Comunicare globalmente: Usi sociali della Rete e processi socioculturali di Stefano Martelli* relazione al convegno «Internet: un nuovo forum per proclamare il Vangelo» organizzato dall’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della Cei Milano, Università Cattolica, 11 maggio 2002 Indice 1. Premessa .................................................................................................................... 2 2. New media ed interazioni sociali .............................................................................. 4 2.1. Dalla domanda «Cosa fa Internet alla gente» alla domanda «Cosa fa la gente con Internet»? .... 4 2.2. Oltre la tipologia di Thompson: la nascita dell'interazione virtuale ............................................. 5 2.3. Cosa fa la gente con Internet? ....................................................................................................... 7 Fig. 1 – Gli usi sociali di Intenet secondo la tipologia della comunicazione multidimensionale (schema Agil) ................................................................................................................................ 8 3. Relazioni sociali in rete e post-modernità ............................................................... 10 3.1. L’interazione virtuale è una relazione sociale “disancorata”? .................................................... 10 3.2. Tra globale e locale ..................................................................................................................... 11 Fig. 2 - La cultura globale e le sue forme possibili ............................................................................... 12 3.3. Dalla Rete personalizzazione o de-individuazione? ................................................................... 14 4. Internet è un pericolo o una risorsa per la pastorale? .............................................. 16 4.1. Pericoli per la Chiesa da Internet? .............................................................................................. 16 4.2. Auto-socializzazione religiosa per mezzo di Internet? ............................................................... 17 5. Conclusione. Tre dilemmi per la pastorale in rete .................................................. 21 Bibliografia di riferimento........................................................................................... 23 ––––– (*)Professore Straordinario di Sociologia dei Processi culturali e comunicativi presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Palermo, e docente di Sociologia della Religione presso l'Iusob di Napoli. Nel campo della comunicazione pubblica mediata dalle nuove tecnologie ha pubblicato Comunicazione multidimensionale. Un approccio teoretico e metodologico ai siti Internet di istituzioni pubbliche e imprese, Franco Angeli, Milano 2002 (con la coll.di C.Amenta, I.Bonanno e al.). Sulle trasformazioni socio-culturali in atto nella transizione tra modernità e post-modernità ha pubblicato Videosocializzazione. Processi educativi e nuovi media (a cura di, Franco Angeli, Milano 20013) e il manuale Sociologia dei processi culturali. Lineamenti e prospettive (La Scuola, Brescia 1999). Martelli S. La socialità virtuale 1. Premessa I risultati economici del 1° trimestre 2002 segnalano forti perdite dei colossi delle telecomunicazioni europee, da Ericsson a Nokia a Vodafone. «Le reti vuote affossano le Telecom –annunciava la prima pagina del supplemento “Affari e Finanza” de “La Repubblica”, 29 aprile 2002–. I titoli delle Tlc stanno scontando pesantemente la disillusione del mercato: l’esplosione di Internet non c’è stata, perché non basta una nuova tecnologia a cambiare i bisogni degli utenti. I mercati fanno i conti con tempi più lunghi»1. Gli esperti nel campo delle telecomunicazioni, come Francesco Caio amministratore delegato di Netscalibur, consigliano prudenza: «Cinque-sei anni fa si era tutti convinti che l’e-commerce sarebbe presto divenuto una realtà planetaria, importante, con tutto il mondo che stava attaccato al computer ad ordinare salami, impianti hi-fi, libri e televisori...Per ora è marginale. Ci sono buoni segnali...Ma la “grande rivoluzione” non c’è stata... [Anch’io] per fare la spesa vado in Corso Vittorio Emanuele o al supermercato» 2. Ancora una volta i guru delle nuove tecnologie devono prendere atto che non sono le potenzialità delle nuove tecnologie ovvero le idee pur brillanti degli “addetti ai lavori”, bensì i bisogni della gente e gli usi sociali a decidere quali delle molte nuove tecnologie della comunicazione avrà avvenire e quali, invece, resteranno nei musei della tecnologia come oggetto di curiosità per i posteri. Intellettuali e tecnologi ancora una volta sono pertanto costretti a prendere atto che è la società a scegliere tra i possibilia messi a disposizione dall’apparato tecno-industriale ciò che diverrà realtà condivisa e socialmente fruibile3. In breve, le nuove tecnologie non determinano lo sviluppo della società né vengono meccanicamente adottate da questa appena uscite dai laboratori, ma, in un complesso gioco di interdipendenze tra opportunità tecnologiche e usi socio-culturali, esse vengono adattate dalla gente ai propri progetti di vita e alle proprie necessità quotidiane [Rosengren 2001]. Le reti vuote affossano le Telecom, dossier di “La Repubblica – Affari e Finanza”, a.XVII, n.15, 29 aprile 2002: 1-4; corsivo mio. 2 Il titolo dell’intervista a Caio spiega: «Le linee non rimarranno vuote ma per riempirle ci vuole tempo. La previsione di un mondo di gente che naviga sul web dalla mattina alla sera non si è avverata. La disponibilità di nuove tecnologie da sola non crea nuove esigenze nei consumatori» [ibidem: 2]. Nel frattempo i colossi delle Tlc, che si erano indebitati per stendere migliaia di chilometri di cavi e di fibre ottiche, scontano con il crollo delle azioni anche fino al 25% il disorientamento del settore, il quale si accorge che oggi non esiste una domanda diffusa di servizi basati sull’Internet mobile (cellulare in grado di consentire la navigazione in Rete). Probabilmente per molto tempo ancora basterà il Pc portatile per connettersi ad Internet, e del vorticoso giro di miliardi che la tecnologia Umts avrebbe dovuto generare per ora ne hanno beneficiato solo gli Stati europei, che hanno fatto pagare salato le licenze di concessione vendute alle Telecom. 3 Per restare nel campo dei mass media, la stessa dinamica avvenne già per il telefono e per la radio, inventate per scopi commerciali o militari, ma diffusesi nella società per altri fini, quali il mantenimento delle relazioni familiari e sociali, e l’ascolto di musica leggera e di intrattenimento domestico [DeFleur e Ball-Rokeach 1995, Parte I]. Per un esempio recente di tecnologia dell’informazione mai diffusasi in Italia, si pensi al Videotel, che invece nella vicina Francia ha avuto un buon successo nel corso degli anni ’80 (anche grazie al cospicuo sostegno finanziario assicurato dallo stato francese). 1 D:\769915917.rtf 2 di 24 Martelli S. La socialità virtuale I fatti di pubblico dominio di questa primavera 2002, con la battuta d’arresto delle reti a fibre ottiche e dell’Internet mobile, si prestano a impostare un discorso più ampio sul rapporto tra comunicazione e società. In primo luogo, contro ogni variante del determinismo tecnologico, sosterrò che Internet non fa nulla agli esseri umani; è invece più corretto dire che sono questi ad impiegare Internet, così come ogni altra tecnologia della comunicazione, per fare qualcosa con altri esseri umani. La comunicazione on line è una delle forme possibili di interazione sociale, pertanto il punto della questione è capire come Internet venga impiegata nelle relazioni sociali contemporanee. Gli usi che la gente fa di Internet sono molteplici, ma a mio avviso le forme di socialità più interessanti sono quelle emerse nelle comunità virtuali, nelle chat line e nei Mud, che ho proposto di chiamare interazioni virtuali [§ 1]. Osservando gli usi sociali di Internet si deve tuttavia evitare l’illusione tecnologica, ovvero l’ingenua convinzione che si dia un rapporto diretto tra “mente” e medium; invece la società pre-esiste come sfondo per entrambi, è il contesto di ogni testo e di ogni mass medium. Pertanto, al fine di comprendere l’impiego delle nuove tecnologie, occorre aver chiara la dinamica socio-culturale di una società, in quanto i quadri concettuali e simbolici propri di ciascuna formazione sociale orientano il medesimo medium ad usi differenti; ad esempio gli utilizzatori anglosassoni dell’Internet relay chat [d’ora in poi: Irc o chat line] navigano nella Rete a fini espressivi ed esploratori delle potenzialità offerte dalla virtual life, mentre i chatter italiani usano questi canali telematici a fini relazionali, ovvero per stringere amicizie che poi li portano a conoscere persone nella vita reale. Pertanto i processi socioculturali in atto nella società post-moderna costituiscono le basi per comprendere le dinamiche tra Internet e la gente, e tra questi il processo di glocalizzazione mi pare il più rilevante al fine di comprendere le tendenze in atto [§ 2]. Passerò infine a discutere dei rischi e delle opportunità che l’e-vangelizzazione offre nel quadro della comunicazione glocale. La «ricomparsa di tendenze scismatiche» o, meglio, eretiche, di cui parla De Kerchove [2000: 18], è solo un aspetto (il versante negativo) di una più ampia possibilità di “personalizzare” il messaggio religioso offerta da Internet, assieme allo scambio di esperienze e alla elaborazione di progetti pastorali in comune tra preti e laici. Tali potenzialità di comunicazione orizzontale potranno divenire una inesauribile fonte di rinnovamento interna alla Chiesa. Pure la metafora degli «effetti omeopatici della Rete» merita di essere ripresa, se è vero che con essa De Kerchove allude ad una riorganizzazione della Chiesa nella forma di «comunità illimitata di comunicazione» mediata da Internet, che rilancia l’utopia habermasiana, ma che al contempo ne sconta le fragilità [§ 3]. In sede conclusiva accennerò a tre dilemmi, ovvero ad altrettante scelte gravide di potenzialità e pericoli per la Chiesa, che si profilano nella società delle comunicazioni globali e dell’interazione virtuale. D:\769915917.rtf 3 di 24 Martelli S. La socialità virtuale 2. New media ed interazioni sociali 2.1. Dalla domanda «Cosa fa Internet alla gente» alla domanda «Cosa fa la gente con Internet»? L’attenta osservazione degli usi sociali delle nuove tecnologie è da sempre la via maestra per comprendere i reali effetti dei mezzi di comunicazione sociale e, quindi, per capire anche quali potenzialità e quali rischi offra Internet per la vita quotidiana e anche per la pastorale d’oggi. Il sociologo britannico John Thompson sostiene che lo sviluppo dei mezzi di comunicazione non consiste tanto nel progresso tecnologico, quanto nell'instaurarsi di nuovi tipi di interazioni tra gli esseri umani consentite da sempre nuovi mezzi di comunicazione. Grazie ad essi, le relazioni sociali possono estendersi al di là dei limiti spaziali e temporali che caratterizzano le relazioni face to face, ovvero il tipo di interazione più frequente e, fino all’affermarsi dei mass media, anche quello di gran lunga prevalente nella vita umana. Coi mezzi di comunicazione di massa, invece, nascono nuove forme di relazioni sociali, che si configurano come «azioni a distanza» ovvero «mediate» da tali mezzi e che, per Thompson [1998: 121-168], sono di due tipi: i) L'interazione mediata consiste nello stabilire una relazione sociale tramite un medium –ad esempio la posta o il telefono–, che consente la fruizione del messaggio in uno spazio e, a seconda del mezzo, anche in un tempo differente da quello in cui il messaggio stesso è stato emesso; ii) La quasi-interazione mediata è una relazione sociale asimmetrica, in quanto la visione dell’altro non è reciproca: si pensi alla televisione, la quale offre al ricevente l’immagine di chi emette il messaggio, ma non viceversa. A somiglianza dell'interazione mediata, la quasi-interazione mediata consente di scambiare informazioni e contenuti simbolici tra luoghi lontani e/o tempi diversi; inoltre, presuppone una certa restrizione dell'insieme degli indizi simbolici. A somiglianza dell'interazione face to face, invece, la quasi-interazione mediata consente ai riceventi di vedere chi emette il messaggio, specie la “faccia”, e quindi di assumere informazioni di tipo deittico su chi emette il messaggio4. Ma la comunicazione con Internet, a quale di questi tre tipi di relazioni sociali assomiglia? In altra sede ho sostenuto che questa tipologia è incompleta 5, ovvero che non esplora adeguatamente le diverse forme di relazioni sociali consentite dagli attuali mezzi di comunicazione sociale, specie dopo che il computer è stato connesso alla Rete. Si pensi alle immagini televisive trasmesse nel corso del Grande Giubileo del 2000 e al Santo Padre che, nell’aprire la Porta Santa la notte di Natale 1999, ha impressionato tutto il mondo per il suo volto sofferente ma fermo nella sua determinazione nel portarci “oltre la soglia” e poi nel Terzo Millennio dell’era cristiana. 5 Cfr. I media-on-line come selettori di opportunità sociali, relazione al convegno internazionale «Digitalcity. Futureon-line», 1a biennale di Cybercultura (Parma, 25-27 marzo 1999), policopiato. 4 D:\769915917.rtf 4 di 24 Martelli S. La socialità virtuale 2.2. Oltre la tipologia di Thompson: la nascita dell'interazione virtuale Internet è un medium ibrido o, meglio, un insieme di forme comunicative: la Rete, infatti, consente di stabilire interazioni sociali di tipo differente, a seconda che si svolgono nel medesimo tempo oppure in tempi differenti. È opportuno pertanto distinguere due principali forme di comunicazione mediata dal computer [d’ora in poi: Cmc]: quelle di tipo asincrono, ovvero di tipo sincrono. Alla prima forma appartengono la posta elettronica, le mailing list e i newsgroup. Le Cmc asincrone presentano per Roversi [2001: 36-46] le seguenti caratteristiche: a) il testo scritto è inviato ad utilizzatori che non condividono né il medesimo tempo né il medesimo spazio; b) sia la presa di visione del messaggio ricevuto, sia l’invio di una eventuale risposta, avvengono in tempi successivi rispetto al ricevimento; c) l’identità reale, sia dell’emittente sia del ricevente, è solitamente nota. Alla seconda modalità di Cmc, quella di tipo sincrono, appartengono l’Icq (e altri programmi simili che permettono un dialogo scritto di tipo interattivo e di immediata visione), i Mud (forme di comunicazione multiutente ovvero ambienti virtuali6) e l’Irc o chat line («chiacchere in Rete»). I caratteri principali della Cmc sincrona sono: a) la testualità della comunicazione; b) la compresenza temporale delle persone impegnate nella comunicazione; c) l’anonimità delle medesime. È possibile far rientrare solo alcune di queste Cmc nella tipologia di Thompson. Mentre le Cmc di tipo sincrono –la posta elettronica, le mailing list e i newsgroup– rientrano tutte nel tipo «interazione mediata», quelle di tipo asincrono, invece, non trovano posto nella sua tipologia, in quanto solo qualche forma avanzata di Cmc multimediale sembra rientrare nel secondo tipo, l’«interazione quasimediata»7. Invece Icq, Mud e chat line non rientrano in nessuno dei tipi previsti dalla tipologia di Thompson. Infatti queste forme di Cmc sincrone sono interazioni sociali mediate di nuovo tipo, forme di convivialità sociale consentite dalla Rete, in cui i cybernauti, anche se distanti spazialmente, condividono il medesimo tempo; sotto questo aspetto, pertanto, le Cmc sincrone assomigliano alle interazioni face to face, anche se ovviamente i chatter non si vedono in volto8. Chat line e Mud costituiscono gli ambienti virtuali in cui si sta sviluppando una nuova forma di relazione sociale, che vorrei chiamare interazione virtuale. Mud è l’acronimo di Multi User Dimension o «dimensione multi utente»; ma altri lo intendono come acronimo di Multi User Dangeon, ovvero «prigione sotterranea multi utente», dal popolare gioco di ruolo Dungeons & Dragons [Stefik 1998: 258], o anche come acronimo di Multi User Domains [Poster 1999: 74], in cui emerge maggiormente la pluralità di interazioni in sincronia. 7 Al momento attuale, tuttavia, lo sviluppo di comunicazioni basate sull’immagine è ancora ostacolata in Internet sia dai costi ancora elevati del Pc multimediale (per valorizzare adeguatamente le immagini si richiede un Pc con processore Pentium IV o equivalente almeno da 1,6 Mhtz e uno schermo a scheda GeoForce da 32 Mega), sia soprattutto per la scarsa diffusione delle strutture di telecomunicazione –reti a “banda larga”– necessarie per supportare e veicolare le immagini stesse. 8 I chatter tuttavia non rinunciano a formarsi induttivamente un’idea del partner virtuale con cui sono in contatto. Sul lavorìo dell’immaginazione e sulle inevitabili delusioni che seguono al loro incontro nella vita reale, cfr. Roversi [2001: 51-53]. 6 D:\769915917.rtf 5 di 24 Martelli S. La socialità virtuale Nelle chat chiunque può “chiaccherare” con altri contemporaneamente; esse sono canali entro un sistema, l'Irc, ciascuno dei quali si distingue per un nome e per una definizione, e ciò consente ai cybernauti di sceglierli in base ai propri gusti. I partecipanti scelgono spesso pseudonimi per sottrarsi all'identificazione e danno vita a lunghe discussioni, spesso senza alcuno scopo dichiarato oltre a quello ludicoconviviale. Al crescere dell’età dei chatter si individuano però dei fini, in primo luogo quello di stringere amicizie on line che spesso diventano occasioni per conoscersi personalmente [Roversi 2001: 51]. L’interazione virtuale diviene così il trampolino di lancio per stabilire un contatto face to face, che può divenire una amicizia durevole e talvolta portare al matrimonio. A loro volta, i Mud sono ambienti virtuali finalizzati al gioco. Essi offrono ai partecipanti la possibilità di restare anonimi e di recitare ruoli diversi nel corso di giochi di ruolo o avventure fantastiche; costoro si danno identità fittizie o avatar: si tratta di “maschere telematiche” indossate al fine di svolgere ruoli connessi a trame che vengono inventate momento per momento. Ad esempio i cybernauti arredano una propria “stanza” entro un “castello” virtuale, oppure partecipano alle attività in corso entro spazi virtuali comuni, che arredano semplicemente descrivendoli alla tastiera. L'Irc e i Mud sono ambienti telematici in cui si sviluppano forme di socialità virtuale, esplorazioni di nuove possibilità di interazione tra persone. Quale consistenza hanno e quali ripercussioni si danno nella vita reale? Le prime ricerche, svolte da psico-sociologi statunitensi che hanno sviluppato l’approccio noto come Rsc –Reduced Social Cues o degli indicatori sociali limitati– hanno sottolineato la povertà delle comunicazioni mediate dal computer: proprio perché le relazioni sono computer aided, esse risultano scarsamente caratterizzate da aspetti sociali, in particolare da norme. La «deprivazione» delle informazioni sociali comporta una «equalizzazione delle differenze di status», e ciò comporta che tali relazioni risultano instabili, le identità sono fittizie, l’interazione è scarsa, anzi, distorta [Paccagnella 2000: 23-28]. Approcci successivi, come il Side (Social identity de-individuation) e il Sip (Social information processing) hanno invece mostrato che la situazione di deindividuazione in cui si svolgono le Cmc danno esiti ambivalenti, ovvero comportamenti sia asociali sia ipersociali [ibidem: 32]. Infatti, anche se frammentarie e instabili, queste relazioni possono risultare tuttavia funzionali a scoperte e a confidenze, ovvero offrono inedite possibilità di parlare di sé rivelando aspetti e pensieri intimi –tutto ciò sembra difficile a farsi nelle relazioni face to face. Il fatto che non sia possibile vedere il volto altrui costituisce una provocazione per la fantasia e uno stimolo a stabilire nuove forme di socialità, ad esempio per raggiungere un grado di intimità che potrebbe essere avvicinato a quanto Giddens [1995] dice a proposito della «relazione pura». Certamente anche nel cyberspace talora possono avvenire atti trasgressivi, ad esempio simulazioni di rapporti sessuali (cyber sex) o vere e proprie devianze; in quest’ultimo caso, però, i partecipanti reagiscono istituendo nuovi ruoli di vigilanza e D:\769915917.rtf 6 di 24 Martelli S. La socialità virtuale comminando pene che arrivano alla cancellazione dalla lista o alla soppressione dell’identità virtuale9. Infine, nelle comunità virtuali si sviluppano nuove forme di «cyber-socialità» o di «tecnosocialità», nuove procedure decisionali che sembrano prefigurare la realizzazione dell'utopia democratica –la «comunità illimitata di comunicazione», di cui da tempo parla Habermas [1986]. In breve, la convivialità telematica appare una delle possibilità emergenti offerte da Internet, capace di offrire interessanti possibilità relazionali, che riposano meno sulla scala globale assunta dalle relazioni, quanto sul carattere plurale e al tempo stesso personalizzato di esse. In breve, l’interazione virtuale si distingue dagli altri tipi di interazione mediata non tanto in ragione della quantità di relazioni possibili o delle distanze globali teoricamente disponibili ai partecipanti –a parte la scala, si tratta pur sempre di caratteristiche comuni all’interazione mediata–, bensì per il carattere plurale e sincronico della comunicazione, che avvicina l’interazione virtuale a quella face to face propria di un gruppo sociale. 2.3. Cosa fa la gente con Internet? Dopo queste riflessioni sulle forme dell’interazione sociale, è possibile distinguere tra varie forme di comunicazione consentite da Internet. Il medesimo medium telematico, infatti, viene correntemente impiegato per finalità diverse e con modalità specifiche dagli attori sociali, che tramite esso stabiliscono tipi differenti di relazioni sociali: i) Internet come mezzo per reperire/offrire informazioni di ogni tipo: è l'uso prevalente, che configura una forma di relazione assimilabile all'interazione mediata. I giornali on line, così come le bacheche elettroniche di istituzioni e di imprese, sono forme di comunicazione che, pur avvalendosi delle nuove tecnologie telematiche, realizzano tuttavia la medesima distanziazione spaziotemporale delle informazioni offerta dai giornali a supporto cartaceo. Pertanto, dal punto di vista della sociologia dei processi comunicativi, pure i giornali on line, le agenzie di stampa in Internet e le banche dati rientrano nel già noto tipo «interazione mediata»; ii) Internet come medium per scambiarsi messaggi e, al limite, per diffondere valori: gli scambi di messaggi, sia di tipo privato grazie all’uso della posta elettronica, sia di tipo pubblico come avviene quando si invia una e-mail a gruppi o a comunità organizzate, sono assai frequenti e configurano Internet come un mezzo potente per chiarire le definizioni della situazione, per elaborare la visione della realtà e per rafforzare o diffondere valori. Questi messaggi non hanno 9 È possibile che nei Mud ci siano pure scambi di epiteti, di insulti o di volgarità –è il fenomeno detto flaming o «infiammarsi» delle interazioni in Rete–, oppure che avvengano addirittura atti devianti. Nel caso di LambdaMoo –il Moo è un tipo particolare di Mud– creato da Pavel Curtis [1997] presso il Centro di Ricerche della Xerox a Palo Alto (California-USA)–, sarebbe avvenuto addirittura uno “stupro virtuale”, peraltro prontamente stigmatizzato dalla grande maggioranza dei partecipanti all’interazione e conclusosi col massimo della pena virtuale possibile –la cancellazione dell’avatar, ovvero dell’identità virtuale del colpevole–, dalla lista degli abilitati all’accesso al Moo. La condanna è stata decretata ed eseguita dal “mago” o responsabile tecnico di LambdaMoo, lo stesso Curtis, e ciò ha reso impossibile al colpevole il poter proseguire l’interazione virtuale [cfr. Dibbel 1997]. D:\769915917.rtf 7 di 24 Martelli S. La socialità virtuale solamente una forma scritta, ma si avvalgono pure di simboli e, talora, di immagini. Se il testo scritto appare una forma di interazione mediata, la presenza di filmati on line, Web casting, Web cam e tele-conferenze caratterizza queste comunicazioni di tipo sincronico come forme di quasi-interazione mediata. Qui il medium on line è impiegato in modo simile alla televisione, ovvero per fini comunicativo-persuasori, anche se certo esso differisce per la selettività sempre possibile all'utente e ignota alla Tv generalista10; Fig. 1 – Gli usi sociali di Intenet secondo la tipologia della comunicazione multidimensionale (schema Agil) Contingenza dell’azione e delle sue conseguenze \Religo Bassa Internet come mezzo di informazione Elevata Internet come vetrina per persuadere all’acquisto (G)=Direzionalità (principio di realizzazione: mete) dimensione: Conoscitiva modalità: informazione (A)=Adattività (principio di ottimizzazione: mezzi) dimensione: Persuasoria modalità: promesse a fini di scambio (commerciale o no profit); Internet come canale di partecipazione a comunità virtuali Internet come medium di diffusione di messaggi e valori iii) Bassa Complessità simbolica Elevata Refero\ (I)=Integrazione (principio di conformità: norme) dimensione: Comunitaria: modalità: partecipazione (L)=Identità (principio di consistenza: valori) dimensione: Identitaria modalità: trasmissione di idee e valori anche in forme nuove Internet come canale per sperimentare nuove forme di relazioni sociali in ambienti telematici quali le chat line, i Mud e le comunità virtuali. È in queste forme di interazione telematica che si mostrano le reali potenzialità di Internet a favore di una socialità mutata, di tipo conviviale. L’interazione virtuale11, infatti, si caratterizza non solo per la possibilità di offrire un feedback in tempo reale però mantenendo la de-spazializzazione, ma per la molteplicità di relazioni sociali a distanza che il soggetto può stabilire contemporaneamente con altri cybernauti. Quest'ultima caratteristica è davvero innovativa: configura l'interazione virtuale come una modalità relazionale per certi versi simile all'interazione face to face 10 Si riproduce il modello della grande diffusione unilineare di informazioni ed immagini (broadcasting), tale da far rientrare queste modalità d’uso di Internet nel terzo tipo proposto da Thompson, la «quasi-interazione mediata». È vero che nella Tv satellitare a pagamento (pay Tv, pay for view) l’abbonarsi a uno o a più canali può essere considerato una forma di feedback da parte dell’utenza che la distingue dalla Tv generalista, e tuttavia la capacità di scelta offerta dal telecomando resta alquanto inferiore all’interattività consentita da Internet. 11 Per ulteriori riflessioni su questo quarto tipo di interazione comunicativa, che ho proposto di aggiungere alla tassonomia tripartita di Thompson, mi si consenta di rinviare a [Martelli 2002]. Sulla distinzione tra reale e virtuale, che non intendo come contrapposizione tra ciò che è vero e ciò che è illusorio, bensì come modalità di relazioni sociali diverse perché si svolgono in ambienti differenti, cfr. Maldonado [1994 6], Olivi e Somalvico [1997]. D:\769915917.rtf 8 di 24 Martelli S. La socialità virtuale all’interno di un gruppo sociale 12 . Invece sotto altri aspetti –a cominciare dall’assenza del volto dell’altro– l’interazione virtuale è assai diversa dall’interazione in presenza fisica; però l’impossibilità di scorgere il volto di alter non sembra essere solo un limite, ma talora è anche uno stimolo ad assumere nuove identità e a rivestire nuovi ruoli sociali; iv) Internet come vetrina per persuadere all’acquisto: a questi tre usi principali di Internet, negli ultimi tempi si è affiancato un quarto uso legato al commercio elettronico, con la vendita diretta di beni e servizi dal produttore e consumatore, disintermediando la catena della distribuzione. Ma l’e-commerce stenta a decollare, e non tanto in ragione di timori degli utenti di non essere adeguatamente protetti nella necessaria riservatezza delle modalità di pagamento (la chiave per la firma digitale dovrebbe essere a prova di segretezza), quanto e forse più per il persistere di pratiche sociali tradizionali. Ad esempio nel nostro Paese è ancora fondamentale il rapporto fiduciario col venditore e la possibilità di osservare de visu il bene/prodotto in vendita (anche questo è un aspetto in cui le culture locali influiscono fortemente negli usi sociali delle nuove tecnologie, come vedremo oltre al § 3.1). Gli usi sociali di Internet ora esposti rappresentano qualcosa di più che una tassonomia: osservati dal punto di vista della teoria multidimensionale della comunicazione, essi formano una vera e propria tipologia. La fig. 1 precedente ci mostra che ciascun uso sociale corrisponde ad una delle quattro dimensioni – l’informativa, la comunitaria, la identitaria e la persuasiva– che compongono qualsiasi fenomeno comunicativo13. Occorre ora collocare gli usi sociali di Internet nel quadro dei processi socioculturali in atto nella società contemporanea. 12 Questa possibilità di interazioni virtuali di tipo orizzontale è ancora limitata dalle specifiche tecnologiche imposte dal “doppino” telefonico, ma, se le reti a banda larga si diffonderanno nella nostra società, tali ristrettezze di comunicazione saranno superate e potranno sorgere nuove e finora appena intraviste modalità di partecipazione on line [De Sola Pool 1998; Stefik 1997; Calvo, Ciotti e al. 2001: 171-197]. 13 Tali dimensioni sono ricavate in base allo schema quadrifunzionale Agil, noto in sociologia per l’elaborazione fattane nell’ambito del paradigma struttural-funzionalismo, assunto pure dalla teoria relazionale [Donati 1991: 201-203]. Ovviamente l’assunto è che pure la comunicazione sia una forma di relazione sociale, e che come ogni fenomeno complesso possa/debba essere studiata in prospettiva multidimensionale. Per chiarimenti su questo approccio, mi si consenta di rinviare a [Martelli 2002] e, per l’applicazione dell’approccio multidimensionale alla religiosità, a [Martelli e coll. 19952; Pizzuti e al. 1998]. D:\769915917.rtf 9 di 24 Martelli S. La socialità virtuale 3. Relazioni sociali in rete e post-modernità 3.1. L’interazione virtuale è una relazione sociale “disancorata”? Proprio perché offrono al massimo grado la possibilità di interagire protetti dall’anonimato, le Cmc sono considerate da molti relazioni «pure» o, meglio, “depurate” dalla corporeità e, quindi, “svincolate” dai legami sociali. Queste interazioni disembodied [Markham 1998] però sollevano alcuni interrogativi sia sull'eticità della relazione che si stabilisce nel corso dell’interazione virtuale, sia sulla solidità della medesima. Nel primo caso, si è sostenuto che il carattere non regolato di Internet comporti anche una sorta di de-regulation etica delle relazioni sociali computer aided. In realtà, le ricerche finora condotte sulle relazioni “mediate” dalle nuove tecnologie hanno evidenziato che pure nel mondo dei computer e delle reti vigono obblighi e doveri sociali [Curtis 1997]. Nelle mailing list vige un vero e proprio “galateo”, che prescrive norme dettate dalle proprietà della rete; ad esempio si invita a non scrivere mai una e-mail a caratteri maiuscoli (sarebbe come rivolgersi ad alter urlando); così è doveroso evadere in tempi rapidi la posta elettronica (attività impegnativa che “divora” tempo in misura più che direttamente proporzionale alla quantità di news group cui si è iscritti). Al tempo stesso, possono nascere conflitti con norme e valori propri di altre sfere di vita, ad esempio a proposito dei tempi e dei ritmi della vita familiare (orari del riposo e dei pasti in comune messi a soqquadro dalla necessità di navigare in Internet negli orari a tariffa telefonica più conveniente, ovvero nella parte della giornata in cui il telefono è meno “caldo”, ecc.). A proposito poi della solidità del legame sociale, alcuni ritengono che tali interazioni, essendo sostenute da partecipanti molto motivati ed essendo rette da nuove regole, siano capaci di creare effettive comunità, anche se virtuali o, addirittura, consentano di ricomporre a livello globale i legami di etnicità e di altre appartenenze ascritte [Reinghold 1994]. Al contrario altri ritengono che, senza il supporto di una comunità reale, tali relazioni virtuali siano destinate a scomparire altrettanto rapidamente del modo con cui sono state allacciate. Rispetto ai rapporti face to face che si instaurano in comunità a base territoriale, i legami virtuali, infatti, sono tanto meno intensi e coinvolgenti quanto più sono numerosi e aspecifici, ovvero risultano sorretti da motivazioni strumentali e/o da interessi effimeri [Dell’Aquila 1999; Fici 2001]. Gli individui, infatti, usano le tecnologie dell'informazione e della comunicazione per intrecciare relazioni “a distanza” e così creare nuove «cerchie sociali», come direbbe Simmel [1989]. In tal modo essi acquisiscono nuove e molteplici appartenenze, ed assumono le connesse aspettative ed obblighi sociali, come mostrano i comportamenti degli utilizzatori delle chat line: l’uso «serio» di questo canale è più frequente di quanto si pensi [Roversi 2001: 148]. Resta il fatto che le relazioni sociali “mediate” dalle nuove tecnologie infotelematiche non sostituiscono, ma neppure si giustappongono semplicemente a quelle D:\769915917.rtf 10 di 24 Martelli S. La socialità virtuale reali. Si assiste, invece, ad un effetto ambivalente, ad uno “straniamento” o, come dice Giddens, ad uno «stiramento» delle relazioni sociali: da un lato, l'individuo “si sradica” dalla comunità territoriale, dall'altro si connette ad altre cerchie sociali, senza tuttavia che si senta legato ad esse con la medesima intensità che caratterizzava i rapporti nella comunità tradizionale [Giddens 1994]. Internet contribuisce grandemente allo sradicamento delle persone dalla comunità locale, senza con questo riuscire a ricostituire legami sociali forti. È quanto emerge con chiarezza nelle prime ricerche sulle relazioni sociali nelle comunità virtuali, ad esempio quelle di tipo politico [Fici 2001]. Al tempo stesso, questo sradicamento accresce l’instabilità della società attuale e accelera la transizione alla post-modernità; questa, come suggeriscono Morra [19962; Id., a cura di, 1999] o Donati [1997, 20002], non è affatto una società altra rispetto alla modernità stessa, però –con buona pace dei fautori della modernità «radicale», quali Ulrick Beck o Anthony Giddens–, costituisce una reale discontinuità nella concezione progressiva della modernità stessa. A mio avviso questa appare assai meno «riflessiva» di quanto sostengano Beck, Lash e Giddens [1999], e per di più sembra incapace di incanalare le spinte verso l’incertezza e la frammentazione innescate dai suoi stessi successi. Pertanto, le relazioni sociali rese possibili da Internet –le interazioni virtuali– vanno interpretate all’interno delle grandi trasformazioni in atto che stanno decostruendo la società moderna, a cominciare dal processo di glocalizzazione. 3.2. Tra globale e locale La globalizzazione è un fatto, anche se limitato al mondo della finanza internazionale e delle telecomunicazioni a livello mondiale, ma del tutto incerti sono i suoi esiti. Il nocciolo della questione, su cui attualmente si stanno versando fiumi d’inchiostro14, riguarda gli esiti sul piano socio-culturale della inarrestabile tendenza in atto alla interconnessione delle economie, specie della finanza internazionale, e dei sistemi di telecomunicazione. La domanda che molti si pongono è la seguente: si creerà un cultura unica o il mondo continerà a essere distinguibile in base ai confini tracciati dalle quattro grandi civilizzazioni –la cristiana-occidentale, la musulmana medio-orientale, la contemplativo-asiatica e l’africana animistica–, al cui interno si possono peraltro distinguere una varietà enorme di culture locali? Altrove ho esaminato le tendenze socio-culturali in corso e discusso le ragioni che mi portano a parlare assieme ad altri di processo di glocalizzazione [Martelli 1999, cap.1 della Parte II]. Sul piano astratto è possibile infatti prefigurare quattro possibili esiti dell’attuale incontro tra culture favorito dall’interconnessione di mercati e comunicazioni. Essi emergono dalla riflessione sugli scenari individiduabili a partire da due domande teoretiche, le quali generano gli assi della seguente tipologia [Fig.2 s.]: 14 Per una prima panoramica sul tema cfr. Bauman [1998]; Cesareo [a cura di, 2000]; Featherstone [1998]; Giaccardi e Magatti [2001]; Giddens [1999]; Robertson [1999]. D:\769915917.rtf 11 di 24 Martelli S. La socialità virtuale i) asse orizzontale: la globalizzazione porterà un'elevata integrazione sociale, oppure la futura società globale sarà caratterizzata da un livello medio o, addirittura, basso di integrazione? ii) asse verticale: la futura società globale sarà costituita da un'unica cultura, oppure da una pluralità di culture? Fig. 2 - La cultura globale e le sue forme possibili Integrazione sociale Pluralità di culure Monocultura Forma culturale Elevata Scarsa Scenario 1 Assimilazione nella cultura moderna “avanzata” (consumismo, american way of life, ecc.) Scenario 2 Separatezza (Ghettizzazione o Dominazione) Scenario 3 Omogeneizzazione (Creolizzazione) Scenario 4 Integrazione pluralistica (Ibridazione) A seconda della risposta scelta per ciascuna domanda ed al suo combinarsi con quella data all'altra, abbiamo uno dei quattro scenari logicamente possibili: i) assimilazione (una società mondiale “macDonaldizzata”): consiste nell'incorporazione nella cultura dominante, segnatamente quella “moderna avanzata” e occidentale, di tutte le altre culture, le quali assistono impotenti allo stemperarsi dei propri caratteri originali (è il sogno americano –peraltro oggi in difficoltà – del melting pot, trasferito a livello planetario); ii) separatezza (una società mondiale ghettizzata oppure dominata): le culture convivono senza stabilire rapporti sostanziali. Si possono dare due sottocasi: la ghettizzazione (rifiuto del dialogo e della mescolanza tra gruppi culturali, difesa ad oltranza della propria identità “pura”, convinzione della superiorità dei propri valori e della loro traduzione storica: si pensi ai fondamentalismi giudeo e islamico radicale), oppure la dominazione (conquista o sottomissione delle altre culture da parte di chi è in posizione politicamente egemone o militarmente dominante); iii) integrazione pluralista (una società mondiale “ibridata”): le culture esistenti mantengono i propri caratteri originari, però in un contesto sociale integrato e interdipendente, il quale favorisce scambi e porta ciascuna cultura alla parziale incorporazione di alcuni tratti di altre culture (si pensi alla diffusione D:\769915917.rtf 12 di 24 Martelli S. La socialità virtuale mondiale della pizza, al carnevale brasiliano, ecc.). È l’“unità nella diversità", ovvero l’“insalatiera etnica” in cui convivono omogeneità e differenze; iv) omogeneizzazione (una società mondiale “creolizzata”): emerge una vera e propria cultura mondiale, che fonde in sé le culture esistenti formando un insieme diverso dalle unità di partenza. È l'esito a più elevata integrazione, che richiede di necessità tempi molto lunghi per potersi attuare. Fino agli anni '70 il primo scenario, quello dell'assimilazione di tutte le culture locali nell'unica globale, segnatamente l'occidentale, era considerato il più probabile; si riteneva che la modernizzazione avrebbe esportato il modello di sviluppo europeo ovunque, e che ciò avrebbe portato all'omogeneizzazione di tutte le culture entro la modernità “avanzata”, ovvero all'individualizzazione e al primato della razionalità strumentale, anche se ciò avrebbe inevitabilmente comportato un basso grado di integrazione sociale. Negli ultimi 10-15 anni si assiste, invece, al sorgere di crescenti dubbi sulla praticabilità (oltre che sull'auspicabilità) dell'assimilazione al modello moderno-occidentale, anche alla luce delle crescenti difficoltà che incontrano gli stessi Stati Uniti ad essere melting pot, ovvero crogiuolo di tanti popoli. Dall’inizio degli anni ’90 e quindi ben prima dell’attacco terroristico agli Usa sferrato dagli integralisti musulmani l’11 settembre 2001, in tutto il mondo si segnala il risorgere di identità “fiere” di tipo religioso e/o nazionalistico (musulmani, cinesi, hindu, israeliani, ecc.), anche se la prospettiva di uno «scontro di civiltà» [Huntington 1999] non solo è politicamente tragica, ma anche culturalmente poco probabile. Di fatto però si assiste a un rinforzarsi delle identità locali pur in presenza di processi di interconnessnione globale. Si tratta di un esito della globalizzazione imprevisto dai teorici della modernizzazione in senso occidentale (scenario 1), che tuttavia conferma l’importanza delle culture locali e la persistenza delle identità non occidentali pur nell’adozione delle tecnologie occidentali. Parlerò quindi di processo di glocalizzazione, il quale diviene non solo chiaro ma anche comprensibile assumendo la prospettiva offerta dalla «logica socio-culturale della post-modernità». Lo scenario dell’integrazione pluralistica –persistenza di identità culturali a livello locale pur nella crescita dell’interdipendenza a livello mondiale– è dovuta, da un lato, alla presa d'atto del relativismo insito nella pretesa della modernità di autofondarsi e quindi della “debolezza” culturale della modernizzazione, che si riduce a una standardizzazione delle comunicazioni e della produzione smercio e consumo di beni; dall'altro, cresce la “fierezza” delle culture non occidentali, che riscoprono le proprie radici culturali e religiose e le rivendicano, e ciò con maggior forza quanto più fruiscono delle libertà, riconosciute come diritto delle minoranze nei paesi occidentali In questo scenario glocale si inserisce pure la fruizione dei mezzi di comunicazione. Già gli studi sulla ricezione di telenovelas e soap opera, condotti in prospettiva comparativa multiculturale, hanno mostrato la pluralità esistente tra i popoli negli stili di de-codifica del medesimo testo televisivo. Dallas, ad esempio, presso i nord-americani e in genere gli occidentali –ad esempio gli israeliani– viene vista come la saga del “diritto alla felicità” dell’individuo e pertanto la loro attenzione si concentra sugli intrecci sentimentali, mentre i giapponesi e in genere i popoli di D:\769915917.rtf 13 di 24 Martelli S. La socialità virtuale altre culture, forse più pragmaticamente, osservano con attenzione gli elettrodomestici e i beni di consumo che arredano gli ambienti ritratti dallo sceneggiato [Liebes e Katz 1985]. La medesima diversità socio-culturale si nota nella fruizione di Internet. Roversi nota che l’atteggiamento con cui i chatter italiani vivon le Cmc è differente rispetto a quello degli utilizzatori anglofoni dell’Irc. Mentre tra costoro predomina una «cultura della virtualità» e la ricerca ossessiva di una «comunità virtuale», i chatter italiani «Sono persone vere e attori sociali nello stesso tempo» [Roversi 2001: 161], non si riducono a identità scarnificate e neppure a testi digitati, anche se la tecnologia riduce a ciò le loro comunicazioni15. In breve, la società permea perfino le relazioni virtuali, tanto che si possono distinguere atteggiamenti differenti in base alle diverse culture locali. 3.3. Dalla Rete personalizzazione o de-individuazione? Il processo di glocalizzazione si intreccia a molti altri processi in atto che stanno de-strutturando la modernità. Tra quelli che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione favoriscono vi è pure la deindividualizzazione, la quale è la risultante, da un lato, della “messa tra parentesi” delle differenze di status che la Cmc consente; dall’altro, attenuandosi la forza della contrainte sociale, avrebbe detto Durkheim, il rischio dell’anomia diviene più forte. Detto in altri termini, il processo di de-individualizzazione, inteso come la tendenza socio-culturale a de-costruire l’individuo –un costrutto della modernità spesso inteso in contrapposizione alla comunità– presenta un volto ambivalente, potendo condurre sia alla personalizzazione sia alla de-individuazione. Nel caso delle Cmc la personalizzazione viene favorita dall’ambiente anonimo e disimbodied, che favorisce una migliore espressività dei cybernauti e una maggiore capacità da parte loro di esplorare le potenzialità offerte dalla comunicazione virtuale. Come mostrano le ricerche condotte sugli utilizzatori delle chat line italiani, le relazioni «pure» possono favorire amicizie e simpatie a un grado di sincerità e di intimità che non sembrano facilmente raggiungibili nei contesti di vita quotidiana lavorativa, in cui il primato dell’efficienza strumentale e il peso della gerarchia dei ruoli impone spesso alle persone di essere solo degli attori sociali. Dall’altro lato, l’attenuarsi dei vincoli sociali presente nelle Cmc comporta rischi di de-individuazione, ovvero fenomeni di perdita di identità individuale, il venir meno del senso di responsabilità e la noncuranza verso le norme sociali16. Ad esempio, «Un gruppo interagente via Cmc, ancorché più democratico, impiegherà in generale più tempo per giungere a prendere una decisione, anche ammesso che vi 15 Roversi chiarisce ulteriormente dicendo che i chatter italiani «non vivono questi ambienti digitali come “luoghi dove andare” o addirittura come una “dimensione dell’esistenza”, ma soltanto come “occasioni per comunicare”» [ivi]. Al contrario, in contesti culturali anglofoni sono frequenti i chatter che «cessano di percepirsi come corpi fisici e sociali e si dissolvono nel computer per crearsi ed esprimere un Sé che esiste solo in astratto attraverso il linguaggio» [ibidem: 162]. 16 Il concetto di de-individuazione, sviluppato nel corso degli anni ’50 da psicologi sociali come Festinger e da sociologi come Riesman in riferimento ai comportamenti anomici dovuti all’immersione nella folla, ora è stato ripreso dall’approccio Rsc alle Cmc [Paccagnella 2000: 44, nota 1; la citazione seguente nel testo è alle pagg. 23-24]. D:\769915917.rtf 14 di 24 Martelli S. La socialità virtuale giunga, dato il sostanziale disordine di un processo comunicativo privo di norme comunemente accettate capaci di orientarne lo sviluppo». È evidente che questa varianza di esiti non può essere predetta a livello teorico –si resterebbe solo sul piano delle congetture–, ma va ricondotta all’analisi socioculturale dei processi in atto, che muove dal quadro sopra descritto e va peraltro riferita ad attori collettivi, al cui interno è più forte il legame sociale. L’interazione virtuale può in tal modo mantenere più facilmente il legame sociale e quindi dare un esito personalizzante, come mostra il caso della e-vangelizzazione che ora discuto. D:\769915917.rtf 15 di 24 Martelli S. La socialità virtuale 4. Internet è un pericolo o una risorsa per la pastorale? 4.1. Pericoli per la Chiesa da Internet? Quali potranno essere le conseguenze per la Chiesa del processo di deindividuazione in atto oggi nei media, e in particolar modo nella Rete? De Kerchove [2000, n.3: 17] parla esplicitamente di «Pericoli e opportunità» che derivano dalla «evangelization» e tra i primi paventa «la possibile ricomparsa di tendenze scismatiche», rese possibili dal fatto «che ogni singola persona [è] nella rete capace di connettersi globalmente con chiunque e di esprimere liberamente la propria opinione» [ivi]. Il testo e il contesto suggeriscono di interpretare l’espressione di De Kerchove come tendenze «eretiche» più che «scismatiche». Infatti già in epoca moderna il processo di individualizzazione ha portato alla soggettivazione delle credenze e a quella condizione di «eresia generalizzata», già brillantemente analizzata da Peter L. Berger [1987]. L’attuale processo di de-individualizzazione nel suo esito anomico e annichilente l’individuo può però portare a un rafforzarsi dell’agnosticismo di massa che, diffuso dai mass media, rappresenta il versante dottrinale del consumismo come «religione» post-moderna [Ritzer 2000]. Ma proprio le medesime ragioni che portano molti a dubitare delle verità della fede cristiana e pertanto a mantenersi ai margini dell’ortodossia, pure impediscono oggi lo scisma che –come mostrano gli eventi del passato– presuppone pur sempre credenze “forti”, in nome delle quali proclamarsi “separati” da altri cristiani; la presente, invece, è «la società dell’incertezza» [Bauman 1999]. Al tempo stesso, la de-individuazione nel suo esito personalizzante può portare a una riscoperta della Parola di Dio e dell’insegnamento della Chiesa, qualora in Internet ci si imbatta in testi significativi, ovvero in chat line siano presenti preti, suore e laici o laiche disposte, come suggerisce l’apostolo Pietro nella sua Prima lettera, «a rendere sempre ragione della propria fede» anche on line [1Pt. $]. Ma più che il depositum fidei, il processo di de-individuazione favorito dai new media a mio avviso può de-stabilizzare l’autorità della Chiesa o, meglio, la sua struttura gerarchica di tipo verticistico. Già oggi la pervasività della Tv negli ambienti domestici favorisce la dis-intermediazione delle autorità religiose esistenti tra i fedeli e i vertici gerarchici17. Oggi molti ignorano non solo il nome, ma anche il volto del proprio vescovo o del proprio parroco, mentre il volto del Papa è noto a tutti. A questa maggiore visibilità del vertice del Magistero, favorito dalla Tv, grazie ad Internet potrebbe accompagnarsi un contemporaneo e complementare processo di decentramento dell’autorità in reti e reticoli pastorali, specie nel cyberspace, la nuova frontiera delle missioni “virtuali”. 17 Su questo ed altri effetti della televisione sulla religione, mi si consenta di rinviare a [Martelli, a cura di, 20013, cap.4 «La religione mediata», specie: 93]. Importanti testi per lo studio della televisione sono quelli scritti da Casetti e Di Chio [1998] e da Colombo ed Eugeni [2001]. D:\769915917.rtf 16 di 24 Martelli S. La socialità virtuale Inoltre la de-territorializzazione dei legami sociali favorita da Internet, da un lato “dissemina” i servizi religiosi su scala nazionale o globale (anche se più facilmente restando all’interno di un dato gruppo linguistico), dall’altro lato li indebolisce: specie la parrocchia verrebbe a perdere ulteriormente la propria funzione integrativa nei confronti di una comunità a base territoriale definita. Nella misura in cui beni e servizi religiosi non hanno necessità di essere prestati ad attori “fisicamente” presenti su un territorio dato nel corso di una interazione face to face, la tradizionale vocazione territoriale della pastorale viene radicalmente posta in crisi. Tramite Internet i servizi religiosi possono venire erogati da centri di spiritualità o di meditazione anche molto lontani nello spazio e anche nel tempo. Tuttavia a mio avviso il moltiplicarsi di centri di e-vangelizzazione non segnerà la fine della parrocchia radicata sul territorio. Anche se essa potrà subire la “concorrenza” di gruppi di preghiera on line e/o di maestri di meditazione spirituale, e quindi vedrà rarefarsi la presenza dei parrocchiani giovani-adulti, dei più istruiti e degli addetti alle professioni emergenti, ciò non si tradurrà in una perdita per la Chiesa, ma semmai in nuove sfide per la pastorale. 4.2. Auto-socializzazione religiosa per mezzo di Internet? Accanto ai pericoli, dall’uso sociale di Internet però possono venire delle grandi e insospettate opportunità per la pastorale. De Kerchove parla di «effetti omeopatici della Rete per la sua capacità di diffondersi dappertutto senza grandi infrastrutture» [ibidem: 17]. Questo già lo si vede sul lato dell’offerta religiosa: dalla Cei (Conferenza Episcopale Italiana) alle tante diocesi, santuari, ordini e famiglie religiose, fino alle parrocchie, sono ormai numerose le presenze religiose in Internet, e ciò costituisce un’opportunità di diffusione insospettata del Vangelo18. Oltre all’offerta di testi religiosi, la Rete può essere certamente impiegata per scambi comunicativi al fine di rinsaldare le amicizie, tonificare la partecipazione a gruppi e associazioni volontarie e le altre forme di interazione sociale esistenti e, anzi, per estenderle, con indubbia ricaduta positiva per la pastorale. La posta elettronica attualmente è la modalità d’uso più frequente della Rete stessa; l’azione di mailing e la diffusione dei messaggi religiosi a un indirizzario mirato è una pratica diffusa, che in alcuni casi, in ragione dell’insistenza con cui alcuni la applicano, si configura come un vero e proprio mail bombing19. Tuttavia è opportuno non farsi eccessive illusioni sulle potenzialità di penetrazione del medium in ambienti “lontani” dalla Chiesa: senza il supporto di interazioni reali, quelle virtuali si dissolvono, almeno con la medesima velocità con cui sono state allacciate. Opportunamente De Kerchove suggerisce di «attivare contatti personali» [ibidem: 18], ovvero di sostenere e completare le relazioni virtuali con altre reali. Peraltro ancora tutta da verificare sul versante della domanda: qual è l’effettiva consistenza della richiesta di servizi religiosi su Internet? Mancano dati certi al riguardo. 19 Si pensi a David Botti, l’infaticabile e politicamente schierato animatore della «Lista di informazione su cattolici e politica sotto la protezione di Giuseppe Tovini» [cfr.: [email protected]]. 18 D:\769915917.rtf 17 di 24 Martelli S. La socialità virtuale Ma l’aspetto più importante e però più fragile del suo argomentare riguarda la possibilità di un’educazione “a distanza”: «Come il programma educativo avviato dai Gesuiti a partire dal XVI secolo, oggi possiamo pensare di dare vita a un programma simile per i paesi in via di sviluppo, per la loro educazione attraverso Internet» [ivi]. A mio avviso, l’idea è buona, ma inapplicabile. Non basta porre quel semplice ed accattivamente avverbio «come», per rendere possibile un’educazione religiosa “forte”; anzi, questo escamotage verbale, posto da De Kerchove all’inizio della frase, rischia di far prendere per simili due azioni socializzatrici che, invece, sono profondamente diverse, e ciò per una ragione ben più profonda del fatto che ricorrono a differenti tecnologie dell’educazione (il libro, per i Gesuiti e la Riforma cattolica, ed Internet per noi oggi). Non è possibile, infatti, riprodurre l’azione educativa dei Gesuiti oggi, perché nella società post-moderna è mutata non solo la concezione del sapere ma, soprattutto, è diminuita la forza delle agenzie socializzatrici: famiglia, scuola, associazioni, Chiesa stessa. La socializzazione oggi è debole, ma tale “leggerezza” non è comprensibile solamente in base a ragioni interne all'industria culturale, ovvero al “sistema” dei media; neppure le caratteristiche tecnologiche dei mezzi di comunicazione più “avanzati”, come Internet, possono, da sole, spiegarle. Più specificamente, in una società dell’informazione globale la socializzazione è divenuta una videosocializzazione, ovvero è in atto un processo di de-costruzione della formazione, che ora è lasciata in mano al soggetto in età evolutiva in ragione non dell’accresciuta “forza” dei media, bensì dell’accresciuta debolezza delle istituzioni e, in particolare, delle agenzie educative: famiglia, scuola, gruppi e associazioni volontarie, la Chiesa stessa. Applicando alla socializzazione religiosa quanto ho sostenuto per l’intero processo di formazione della personalità adolescenziale nell'attuale situazione di decostruzione della socializzazione in una società “mediata” [Martelli, a cura di, 2001 3, cap.1, specie: 38-42], sono almeno tre gli esiti possibili: a) l'auto-socializzazione religiosa: è la formazione consapevole e continua di sé che il soggetto attua, volgendo al meglio le grandi opportunità offerte dai media-on line. Si tratta di un esito di eccellenza, che configura un'identità aperta e capace di muoversi con abilità e duttilità nel mare magnum di informazioni e conoscenze che si vanno rendendo disponibili sia per via televisivo-digitale (Sat 2000, canali tematici Rai, D+ di CanalPlus, Discovery Channel di Blue Stream, ecc.), sia infotelematica (catechesi su computer multimediali, siti Internet raggiungibili anche tramite la Web-Tv di Degiovanni, ecc.). Però l'auto-socializzazione, purtroppo, è un esito infrequente: richiede infatti una serie di pre-requisiti non facilmente compresenti in una famiglia “media”, come l'abbondanza di risorse, sia materiali sia culturali: basti pensare ai costi che comporta non solo l'acquisto di hardware e software specifici (computer multimediale, monitor, stampante, modem, programmi necessari per rendere operativi tutte queste macchine, ecc.), ma anche i canoni per i collegamenti telematici (tariffe telefoniche, collegamenti a banche-dati a pagamento, ecc.). D:\769915917.rtf 18 di 24 Martelli S. La socialità virtuale Pure la gestione di tali mezzi richiede ulteriori risorse culturali: occorrono competenze molteplici (cognitive, logiche, linguistiche, ecc.), per entrare da protagonisti nella nuova cyber society. La disponibilità di risorse, tuttavia, è solo una pre-condizione: occorre poi che il soggetto sia in grado di trarre profitto dall'opulenza comunicativa esistente, attuando selezioni di senso tali da rendere la propria identità una struttura armonica pur nella flessibilità, anziché un patchwork, ovvero una coalescenza casuale di informazioni, come invece avviene nella gran parte dei casi; b) un secondo esito possibile è l'etero-socializzazione religiosa. Esso porta alla formazione di un'identità definita ma rigida, a bassa flessibilità ed indeterminazione, perché il soggetto risulta etero-diretto dalla “comunità di villaggio”, che specie nel passato è stata omologante almeno quanto l'industria culturale (cambia il tipo di omologazione, ma il risultato è sempre l’eterodirezione!). Tale esito è più frequente tra individui appartenenti a strati sociali deprivati; anche l'etero-socializzazione appare una modalità del processo di desocializzazione che interessa una parte minoritaria della popolazione in età evolutiva; c) pertanto l'esito più frequente nell'attuale de-strutturazione dei processi educativi è la bassa definizione religiosa della personalità, che dà luogo ad una identità debolmente strutturata, dotata di buona o, addirittura, elevata flessibilità, ma anche poco capace di consapevole auto-determinazione. Il soggetto appare in grado di muoversi facilmente ed agevolmente tra i molti linguaggi ed esperienze, offerte sia dalla rete di agenzie formative tradizionali, sia dall'impiego dei nuovi media, avvalendosene nella costruzione della propria identità personale; questa, tuttavia, appare scarsamente capace di autonomi approfondimenti, perché frutto di un assemblaggio casuale (patchwork) di informazioni religiose, di messaggi e modelli di comportamento disomogenei, provenienti da religioni diverse. Nell'esporsi al profluvio di messaggi che provengono da agenzie formali ed informali, ma soprattutto dalla Tv e dai nuovi media, il soggetto in età evolutiva effettua selezioni, al fine di costruire la propria identità sociale basandosi su quanto più gli pare utile al momento, in ciò seguendo gusti personali o mode. In quest'ultima prospettiva, i media possono apparire agenzie di socializzazione sui generis non solo concorrenti, ma, addirittura, alternative alla famiglia e alla scuola, non tanto per i messaggi che essi veicolano, quanto per le modalità di fruizione che esse offrono e per il “distanziamento” dalle istituzioni educative che consentono al soggetto in età evolutiva. Le possibilità tecnologiche diventono tuttavia realtà comunicative solo per quei soggetti che vivono in famiglie di condizioni sociali medie o medio-alte, ovvero che dispongono di quelle risorse economiche e culturali, tali da consentire loro di fruire effettivamente dei media on line. Come si è fatto notare da tempo, in presenza di disuguglianze socio-culturali di base le nuove tecnologie tendono ad accrescere –non D:\769915917.rtf 19 di 24 Martelli S. La socialità virtuale certo a ridurre– il gap esistente tra ricchi e poveri, tra Nord e Sud del mondo 20. Può essere, questa, la “nuova frontiera” dell’azione ecclesiale di servizio e di promozione umana? È possibile, così com’è auspicabile, che si sviluppino nuove figure di volontari, come gli operatori della pastorale della cultura e delle comunicazioni, gli animatori di sale della comunità, e altre ancora. 20 Questo e altri pericoli sono stati denunciati dal recente documento del Consiglio pontificio per le Comunicazioni sociali nel documento Etica in Internet (28 febbraio 2002). Nella medesima giornata il Consiglio ha presentato pure un secondo documento, Chiesa e Internet, a carattere più intra-ecclesiale. D:\769915917.rtf 20 di 24 Martelli S. La socialità virtuale 5. Conclusione. Tre dilemmi per la pastorale in rete Molte sono le ragioni per ritenere positiva la decisione di essere presenti come Chiesa in Internet, ma occorre evitare ottimismi (e pessimismi) ingiustificati, così come non si deve confondere l’informazione religiosa –anche se offerta tramite i new media– con l’evangelizzazione. La prima è una presenza relativamente facile e certo opportuna, mentre l’e-vangelizzazione –se vuol divenire annuncio ad una o più persone anche se tramite un computer connesso telematicamente– non può limitarsi ad avvisi o informazioni, ma deve divenire annuncio-in-situazione, anche se virtuale. Ma cosa significa ciò? Se la pastorale è un’arte difficile, quella in Internet lo è di più perché è pure rischiosa, in quanto le categorie tradizionali non sono applicabili con facilità all’ambiente virtuale: la cybersocietà basata sull’interazione virtuale, infatti, è ancora tutta da esplorare, perché sta nascendo sotto i nostri occhi. Inoltre, come ogni decisione strategica, anche la scelta di investire in questo campo comporta non solo “costi” ma anche “rischi”, richiede dispendio di energie per raggiungere fini che si pongono, talora, in alternativa con altri già consolidati nella prassi ecclesiale; ciò provoca incertezza e perplessità. A questo punto, la sociologia dei processi culturali e comunicativi applicata alle problematiche socio-religiose può offrire un aiuto: esplicitando le alternative d’azione, individua almeno tre dilemmi, che si presentano al responsabile di attività pastorali al momento di impiegare Internet nella propria attività. Il primo dilemma è di tipo teologico, e riguarda i messaggi ed i contenuti religiosi offerti tramite Internet. Anche per la “rete delle reti” vale il noto aforisma di McLuhan che «il medium è il messaggio». Applicato ad Internet –che peraltro, come si è visto sopra, risulta un medium molto flessibile, le cui potenzialità comunicative sono tutt’altro che esplorate– l’aforisma ci invita ad esaminare le sue proprietà e a scorgere il tipo di selezione che la Rete opera sui contenuti religiosi da essa mediati. Ora, tenendo presente che la teoria multidimensionale della religiosità ha distinto nel fenomeno religioso in ambito cattolico almeno sei dimensioni –la dottrinale, la rituale, l’esperienziale, la vitale, la conoscitiva e la comunitaria [Martelli e coll. 19952], si può supporre che l’impiego di Internet privilegerà decisamente le credenze e le informazioni religiose rispetto ai riti, alle esperienze, al senso di appartenenza ed ai vissuti. Detto in altri termini, mentre Internet è certamente utile per la diffusione di testi e di messaggi dottrinali –il Mit-Massachussets Institut of Technology di Boston (Usa), ad esempio, ha messo in rete le encicliche papali–, resta assai più problematico il suo impiego nei rituali e nella pratiche che favoriscono l’incontro col sacro. Certamente è possibile immaginare preghiere in comune e liturgie in Internet –anche di tipo ecumenico–, ma è assai più difficile, per non dire impossibile, celebrare l’Eucarestia in rete 21 . La presenza reale di Cristo non è 21 A proposito della teletrasmissione dell’Eucarestia, il noto teologo J.B.Metz [in Coleman e Tomka 1993: 86] ha sostenuto che essa offende «il pudore metafisico, che vieta di rendere accessibile questo evento a un pubblico di qualsiasi genere e indifferente». Egli propone di mantenere l’antica «disciplina dell’arcano» e, citando Walter Benjamin, ha affermato che, nell’epoca della riproducibilità tecnica, il culto teletrasmesso perde di autenticità e di tradizione [ibidem: 87-88]. In altre parole, ad Internet si può applicare il caveat già emerso per la televisione, cioè il D:\769915917.rtf 21 di 24 Martelli S. La socialità virtuale vicariabile in quella virtuale; e senza Eucarestia, non c’è comunità cristiana. In breve, il primo dilemma invita il responsabile della pastorale ad optare tra comunità territoriale o reale, e comunità globale o virtuale, o comunque ad interrogarsi sul fondamento della comunità religiosa resa possibile da Internet. Il secondo dilemma è di tipo culturale e riguarda lo squilibrio esistente in Italia tra un’élite che impiega Internet, e la massa di popolazione che si rivolge ai mezzi di comunicazione tradizionali. Questo squilibrio si riproduce all’interno della stessa Chiesa e può essere descritto facilmente in base all’età e al genere: l’uso di Internet è limitato, infatti, ai giovani ed ai giovani-adulti, siano essi preti o laici, e –anche se meno nettamente– ai maschi. Il dilemma pertanto si può esprimere nel modo seguente: si devo o no alfabetizzare all’uso delle nuove tecnologie chi, nella Chiesa, ha o avrà responsabilità pastorali? Come l’università e la scuola stanno facendo uno sforzo in tal senso –anche se con molte diversità e resistenze al proprio interno, e certo con maggiore dovizia di risorse di quanto possano investire parrocchie ed ordini religiosi–, c’è da chiedersi se anche la Chiesa debba concorrere o meno a un tale sforzo di alfabetizzazione telematica, che potrebbe trovare nei Seminari e negli Istituti per le Scienze Religiose i propri ambienti istituzionali. Il terzo dilemma, infine, è propriamente pastorale: è opportuno impiegare Internet come nuovo e potente strumento tecnologico per vecchi fini, o sperimentare nuove forme di pastorale, come la parrocchia virtuale? Nel primo caso si ricorre ad Internet per offrire informazione a tutti e in tutto il mondo («sul Web ci siamo anche noi!» è la motivazione corrente per implementare il sito Internet della parrocchia o del gruppo), o anche per dare un’istruzione catechistica in rete (video-catechesi). Nel secondo caso si possono attuare non solo forme nuove di pastorale, al fine di “agganciare” anime sperdute e bisognose di conforto spirituale (dal “telefono amico” alla Chat amica22 il passo è breve), ma anche –è, questa, di certo la scelta più ardita– si può implementare sul Web una “parrocchia virtuale”, in cui animatori ed educatori si incontrano virtualmente per sperimentare nuove forme di relazionalità religiosa in rete (ambiente Mud)23. Questi tre dilemmi, di cui il sociologo può far vedere le opportunità e i rischi senza con ciò volersi sostituire a chi ha la responsabilità della decisione, possono venire riassunti nell’interrogativo seguente. A chi si rivolgerà la pastorale nell’Italia dei primi anni del 2000? Ai pochi entusiasti cybernauti, confidando che col tempo il loro numero crescerà anche nel nostro Paese, oppure alla grande massa di persone che non intendono né oggi, né domani impiegare le nuove tecnologie? Dalla risposta che verrà data a questo interrrogativo certo dipenderà l’avvenire non solo della timore che la Chiesa cada in una sorta di «trappola elettronica», divulgando tramite essi in maniera impropria i misteri eucaristici. 22 È quanto ha fatto Don Franco Mastrolonardo con il sito Web “Punto Giovane” e la Chat amica, validamente aiutato dagli animatori di Ac della comunità di San Lorenzo di Riccione. L’esperienza è raccontata in De Kerckohve, Bertolini, Martelli e al. [2000: 172-174]. 23 Ciò però presuppone un investimento, da parte della Chiesa italiana, in nuove strutture telematiche a banda larga, come i portali verticali ed orizzontali, che però dovranno poter poggiare sulla dorsale telematica nazionale – un’infrastruttura fondamentale peraltro ancora da costruire e, stante gli orientamenti sociali poco incoraggianti descritti nella premessa, non certo attesa a breve. D:\769915917.rtf 22 di 24 Martelli S. La socialità virtuale Chiesa, ma anche della società civile nel nostro Paese [Donati, a cura di, 1997; Garelli e Simone, a cura di, 2000]. Bibliografia di riferimento Archer M. (1997), La morfogenesi della società. Una teoria sociale realista, F.Angeli, Milano. Bauman Z. (1998), Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari. – (1999), La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna. Beck U., Giddens A. e Lasch S. (1999), Modernizzazione riflessiva. 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