Gianni Zanarini*
Lo spettacolo della scienza
Concetti in scena
[…] Su un’oscura materia compongo versi
così limpidi, aspergendo ogni cosa della leggiadria del canto.
Infatti, anche ciò non sembra senza ragione;
come i medici, quando cercano di somministrare ai fanciulli
l’amaro assenzio, prima cospargono l’orlo
della tazza di biondo e dolce miele,
affinché l’inconsapevole età dei fanciulli ne sia illusa
fino alle labbra, e frattanto beva l’amaro
succo dell’assenzio, senza che l’inganno le nuoccia,
e anzi al contrario in tal modo rifiorisca e torni in salute;
così io, poiché questa dottrina appare
spesso troppo ostica a quanti non l’abbiano
conosciuta a fondo, e il volgo ne rifugge e l’aborre,
ho voluto esporla a te nel melodioso canto pierio,
e quasi aspergerla del dolce miele delle Muse,
se per caso in tal modo io potessi trattenere il tuo animo
con questi miei versi, fin quando tu attinga l’intera
natura dell’universo, e di quale forma esso consista e si adorni.1
Così Lucrezio, 2000 anni fa, giustificava la scelta di mettere in versi la fisica di
Epicuro. Un poeta si poneva al servizio della scienza, e nello stesso tempo la elevava a
dignità d’arte. Ancora oggi, leggendo i suoi versi, o ascoltandoli a teatro in una delle
molte traduzioni che ne sono state fatte, proviamo emozioni più profonde di quelle che
ci suscita la lettura del testo di Epicuro. Ma non si tratta di emozioni indipendenti dal
contenuto scientifico, come potrebbe accadere ad esempio per una melodia, o per
un’aria d’opera, nella quale la musica può emozionare anche indipendentemente dalle
parole.
Che cosa fa, dunque, Lucrezio nel De Rerum Natura? In che misura la sua operazione
culturale e artistica ci può aiutare a comprendere il rapporto che intercorre tra scienza e
teatro?
La prima operazione che Lucrezio compie è quella che potremmo definire di
comunicazione della scienza ad un pubblico digiuno di queste tematiche. Egli sceglie
con cura le parole per comunicare un contenuto altrimenti difficile: deve addirittura
inventare parole nuove per tradurre in latino i concetti espressi da Epicuro in greco.
Né certo sfugge al mio animo che è arduo spiegare
le oscure scoperte dei Greci con versi latini,
soprattutto perché se ne devono trattare molte
con nuovi vocaboli, per la povertà della lingua e la novità dei concetti;
ma il tuo alto valore e lo sperato piacere della dolce amicizia
mi persuadono tuttavia a sostenere qualsiasi fatica
e m’inducono a vegliare durante le notti serene,
escogitando con quali parole e quale canto alfine
possa diffondere davanti alla tua mente una splendida luce,
*
Università di Bologna Alma Mater Studiorum.
T.Lucrezio Caro, De Rerum Natura, libro I, 933-950 (trad. it. di Luca Canali, Rizzoli, Milano, 1990, p.
143). Per una più ampia analisi della dimensione scientifica del testo lucreziano, si veda G.Zanarini,
Appassionato rigore, Cuen, Napoli, 2001.
1
1
per cui tu riesca a vedere il fondo delle cose arcane.2
Spesso, inoltre, egli si affida a efficaci analogie intessute di immagini. E’ il caso,
innanzitutto, della costituzione atomica del mondo, costituzione che, in quanto è
inaccessibile alla vista, potrebbe venire rifiutata. La scelta di Lucrezio è quella di
proporre un’analogia – che egli mutua dagli atomisti - con la costituzione delle parole a
partire dalle lettere dell’alfabeto: una analogia convincente e nello stesso tempo alla
portata di tutti.
[…] Vedi sparse nei miei stessi versi
molte lettere comuni a molte parole,
mentre è tuttavia necessario ammettere che i versi
e le parole si differenziano per significato e per timbro di suono.
Tanto possono le lettere, solo a mutarne l’ordine.
Ma le particelle elementari dei corpi hanno maggior potere
poiché da esse si creano tutte le varie sostanze. [...]
Ora vedi dunque, come ho detto poc’anzi,
che spesso ha grande importanza per i medesimi elementi primordiali
con quali altri e in quali disposizioni si uniscano,
e quali impulsi fra loro imprimano o ricevano,
e che le stesse particelle elementari di poco mutate reciprocamente
producono i fuochi e il legno? In tal modo anche le parole
sono costituite da lettere di poco mutate fra loro,
quando con nome diverso indichiamo l’ignea forza e la lignea natura. 3
Possiamo renderci conto della straordinaria capacità espressiva di Lucrezio
confrontando, sullo stesso argomento, il suo testo con quello di Epicuro (anche se
ambedue in traduzione italiana). Consideriamo in particolare il famoso brano sullo
spazio infinito.
Ora, poiché si deve riconoscere che fuori del tutto
non può esistere nulla, l’universo non ha estremo, né confine, né misura.
Né importa in quale parte tu sia situato;
sempre, in qualunque luogo uno si fermi,
da ogni lato lascia ugualmente infinito l’universo.4
Sullo stesso tema, Epicuro scrive:
Il tutto è infinito, perché ciò che è finito ha un’estremità, e l’estremità si vede solo col confronto con
un’altra cosa. Ora il tutto non si vede col confronto con un’altra cosa, così che in quanto non ha estremità,
non ha limite, e in quanto non ha limite deve essere infinito, e non limitato. 5
L’operazione comunicativa di Lucrezio, in questo caso, è quella di trasformare una
argomentazione puramente logica in una situazione, per così dire, teatrale, nella quale
l’ascoltatore viene stimolato a immaginare di spostarsi a piacere in questo spazio
infinito. Ma il poeta Lucrezio va ancora oltre, riprendendo e sviluppando una efficace
immagine dovuta al filosofo pitagorico Archita.
Inoltre, se vogliamo invece supporre finito
tutto lo spazio, se alcuno si spingesse fino
2
T.Lucrezio Caro, De Rerum Natura, libro I, 136-145 (trad. it. cit., 1990, p. 83).
T.Lucrezio Caro, De Rerum Natura, I, 823-829 e 907-914 (trad. it. cit., p.135-141). Le parole latine
confrontate sono ignis et lignum, ligna atque ignis.
4 T.Lucrezio Caro, De Rerum Natura, I, 963-967 (trad. it. cit., p.145).
5 Epicuro, Epistola a Erodoto, in Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Laterza, Bari, 1983, p.415.
3
2
alle rive estreme e scagliasse un dardo volante,
ritieni che questo, vibrato con valide forze,
raggiunga il bersaglio e voli oltre lontano,
oppure che qualcosa gli si opponga e gli vieti d’andare?6
Questa visualizzazione quasi teatrale è particolarmente felice, e ben si presta ad
avvicinare all’ambito dell’esperienza comune - pur senza appiattirlo su di essa - un
concetto irriducibile quale quello di infinito.
Certo, il fatto che qui si tratti di un infinito spaziale – collegabile quindi al
movimento e all’esperienza sensibile - facilita l’operazione comunicativa. Più difficile
sarebbe confrontarsi con altri aspetti dell’infinito: in particolare, con l’infinito
matematico, ossia con un concetto puro che precede ed è indipendente da ogni
declinazione materiale, e con i paradossi che al concetto di infinito si associano.
Può essere efficace, anche per un concetto come questo, tentare la strada delle
visualizzazioni, delle teatralizzazioni, dei paradossi illuminanti? Una risposta a questa
domanda viene dallo spettacolo teatrale Infinities, messo in scena nel 2001 da Luca
Ronconi al Piccolo Teatro di Milano su un testo di John Barrow. Questo spettacolo, a
sua volta, si inserisce in un più ampio progetto teatrale elaborato da Luca Ronconi e
Giulio Giorello, i cui obiettivi sono così sintetizzati da Ronconi stesso.
Protagonisti dovranno essere le idee, i concetti, le astrazioni. Si tratta di far entrare a teatro un
linguaggio che finora ne era rimasto fuori. Per questo non ho chiesto a Barrow un testo già
drammatizzato, in cui personaggi e dialoghi fossero gli elementi portanti della scrittura: saremmo ricaduti
nelle forme teatrali più tradizionali […]. Gli ho chiesto invece idee, ipotesi, supposizioni, dimostrazioni,
contraddizioni, paradossi, sia pure legati a racconti e aneddoti. […] 7
L’esposizione di concetti scientifici è una modalità pressoché inevitabile quando si
parla di scienza in un contesto extrascientifico, come quello teatrale o cinematografico:
è la modalità della divulgazione scientifica, che in generale coesiste con altre
dimensioni, come quella della narrazione biografica.
Ad esempio, nel testo teatrale Copenhagen di Michael Frayn8 incontriamo anche un
tentativo interessante di comunicare attraverso la drammatizzazione teatrale i nuovi
concetti introdotti dalla meccanica quantistica: il principio di indeterminazione, la
complementarità, la sovrapposizione degli stati, la teoria della misura come criterio di
realtà degli oggetti quantistici.
Vanno ricordati, a questo proposito, anche i testi teatrali di Tom Stoppard e Carl
Djerassi.
Hapgood (1988) di Stoppard è un complicato gioco di spie che si ispira alla
meccanica quantistica, e in particolare alla dualità onda-particella. In Arcadia (1993),
invece, sono la termodinamica e la teoria dei sistemi caotici a prendere il posto nella
meccanica quantistica. In An immaculate misconception (1998) di Djerassi, invece, è la
fecondazione in vitro il tema scientifico che struttura il testo. Questo tema viene
presentato anche in termini didattici, addirittura con l’ausilio di immagini al
microscopio.
Osservazioni, meraviglie, esperimenti
6
T.Lucrezio Caro, De Rerum Natura, I, 968-973 (trad. it. cit., p.145).
L.Ronconi, Le idee della scienza irrompono al Piccolo, Il Sole 24 Ore, 14/01/2000.
8 M.Frayn, Copenhagen, Methuen, London, 1998.
7
3
Ma torniamo brevemente a Lucrezio. Come ho detto, egli riesce a comunicare con
efficacia, e anche con poesia, res occultas. Non solo i concetti, però, ma anche i
fenomeni fisici sono oggetto della sua poesia. E sotto la sua penna anche i più modesti
elementi della vita quotidiana sono come trasfigurati, perché sono osservati con uno
sguardo nuovo: uno sguardo che coniuga una acuta registrazione delle loro peculiarità
con una profonda attenzione a ciò che essi possono dire dei primordia rerum, della
costituzione e della dinamica della natura nei suoi elementi ultimi.
Osserva infatti, ogni volta che raggi trapelano
e infondono la luce del sole nell’oscurità delle stanze:
vedrai molti corpi minuscoli vorticare
in molteplici modi nel vuoto nella stessa luce dei raggi,
e come in un’eterna contesa muovere contrasti e battaglie
scontrandosi a torme, senza mai trovar pace,
continuamente agitati da rapidi congiungimenti o effrazioni;
così che puoi arguire da ciò quale sia l’eterno
agitarsi degli elementi primordiali nell’immenso vuoto;
per quanto un piccolo fenomeno può offrire l’immagine
di grandi eventi e una traccia per la loro conoscenza.
Tanto più giusto è perciò che tu volga il tuo animo
a questi corpuscoli che appaiono rimescolarsi nei raggi del sole,
poiché tutto quel turbinio rivela per di più che in essi
si celano moti segreti e invisibili della materia.9
La scienza, dunque, è anche una sorgente di immagini: in questo caso – come 2000
anni dopo nel caso dello studio del moto browniano – l’immagine di una danza, di una
guerra tra corpuscoli primordiali.
Nello stesso tempo, essa ci appare anche in un altro suo importante aspetto: quello
dell’osservazione del mondo, alla ricerca di regolarità segrete, di strutture nascoste, di
leggi universali, ma non soltanto.
Il caso di Galileo è particolarmente illuminante a questo proposito. Egli sfrutta un
nuovo dispositivo – il cannocchiale – per sviluppare una attività osservativa sistematica
e accurata, e la sua conoscenza del disegno e della prospettiva gli fornisce un modello
teorico per interpretare ciò che vede: i monti della luna. Assai efficace è la ricostruzione
di questo paziente lavoro al telescopio che Liliana Cavani dà nel suo Galileo10.
Un altro testo teatrale che sottolinea l’importanza della dimensione strumentale è Il
tempo di là dal mare, di Annalisa Bianco11, tratto da Longitudine di Dava Sobel12. In
questo caso, è l’orologio marino l’oggetto di un appassionato studio, in polemica con
chi non ne riconosce l’utilità essenziale per dare senso – da parte di un osservatore che
naviga, a rischio di perdersi, nell’immensità del mare – all’osservazione del cielo.
Ma l’osservazione - per quanto accurata, geniale e tecnicamente raffinata - non basta
alla scienza. Essa infatti si costruisce soprattutto a partire da osservazioni ripetibili e
controllate, nelle quali un modello teorico preliminare permette di isolare le variabili
rilevanti, e per mezzo delle quali si mette alla prova la capacità predittiva del modello
stesso.
In Galileo, e in particolare nel Dialogo dei massimi sistemi – un testo teatrale fin dalla
sua concezione – troviamo efficacissimi racconti di esperimenti scientifici, come quello
famoso sul moto relativo, poetico e scientifico insieme.
9
T.Lucrezio Caro, De Rerum Natura, II, 114-128 (trad. it. cit., p.167).
L.Cavani, Galileo, 1968.
11 A.Bianco, Il tempo di là dal mare, Compagnia Teatrale “I fratellini”, Genova, 2001.
12 D.Sobel, Longitudine, Rizzoli, Milano, 1996.
10
4
SALVIATI - […] Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun
gran navilio, e quivi fate d’aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso
d’acqua, e dentrovi de’ pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia
versando dell’acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso. E stando ferma la nave,
osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della
stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno
tutte nel vaso sottoposto; e voi, gettando all’amico alcuna cosa, non più gagliardamente la dovrete gettare
verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno eguali; e saltando voi, come si dice, a piè
giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose,
benché niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succeder così, fate muover la
nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi
non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete
comprender se la nave cammina o pure sta ferma. […]
E di tutta questa corrispondenza d’effetti ne è cagione l’esser il moto della nave comune a tutte le cose
contenute in essa ed all’aria ancora, che per ciò dissi io che si stesse sotto coverta. […] 13
Nel testo teatrale Il fuoco del radio, di Luisa Crismani e Simona Cerrato, la
protagonista racconta la propria estenuante ricerca sperimentale sulla radioattività.
MARIE - Torbenite e pechblenda. […] Nella primavera del 1898, nel mio laboratorio, mi accade di
assistere a un fenomeno straordinario… Questi due minerali mi rivelano una radioattività molto superiore
a quella dell’uranio puro. Ripeto l’esperimento più volte… il risultato è sempre lo stesso… non posso
essermi sbagliata. (Sgomenta, con un pezzo di minerale tra le mani) Qui dentro c’è qualcosa di più
radioattivo dell’uranio… Proprio qui, dentro queste pietre che abbiamo sotto gli occhi da millenni, come
acquattato nella roccia, qualcosa di straordinario… è possibile? Pierre… Pierre… (Si guarda attorno
come cercandolo. Il suo sguardo si ferma, forse su una sedia, e Maria parla a Pierre come se lui fosse lì:
improvvisamente si anima, ridiventa giovane). Pierre, voglio scoprire cos’è!14
In un certo senso, si chiede alla realtà di salire sulla scena, interpretando un copione
che stabilisce confini, rilevanze, tempi. E anche l’esperimento ripetuto per motivi
didattici è un pezzo di teatro, come del resto lo sono la lezione e la relazione scientifica.
Gli esperimenti scientifici sono spesso l’occasione di mettere in evidenza aspetti
inattesi, quasi magici della realtà: si pensi ad esempio a tutto il vasto campo
dell’elettricità e del magnetismo, a partire dal quale nell’ottocento si è sviluppato un
tipo di teatro scientifico che puntava sull’ostensione del meraviglioso. 15 Troviamo
un’eco di questo modo di portare la scienza a teatro nello spettacolo Omaggio a Nikola
Tesla del Masque Teatro.16 Qui uno scienziato-attore funge da intermediario tra i misteri
e le meraviglie della natura e un pubblico stupefatto.
Se la scienza ottocentesca ha potuto svilupparsi, in gran parte, attraverso l’opera di
studiosi isolati, nella ricerca scientifica del novecento il lavoro di gruppo ha preso
sempre più spazio, fino a giungere alle grandi équipes di ricerca che caratterizzano la
big science. Il caso più vistoso del novecento è quello del progetto Manhattan, al quale
allude il testo di Kipphardt su Oppenheimer.17
Un altro aspetto peculiare dell’attività di ricerca merita di venire sottolineato. La
ricerca scientifica – sottolinea opportunamente Marcello Pera - non è “una partita a due
tra la natura e il ricercatore, che, grazie al metodo, la interroga e la legge. Invece, la
partita è a tre: la natura, chi la interroga e chi (uditorio o comunità), interrogandola
anch'egli, dibatte con gli altri interroganti”. 18 Questa fondamentale dimensione della
scienza si potrebbe definire “teatrale”, ed è particolarmente adatta alla messa in scena.
13
G.Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Einaudi, Torino 1970, pp. 227-229.
L.Crismani, S.Cerrato, Il fuoco del radio, La Contrada, Trieste 1997, p. 27.
15 S.Barbacci, in Un caleidoscopio magico: La scienza a teatro, Sissa, Trieste, 2001, p.14.
16 Masque Teatro, Omaggio a Nikola Tesla, Forlì, 2001.
17 H.Kipphardt, Sul caso di J.Robert Oppenheimer, Einaudi, Torino, 1964.
18 M.Pera, Scienza e retorica, Laterza, Bari, 1991, p.10.
14
5
Ne troviamo un efficace esempio – ancora una volta - nel Galileo di Brecht, quando
lo scienziato insieme ai suoi collaboratori sviluppa le esperienze sul galleggiamento, in
dialogo non soltanto con la natura e con i ricercatori lì presenti, ma anche con gli
scienziati del passato, e in particolare con Aristotele.19
In Copenhagen, dove la tematica scientifica riguarda in primo luogo la fisica teorica,
viene rievocata una intensa stagione di scambi, di proposte, di contrasti, di innovazioni
straordinarie: una sorta di convegno itinerante.
BOHR - Ricordi quando Uhlenbeck e Goudsmith proposero la rotazione?
HEISENBERG - Sì, perché esiste un’ultima variabile nello stato quantistico dell’atomo che nessuno riesce
a spiegare. L’ultima barriera…
BOHR - E quei due pazzi olandesi riprendono la ridicola idea che gli elettroni possano ruotare in
direzioni diverse.
HEISENBERG - E tutti si chiedono: da che parte starà Copenhagen? Che dirà Bohr? ne viene fuori un
conclave.
BOHR - Io sono in viaggio per Leida.
HEISENBERG - Il treno si ferma ad Amburgo…
BOHR - Pauli e Stern aspettano sul marciapiede per chiedermi che cosa penso io della rotazione.
HEISENBERG - Tu gli dici che è sbagliato. […] Dopo di che il treno arriva a Leida.
BOHR - Alla stazione trovo a ricevermi Einstein e Ehrenfest. E cambio idea perché Einstein - Einstein,
capisci? Se io sono il Papa, lui è Dio - perché Einstein ha fatto un’analisi relativistica, e questo scioglie
tutti i miei dubbi. […]
HEISENBERG - Che anni straordinari! Tre brevissimi anni!
BOHR - Dal 1924 al 1927.20
Immagini e metafore scientifiche
Nei testi di Frayn e Stoppard precedentemente citati, i riferimenti scientifici non sono
soltanto l’occasione per trasmettere conoscenza utilizzando il teatro come veicolo di
comunicazione. Essi infatti hanno la funzione di metafore strutturanti per i testi teatrali
stessi.
Nel caso di Frayn, l’interpretazione “di Copenhagen” della meccanica quantistica è la
metafora che suggerisce la messa in scena ripetuta – con esiti diversi – dello storico
incontro tra Heisenberg e Bohr: in questa prospettiva, infatti, ogni sviluppo
dell’incontro stesso non è che la realizzazione di una delle sue potenzialità. Il principio
di indeterminazione di Heisenberg suggerisce l’impossibilità – in una situazione
relazionale – di agire e, contemporaneamente, guardarsi agire, come pure l’irriducibilità
reciproca delle descrizioni del comportamento umano in termini di libertà e di
determinismo. E la centralità – nella meccanica quantistica – delle quantità osservabili
diventa una metafora per parlare di etica e di responsabilità degli scienziati.
BOHR - Poi andai a Los Alamos per interpretare la mia piccola ma utile parte nell’uccisione di
centomila persone.
MARGRETHE – Niels, tu non hai fatto niente di male!
BOHR - No? Mentre tu, caro Heisenberg, non sei mai riuscito a contribuire alla morte di una sola
persona in tutta la tua vita. Quindi devo dire che se le persone si potessero misurare rigorosamente in
termini di quantità osservabili….
HEISENBERG – Allora avremmo bisogno di una nuova strana etica quantistica e ci sarebbe un posto in cielo
anche per me21.
19
B.Brecht, Lebens des Galilei - Vita di Galileo, Einaudi bilingue, Torino, 1994, pp.161-165.
M.Frayn, Copenhagen, cit., pp.61-62.
21 M.Frayn, Copenhagen, cit., p. 91.
20
6
In Hapgood di Stoppard, la protagonista è Elizabeth Hapgood, un agente segreto
britannico che insegue un doppiogiochista russo, un fisico che studia l’antimateria.
All’inizio del testo, si sviluppa una complicatissima vicenda che si svolge negli
spogliatoi di una piscina, dove il tentativo di seguire gli imprevedibili spostamenti degli
agenti russi e delle loro borse è intenzionalmente modellato sui paradossi della fisica
delle particelle. Si tratta insomma di una sorta di “esperimento scientifico” 22 per
determinare in che modo, e da parte di chi, vengono trasmesse informazioni. In seguito,
si tratterà invece di verificare l’ipotesi che responsabile sia una coppia di gemelli, e altro
ancora, in un continuo susseguirsi di vicende. “La meccanica quantistica” – ha
affermato Stoppard in una intervista – “mi ha colpito in quanto metafora estremamente
potente e generale. Dopo un po’ ho capito che per me era una buona metafora per il
mondo di spie e agenti doppiogiochisti di John Le Carré”.
In Arcadia, Stoppard mescola invece due periodi storici (l’inizio del 19° secolo e
l’epoca attuale): un mistero letterario che coinvolge Lord Byron è letto attraverso la
griglia della teoria del caos, e una brillante studentessa ottocentesca anticipa la
formulazione della seconda legge della termodinamica. Non esiste una linearità
temporale nello svolgimento del testo, ma una sorta di “tempo caotico”, nel quale il
tempo contemporaneo è l’eco di quello passato, il quale a sua volta prefigura l’epoca
contemporanea, in un modo però che è comprensibile soltanto oggi.
Visioni del mondo
Che cos’è la scienza? Da quello che si è detto fin qui, sembrerebbe di poterla
descrivere come una raccolta e una elaborazione sistematica e condivisa di risultati
sperimentali e di interpretazioni teoriche che si accumulano e si precisano
reciprocamente, nella prospettiva di una completa conoscenza delle leggi che governano
il mondo. Ma, inevitabilmente, la scienza tende a trascendere l’oggetto specifico della
sua attività, elaborando anche una visione del mondo, costruendo anche un senso del
mondo. Si può addirittura affermare che la ricerca scientifica è un’impresa che nasce da
un desiderio profondo e intenso di dare senso alla realtà attraverso la conoscenza,
cercando di rispondere a domande grandi e difficili: che cos’è il mondo? chi siamo noi
nel mondo?
Torniamo ancora una volta a Lucrezio, e osserviamo che la sua scienza, costruita su
leggi di natura inflessibili e atomi eterni, sfocia in una immagine del mondo
radicalmente antifinalistica, in cui l’uomo e la sua storia non sono nulla.
A questo proposito desidero intensamente che tu non cada in errore
e con estrema cautela eviti l’abbaglio di credere
che il terso lume degli occhi sia stato creato al fine
di consentirci di vedere; e che per metterci in grado di muovere
lunghi passi, la sommità delle cosce e le gambe
fondate sui piedi possano agevolmente piegarsi […].
Qualsiasi spiegazione fra tutte le altre di tal genere
significa argomentare a rovescio con assurdo ragionamento,
perché nessun organo del corpo si è formato affinché potessimo usarlo,
ma proprio ciò che si è formato dà origine all’uso. 23
Una tale immagine del mondo – in cui (come molti secoli più tardi nell’opera di
Jacques Monod) il caso si intreccia alla necessità - serve a Lucrezio a distaccarsi dalle
M.A.Orthofer, “The scientist on the stage: a survey”, Interdisciplinary Science Reviews, 27, 3 (2o02),
p. 179.
23 T.Lucrezio Caro, De Rerum Natura, libro IV, 823-835 (trad. it. cit., p. 391).
22
7
passioni e dal timore degli dei. Per Giacomo Leopardi, invece, questa stessa immagine
del mondo sarà fonte di una angoscia appena temperata da una amara ironia.
Immaginavi tu forse – chiederà la Natura personificata all’Islandese in una operetta morale del 1824 –
che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie,
trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l’impressione a tutt’altro che alla felicità degli uomini. […] E
finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei. .24
E’ l’esperienza vitale stessa dell’uomo che può venire concepita diversamente,
nell’ambito di immagini del mondo differenti. In particolare, se il mondo è quello di
Lucrezio, ossia una congerie di atomi indistruttibili che si urtano e si legano tra loro a
caso, cambia il significato del tempo, che diventa irrilevante.
Infatti quando ti volgi a mirare l’immenso spazio
del tempo trascorso, poi la molteplicità dei moti della materia,
potrai facilmente indurti a credere che spesso
i medesimi semi di cui siamo formati
in precedenza siano stati disposti nel medesimo ordine naturale.25
La fisica ha sistematicamente privilegiato questo punto di vista, nel quale è assente il
concetto di irreversibilità. Basti pensare a Ludwig Boltzmann e alla sua concezione
statistica dell’entropia: l’irreversibilità del mondo è - per lui come per la maggioranza
dei fisici - semplicemente una maggiore probabilità, non una irrimediabilità assoluta.
Ben diversa dall’immagine lucreziana è la visione del mondo sostenuta da Galileo.
Per lui, il mondo è un libro nel quale, in caratteri matematici, è scritto da Dio il progetto
della creazione.26 In questo caso, è Galileo stesso che si preoccupa di scrivere un testo di
grande letteratura, il Dialogo dei massimi sistemi, dove è appunto sulle immagini del
mondo, prima che sulla validità scientifica delle scoperte galileiane, che si centra
l’attenzione. Che cosa cambia nella nostra immagine del mondo se è la terra a girare
intorno al sole? se gli incorruttibili astri sono invece della stessa corruttibile materia
della terra? Come cambia la nostra immagine dell’uomo, la sua supposta centralità nel
creato?
I tre personaggi in scena dibattono appassionatamente questi temi in uno dei primi e
più efficaci esempi di teatro scientifico: una modalità che si presta particolarmente a
dibattere, a confrontare posizioni, a metterle in scena.
Per Galileo, la possibilità che tutti i corpi celesti abbiano la stessa natura non conduce
ad una immagine del mondo desolata e assurda; al contrario, essa ci fa apprezzare ancor
di più le meraviglie del creato.
SAGREDO - Io per me reputo la Terra nobilissima ed ammirabile per le tante e sì diverse alterazioni,
mutazioni, generazioni etc., che in lei incessabilmente si fanno; e quando, senza esser soggetta ad alcuna
mutazione, ella fusse tutta una vasta solitudine d’arena o una massa di diaspro, o che al tempo del diluvio
diacciandosi l’acque che la coprivano fusse restata un globo immenso di cristallo, dove mai non nascesse
né si alterasse o si mutasse cosa veruna, io la stimerei un corpaccio inutile al mondo […]
Ma quanto più m’interno in considerar la vanità de i discorsi popolari, tanto più gli trovo leggieri e
stolti. E qual maggior sciocchezza si può immaginare di quella che chiama cose preziose le gemme,
l’argento e l’oro, e vilissime la terra e il fango? e come non sovviene a questi tali, che quando fusse tanta
scarsità della terra quanta è delle gioie o dei metalli più pregiati, non sarebbe principe alcuno che
volentieri non ispendesse una soma di diamanti e di rubini e quattro carrate di oro per aver solamente
24
G.Leopardi, Dialogo della Natura e di un Islandese, in G.Leopardi, Operette morali, Rizzoli, Milano
1998, pp. 156-157.
25 T.Lucrezio Caro, De Rerum Natura, III, 854-858 (trad. it. cit., p.309).
26 Sugli sviluppi della metafora del mondo come libro, si veda G.Zanarini, Il libro della natura: una
metafora, in Nuova Civiltà delle Macchine, XVIII, 4 (2001), pp. 126-135.
8
tanta terra quanta bastasse per piantare in un picciol vaso un gelsomino o seminarvi un arancino della
Cina, per vederlo nascere, crescere e produrre sì belle frondi, fiori così odorosi e sì gentil frutti? 27
Anche di fronte alle novità più sconvolgenti (come la scoperta dei satelliti di Giove),
Galileo non ha paura, perché per lui la natura è un libro aperto scritto da Dio. Per
questo, egli sa di dover parlare. Nel Galileo di Brecht incontriamo addirittura una scena
nella quale l’osservazione dei satelliti di Giove apre ad una visione cosmologica
rivoluzionaria con risonanze bruniane.28
Scienza e fede
In molti casi, la problematica relativa alla visione del mondo elaborata dalla scienza
prende l’aspetto di un conflitto tra scienza e fede, o anche tra affermazioni scientifiche e
istituzioni religiose. Le sofferte vicende di Giordano Bruno e di Galileo sono
emblematiche a questo riguardo,anche se possono venire lette in prospettive assai
diverse. Per Brecht, ad esempio, “la Chiesa, anche là dove si oppone alla libera indagine
scientifica, funge semplicemente da autorità costituita”.29 Per lui, dunque, il problema
della verità della scienza è marginale. Le nuove teorie scientifiche non sono accettate
dalla Chiesa semplicemente perché sovvertono l’ordine costituito, e la sottomissione di
Galileo (che gli permetterà di continuare i suoi studi ad Arcetri) è - per Brecht - una
scelta di ingordigia di sapere, e non di amore per la verità.
Sul tema della verità scientifica, comunque, Brecht propone alcuni spunti di una acuta
riflessione epistemologica, come ci mostra il suo Barberini, in una delle scene più dense
del testo teatrale.
BARBERINI - Siete sicuro, amico Galilei, che voi astronomi non vogliate semplicemente rendere più
comoda l’astronomia? […] Pensate in termini di cerchi e di ellissi, di velocità uniformi e di movimenti
semplici, cioè di cose conformi ai vostri cervelli. Ma se all’Onnipotente fosse piaciuto far muovere le
stelle così? (traccia in aria col dito un’orbita complicatissima con un moto irregolare). Dove andrebbero
a finire allora i vostri calcoli?
GALILEO - Se Dio avesse creato il mondo così, Eminenza, (traccia col dito lo stesso movimento), allora
avrebbe creato cervelli fatti così (ripete il tracciato immaginario) perché potessimo credere che tali orbite
fossero le più semplici possibili! Io ho fede nella ragione.
BARBERINI - Io invece la considero inadeguata. […]30
Etica scientifica
Il problema dell’etica dello scienziato, e in particolare quello del suo rapporto col
potere, è affrontato in numerosi testi teatrali e cinematografici. Il caso forse più famoso
è quello del Galileo di Brecht, ben sintetizzato dal monologo dello scienziato,
rielaborato dopo lo scoppio della bomba di Hiroshima pensando ai dilemmi etici degli
scienziati nucleari.
GALILEO (con le mani professoralmente congiunte sul ventre) - Nel tempo che ho libero - e ne ho, di
tempo libero - mi è avvenuto di rimeditare il mio caso e di domandarmi come sarà giudicato da quel
mondo della scienza al quale non credo più di appartenere. […] I moti dei corpi celesti sono diventati più
chiari, ma ai popoli restano pur sempre imperscrutabili i moti dei potenti. E se la battaglia per la
misurabilità dei cieli è stata vinta dal dubbio, la battaglia della massaia romana per il latte sarà sempre
perduta dalla credulità. Con tutt’e due queste battaglie, Sarti, ha a che fare la scienza. […] Che scopo si
27
G.Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Einaudi, Torino 1970, p. 74.
B.Brecht, Lebens des Galilei - Vita di Galileo, cit., pp.55-59.
29 B.Brecht, Teatro, Einaudi, Torino, 1963, pp. 1531-1534.
30 B.Brecht, Lebens des Galilei - Vita di Galileo, cit., p.129.
28
9
prefigge il vostro lavoro? Io credo che la scienza abbia come unico scopo quello di alleviare la fatica
dell’esistenza umana. Se gli uomini di scienza, intimiditi dai potenti egoisti, si limitano ad accumulare
sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, e le vostre nuove macchine non saranno
fonte che di nuovi triboli per l’uomo. […]Ho tradito la mia professione. Quando un uomo ha fatto ciò che
ho fatto io, la sua presenza non può essere tollerata nei ranghi della scienza. 31
Anche Copenhagen di Frayn è un testo che riflette a lungo sul tema dell’etica dello
scienziato. Rimettendo in scena più volte, con ipotetici sviluppi diversi, il famoso e
misterioso colloquio tra Bohr e Heisenberg avvenuto a Copenhagen nel 1941, viene
continuamente posta la domanda sul ruolo di Heisenberg nella politica atomica tedesca:
ciò che egli avrebbe potuto o dovuto fare, ciò che effettivamente fece; ma anche ciò che
i fisici dell’altra parte hanno fatto e avrebbero potuto o dovuto fare.
MARGRETHE – Ma che cosa aveva detto esattamente Heisenberg? E’ quello che tutti avrebbero voluto
sapere, allora e dopo di allora.
BOHR – E’ questo che gli inglesi volevano sapere, appena Chadwick riuscì a mettersi in contatto con
me. Che cosa esattamente aveva detto Heisenberg?
HEISENBERG – E che cosa esattamente aveva risposto Bohr? Fu la prima cosa che i miei colleghi mi
chiesero quando feci ritorno in Germania. […]
MARGRETHE – Allora, che cosa dicesti di così misterioso?
HEISENBERG – Niente di misterioso. Era in gioco la mia vita, scelsi le parole con attenzione e ti chiesi se
come fisico si ha il diritto morale di lavorare allo sfruttamento pratico dell’energia.
BOHR – Non me lo ricordo.
HEISENBERG – Stavi lì a guardarmi, inorridito.
BOHR – Perché d’un tratto mi parve evidente che tu ci stavi lavorando.
HEISENBERG – E arrivasti alla precipitosa conclusione che io stavo cercando di fornire a Hitler armi
nucleari.
BOHR – Ed è questo che facevi!
HEISENBERG – No! Un reattore! E’ questo che stavamo cercando di costruire! […] 32
Sullo stesso tema della responsabilità degli scienziati nell’era atomica si sofferma con
tono grotteschi e amari anche il testo teatrale I fisici, di Friedrich Dürrenmatt. La scena
è collocata sulle rive del lago Lemano, in una clinica psichiatrica di lusso. Qui sono
ricoverati tre pazienti che si credono fisici. Ma nel corso del dramma si scoprirà che uno
di essi è veramente chi afferma di essere, ossia il grande fisico Möbius, mentre gli altri
due sono agenti segrete di potenze opposte incaricati di rapirlo. Möbius rifiuta, e anzi
convince gli altri a restare.
MÖBIUS – Noi siamo avanzati continuamente, e adesso nessuno ci segue, ci siamo spinti nel vuoto. La
nostra scienza è divenuta pericolosa, le nostre scoperte, letali. A noi fisici non resta che capitolare dinanzi
alla realtà. L’umanità non può tenere testa alla nostra scienza e rischia di perire per colpa nostra.
Dobbiamo revocare il nostro sapere, e io l’ho revocato. Non esistono altre soluzioni, neanche per voi. 33
Ma, con un colpo di scena, è la direttrice della clinica ad appropriarsi delle scoperte di
Möbius e a mettere in piedi un grande sistema multinazionale militare-industriale….
MÖBIUS – Noi siamo avanzati continuamente, e adesso nessuno ci segue, ci siamo spinti nel vuoto. La
nostra scienza è divenuta pericolosa, le nostre scoperte, letali. A noi fisici non resta che capitolare dinanzi
alla realtà. L’umanità non può tenere testa alla nostra scienza e rischia di perire per colpa nostra.
Dobbiamo revocare il nostro sapere, e io l’ho revocato. Non esistono altre soluzioni, neanche per voi. 34
31
B.Brecht, Lebens des Galilei - Vita di Galileo, cit., pp. 237-241.
M.Frayn, Copenhagen, cit., pp.34-38.
33 F.Dürrenmatt, Die Physiker, Peter Schifferli, Zürich, 1962 (trad. it. I fisici, Einaudi, Torino, 1972,
p.70),
34 F.Dürrenmatt, Die Physiker, Peter Schifferli, Zürich, 1962 (trad. it. cit., p.70),
32
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Passioni della ricerca
Nella prima scena del Fuoco del radio di Cerrato e Crismani, Maria Curie si accorge
della presenza di un estraneo nel suo laboratorio. Si tratta dell’uomo che, per tutta la
durata dello spettacolo, commenterà ad alta voce, incalzerà con le sue domande,
svilupperà riflessioni sulla scienza e gli scienziati. La reazione di Maria è di rifiuto:
“Chi è lei? Come è entrato qua dentro?” E alla figlia Irène che le chiede il perché di
quella reazione così brusca risponde con una frase sulla quale è opportuno soffermarsi
un attimo: “Compito della scienza è indagare le cose, non le persone. Quello là, di
sicuro avrebbe finito per chiedermi qual è il mio colore preferito o se credo
all’immortalità dell’anima!”.
Eppure, è la stessa Marie a dirci, nello stesso testo teatrale: “Uno scienziato, nel suo
laboratorio, non è solo un tecnico: è anche un bambino posto di fronte a fenomeni
naturali che lo impressionano come una fiaba”.
Il mondo è una fiaba – aggiungiamo noi – che gli scienziati trasformano
incessantemente in descrizioni e spiegazioni condivise. E’ la passione per la verità, per
il superamento della superstizione e dell’errore, per la fine dello sfruttamento
dell’ignoranza e della credulità delle masse da parte del potere che spesso muove gli
scienziati.
Anche Galileo, nel testo brechtiano, è visto come un ricercatore appassionato. Ma
questa passione conoscitiva è in qualche modo anche una ragione di critica da parte di
Brecht, che lo vede anteporre la propria passione al bene dell’umanità. Basta ricordare
la scena nella quale egli non esita a compromettere il matrimonio della figlia per
affermare la propria autonomia nella ricerca della verità.
GALILEO - Andrea, Fulgenzio, portate lo specchio d’ottone e lo schermo! Faremo cadere sullo schermo
l’immagine del sole, per risparmiarci gli occhi. È il tuo metodo, Andrea.
LUDOVICO - Signor Galileo, a Roma vi eravate impegnato a non immischiarvi più in quella faccenda
della terra che gira intorno al sole, signore.
[…]
GALILEO - Portate il telescopio!
LUDOVICO - Giuseppe, porta il bagaglio nella carrozza. (Il servo esce.) […] Rimarrete in eterno schiavo
delle vostre passioni. Fate le mie scuse a Virginia. Credo sia meglio che non la veda adesso.
GALILEO - La dote rimane a vostra disposizione in ogni momento.
LUDOVICO – Buongiorno. (Se ne va)
[…] Si mettono in silenzio a lavorare. Nel momento in cui l’immagine fiammante del sole appare sullo
schermo, entra di corsa Virginia, vestita dell’abito nuziale.
VIRGINIA - Babbo, l’hai mandato via! (Sviene)
GALILEO - Io debbo sapere.35
Verità della scienza
Con la sua immagine del libro della natura scritto in caratteri matematici, Galileo ha
espresso in modo particolarmente chiaro un sogno che in tutti i tempi è stato proprio
degli scienziati. Da sempre, infatti, la scienza ha ricercato spiegazioni generali, punti di
vista assoluti, prospettive unificanti: e non semplicemente per economia di pensiero, ma
per una irresistibile tendenza ad assumere, per così dire, un punto di vista assoluto,
indipendente da colui che lo assume, e cioè dall’uomo.
Come si è accennato, nel Galileo di Brecht compaiono spunti di riflessione
epistemologica: una riflessione che diventerà ancora più radicale e approfondita con gli
35
B.Brecht, Lebens des Galilei - Vita di Galileo, cit., pp. 169-179.
11
sviluppi della meccanica quantistica, come suggerisce anche il testo teatrale
Copenhagen di Frayn.
BOHR – Tu lo vedi quello che abbiamo fatto in quei tre anni, vero Heisenberg? Senza esagerazioni,
abbiamo rivoluzionato il mondo! Abbiamo riportato l’uomo al centro dell’universo. Nel corso della storia
ci siamo sempre trovati fuori posto, relegati alla periferia delle cose. Prima semplici strumenti degli
inconoscibili disegni di Dio, esili figure prostrate nella grande cattedrale della creazione. E non appena
abbiamo ritrovato noi stessi nel Rinascimento, appena l’uomo è divenuto - come lo definiva Protagora - la
misura di tutte le cose, di nuovo siamo stati messi da parte dai prodotti della nostra stessa ragione! Di
nuovo siamo schiacciati quando i fisici costruiscono le grandi cattedrali da guardare con stupore - cioè
quelle leggi della meccanica classica che ci precedono fin dall’inizio dell’eternità e ci sopravviveranno
fino alla fine dell’eternità, anche se noi non esisteremo più. Finché, arrivati alla fine del ventesimo secolo,
siamo costretti ad alzarci di nuovo in piedi. […] Qui a Copenhagen, in quei tre anni durante gli anni venti,
scopriamo che non esiste un universo oggettivo precisamente determinabile. Che l’universo esiste solo
come serie di approssimazioni. Soltanto nei limiti stabiliti dal rapporto che abbiamo con esso. Soltanto
grazie alla comprensione insita nella mente umana. 36
Vita della scienza
Spesso il teatro e il cinema scelgono di parlare di uno o più scienziati, di raccontarci
la loro storia, di farcela rivivere sulla scena. In questo caso diversi tra i temi fin qui
citati saranno presenti nel testo, mediati dalla coerenza vitale dei personaggi. Saranno
spesso presenti anche i sentimenti dell’autore nei riguardi del personaggio o dei
personaggi messi in scena: Maria Curie sarà allora oggetto di identificazione ammirata
da parte delle autrici, Pascal sarà affettuosamente seguito nel suo distacco dalla scienza
e dal mondo, Galileo - ad onta del programma brechtiano della straniamento - sarà
empaticamente accompagnato nella sua progressiva presa di coscienza non disgiunta da
un residuo invincibile di golosa passione per la conoscenza.
Attraverso le biografie romanzate – o messe in scena – tutti questi temi possono
venire sviluppati efficacemente, e per la scienza del passato questa è una delle modalità
più interessanti per dar voce alle molteplici sfaccettature di un discorso sulla scienza. La
stessa storia della scienza, così, può divenire viva e affascinante, perché della scienza si
sottolinea la caratteristica di avventura umana per conoscere il mondo.
La scelta di mettere in scena un episodio non documentato ma storicamente possibile
(come quello di Maria Curie con Lise Meitner nel testo di Cerrato e Crismani) può
dipendere dal desiderio di sottolineare una vicinanza, una analogia di pensieri e di
destini. Nel caso di Copenhagen, la scelta è quella di superare la lacunosità e la
contraddittorietà della documentazione disponibile, cercando una verità più profonda
attraverso l’immaginazione e l’identificazione con i personaggi.
Tecnoscienza
I testi teatrali fin qui citati trattano prevalentemente di fisica e di fisici, e non si
spingono (nella loro ambientazione storica) al di là del primo novecento. Queste due
caratteristiche - tematica e cronologica - sono legate tra loro. Fino alla metà del
novecento, infatti, la fisica era generalmente considerata come la scienza più
fondamentale, la scienza alla base di tutte le altre, in una rigorosa e veritiera piramide di
saperi. Inoltre, nel corso del primo novecento, gli sviluppi dell’energia atomica hanno
aperto importanti scenari di interesse sociale (nuove fonti di energia, nuove possibilità
terapeutiche), e contemporaneamente le drammatiche esplosioni degli ordigni nucleari
hanno posto con forza il problema dell’etica scientifica.
36
M.Frayn, Copenhagen, cit., pp.73-74.
12
Nella seconda metà del ventesimo secolo, però, la scienza nel suo complesso è
profondamente mutata, tanto che è preferibile ormai parlare di tecnoscienza anziché di
scienza. La scienza contemporanea, cioè, non si occupa tanto di svelare la verità del
mondo, quanto di elaborare teorie utili per conquistarlo e dominarlo. Si intende qui per
tecnoscienza una scienza così intimamente legata alla tecnica (scienza funzionale alla
tecnica, ma anche sempre più dipendente dalla tecnica) da rovesciare in molti casi la
relazione classica secondo cui la tecnica è un’applicazione della scienza. Spesso, oggi,
la scienza addirittura rincorre la tecnica, nel senso che la tecnica trova soluzioni che
funzionano e chiede alla scienza le spiegazioni.
La hybris tecnologica discende dalla perdita di ogni limite cosmologico e teologico;
ma è anche sostenuta e amplificata da un residuo di fede nella verità oggettiva della
conoscenza scientifica. Forse sarebbe meglio dire che la tecnica, caduto il riferimento
religioso, ha la verità scientifica come proprio idolo.37 La tecnica, certo, non svela la
verità, ma ritiene di fondarsi sulla verità della scienza: è questo frammento distorto
dell’eredità galileiana che permette alla tecnica di pensarsi onnipotente.
Segnala a questo proposito Hans Magnus Enzensberger: “Antichissime fantasie di
onnipotenza hanno trovato un nuovo rifugio nel sistema delle scienze. […] Sempre più
nitidamente si è profilata la posizione egemonica di poche discipline, che dispongono
delle risorse determinanti. Nel Ventesimo secolo questo ruolo è stato attribuito alla
fisica teorica. Ormai, assieme alle scienze informatiche e quelle cognitive, la biologia ha
preso il suo posto”. 38
Nella prospettiva di cambiamento continuo, di crescita tecnologica stimolata da
questa stretta alleanza tra scienza e tecnica, resta poco spazio per riflettere sulle visioni
del mondo e sulle passioni conoscitive. Con la tecnologia l’uomo ricrea il mondo a sua
immagine, e in certa misura, con le biotecnologie, gli impianti, l’intelligenza artificiale,
sogna di ricreare anche se stesso. Davanti a queste fantasie di onnipotenza, ci si aspetta
che si ripropongano le grandi questioni che la tecnoscienza ha contribuito a mettere da
parte - chi è l’uomo? che cosa sta cercando o aspettando? dove sta andando? qual è il
suo posto nel mondo? – come pure i grandi problemi etici che segnano e segneranno il
secolo appena iniziato.
Uno tra i pochi testi che affrontano le problematiche etiche – oltre che scientifiche –
della tecnoscienza contemporanea è il già citato An immaculate misconception di Carl
Djerassi. Il sottotitolo di questo lavoro – Il sesso nell’epoca della riproducibilità tecnica
– allude esplicitamente al saggio famoso di Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca
della sua riproducibilità tecnica. La tecnica di riproduzione – sostiene Benjamin –
distacca l’oggetto riprodotto dalla tradizione. E Djerassi commenta:
E’ sufficiente sostituire l’espressione “oggetto riprodotto” con la parola “bambino” per giungere
immediatamente al centro della problematica etica che i tecnologi della riproduzione invariabilmente si
trovano di fronte: essi sostengono gli sforzi eroici che molte coppie fanno per superare ostacoli biologici
che, però, potranno danneggiare piuttosto che favorire gli “oggetti riprodotti”. 39
37
C.Sini. Idoli della conoscenza, Cortina, Milano, 2000, p.35.
H.M.Enzensberger, Scienziati, aspiranti redentori, Il Corriere della Sera, 4 giugno 2001.
39 C.Djerassi, “Contemporary ‘science in theatre’: a rare genre”, Interdisciplinary Science Reviews, 27, 3
(2o02), pp. 196-197.
38
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