NO ALLA PENA DI MORTE, SI’ ALLA VITA
1. Critica delle ragioni addotte a favore della pena di morte
Le ragioni che si sogliono addurre a favore della pena di morte sono riassumibili nella funzione punitiva, esemplare e
difensiva.
• A ogni delitto la sua pena, a delitto massimo la pena massima, così argomentano i sostenitori della pena di morte. La
realtà è diversa: se è vero, infatti, che la pena ha anche una funzione punitiva, per riparare il disordine introdotto dalla
colpa, non è meno vero che tale funzione non è mai separabile dal fine correttivo, medicinale, educativo. Non avendo
questa finalità medicinale, non perseguendo il recupero del colpevole, la pena di morte risulta per il condannato
soltanto punitiva, anzi, “una meschina vendetta consumata a freddo”, secondo l’efficace espressione di Cesare
Beccaria.
• A coloro che sostengono la pena di morte attribuendole una funzione esemplare deterrente, si può semplicemente
rispondere in forma scolastica: “contro un fatto l’argomento non vale”. Le statistiche smentiscono la funzione
deterrente della pena di morte: i delitti non diminuiscono dove la pena di morte è introdotta, né aumentano dove è
abolita.
• Maggiore credito ha avuto, ed ha tuttora, quale motivo a favore della pena di morte, l’attribuzione ad essa di una
funzione difensiva della società. Se è legittima la difesa personale, se è doverosa la difesa della società, perché non
riconoscere la legittimità della pena di morte proprio per il bene della società? Non è meglio che perisca uno, per altro
colpevole, per meglio garantire la sicurezza della società e di tante persone innocenti?.
A tale argomentazione si può rispondere per gradi.
a) E’ riconosciuto da tutti il diritto alla legittima difesa personale. In chiave strettamente evangelica si aggiunge che
a tale diritto si può rinunciare in nome di un amore eroico, ispirato all’ideale proposto e testimoniato da Gesù.
b) Si ritiene, inoltre, che “il responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile”
ha non solo il diritto ma il dovere della difesa (Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, 55; Catechismo della Chiesa Cattolica,
2265ss.).
c) Tuttavia il criterio della legittima difesa della società non va applicato alla pena di morte. Per difendersi, la
società non ha bisogno di uccidere il reo, basta che lo renda innocuo. E alla società, almeno nel nostro tempo,
non mancano le possibilità concrete di trovare vie e mezzi per rendere innocui i rei e soprattutto per aiutarli nel
recupero umano e sociale. Tale giudizio storico concreto rende oggi puramente astratta la posizione di chi, facendo
leva sul dovere della difesa della società, ritiene, almeno in linea teorica, possibile il ricorso alla pena di morte.
2. Esposizione delle ragioni contrarie alla pena di morte.
• L’errore giudiziario è possibile, nel caso della pena di morte, esso diventa irreparabile. In America dal 1980 aI
1985, 350 persone sono state condannate a morte, senza aver commesso il crimine attribuito e successivamente
scagionate, ma per 23 di loro la sentenza era stata già eseguita. Celebre il caso degli anarchici italiani Sacco e Vanzetti,
condannati negli Stati Uniti nel 1921, giustiziati nel 1927, riconosciuti innocenti 50 anni dopo.
• La pena di morte è vista oggi come contraria alla dignità e ai diritti della persona. Il criminale non perde la sua
dignità di persona, la quale, per quanto essa sia oscurata dall’abuso
della libertà, non viene distrutta: il criminale resta persona e quindi non perde il diritto alla vita e conserva il diritto ad
essere trattato umanamente. Umane devono essere tutte le pene, ma tale non è la pena di morte.
3. Le radici culturali
• Il problema in argomento può trovare soluzioni e motivazioni diverse a seconda della cultura di riferimento. Decisiva è
la previa risposta a interrogativi fondamentali: “Che cos’è l’uomo? Qual è il significato del dolore, del male e della morte,
che nonostante tanto progresso continuano a sussistere? (Gaudiun et Spes, 10). Le risposte a questi interrogativi sono da
dare in un contesto storico nel quale, malgrado tutte le dichiarazioni sui diritti umani, persiste, anzi aumenta il senso di
minaccia, sia di distruzione fisica sia di distruzione dell’humanitas, cioè di tutto ciò che è umano e, come tale, appartiene
alla dignità della persona e ai diritti che in essa si fondano (cfr.Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 10-11; cfr. anche
Ecclesia in America, n. 63, in cui il papa delinea e condanna il modello di società in cui si fa ricorso alla pena di morte).
Stando al tema della giustizia, è da dire che è oltremodo lodevole il risveglio del senso della giustizia nella società
contemporanea. Ma l’esperienza del passato e del nostro tempo mostra che la giustizia non basta e che può portare
anche alla negazione di se stessa (Dives in misericordia,12).
In effetti, sia i sostenitori che gli abolizionisti della pena di morte si appellano alla giustizia, ma ovviamente hanno idee
diverse e talvolta opposte della giustizia.
• Noi che siamo contrari alla pena di morte riteniamo che insieme con la giustizia ci debba essere sempre anche l’amore
e con esso la misericordia e il perdono. Una società non plasmata da questi valori non è a misura d’uomo.
Perdono e giustizia non sono antitetici, neppure alternativi, ma inseparabili e complementari. In effetti il perdono non va
confuso con il perdonismo, perché esso, almeno a livello sociale, non è sostitutivo della pena, ma crea un clima che
umanizza la pena. Il perdono vero è sempre all’interno di un’esperienza di amore che si immedesima con l’altro anche se
criminale fino ad assumerne problemi e sofferenza. Si tratta di una singolare forma di solidarietà, una capacità di
“compassione” che rivela insospettate ricchezze di umanità, quali sono testimoniate dai mistici. Un esempio aderente
alla nostra problematica si ha in Caterina da Siena che con indicibile amore assiste e converte il condannato a morte
Niccolò di Tuldo.
In conclusione, la pena di morte non è segno di umanità e di civiltà, ancor meno un mezzo per crescere in
umanità.
La vera autodifesa da parte della società consiste proprio in una cultura di amore e di perdono che giova non solo al reo,
perché si pena e si rigeneri, ma alla società stessa che con la terapia del perdono educa al rifiuto radicale della vendetta,
della tortura e della violenza come mezzo per risolvere i problemi sociali.
La pena di morte è emblema di una società che vive il presente prigioniera dell’egoismo e della paura e non sa guardare
al futuro con speranza e tanto meno educa alla speranza.
L’abolizione della pena di morte è un atto di speranza in un futuro più giusto e più umano ed efficace contributo alla sua
costruzione.