il ricovero in ambiente ospedaliero, sia in forma volontaria sia in regime di TSO. Durante il ricovero: Vengono impostate terapie farmacologiche Sono effettuati accertamenti internistici viene valutato, con la collaborazione degli operatori del CSM e del medico di famiglia, la situazione personale e relazionale del paziente viene riformulato un progetto terapeutico finalizzato alla dimissione, in collaborazione anche con il MMG TRATTAMENTO COERCITIVO PER IL PAZIENTE PSICHIATRICO NON COLLABORANTE Si estrinseca attraverso tre possibilità: trattamento farmacologico obbligatorio (TFO), accertamento sanitario obbligatorio (ASO), trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Sicuramente la forma a cui più facilmente si fà ricorso è il TSO; il TFO e l’ASO sono attivati esclusivamente su proposta di uno psichiatra del DSM. Queste forme di coercizione sicuramente sono l’ultima risorsa a cui ricorrere nell’approccio ad un paziente con problemi psichiatrici tenendo sempre in grande considerazione la dignità del malato. La non collaboratività del paziente può esprimersi secondo modalità differenti: A. il paziente rifiuta qualsiasi rapporto con i sanitari B. il paziente rifiuta il trattamento, più comunemente quello farmacologico C. il paziente collabora solo apparentemente, assumendo un atteggiamento compiacente verso i sanitari D. il paziente mostra “incompetenza relazionale”, cioè una 11 apparente incapacità a stabilire un rapporto con i sanitari Quest’ultimo fenomeno emerge dalla relazione medico-pazientecontesto, ed è legato, tra gli altri fattori (personalità del pz., carattere e gravità del disturbo specifico, organizzazione del sistema familiare, organizzazione del Servizio Psichiatrico Territoriale), anche dalla personalità del singolo operatore. Una personalità narcisistica del medico fa sì che egli viva con distacco e fastidio le difficoltà che incontra con un paziente grave; egli tenderà a chiudersi alla relazione col paziente propendendo per provvedimenti di tipo coercitivo. Se il medico tende ad identificarsi in maniera proiettiva con il paziente, avrà verso di lui forti vissuti di empatia e tenderà a vederlo come “vittima” di soggetti esterni, soprattutto i familiari. Questo atteggiamento potrebbe impedire al medico di riconoscere il carico di sofferenza dei familiari del paziente rendendo più difficile la collaborazione con essi. Una scarsa capacità del medico di controllare i propri impulsi, lo porterà ad identificare la storia del paziente con il proprio vissuto psichico; il pz. verrà visto con rabbia e paura, come un soggetto al tempo stesso fragile e pericoloso. In ogni caso è giustificato superare forzatamente il rifiuto di collaborare e decidere per un provvedimento coercitivo solo se si realizzano le seguenti condizioni: l’intervento terapeutico è il migliore provvedimento per quel determinato paziente in quel determinato momento della sua storia non fare nulla peggiorerebbe sicuramente la situazione la famiglia condivide la necessità del provvedimento non vi sono le condizioni e le circostanze per adottare misure sanitarie extraospedaliere idonee TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO (TSO) Il TSO viene proposto in quei casi in cui per la presenza di una patologia mentale, l’individuo non è ritenuto capace di autodeterminarsi e di comprendere e di esprimere i propri bisogni. L’intervento in una situazione di non collaborazione non 12 deve sfociare inevitabilmente in un TSO. La possibilità di un ricovero volontario và sempre ricercata, anche se può apparire di difficile attuazione; talvolta però le condizioni di particolare gravità impongono al medico l’attuazione di tale procedura. Sono abilitati ai ricoveri contro la volontà del paziente i Servizi psichiatrici di diagnosi e cura istituiti negli Ospedali Civili. A garanzia del paziente, la sussistenza di tutte le citate condizioni che rendono inevitabile il ricovero coatto, non esime mai il medico dal mettere in atto tutte le modalità necessarie ad acquisire il consenso dell’interessato. Procedure burocratiche-amministrative per il TSO la proposta di TSO può essere avanzata da parte di qualsiasi sanitario che, nell’esercizio delle sue funzioni, ravvisi tutte le sovraesposte condizioni la proposta del medico deve essere poi convalidata da un medico della ASL (la legge non lo identifica necessariamente nello psichiatra) che ravvisi anch’egli la presenza delle citate condizioni a ciò segue l’emissione dell’ordinanza di ricovero da parte del Sindaco, nella veste di massima autorità sanitaria del Comune e il provvedimento dovrà essere notificato tramite messo comunale, entro 48 ore dal ricovero, al Giudice Tutelare nella cui circoscrizione rientra il Comune il TSO ospedaliero dura di regola sette giorni anche se può essere prolungato, senza limiti precostituiti, su richiesta del responsabile del Servizio Psichiatrico di diagnosi e cura dell’Ospedale sul TSO vigila il Giudice Tutelare e il paziente sottoposto a ricovero o chiunque vi abbia interesse, può proporre al Tribunale competente per territorio, ricorso contro il provvedimento. ELEMENTI DI TERAPIA FARMACOLOGICA Il caposaldo della terapia farmacologia in caso di Psicosi è rappresentato dalla famiglia degli Antipsicotici. 13 Short acting: Aloperidolo (Haldol, Serenase): ambito terapeutico fra 1 e 12 mg con effetti collaterali di tipo prevalentemente extrapiramidale. Risperidone (Risperdal, Belivon): ambito terapeutico fra 1 e 12 mg/die con effetti extrapiramidali meno accentuati rispetto all’Aloperidolo. Clozapina (Leponex): ambito terapeutico fra 50 e 600 mg%; sono possibili gravi effetti sulla crasi ematica mentre sono quasi completamente assenti quelli di tipo extrapiramidale. Olanzapina (Zyprexa): ambito terapeutico fra 5 e 20 mg/die; il farmaco può determinare notevole incremento ponderale. Long acting: Aloperidolo decanoato (Haldol decanoas): ambito terapeutico fra 50 e 150 mg ogni tre/quattro settimane. Flufenazina decanoato (Moditen depòt): ambito terapeutico 25 mg ogni tre/quattro settimane; effetti collaterali prevalentemente di tipo extrapiramidale. Quetiapina fumarato (Seroquel): ambito terapeutico fra 150 e 750 mg/die con inizio graduale giornaliero; la Quetiapina, derivato benzotiazepinico, ha un’affinità di legame per i recettori serotoninergici superiore a quella per i recettori dopaminergici D2, una bassissima affinità per i recettori dopaminergici D1 e una buona affinità per i recettori alfa-1 adrenergici e per quelli dellìistamina. Il farmaco agisce efficacemente sia sui sintomi affettivi che su quelli cognitivi della schizofrenia ed è estremamente bassa l’incidenza dei sintomi extrapiramidali. L’efficacia della Quetiapina nei disturbi dello spettro schizofrenico è confrontabile con quella dell’Aloperidolo e della Clorpromazina col vantaggio che la molecola è meglio tollerata dai pz. suscettibili ai sintomi extrapiramidali quali 14 quelli appartenenti alle età estreme e coloro con preesistenti patologie coinvolgenti le vie dopaminergiche, quali soprattutto il Parkinson e l’Alzheimer. Categorie di pazienti a cui è controindicato il trattamento con Antipsicotici: ° pazienti con m. di Parkinson per un possibile peggioramento del quadro clinico di base. ° cardiopatici per un possibile scatenamento o aggravamento di turbe del ritmo o della conduzione. ° epilettici per possibile scatenamento o riattivazione di crisi epilettiche per abbassamento della soglia convulsivante. 15 16 17 18