Paraparesi spastiche: dalla caratterizzazione genetica al profilo clinico-funzionale FPRIVATE "TYPE=PICT;ALT= " L’eterogenità clinica e genetica è un aspetto distintivo di diverse patologie neurodegenerative motoneuronali, comprese le paraparesi spastiche. I dati genetico-molecolari raccolti negli ultimi dieci anni hanno rivoluzionato la classificazione clinica di queste patologie e hanno posto le basi per la definizione dei meccanismi patogenetici fondamentali. Nel caso delle paraparesi spastiche, nonostante gli enormi passi in avanti nella diagnostica clinica, tuttavia, la rarità delle singole forme geneticamente determinate ha limitato la possibilità di delinearne precisamente il decorso e la conoscenza di aspetti cruciali relativi alla progressione, all’evoluzione e al trattamento resta frammentaria. Presso l’IRCCS “E. Medea” (www.emedea.it), l’unico Istituto scientifico italiano riconosciuto per la ricerca e la riabilitazione nell’età evolutiva, sono in corso da alcuni anni progetti di ricerca focalizzati su diversi aspetti clinici e genetico-molecolari di questo gruppo di patologie. In particolare, uno studio multicentrico ha permesso di raccogliere e caratterizzare un’ampia casistica di pazienti italiani. I primi risultati ottenuti grazie a queste ricerche costituiscono un solido punto di partenza per approfondire le conoscenze sulle paraparesi spastiche dal punto di vista diagnostico-terapeutico e per offrire un nuovo impulso alla ricerca di base, attraverso la creazione di modelli animali preziosi per migliorare la comprensione dei meccanismi patogenetici critici. Le paraparesi spastiche ereditarie (Hereditary Spastic Paraplegia, HSP) sono un gruppo eterogeneo di malattie neurodegenerative caratterizzate da ipostenia progressiva e spasticità agli arti inferiori¹. La principale lesione patologica interessa il tratto corticospinale del midollo, caratterizzato dalla presenza di assoni molto lunghi, talora anche oltre un metro. Dal punto di vista clinico, le HSP possono essere “pure”, con presenza di segni piramidali (riflessi osteotendinei vivaci, segno di Babinski, spasticità e deficit motorio) che possono essere associati a deficit delle sensibilità profonde o a disturbi sfinterici, oppure “complicate”. Queste ultime comprendono un’ampia gamma di entità cliniche in cui la paraparesi è variabilmente associata con numerose combinazioni di altri segni e sintomi neurologici e non neurologici quali atassia cerebellare, disartria, ritardo mentale, neuropatia periferica, atrofia ottica, retinite pigmentosa, disturbi dell’udito. La risonanza magnetica dell’encefalo può, inoltre, rilevare alterazioni quali atrofia corticale o cerebellare, assottigliamento del corpo calloso e lesioni della sostanza bianca. I determinanti genetici noti L’eterogeneità clinica delle HSP si riflette in una ancor più ampia variabilità genetica, con almeno 48 differenti loci mappati e 18 geni identificati finora. Su questa base, si possono distinguere forme familiari dominanti (AD), recessive (AR) o legate all’X (XL) e forme sporadiche. Le prime sono prevalentemente “pure” mentre le forme AR e XL sono perlopiù “complicate”. Circa il 40% delle forme AD può essere attribuito principalmente al locus SPG4² mentre il 10% è legato a mutazioni in SPG3A³, specie nei casi a esordio precoce. Il gene SPG4 codifica per spastina, una proteina di 616 aminoacidi appartenente al gruppo delle AAA (ATPasi Associate con altre Attività cellulari). Le proteine AAA sono coinvolte in un’ampia varietà di processi cellulari, quali il ciclo cellulare, il trasporto vescicolare, la funzione mitocondriale, la biogenesi dei perossisomi e la proteolisi. Il gene SPG3A codifica invece per atlastina, una proteina con un alto grado di omologia con la Guanylate Binding Protein 1 (GBP1), un membro della superfamiglia delle dinamine, appartenenti alla classe delle GTPasi. È stato recentemente dimostrato che le dinamine si associano con le vescicole e con gli endosomi e mediano attivamente i processi di trasporto intracellulare. Oltre a SPG4 e SPG3A altri due geni frequentemente mutati nelle forme dominanti sono SPG10 e SPG31. Nelle AD dovute a SPG10 è chiamata in causa KIF5A, una proteina espressa soltanto nei neuroni e implicata nel trasporto di organelli membranosi negli assoni: le mutazioni a carico di questo gene alterano l’attività ATPasica oppure l’attività di cargo ed il legame con i microtubuli4. Nella forma correlata a mutazioni in SPG13 entra in gioco HSPD1, una chaperonina localizzata nella matrice mitocondriale e implicata nel ripiegamento (folding) e nell’assemblaggio delle proteine. L’associazione di paraparesi e neuropatia5 è tipicamente legata a mutazioni in BSCL26, il gene responsabile per la forma SPG17 che codifica per la seipina, una proteina integrale della membrana del reticolo endoplasmatico coinvolta anche in altre patologie, tra cui una neuropatia motoria distale ereditaria. Tra le forme recessive “complicate” con deficit cognitivi e neuropatia, è possibile identificare un gruppo di varianti relativamente omogenee dal punto di vista clinico, caratterizzate da assottigliamento del corpo calloso evidenziabile alla risonanza e associate ad alterazioni in almeno tre geni: SPG11 (più frequentemente), SPG15 e SPG21. Nell’ambito delle forme recessive (sia “pure” sia “complicate”) sono noti altri due geni critici, SPG7 e SPG5, che presentano una frequenza di mutazione variabile dal 4 al 6%, a seconda delle popolazioni considerate. Il prodotto di SPG7, la paraplegina, è una proteina mitocondriale analoga alle metalloproteasi del lievito, caratterizzata da un’attività proteolitica e tipo “chaperon” a livello della membrana mitocondriale interna e coinvolta nell’assemblaggio di proteine e nel turnover di proteine tradotte o ripiegate in modo erroneo. SPG5 codifica, invece, per l’enzima CYP7B1, coinvolto nel metabolismo del colesterolo e, in particolare, della quota che segue la via neuronale7. Mutazioni del gene SPG5 portano all’accumulo di substrati proteici, con effetti neurotossici. Lo studio multicentrico dell’IRCCS “E. Medea” Negli ultimi 6-7 anni, l’IRCCS “E. Medea” si è attivamente impegnato nell’ambito di uno studio multicentrico di tipo clinico-genetico-funzionale sulle HSP attraverso la raccolta di un’ampia casistica su tutto il territorio nazionale. Il risultato ottenuto è il frutto della collaborazione tra i Poli dell’IRCCS “E. Medea” di Bosisio Parini (Lecco), Conegliano (Treviso), Ostuni (Brindisi) e San Vito al Tagliamento (Pordenone) e diverse Cliniche Neurologiche distribuite in dieci Regioni italiane: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Piemonte, Liguria, Toscana, Sardegna, Calabria, Sicilia e Puglia. Grazie a questo lavoro congiunto, è stato possibile raccogliere e analizzare dati relativi a 475 pazienti con HSP, di cui 354 affetti da forme sporadiche, 70 con familiarità recessiva e 51 con familiarità dominante. In base alle caratteristiche cliniche disponibili, nell’ambito del campione esaminato sono state individuate 256 forme “complicate”, 96 “pure” e 124 casi “lievemente complicati”, ossia con presenza di un solo segno/sintomo neurologico in aggiunta alla paraparesi (per esempio, deficit cognitivo o note atassiche o neuropatia, sempre di grado lieve). La raccolta e la caratterizzazione dei pazienti avevano l’obiettivo generale di descrivere il profilo clinico delle diverse forme genetiche allo scopo di migliorare il processo diagnostico e l’identificazione di indicatori oggettivi utilizzabili per la stadiazione e la descrizione prospettica della progressione della patologia (aspetti in generale non noti per le HSP) oppure per valutare l’outcome degli interventi terapeutici e riabilitativi. Sul fronte della ricerca di base, l’identificazione di mutazioni in geni critici ha permesso, in alcuni casi, di allestire modelli cellulari per lo studio dei meccanismi patogenetici implicati nella forma di paraparesi corrispondente e per la comprensione della funzione delle proteine mutate. Analisi molecolare della casistica raccolta L’analisi condotta presso il Laboratorio di Biologia molecolare della sede di Bosisio Parini ha portato all’individuazione di mutazioni in circa il 25% dei pazienti arruolati. Le frequenze di mutazione riscontrate sono risultate paragonabili ai dati pubblicati in letteratura per altre popolazioni di origine caucasica per i geni SPG4 (40% in pazienti con forma AD e 20% in pazienti sporadici) e SPG7 (1,5-4,5%)8,9. La caratterizzazione biochimica dei fibroblasti di tre pazienti con mutazioni in SPG7 ha permesso, inoltre, di escludere la presenza di difetti nella catena respiratoria mitocondriale, in particolare a livello del complesso I, precedentemente associati a una mutazione specifica di questo gene. Nel caso di SPG11, la frequenza di mutazioni in pazienti sporadici o con familiarità recessiva e forme complicate della patologia è risultata essere del 15,5%, indipendentemente dalla presenza di assottigliamento del corpo calloso. Tuttavia, considerando soltanto i pazienti con corpo calloso sottile alla risonanza, la frequenza è salita al 40%10, analogamente a quanto riportato per altre popolazioni europee. Nei pazienti con forme pure o lievemente complicate e familiarità recessiva sono state riscontrate frequenze di mutazione rispettivamente del 10% e 3,3% nel gene SPG5, valori leggermente superiori, ma comunque in linea, con quanto segnalato in letteratura11. Un altro gene frequentemente mutato nelle forme complicate con familiarità dominante è risultato essere KIF5A (8,8%), responsabile della forma SPG1012. Singole mutazioni sono state, inoltre, riscontrate nei geni SPG3A, SPG17 e SPG3113, 14. Oltre che sul piano molecolare, questi nuovi dati hanno una notevole rilevanza epidemiologica dal momento che la frequenza delle forme SPG3A e SPG31, riportate da più fonti come tra le più frequenti AD pure dopo la SPG4 nella popolazione anglosassone, risulta essere sensibilmente più bassa tra i pazienti italiani con HSP. La caratterizzazione biochimico-funzionale di atlastina (SPG3A) Presso il laboratorio dell’IRCCS “E. Medea” di Conegliano è stato generato il modello di Drososphila per l’atlastina (D-atl) al fine di esaminare le conseguenze di una sovra-espressione, inattivazione, ablazione o espressione di forme mutate del gene in siti analoghi a quelli descritti negli alleli umani associati a SPG3A. L’indagine ha permesso di definire il ruolo biologico della atlastina, che agisce come proteina in grado di fondere omotipicamente, in modo GTP-dipendente, le membrane del reticolo endoplasmatico15. È stato, inoltre, dimostrato come le mutazioni associate a questa forma di HSP nell’uomo si accompagnino a una marcata disfunzione del reticolo endoplasmatico, con quadri simili al mutante o al knock-down, dimostrando per SPG3A un meccanismo di aplo-insufficienza. A conferma dell’ipotesi che questa forma di SPG possa essere principalmente dovuta all’alterazione dello sviluppo precoce del motoneurone, sono stati descritti i fenotipi del mutante per D-atl, che manifesta marcate alterazioni strutturali sin dalle prime fasi dello sviluppo neurale. Al di là dell’ovvia considerazione che un disturbo sostanziale del reticolo si accompagni a una disfunzione cellulare tanto più marcata quanto più specializzata è la cellula e quanto più complesso è il sistema nella quale essa è inserita, non è ancora stata pienamente chiarita la relazione tra il fenotipo cellulare e la selettiva patologia osservata nell’uomo. Descrizione del profilo clinico differenziale mediante marker oggettivi Lo studio è partito dalla definizione di un protocollo di valutazione esteso e condiviso tra i centri clinici collaboranti che ha contemplato l’analisi della sensibilità e della specificità dei singoli elementi, al fine di ottimizzare l’efficienza del sistema di valutazione complessivo. Questa fase ha offerto anche l’occasione per delineare i profili funzionali dei pazienti con paraparesi nei diversi ambiti esplorati, clinici e paraclinici: funzioni motorie, funzionalità/disabilità, qualità di vita, variabili neurofisiologiche, neuroimaging (quest’ultimo ancora in corso di indagine). Complessivamente sono stati esaminati 207 soggetti con quadro clinico di HSP. In tutti i casi è stata completata la valutazione clinica e neuropsicologica e sono state applicate diverse scale che misurano la spasticità e la disabilità e funzionalità del paziente (Spastic Paraplegia Rating Scale, SPRS, Functional Independence Measure, FIM, Ashworth scale, Medical Research council scale MRC for muscle strenght). Gli elementi di maggior interesse emersi dall’analisi dei protocolli clinici hanno riguardato: - l’assenza di una chiara correlazione genotipo/fenotipo, a eccezione delle forme complicate nelle quali si osservano segni extra-motori; - l’assenza di una significativa compromissione cognitiva anche in soggetti in età avanzata (>60 anni); - la presenza, in alcuni casi, di un’importante variabilità intra-familiare, talvolta spiegabile con la possibile influenza di varianti intra- o extra-geniche associate a fenotipi nettamente più severi e a esordio più precoce; - l’impatto sulla qualità di vita e sul grado di disabilità molto variabile e influenzato da elementi ambientali e individuali. Valutazione neurofisiologica Nell’ambito dell’esame neurofisiologico sono stati valutati 72 soggetti mediante un protocollo complesso che comprendeva potenziali evocati motori (PEM), somato-sensoriali (PESS), visivi (PEV), acustici (PEA), elettroneurografia (ENG) ed elettromiografia (EMG). Ciò ha permesso di confermare i dati presenti in letteratura su SPG416, 17, estendendoli alle altre forme di SPG (3, 5, 10, 11). In particolare, è emersa, quale elemento comune obbligato, l’alterazione di latenza e ampiezza dei PEM, mentre le variazioni dei PESS sono risultate incostanti, anche se frequenti (50% della popolazione studiata), con ulteriore coinvolgimento della conduzione centrale sensitiva degli arti superiori. Alterazioni della funzionalità del sistema nervoso periferico (modificazioni della velocità di conduzione, dell’ampiezza all’ENG o pattern neurogeno all’EMG) sono state riscontrate in una minoranza dei casi con SPG4 (15%) e in una proporzione più ampia di forme più rare (SPG3A, SPG5, SPG10, SPG11). Alterazioni dei PEV o PEA sono state osservate in rari casi con una lunga storia di malattia. Anche in questo contesto, se si esclude la presenza della neuropatia che caratterizza alcune forme, non si è notata una chiara correlazione fenotipo/genotipo. 3D Gait Analysis in pazienti con HSP ereditaria e diplegia spastica La caratteristica principale dei pazienti affetti da HSP è un’alterazione del cammino dovuto sia alla spasticità, sia alla debolezza della muscolatura degli arti inferiori. L’assetto motorio nella patologia a esordio precoce (infanzia o adolescenza) spesso è difficilmente distinguibile da quello presente nelle forme di diplegia spastica (SD). Per quantificare le strategie del cammino nei bambini affetti da HSP e da SD, con particolare attenzione alle differenze presenti tra i due gruppi per quanto riguarda le limitazioni funzionali, è stata utilizzato il sistema optoelettronico 3D Gait Analysis. Nove pazienti affetti da HSP e 16 affetti da SD sono stati valutati durante la deambulazione, identificando e calcolando alcuni parametri cinematici, cinetici ed elettromiografici. I risultati hanno dimostrato che le due patologie sono caratterizzate da differenti strategie di cammino. In particolare, è stato osservato che la cinematica e la cinetica del ginocchio e il pattern di cammino correlato al retto femorale costituiscono aspetti discriminanti i pattern di cammino dei bambini con HSP da quelli dei bambini affetti da SD. I dati ottenuti permettono di confermare che i pazienti con HSP e con SD necessitano di un programma terapeutico individualizzato, di tipo neurochirurgico o farmacologico, basato sulla quantificazione preliminare delle alterazioni del cammino, indispensabile per individuare le peculiarità del loro schema motorio e prevenire in modo mirato l’utilizzo di strategie compensatorie. Un esempio è l’iperestensione di ginocchio. Nei pazienti con SD, questo fenomeno è legato a una anteriorizzazione della forza di reazione al terreno causata dall’equinismo; nei pazienti con HSP, invece, assume la forma di meccanismo compensatorio legato all’ipostenia della muscolatura estensoria di ginocchio. Questa differenza ha implicazioni critiche sul piano terapeutico dal momento che, per esempio, una correzione ortesica, utile e raccomandabile nel primo caso, causerebbe un danno funzionale nel secondo. Considerazioni analoghe valgono per i trattamenti farmacologici e neurochirurgici indirizzati alla riduzione della spasticità. Le differenti strategie di deambulazione riscontrate a livello delle articolazioni del ginocchio e tibio-tarsica potrebbero, per esempio, spiegare la differente sensibilità al baclofen intratecale dei pazienti con HSP (per i quali sono sufficienti quantità inferiori di farmaco) e con SD (che ne richiedono dosi decisamente più elevate)18. Progressione, prognosi e indicazioni di trattamento Nel corso degli ultimi tre anni dello studio multicentrico sono stati raccolti elementi di osservazione oggettiva che rappresenteranno i marker di comparazione da utilizzare nelle rivalutazioni periodiche dei pazienti, al fine di determinare con esattezza il tasso di progressione delle varie forme di HSP. Allo stato attuale, nei soggetti che sono stati sottoposti a riesame non sono emersi chiari segni di progressione rispetto alle variabili cliniche considerate. I dati prospettici delle variabili strumentali sono ancora in corso di analisi. Le opzioni di trattamento testate si sono concentrate sul miglioramento di spasticità e forza. La risposta ad antispastici orali è risultata fortemente idiosincrasia, con buona tolleranza in alcuni soggetti e marcati effetti indesiderati in altri. Non è stata riscontrata una specifica superiorità di un agente rispetto a un altro (baclofene vs tizanidina), anche se lo studio non era stato strutturato con l’obiettivo di fornire risposte significative a riguardo. Su queste basi, se la spasticità rappresenta un sintomo rilevante e funzionalmente ostacolante, appare indicato effettuare almeno un tentativo terapeutico con questa classe di farmaci. Il trattamento con chemo-denervazione mediante tossina botulinica, testato su un sottogruppo di soggetti selezionati per severità e focalità dell’ipertono, si è associato a un buon miglioramento clinico, senza determinare eventi indesiderati di rilievo, risultando quindi una procedura praticabile in questa categoria di pazienti.