Il telescopio inverso*
di Franco Bertossa
-----------------------------------------------------------------------------------------------Una notte il telescopio che puntava alla luna
si ripiegò su se stesso...
Mai più una luna così!1
La mia pratica di meditazione si svolge di notte, tra l'una e le tre. Da molti anni mi
sono accorto che è il momento migliore, quando gli altri dormono ed il mondo è
pervaso da un ormai sempre più raro silenzio. Allora preparo lo zafu e assaporo il
momento più significativo della mia giornata. Ascolto l'immobilità del corpo, poi il
fluire sempre più sottile del respiro spontaneo, poi il flusso ormai rallentato dei
pensieri, e poi faccio il salto a ritroso verso il luogo più profondo ed originario di me,
alla fonte della coscienza. L'immersione va a ondate: da momenti di assorbimento
totale ad affioramenti in cui m'accorgo di quanto profondo fosse l'assorbimento
appena precedente. Nella dimensione più originaria, che chiamo "il luogo", diviene
assolutamente evidente che la coscienza è altro rispetto al corpo. Tutto il dibattito
neurofilosofico sulla coscienza appare come il gioco un po' "limitato" di chi non
dispone dello strumento essenziale per fare l'esperienza in prima persona della
coscienza: la meditazione.
Possiamo immaginare le dotte disquisizioni sui corpi celesti dei sapienti pregalileiani
che con l'avvento del telescopio e del metodo sperimentale vengono letteralmente
spazzate via; così è con la coscienza: senza l'esperienza in prima persona, senza la
meditazione, si possono solo produrre studi oggettivi (ma "oggettivo" qui non è
sinonimo di "vero" come nelle scienze) sul funzionamento della mente, ma non si può
assaporare l'immediatezza dell'essere coscienza e della portata ontologica di questo.
Chi studia la coscienza e la mente dovrebbe farlo anche attraverso la meditazione.
Purtroppo sottostiamo a dogmi e tabù e, come ai tempi di Galileo i dotti si rifiutarono
di guardare attraverso il telescopio, oggi i dotti spesso si rifiutano di guardare nella
direzione opposta: al centro di sé, nel non oggettivo.
I motivi di questo sono ravvisabili in difficoltà filosofiche, poiché riduttivamente si
pensa che meditare sia unicamente operazione di igienismo e fitness interiore. La
meditazione è nata e si è sviluppata come indagine dell'essere. Meditando ci si
interrogava sul senso più profondeo di sé, in senso esistenziale, non psicologico,
mentre il dotto contemporaneo - il filosofo, lo scienziato - è convinto che non si possa
trovare nulla di universalmente significativo ripiegando la coscienza su se stessa.
Meditare è tutt'al più un momento di rilassamento, come un massaggio o riposarsi
d'estate all'ombra di un albero. Reputa questo un fatto personale, privato, da cui non
possa nascere un sapere generalmente valido. E se prova a guardarsi dentro lo fa
cercando di oggettivare: questa è la difficoltà filosofica che deriva dall'aver relegato
all'oggettività l'ambito di conoscenza valida. Ma noi dovremmo sempre figurarci nel
momento estremo: la morte incombente. Quale verità varrebbe allora? La meditazione
ci porta al cuore dell'esperienza di stare essendo ora come coscienza. Questa
*
Franco Bertossa, Il telescopio inverso, in «A.S.I.A. Antiche e moderne vie
all’Illuminazione», n. 17/2001, pag. 1.
1
L'originale haiku dice: “Una notte il dito che puntava alla luna...”.
esperienza della verità che nello zen si dice satori, che significa "la grande
comprensione", sa rivelare la verità per via non mediata dalla mente. L'Occidente non
conosce questa esperienza in modo sistematico, tramandabile. La difficoltà deriva,
ripeto, dal concepire il mondo secondo una visione totalmente oggettiva. Questa
critica è difficile da essere compresa, poiché veniamo intrisi di questo dogma durante
tutto il percorso educativo. Una precisa critica a questa visione fu operata, seppure
con accenti diversi, da Husserl e Heidegger, ma la ricaduta di quella critica non è
ancora avvenuta, proprio perché è difficile capirla attraverso un atteggiamento
mentale aprioristicamente oggettivante.
Husserl e Heidegger sostennero che la coscienza non può essere concepita come "cosa
tra le cose, contenuta nel mondo come acqua in un bicchiere", ma come apertura sul
mondo. Non come un evento contenuto nella sfera conchiusa del mondo, ma come
sguardo proveniente da una finestra aperta sul mondo. Finestra che non si può
chiudere. La coscienza non è oggetto né funzione di oggetti. È altro. È me stesso.
Puntatevi l'indice in faccia.
Primo: vi sorprenderete di esserci.
Secondo: il dito punta verso l'apertura sul mondo, del quale anche il dito fa parte.
Voi direte che no, che là dove il dito punta c'è il cervello e che la coscienza è
probabilmente una funzione del cervello; e che comunque il dito punta degli oggetti,
gli organi della vostra testa.
Considerate solo questo fatto: che anche di questa convinzione, come di tutte le altre,
è testimone la coscienza. Solo del fatto di essere e di essere immediatamente
coscienza non c'è bisogno di essere convinti. E se dubitate anche di questo, spero che
non dubitiate che la vostra coscienza ha appena prodotto un dubbio...
Se capisci, le cose stanno come stanno*.
Se non capisci, le cose stanno come stanno.
Maestro, ho un dubbio!
Congratulazioni!*
(*detti zen)
Stanotte sedetevi a meditare.
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