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Pubblicato (era ora!) il “dlgs La Loggia”:
spianata la strada a una rapida
approvazione del “dpr Siliquini”
sul nuovo esame di Stato.
Frattanto la legge 27/2006 chiede
la laurea agli enologi e agli infermieri.
La sentenza 40/2006 della Consulta:
“Spetta soltanto allo Stato
decidere sulle professioni intellettuali”
intervento di Franco Abruzzo
presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia e docente a contratto di Diritto
dell’Informazione presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e presso l’Università Iulm
di Milano
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1. Premessa. Clima “torbido e pesante” attorno al “dlgs La Loggia” e al “Dpr Siliquini” sulle professioni.
Frattanto è scattato l’obbligo della laurea triennale per enologi ed infermieri della prevenzione. La
Corte costituzionale con la sentenza 40/2006 ribadisce che spetta allo Stato l'individuazione delle
figure professionali con i relativi profili ed ordinamenti didattici e l'istituzione di nuovi albi”
2. Analisi del “Dlgs La Loggia”: l’esame di Stato allo....Stato. Il comma 2 dell’articolo 4 afferma poi
che “la legge statale definisce i requisiti tecnico-professionali e i titoli professionali necessari per
l'esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi
pubblici generali la cui tutela compete allo Stato”.
3. Il comma 18 dell’articolo 1 della legge 4/1999 fissa un nuovo principio giuridico: lo Stato, tenendo
conto degli ordinamenti didattici dell’Università, ha il potere di modificare i requisiti per l’ammissione all’esame
di Stato e le relative prove.
4. La relazione dell’Ufficio legislativo del Ministero dell’Istruzione/Università al nuovo regolamento
(”decreto Siliquini”) che disciplina l’esame di Stato di 21 professioni intellettuali (tra le quali quella di
giornalista).
5. Il parere interlocutorio della Sezione Atti Normativi del Consiglio di Stato. Errori giuridici,
dimenticanze e regola del due pesi e due misure. L’Ue, con la direttiva 89/48/Ce (recepita dal dlgs
115/1992), vuole che i professionisti (e i giornalisti sono tali per legge) siano in possesso almeno di
una laurea triennale.
6. Il “progetto Siliquini” richiede agli aspiranti praticanti giornalisti il possesso di una laurea triennale
“qualsiasi”, ma non “ad hoc”, nel solco dei lavori parlamentari del 1962/1963.
7. Gli attacchi al “Dpr Siliquini”. Potentati economici (Confindustria e Fieg), Regioni guidate dalla sinistra e
spezzoni della sinistra in prima linea. La posizione dei due relatori/estensori del parere interlocutorio (23 gennaio
2006) del Consiglio di Stato.
In coda i pareri 2228/2002 e 50/2006 del Consiglio di Stato nonché il saggio
“L’inserimento delle professioni nel Titolo V della Costituzione” del prof. Vincenzo
Caianiello e il testo del Dlgs 2 febbraio 2006 n. 30 (“La Loggia”), pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 32 dell’8 febbraio 2006. In coda gli indirizzi elettronici dei dlgs
115/1992; 319/1994 e 277/2003; della direttiva 2005/36/Ce.
1. Premessa. Clima “torbido e pesante” attorno al “dlgs La Loggia” e al
“decreto Siliquini” sulle professioni. Frattanto è scattato l’obbligo della
laurea triennale per enologi ed infermieri della prevenzione. La Corte
costituzionale con la sentenza 40/2006 ribadisce che spetta “allo Stato
l'individuazione delle figure professionali con
ordinamenti didattici e l'istituzione di nuovi albi”
i relativi profili ed
E’ stato pubblicato nella “Gazzetta Ufficiale” dell’8 febbraio 2006 il Dlgs 2 febbraio 2006
(“La Loggia”) n. 30, varato il 2 dicembre 2005 dal Consiglio dei Ministri. Il “dlgs La
Loggia”, che è una “ricognizione dei principi fondamentali in tema di professioni”, attua
l’articolo 1 della legge 131/2003 e fa chiarezza sulle competenze di Stato e Regioni in tema di
professioni intellettuali nel senso che spetta allo Stato disciplinare le professioni intellettuali
di cui parla l’articolo 33 (V comma) della Costituzione. Questo dlgs rompe in maniera
definitiva l’assedio di alcune forze economiche e politiche (Confindustria, Fieg, potentati
editoriali rappresentati da Repubblica e Corriere della Sera, una certa sinistra liberista
impersonata da Amato, D’Alema e Bersani) alle professioni intellettuali. Il clima nelle
settimane precedenti era apparso “torbido e pesante”. Era in atto un nuovo scontro tra
Governo Berlusconi e opposizioni. Le opposizioni volevano bloccare il “dlgs la Loggia” (che,
rispettando 5 sentenze della Consulta, assegna allo Stato la competenza sulle professioni) per
tagliare la strada al “dpr Siliquini”, che disciplina l’esame di Stato di 21 professioni
intellettuali (tre le quali quella di giornalista) così come impone l’articolo 1 (comma 18) della
legge 4/1999 (varata dal Governo D’Alema). Il “decreto Siliquini” in sostanza è un
regolamento (figlio di una legge) che “disciplina i requisiti per l’ammissione all’esame di
Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, le prove relative e il loro svolgimento”. Il
Consiglio di
Stato ha discusso il 23 gennaio la richiesta del Ministero
dell’Università/Istruzione di pronunciarsi con parere sul nuovo regolamento. Poi non ha
atteso la firma di Ciampi sul “dlgs la Loggia” e il 3 febbraio ha notificato il parere
interlocutorio, che ha questa conclusione: “La Sezione ritiene pertanto opportuno che il
Ministero riferente, di intesa con il Ministero della giustizia, riesamini il testo proposto alla
luce delle considerazioni svolte ed anche sulla base della eventuale emanazione del decreto
legislativo che individua i principi fondamentali in materia di professioni, sospendendo nel
frattempo l’espressione del parere, che si riserva di formulare in termini definitivi e
compiuti sul testo che sarà trasmesso all’esito del suddetto riesame”. Il dlgs ora c’è, non è
più “eventuale”. Nelle stesse ore la “Gazzetta Ufficiale” ha pubblicato il testo della legge
3 febbraio 2006 n. 27, che, all’articolo 1-undecies (Accesso alla professione di enologo),
afferma: “1. Il «1. Il titolo di enologo spetta a coloro che abbiano conseguito un diploma
universitario di 1° livello, previsto dalla legge 19 novembre 1990, n. 341, relativo al settore
vitivinicolo. La laurea triennale di primo livello relativa al settore vitivinicolo, rilasciata ai
sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica
e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509, è equipollente a tutti gli effetti di legge al diploma
universitario di 1° livello previsto dalla legge 19 novembre 1990, n. 341, relativo al
medesimo settore»”. L’articolo 4-quater (Disposizioni urgenti in materia di accesso alle
professioni sanitarie) della stessa legge, invece, afferma: “1. Ai sensi dell'articolo 6,
comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, la
formazione per l'accesso alle professioni sanitarie infermieristiche e tecniche della
riabilitazione e della prevenzione è esclusivamente di livello universitario”. Che dire?
Vogliamo prevedere per i giornalisti professionisti almeno lo stesso livello di studi
universitari degli enologi e degli infermieri?
La Corte costituzionale, con la sentenza 40/2006, depositata l’8 febbraio 2006, ha ribadito
che “spetta allo Stato l'individuazione delle figure professionali con i relativi profili ed
ordinamenti didattici e l'istituzione di nuovi albi”. Con questa sentenza, la Consulta ha
dichiarato incostituzionale una legge della Liguria, che dettava “Norme regionali sulle
discipline bionaturali per il benessere”, istituendo “il relativo Elenco regionale dei singoli
operatori e delle organizzazioni con finalità didattiche, delle associazioni e delle scuole di
2
formazione”. La legge, inoltre, “disciplinava requisiti e modalità d'iscrizione e istituiva un
Comitato regionale con funzioni di indirizzo sulla materia nel territorio regionale e poteri
disciplinari”. Nella sentenza si legge: “Pertanto anche la presente questione deve essere
risolta alla stregua dei principi affermati in materia da questa Corte (sentenze n. 424, n. 355
e n. 319 del 2005 e n. 353 del 2003). In termini generali, è sufficiente ribadire che – spettando
allo Stato la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di competenza
concorrente previste dall'art. 117, terzo comma, Cost. – qualora non ne siano stati formulati
di nuovi, la legislazione regionale deve svolgersi (ai sensi dell'art. 1, comma 3, della legge 5
giugno 2003, n. 131) nel rispetto di quelli comunque risultanti anche dalla normativa statale
già in vigore. E da essa non si trae alcuno spunto che possa consentire iniziative legislative
regionali nell'ambito cui si riferisce la legge impugnata (sentenza n. 424 del 2005).
Parimenti, va riaffermato che la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle
«professioni» deve rispettare il principio secondo cui l'individuazione delle figure
professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, e l'istituzione di nuovi albi
(sentenza n. 355 del 2005) è riservata allo Stato. Tale principio, al di là della particolare
attuazione ad opera di singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine
generale, invalicabile dalla legge regionale (sentenze n. 424 e n. 319 del 2005)”.
La Consulta cita espressamente la legge 131/2003 (”Disposizioni per l'adeguamento
dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3”), che ha
generato il dlgs 2 febbraio 2006 n. 30 (“Ricognizione dei principi fondamentali in materia di
professioni a norma dell'articolo 1 della legge 5 giugno 2003 n. 131”), pubblicato l’8
febbraio 2006 nella Gazzetta Ufficiale n. 32. La data dell’8 febbraio 2006, quindi, accomuna il
deposito di una sentenza importante della Consulta e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di
un dlgs, che fa chiarezza, come la sentenza, sui poteri esclusivi dello Stato in tema di
professioni.
2. Analisi del “Dlgs La Loggia”: l’esame di Stato allo....Stato. Il comma 2
dell’articolo 4 afferma che “la legge statale definisce i requisiti tecnicoprofessionali e i titoli professionali necessari per l'esercizio delle attività
professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di
interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato”.
Il “dlgs La Loggia” “individua i principi fondamentali in materia di professioni, di cui
all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, che si desumono dalle leggi vigenti ai sensi
dell'articolo 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni”.
Il comma 4 dell’articolo 1 del dlgs dispone testualmente che non rientrano nell’ambito di
applicazione del decreto “la formazione professionale universitaria; la disciplina dell’esame
di stato previsto per l’esercizio delle professioni intellettuali, nonché i Titoli, compreso il
tirocinio, e le abilitazioni richiesti per l’esercizio professionale; l’ordinamento e
l’organizzazione degli ordini e dei collegi professionali; gli albi e i registri; gli elenchi o i
ruoli nazionali previsti a tutela dell’affidamento del pubblico; la rilevanza civile e penale dei
Titoli professionali e il riconoscimento e l’equipollenza, ai fini dell’accesso alle professioni
di quelli conseguiti all’estero”. L’Ufficio legislativo del Ministero dell’Università/Istruzione a
ragione “ritiene di poter trarre il definitivo riconoscimento che la disciplina dell’esame di
Stato richiesto per le professioni intellettuali e dei relativi requisiti di ammissione, compresi
i Titoli di studio, rientra nell’ambito della legislazione esclusiva dello Stato”. Le materie, di
cui parla il comma 4 dell’articolo 1 del dlgs, sono tutte disciplinate dagli articoli 33 e 35 della
Costituzione, dal dlgs 300/1999, dall’articolo 2229 del Cc, dal Codice penale e dalle varie
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leggi delle professioni intellettuali, insomma da norme che conferiscono allo Stato una
particolare capacità esclusiva di azione.
Il comma 2 dell’articolo 4 afferma poi che “la legge statale definisce i requisiti tecnicoprofessionali e i titoli professionali necessari per l'esercizio delle attività professionali che
richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela
compete allo Stato”. Ha scritto la sezione Atti Normativi del Consiglio di Stato: “La prima
e principale questione posta dallo schema di regolamento in esame riguarda il fondamento
costituzionale della potestà regolamentare esercitata e la sua idoneità a disciplinare la
materia che ne costituisce l’oggetto alla luce del testo vigente dell’articolo 117 della
Costituzione, che disciplina il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni”. Il
comma 2 dell’articolo 4 del “dlgs La Loggia” è la risposta ai dubbi espressi dalla Sezione Atti
Normativi del CdS, mentre un’altra risposta autorevole è la sentenza 40/2006 della Corte
costituzionale: “Parimenti, va riaffermato che la potestà legislativa regionale nella materia
concorrente delle «professioni» deve rispettare il principio secondo cui l'individuazione delle
figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, e l'istituzione di nuovi albi
(sentenza n. 355 del 2005) è riservata allo Stato. Tale principio, al di là della particolare
attuazione ad opera di singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine
generale, invalicabile dalla legge regionale (sentenze n. 424 e n. 319 del 2005)”.
In sostanza il “dlgs La Loggia” afferma che il Governo ha mantenuto, dopo la riforma del
Titolo V della Costituzione, i poteri di disciplinare le professioni, come riconosciuto
ripetutamente, dopo l’entrata in vigore nel 2001 del nuovo Titolo V della Costituzione, dalla
Corte costituzionale con le sentenze 353/2003, 319/2005, 355/2005, 405/2005, 424/2005 e
40/2006. Va detto che l’articolo 33 (quinto comma) della Costituzione conferisce il potere
esclusivo allo Stato di legiferare in tema di “esame di Stato” per l’accesso alle professioni
intellettuali: “....Innanzitutto dobbiamo leggere la Costituzione nel suo complesso, dove
c'è ancora la norma che dice che per l'esercizio dell'attività professionale occorre
l'esame di Stato (art. 33 Cost.): "E' prescritto un esame di Stato... per l'abilitazione
all'esercizio professionale". Quindi tutto ciò che attiene allo status del professionista e
delle libere professioni è riconducibile all’articolo 33 della Costituzione, il quale parla di
esame di Stato... una volta recuperato l'art. 33 che in effetti vuol dire che lo status delle
professioni continua a rimanere nelle mani dello Stato, la devoluzione della materia
"professione" alle Regioni può avere il significato di affidare alle Regioni la disciplina
delle specificità delle professioni nelle realtà locali” (intervento conclusivo del prof.
Vincenzo Caianiello-presidente emerito della Corte costituzionale, ”L’inserimento delle
professioni nel titolo V della Costituzione”, in Atti del Convegno nazionale “Quale
federalismo per le professioni” del 18 marzo 2002 in Codroipo-Ud, promosso dal Cup del
Friuli Venezia Giulia). Vincenzo Caianiello, con lungimiranza, ha anticipato le sei sentenze
della Corte costituzionale, che dal 2003 ad oggi hanno affermato, con grande coerenza, la
competenza esclusiva dello Stato sulle professioni intellettuali.
Il Consiglio di Stato non può oggi ignorare le clausole del “dlgs la Loggia”. E per quanto
riguarda i giornalisti non potrà non rispettare il parere 2228/2002 della II sezione consultiva,
che richiama la direttiva 89/48/Cee (dlgs 115/1992). Sono in ballo la sua coerenza e anche la
sua credibilità. La Sezione Atti Normativi ha mostrato limiti culturali, comunitari e
costituzionali; e attaccando soltanto i giornalisti ha mostrato di essere in (strana) sintonia
soprattutto con Massimo D’Alema (che nel dicembre 2005 ha attaccato l’Ordine dei
Giornalisti), con Eugenio Scalfari e Francesco Giavazzi (Repubblica e Corriere della Sera),
mentre la Fieg cerca di distruggere il Contratto di lavoro giornalistico costruito dalla categoria
dal 1911 in poi. Un’alleanza di ferro (oggettiva) tra taluni consiglieri di Stato (con un passato
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di collaborazione strettissima con personaggi istituzionalmente molto influenti e schierati a
sinistra) e potentati economici con l’obiettivo possibile di limitare fortemente la libertà,
l’autorevolezza, la crescita culturale e l’autonomia di una categoria essenziale nella
connotazione democratica della Repubblica.
3. Il comma 18 dell’articolo 1 della legge 4/1999 fissa un nuovo principio
giuridico: lo Stato, tenendo conto degli ordinamenti didattici
dell’Università, ha il potere di modificare i requisiti per l’ammissione
all’esame di Stato e le relative prove.
La legge n. 4/1999, all’articolo 1(comma 18), prevede che “…con uno o più regolamenti
adottati, a norma dell’articolo 17, comma 2, della legge n. 400/1988, su proposta del
Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto con il Ministro
di grazia e giustizia, sentiti gli organi direttivi degli ordini professionali, con esclusivo
riferimento alle attività professionali per il cui esercizio la normativa vigente già prevede
l’obbligo di superamento di un esame di Stato, è modificata e integrata la disciplina del
relativo ordinamento, dei connessi albi, ordini o collegi, nonché dei requisiti per
l’ammissione all’esame di Stato e delle relative prove”.
In attuazione di tale disposizione è stato emanato (con il parere favorevole 7 maggio 2001
della sezione Atti Normativi del Consiglio di Stato) il Dpr 5 giugno 2001 n. 328, “recante
modifiche e integrazioni della disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e
delle relative prove per l’esercizio di alcune professioni, nonché della disciplina dei relativi
ordinamenti”. Con questo provvedimento si sono istituite le sezioni A e B degli albi
professionali dei dottori agronomi e forestali, degli architetti, pianificatori paesaggisti e
conservatori, degli assistenti sociali, degli attuari, dei biologi, dei chimici, dei geologi e degli
ingegneri, prevedendo l’iscrizione alle stesse, rispettivamente, dei laureati specialistici e
triennali, che abbiano superato l’apposito esame di abilitazione, precisando le relative
competenze professionali e stabilendo altresì i requisiti di ammissione all’esame di Stato e le
relative prove. La “Commissione Rossi”, incaricata dal ministro Zecchino, di preparare il testo
del Dpr, aveva escluso dal dpr la professione di giornalista, sostenendo che la “prova di
idoneità professionale” (art. 32 della l. 69/1963) non è l’esame di Stato di cui all’articolo 33
(comma 5) della Costituzione, decisione poi travolta e fulminata dal parere 2228/2002 della II
sezione consultiva del Consiglio di Stato nel quale si legge che “la prova di idoneità è
l’esame di Stato richiesto dalla Costituzione” e che “non sussistono motivi ostativi alla
riforma dell’ordinamento professionale dei giornalisti”. Si legge ancora in quel parere del
2002: “La natura pubblicistica dell’Ordine dei giornalisti vale poi a smentire l’ulteriore
argomentazione del Ministero di Giustizia, laddove si tende a negare il carattere specialistico
della professione giornalistica, ciò che giustificherebbe la mancanza di un titolo di studio e,
correlativamente, la natura selettiva della prova d’idoneità. Oltre a quanto già detto circa il
contenuto prettamente specialistico e mirato delle materie oggetto di prove d’idoneità, la
creazione di un ente pubblico preposto istituzionalmente al governo di una data professione
sta a dimostrare, al contrario, la particolare complessità della professione sul piano dei
contenuti e, correlativamente, la necessità di una valutazione preventiva e di un controllo
continuo sulle capacità di svolgere la professione stessa, a tutela degli iscritti e dei cittadini
destinatari di essa….Al quesito posto dall’amministrazione deve dunque darsi la seguente
risposta: non sussistono motivi ostativi alla riforma dell’ordinamento professionale dei
giornalisti, come prevista dall’art. 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999, citato all’inizio
delle presenti considerazioni”.
5
4.
La
relazione
dell’Ufficio
legislativo
del
Ministero
dell’Istruzione/Università al nuovo regolamento (”decreto Siliquini”) che
disciplina l’esame di Stato di 21 professioni intellettuali (tra le quali quella
di giornalista).
Lo schema del regolamento (“decreto Siliquini”) si compone di 77 articoli, raggruppati in 4
Titoli, di cui il II e il III a loro volta suddivisi in Capi. Il titolo I contiene le disposizioni di
carattere generale. L’articolo 1 definisce il contenuto e l’ambito di applicazione della
disciplina, aggiungendo alle professioni già disciplinate con il Dpr 328/2001 quelle di
consulente del lavoro, farmacista, geometra, giornalista, statistico, tecnologo alimentare,
veterinario. L’articolo 2 pone le regole di carattere generale sui requisiti di ammissione,
l’articolo 3 disciplina il tirocinio, l’articolo 4 detta regole generali in materia di prove
d’esame, gli articoli 5 e 6 disciplinano le corrispondenze tra Titoli universitari.
La relazione dell’Ufficio legislativo del Ministero dell’Istruzione/Università al nuovo
regolamento è stata riassunta ottimamente nel parere interlocutorio: “Osserva
l’Amministrazione che a seguito della modifica del titolo V della Costituzione introdotta con
la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 la materia delle professioni rientra tra quelle
attribuite dal nuovo testo dell’articolo 117 alla potestà legislativa concorrente dello Stato e
delle Regioni, in relazione alle quali la potestà regolamentare spetta esclusivamente a queste
ultime: pertanto la potestà conferita dal citato articolo 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999
può ora essere esercitata solo per la parte concernente la disciplina dell’esame di Stato
(requisiti di ammissione, prove d’esame e svolgimento delle stesse), che deve ritenersi tuttora
rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi del comma quinto dell’articolo 33
della Costituzione, che prescrive il superamento di un esame di Stato per l’abilitazione
professionale e dell’articolo 1, comma 4, del decreto legislativo recante principi fondamentali
in materia di professioni, approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 2 dicembre
2005 ed in corso di emanazione: quest’ultima disposizione, includendo tra le materie alle
quali il decreto non è applicabile, la disciplina dell’esame di Stato previsto per l’esercizio
delle professioni intellettuali, nonché i Titoli, compreso il tirocinio, e le abilitazioni richieste
per l’esercizio professionale, ha riconosciuto che tali materie rientrano nell’ambito della
legislazione esclusiva dello Stato e non già in quello della legislazione concorrente. Si è
perciò ritenuto di potersi avvalere dell’autorizzazione all’esercizio della potestà
regolamentare in questione per modificare e integrare la normativa introdotta con il d.P.R. n.
328 del 2001 per la parte concernente i requisiti di ammissione, compresi i Titoli di studio,
agli esami di Stato, le relative prove e il loro svolgimento, sia per le professioni già
disciplinate da quel decreto sia per molte altre, in considerazione delle novità intervenute a
livello di ordinamenti didattici universitari e della conseguente inapplicabilità, anche alla
luce delle modifiche introdotte dallo stesso d.P.R. n. 328 del 2001, delle normative precedenti
in materia di composizione delle Commissioni esaminatrici e delle modalità di svolgimento
degli esami”
Nella Costituzione il termine “professioni” ricorre in varie disposizioni: in particolare nell’art.
33, quinto comma (che prescrive un esame di Stato per l’abilitazione professionale), e nell’art.
35 (che affida alla Repubblica la tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni e la cura
della formazione professionale), nonché negli articoli 104, settimo comma, e 135, sesto
comma, che, nello stabilire determinate incompatibilità, fanno riferimento rispettivamente agli
iscritti negli albi professionali e alla professione di avvocato. Nella legislazione ordinaria
occorre fare riferimento al codice civile, il cui libro V “Del lavoro” si apre con un titolo
dedicato alle attività professionali.
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“La giurisprudenza costituzionale ha avuto più volte occasione di precisare che la norma
dell’art. 33 Cost. reca in sé un principio di professionalità specifica. Essa, cioè, richiede che
l’esercizio di attività professionali rivolte al pubblico avvenga in base a conoscenze
sufficientemente approfondite ed ad un correlato sistema di controlli preventivi e successivi di
tali conoscenze, per tutelare l’affidamento della collettività in ordine alle capacità di
professionisti le cui prestazioni incidono in modo particolare su valori fondamentali della
persona: salute, sicurezza, diritti di difesa, etc. (C.Cost., 23 dicembre 1993, n. 456; 26
gennaio 1990, n. 29)” (parere n. 2228 della Sezione Seconda del Consiglio di Stato emesso
nell’adunanza13 marzo 2002).
5. Il parere interlocutorio della Sezione Atti Normativi del Consiglio di
Stato. Errori giuridici, dimenticanze e regola del due pesi e due misure.
L’Ue, con la direttiva 89/48/Ce (recepita dal dlgs 115/1992), vuole che i
professionisti (e i giornalisti sono tali per legge) siano in possesso almeno di
una laurea triennale.
Il Consiglio di Stato, chiamato a dare il parere di legge sul “decreto Siliquini” (approvato dal
Governo il 22 dicembre 2005), come già riferito, ha, concludendo, ritenuto “pertanto
opportuno che il Ministero riferente (Università/Istruzione, ndr), di intesa con il Ministero
della Giustizia, riesamini il testo proposto alla luce delle considerazioni svolte ed anche sulla
base della eventuale emanazione del decreto legislativo che individua i principi fondamentali
in materia di professioni, sospendendo nel frattempo l’espressione del parere, che si riserva
di formulare in termini definitivi e compiuti sul testo che sarà trasmesso all’esito del suddetto
riesame”. Il “dlgs la Loggia” non è più “eventuale”, ma norma che ha trovato la sua
consacrazione con la pubblicazione l’8 febbraio 2006 nella “Gazzetta Ufficiale”.
Il Consiglio di Stato ha scritto (autentica bestemmia giuridica!!!) che il nuovo Dpr non può
“riguardare le professioni per le quali tale titolo di studio (la laurea, ndr) non è richiesto
dalle norme legislative vigenti, tanto meno modificando tale requisito, come è invece previsto
dallo schema di regolamento in esame per varie professioni tra le quali quella di
giornalista”. La sezione Atti Normativi del Consiglio di Stato ha dimenticato che l’Ue, con la
direttiva 89/48/Ce (recepita dal dlgs 115/1992), vuole che i professionisti (e i giornalisti sono
tali per legge) siano in possesso almeno di una laurea triennale. La direttiva 89/48/Cee ha
introdotto (con l’articolo 2/bis del dlgs 115/1992) la definizione di professione
"regolamentata". Si definisce formazione regolamentata “qualsiasi formazione direttamente
orientata all'esercizio di una determinata professione e consistente in un ciclo di studi postsecondari di durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo parziale in
un'università o in un altro istituto di livello di formazione equivalente e, se del caso, nella
formazione professionale, nel tirocinio o nella pratica professionale richiesti oltre il ciclo di
studi post-secondari: la struttura e il livello di formazione professionale, del tirocinio o della
pratica professionale devono essere stabiliti dalle disposizioni legislative, regolamentari o
amministrative dello Stato membro interessato o soggetti al controllo o all'autorizzazione
dell'autorità designata a tal fine”. La direttiva (recepita nel dlgs 115/1992) in conclusione ha
fissato il principio per cui l’esercizio delle professioni presuppone il superamento di un ciclo
di studi postsecondari di una durata minima di tre anni o di durata equivalente a tempo
parziale, in una università o in un istituto di istruzione superiore o in altro istituto dello stesso
livello di formazione. I principi fissati dalla direttiva 89/48/CEE sono stati realizzati dalla
Repubblica Italiana con la Riforma universitaria 1999/2000/2005 e con il contestuale
collegamento (tramite il comma 18 dell’articolo 1 della legge 4/1999) delle lauree (triennali) e
delle lauree biennali specialistiche (o magistrali) alle professioni regolamentate organizzate
7
con l’Ordine (o con il Collegio) e con l’esame di Stato. Tra le professioni regolamentate
rientra quella di giornalista (ex legge n. 69/1963, sentenze nn. 11 e 98/1968; 2/1971; 71/1991;
505/1995 e 38/1997 della Corte Costituzionale) alla quale si accede tramite esame di Stato al
pari delle altre.
La Repubblica Italiana ha recepito in maniera inadeguata, discriminatoria e parziale la
direttiva n. 89/48/CEE, non includendo (al pari delle altre) la professione giornalistica
nell’Allegato A del Dlgs n. 115/1992, pur in presenza dell’allora Diploma triennale
universitario (o laurea breve) in Giornalismo (decreto 31 ottobre 1991 noto come
“riforma Salvini”). La Repubblica Italiana, pur avendone la facoltà in base all’articolo 11
(punto 1a) del Dlgs n. 115/1992, non ha modificato o integrato (“con decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri”) detto Allegato A, “tenuto conto delle disposizioni vigenti o
sopravvenute”, abrogando i commi 4, 5, 6 e 7 dell’articolo 33 della legge n. 69/1963, i quali
non stabiliscono alcun percorso formativo universitario minimo per chi intende accedere alla
professione giornalistica.
Soltanto nel 2003, con il dlgs 277, la Repubblica italiana ha compiuto un atto di riparazione
sostanziale, modificando la tabella delle professioni (allegato C), con cittadinanza piena nella
Ue, inclusa nel dlgs 319/1994 (che ingloba la direttiva 92/51/CEE). Oggi, infatti, la
professione di giornalista rientra tra quelle riconosciute come tali dal dlgs 2 maggio 1994 n.
319, che ha dato “attuazione alla direttiva 92/51/CEE relativa ad un secondo sistema
generale di riconoscimento della formazione professionale che integra la direttiva
89/48/CEE”. Il dlgs 8 luglio 2003 n. 277 ha dato, invece, attuazione della direttiva
2001/19/CE, che modifica le direttive del Consiglio relative al sistema generale di
riconoscimento delle qualifiche professionali. L’allegato II (di cui all'art. 2, comma 1, lettera
l) del dlgs 277/2003 cita espressamente la professione di giornalista come vigilata dal
Ministero della Giustizia. L’allegato II del dlgs 277/2003 ha anche sostituito, come riferito,
l’allegato C del dlgs 319/1994. I dlgs 277/2003 e 319/1994 in sostanza dicono, con l’allegato
II (ex allegato C), che la professione giornalistica (italiana), organizzata (ex legge 69/1963)
con l’Ordine e l’Albo (in base all’art. 2229 Cc) e costituzionalmente legittima (sentenze
11 e 98/1968, 2/1971, 71/1991, 505/1995 e 38/1997 della Consulta),
ha oggi il
riconoscimento dell’Unione europea.
Sono mutati i requisiti culturali per l’esercizio delle professioni nell’ambito dei Paesi Ue e,
quindi, gli aspiranti giornalisti professionisti italiani non possono essere discriminati (con
violazione dell’art. 3 Cost.) rispetto agli altri aspiranti professionisti italiani e a quelli europei
sotto il profilo della preparazione universitaria minima di tre anni, principio al quale devono
attenersi (ex Dpr 328/2001) anche alcune professioni un tempo collegate (al pari di quella
giornalistica) a un diploma di scuola media superiore (geometri, ragionieri, periti agrari e
periti industriali). “Il titolo di studio precede la maturazione professionale” (Corte Cost., 27
luglio 1995, n. 412, a proposito della professione di psicologo).
Frattanto il sistema ordinistico italiano esce rafforzato dal varo di una nuova direttiva
comunitaria. La direttiva 2005/36/Ce (“direttiva Zappalà”) sulle qualifiche professionali
(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea L 255/22 del 30 settembre 2005)
consente, infatti, agli Stati membri di delegare parte della gestione delle professioni a
organismi autonomi, come gli Ordini e i Collegi professionali. Questa direttiva è stata recepita
nella “legge comunitaria 2005”.
Le direttive prevalgono sulle leggi interne con la conseguenza che oggi l’Ordine dei
giornalisti, quale autorità amministrativa, ha il potere (e l’obbligo) di disapplicare sul
punto la normativa nazionale del 1963 e dare spazio a quella comunitaria, chiedendo il
possesso di una laurea triennale a chi intende scriversi nel Registro dei Praticanti. La
direttiva n. 89/48/CEE e la sentenza della quarta sezione della Corte di Giustizia europea
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nella causa C- 285/00 possono essere utilizzate subito (Corte costituzionale, sentenze nn.
170/1984; 113/1985; 389/1989 e 168/1991), mentre il Consiglio di Stato ha spiegato tale
principio in maniera limpida: “Costituisce ormai insegnamento assolutamente consolidato il
principio che nel contrasto fra diritto interno e diritto comunitario la prevalenza spetta a
quest'ultimo anche se la norma interna confliggente venga emanata in epoca successiva; che
la Corte di giustizia delle Comunità europee ha la funzione di interpretare i principi del
diritto comunitario equiparabili alle norme quanto all'obbligo di osservanza degli Stati
membri e quindi in funzione di fonte suppletiva di diritto; che la applicazione del diritto
comunitario avviene in via diretta in luogo di quello interno da disapplicare e che tale
disapplicazione fa carico non solo al giudice, ma anche agli organi della p.a. nello
svolgimento della loro attività amministrativa e, cioè, anche d'ufficio indipendentemente da
sollecitazioni o richieste di parte” (Cons. Stato, Sez.IV, 18/01/1996, n. 54; FONTE Riv. It.
Dir. Pubbl. Comunitario, 1997, 177). Le sentenze di condanna della Corte di giustizia della
Comunità europea integrano tanto la normativa comunitaria quanto quella interna dei singoli
Stati membri come afferma la sentenza n. 389/1989 della Corte costituzionale: “Poiché
ai sensi dell'art. 164 del Trattato spetta alla Corte di giustizia assicurare il rispetto del
diritto nell'interpretazione e nell'applicazione del medesimo Trattato, se ne deve
dedurre che qualsiasi sentenza che applica e/o interpreta una norma comunitaria ha
indubbiamente carattere di sentenza dichiarativa del diritto comunitario, nel senso
che la Corte di giustizia, come interprete qualificato di questo diritto, ne precisa
autoritariamente il significato con le proprie sentenze e, per tal via, ne determina, in
definitiva, l'ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative”. “Le sentenze di
condanna della Corte di giustizia della Comunità europea integrano tanto la normativa
comunitaria quanto quella interna dei singoli Stati membri” (Cons. Stato, Sez. I, 09/04/1997,
n. 372; fonte Cons. Stato, 1998, I, 1856).
L’Ordine dei giornalisti non ha agito con l’arma della disapplicazione, perché non aveva
motivo di dubitare della volontà del Governo di dare corpo alle direttive comunitarie e alla
legge 4/1999, pur forte della sentenza n. 389/1989 della Corte costituzionale.
Le difficoltà vengono ora create in maniera artificiosa da una sezione del Consiglio di Stato,
che ignora sul piano operativo e concreto il parere di un’altra sezione consultiva del CdS (II),
una direttiva comunitaria (89/48/Cee) e le sentenze univoche della Consulta in materia, pur
scrivendo: “In conclusione, in tutti i casi portati al suo esame la Corte costituzionale da un
lato ha ribadito che, nel vigore della riforma del titolo V, parte seconda, della Costituzione,
la materia delle professioni deve ritenersi attribuita alla legislazione concorrente dello Stato
e delle Regioni, e dall’altro ha affermato che continua a spettare allo Stato, in sede di
determinazione dei principi fondamentali, la individuazione delle figure professionali, con i
relativi profili ed ordinamenti didattici e l’istituzione di nuovi albi, dovendo invece ritenersi
rientrare nella materia “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli
enti pubblici nazionali”, riservata alla competenza esclusiva dello Stato dall’articolo 117,
secondo comma lettera g), l’istituzione e l’organizzazione di appositi enti pubblici ad
appartenenza necessaria, cui affidare il compito di curare la tenuta degli albi e garantire il
corretto esercizio delle professioni a tutela dell’affidamento della collettività”.
La sentenza della quarta sezione della Corte di giustizia europea del 10 maggio 2001 - (nella
causa C-285/00 contro la Repubblica francese, che non aveva adottato la normativa europea
per il riconoscimento della professione di psicologo) - ha stabilito che “la direttiva
89/48/CEE va applicata alle professioni regolamentate, cioè a quelle per le quali l’accesso
o l’esercizio sono subordinati, direttamente o indirettamente, mediante disposizioni
legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di un diploma universitario della
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durata minima di tre anni”. Questa sentenza rilancia l’applicazione del comma 18
dell’articolo 1 della legge 4/1999, che, come riferito, collega l’esame di Stato delle professioni
regolamentate al sistema nazionale delle lauree.
Nel parere n. 2228/2002 la Sezione Seconda del Consiglio di Stato ha scritto: “La natura
professionale dell’attività giornalistica trova conforto dal combinato dispositivo dell’art. 1,
comma 3, e dell’art. 2 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 115 (Attuazione della direttiva n.
89/48/CEE relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione che
sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni) e nel decreto MURST
del 28 novembre 2000. La prima fonte ha fissato il principio per cui l’esercizio delle
professioni presuppone il superamento di un ciclo di studi postsecondari di una durata
minima di tre anni o di durata equivalente a tempo parziale, in una università o in un istituto
di istruzione superiore o in altro istituto dello stesso livello di formazione. La seconda,
emanata in attuazione dell’art. 4, comma 2, del D.M. n. 509 del 3 novembre 1999
sull’autonomia didattica degli atenei, nel determinare le classi delle lauree specialistiche (il
diploma di laurea di una volta) ha individuato all’allegato 13 la classe 13/S, intitolata
“Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo”, indicandone le relative materie
d’esame (“attività formative”). L’attività giornalistica si configura, dunque, vieppiù oggi
come professione in relazione all’aumentato bagaglio culturale specifico per il suo
espletamento: bagaglio in relazione al quale appare obsoleto – e dunque suscettibile di
revisione normativa secondo l’intento legislativo della legge n. 4/1999 – il contenuto delle
prove d’idoneità come oggi configurato dall’art. 32 della L. n. 69/1963 e dall’art. 44 del DPR
n. 115/1965. Infatti, mutati i requisiti culturali per l’esercizio di una professione,
l’accertamento dell’idoneità professionale non può prescindere da essi, tenuto conto che “il
titolo di studio precede la maturazione professionale” [C. Cost., 27 luglio 1995, n. 412, a
proposito della professione di psicologico]”.
Il 21 maggio 2001 la stessa sezione consultiva (Atti normativi) del CdS ha dato via libera al
decreto, preparato dal Governo Amato, che richiedeva (correttamente) la laurea triennale per
tre professioni (geometra, perito agrario e perito industriale) vincolate per legge - come i
giornalisti – al possesso di un diploma. Perché oggi si nega ai giornalisti (e ai consulenti del
lavoro) quello che ieri è stato riconosciuto a geometri, periti agrari e periti industriali)? Due
pesi e due misure. Meglio dire due Governi (Amato e Berlusconi) e due decisioni (opposte).
Ma non è finita. La II sezione consultiva del Cds, con il parere 2228/2002, chiesto da
Giuliano Amato (nella veste di ministro ad interim dell’Istruzione/Università), ha concluso
scrivendo: ”Al quesito posto dall’amministrazione deve dunque darsi la seguente risposta:
non sussistono motivi ostativi alla riforma dell’ordinamento professionale dei giornalisti,
come prevista dall’art. 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999, citato all’inizio delle presenti
considerazioni”.
La legge 4/99 non opera distinzioni tra “vecchie” professioni intellettuali con laurea e
senza laurea. Non è vero, come si legge nel parere interlocutorio, che per la professione
di giornalista non sia previsto il titolo di laurea, anzi quel titolo è richiesto da una
direttiva comunitaria che prevale sulla legge interna (n. 69/1963). La sezione Atti
Normativi del CdS, ripeto, non ha tenuto in nessun conto (nemmeno una citazione di
confutazione!): a) il parere 2228/2002 della II sezione consultiva, parere che vuole i
giornalisti in possesso della laurea triennale; b) la direttiva 89/48/Cee che impone ai
professionisti regolamentati (come i giornalisti) l’obbligo di munirsi di una laurea almeno
“triennale”.
La professione di giornalista è stata “aggiunta” nel novero delle professioni italiane (di cui al
dlgs n. 115/1992) dal Dlgs 319/1994 così come modificato dal dlgs 277/2003 (Allegato II, già
allegato C). La sezione consultiva per gli atti normativi del Cds conosce perfettamente la
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portata del Dlgs n. 277/2003 in quanto, nel parere interlocutorio 16 maggio 2005 (n. 2284/05)
scrive testualmente: “Il dlgs n. 277 del 2003, successivo all’entrata in vigore della legge
costituzionale 18.10.2001, n. 3, ha peraltro continuato a riconoscere al Ministero della
giustizia il potere regolamentare nella materia anzidetta, sicché, allo stato, l’esercizio del
relativo potere sembrerebbe trovare fondamento in una apposita norma primaria”. Quel
parere interlocutorio riguarda la richiesta 26 aprile 2005 del Ministero della Giustizia di
emettere un parere su uno “Schema di decreto ministeriale recante ‘Regolamento di cui
all’art. 11 del decreto legislativo 2 maggio 1994, n. 19, in materia di misure compensative
per l’esercizio della professione di giornalista professionista’”. Quante dimenticanze!
Le decisioni radicalmente difformi tra la II sezione consultiva (parere 2228/2002) e la Sezione
Atti normativi (atto interlocutorio 50/2006) sulla professione di giornalista dovrebbero
spingere il presidente del Consiglio di Stato a sottoporre l’intero “decreto Siliquini”
all’adunanza generale del Consiglio di Stato. La questione è “di massima di particolare
importanza”. Anche i ministri Moratti e Castelli possono chiedere che il Consiglio di Stato
esprima il parere in adunanza generale (art. 23 del Rd 1054/1924).
La sezione Atti Normativi ha sostanzialmente accolto il punto di vista, illustrato in una
memoria, degli editori Fieg da sempre impegnati nella difesa delle loro prerogative, che
risalgono al 1928, di “creare” i giornalisti, prescindendo dai titoli di studio. Il “nuovo” Dpr
328, invece, sana una discrasia tra Ordine dei giornalisti e normativa comunitaria in tema di
accesso, mandando in soffitta le restrizioni attuali. Oggi sono gli editori che decidono chi
entra nella professione giornalistica come praticante, prescindendo dal titolo di studio. La
normativa professionale del 1963 (legge 69) ferisce i principi costituzionali della dignità della
persona e dell’uguaglianza, quando assegna agli editori il potere esclusivo di manipolare, con
scelte incontrollabili, il diritto costituzionale al lavoro professionale dei giornalisti. Con il
passaggio dell’accesso all’Università, viene superato un sistema medioevale di selezione
paternalistica e per giunta fortemente antidemocratico. L’Università, invece, aprendo le porte
a tutti, è la via maestra della formazione dei “nuovi” giornalisti.
6. Il “progetto Siliquini” richiede agli aspiranti praticanti giornalisti il
possesso di una laurea triennale “qualsiasi”, ma non “ad hoc”, nel solco dei
lavori parlamentari del 1962/1963.
Il “progetto Siliquini”, con l’inserimento dei giornalisti nel “nuovo” Dpr 328/2001, richiede
agli aspiranti praticanti il possesso di una laurea triennale “qualsiasi”, ma non “ad hoc”. Gli
editori erano contrari all’obbligo di assumere praticanti con laurea specialistica (Giancarlo
Zingoni, Convegno di Verona 31 maggio 2002). Il “progetto Siliquini ” sostanzialmente
accoglie il punto di vista liberista degli editori e rimane fedele alla impostazione della Corte
suprema di Cassazione in tema di titoli per l’accesso all’esame di stato (o prova di idoneità
professionale) dei giornalisti: “La mancata individuazione di un tipico titolo di studio per
sostenere quella prova si spiega con la particolare natura dell’attività giornalistica,
che è la più liberale delle professioni, consistente in un particolare prodotto della
manifestazione del pensiero attraverso la stampa periodica o i servizi radiofonici e
televisivi, la cui specificità sta nella particolare sintesi fra manifestazione del pensiero
e la funzione informativa” [Cass., sez. lav., 25 maggio 1996, n. 4840; id., 20 febbraio 1995,
n. 1827].
Il nuovo Dpr/328 si muove nel solco dei lavori parlamentari del 1962/1963 che portarono al
varo della legge professionale 69/1963, che non individuò un titolo di studio predeterminato
per l’accesso alla professione di giornalista. La nuova normativa stabilisce che è
indispensabile una “laurea” (che oggi è soltanto triennale), ma non dice che è quella in
11
“Scienze della comunicazione”. Tutte le lauree possono costituire la base per svolgere il
praticantato abbinato alla laurea specialistica in giornalismo, a un master biennale in
giornalismo o a un corso biennale presso uno degli Istituti di formazione al Giornalismo
riconosciuti dal Consiglio nazionale dell’Ordine. In sostanza, come ha scritto il Consiglio di
Stato (parere 2228/2002), sono “molteplici le forme ed i percorsi culturali attraverso i quali si
prepara la capacità del giornalista, la quale, oltretutto, è di tipo e contenuti non solo astratti,
ma anche e essenzialmente pragmatici “ e ciò affiora dal nuovo testo del Dpr/328 (articolo
32). La mancanza, da parte del legislatore dell’individuazione, di un titolo universitario
predeterminato per l’ammissione al praticantato si spiega anche “con il valore costituzionale
del diritto attivo all’informazione ed alla manifestazione del proprio pensiero, nonché della
libertà di stampa” nonché con la circostanza che i giornalisti si occupano soprattutto di
“argomenti di attualità” sui quali poi sostengono la prova scritta dell’esame di Stato (art. 32
sia della legge 69/1969 sia del nuovo Dpr/328). Capire l’attualità significa avere una
preparazione vasta, aperta alla gran parte dei saperi universitari.
7. Gli attacchi al “Dpr Siliquini”. Potentati economici (Confindustria e
Fieg), Regioni guidate dalla sinistra e spezzoni della sinistra in prima linea.
La posizione dei due relatori/estensori del parere interlocutorio (23 gennaio
2006) del Consiglio di Statto (Sezione Atti Normativi).
Gli attacchi al “Dpr Siliquini” non sono venuti soltanto dalla Fieg (struttura di Confindustria)
e da Massimo D’Alema. La Conferenza delle Regioni il 20 dicembre 2005 ha scritto al
Consiglio di Stato “forte” di un presunto diritto di intervento in tema di professioni. La
maggioranza delle Regioni (16 su 20) sono amministrate da giunte di sinistra. Le due manovre
a tenaglia (Fieg e Regioni) sono state contrastate dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti di
Milano, che ha trasmesso alla suprema magistratura amministrativa e anche al Quirinale una
memoria documentata con la quale, come ha scritto la Corte costituzionale in 5 sentenze tra il
2003 e il 2005, ha rivendicato allo Stato il diritto di disciplinare l’esame di Stato e l’aggancio
dell’esame alle lauree della riforma universitaria.
Un capitolo a parte merita la posizione del dott. Paolo De Joanna e quella del dott. Donato
Marra, consiglieri relatori ed estensori del parere interlocutorio 50/2006 sul “regolamento
governativo recante disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato per
l’abilitazione all’esercizio professionale, delle prove relative e del loro svolgimento”. Paolo
De Joanna ha svolto le funzioni altissime di segretario generale della Presidenza del Consiglio
dei Ministri all’epoca del Governo D’Alema (ottobre 1998-aprile 2000), mentre Donato Marra
ha svolto le funzioni altissime (fino al 1992) di segretario generale della Camera dei deputati (a
fianco del presidente Nilde Jotti) e poi quelle di sottosegretario alla Giustizia nel Governo
Dini (1995/1996).
In data 6 febbraio, il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha indirizzato una
istanza motivata al Presidente del Consiglio di Stato, che qui viene riportata integralmente:
“Ill.mi Signori, ieri sera, navigando in internet, ho scoperto un comunicato del Quirinale del
20 gennaio 2000, che riporto integralmente:
C O M U N I C A T O (in:
http://www.quirinale.it/comunicati/comunicato.asp?id=4031)
Il Presidente Ciampi ha ricevuto il Presidente del Consiglio D'Alema, Il
Sottosegretario alla Presidenza, Micheli, e il Segretario Generale De Joanna
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CARLO AZEGLIO CIAMPI HA RICEVUTO
QUESTA SERA AL QUIRINALE IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI,
12
ON. MASSIMO D'ALEMA, ACCOMPAGNATO DAL SOTTOSEGRETARIO DI
STATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, ON. ENRICO MICHELI E DAL
SEGRETARIO GENERALE DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, DOTT.
PAOLO DE JOANNA. HA PRESO PARTE ALL'INCONTRO IL SEGRETARIO
GENERALE DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA, CONSIGLIERE DI
STATO GAETANO GIFUNI.
ROMA, 20 GENNAIO 2000
Successivamente ho recuperato un testo de “IL SOLE 24 ORE” del 28 ottobre 1998
Palazzo Chigi, De Ioanna verso la segreteria
ROMA - Paolo De Ioanna, attuale capo di Gabinetto di Carlo Azeglio Ciampi, sarà
con ogni probabilità il nuovo Segretario generale della presidenza del Consiglio. La
formalizzazione della nomina potrebbe avvenire già oggi da parte del presidente del
Consiglio, Massimo D'Alema. De Ioanna, che ha avuto la meglio rispetto all'altra
candidatura "forte" di Donato Marra, ex segretario generale della Camera,
sostituisce Alessandro Pajno (di area cattolica), che è stato segretario generale con
Prodi, e che probabilmente sarà il nuovo capo di Gabinetto del vicepresidente del
Consiglio, Sergio Mattarella. A pochi giorni dalla formazione del nuovo Governo, si
mette così in moto il rituale valzer delle poltrone eccellenti. É stata del resto proprio
la legge di riforma della Presidenza (la legge 400 del 1988) ad attribuire al segretario
generale una molteplicità di funzioni che ne fanno a ben vedere il principale
collaboratore del Presidente. Per questo, la stessa legge ha previsto che i decreti
di nomina del segretario e vicesegretario generale cessino di avere efficacia <dalla
data del giuramento del nuovo Governo>, legando così direttamente la figura del
responsabile della "macchina organizzativa" di Palazzo Chigi al premier. De Ioanna è
un tecnico stimato e dalla lunga esperienza dei meccanismi e delle procedure
parlamentari, oltre a essere uno dei massimi esperti di finanza pubblica. Prima di
essere nominato capo di Gabinetto da Ciampi, ha infatti ricoperto per anni l'incarico
di responsabile del Servizio del Bilancio del Senato. (D.Pes.).
Nella giornata del 3 febbraio ho acquisito il parere interlocutorio 50/2006 della Sezione
consultiva per gli Atti normativi dal quale emerge che i consiglieri relatori ed estensori del
provvedimento sono il dott. Paolo De Joanna e il dott. Donato Marra. Il provvedimento
concerne la richiesta di parere avanzato dal Ministero dell’Università/Istruzione circa il
“regolamento governativo recante disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato
per l’abilitazione all’esercizio professionale, delle prove relative e del loro svolgimento.
Tra il Paolo De Joanna di Palazzo Chigi e il Paolo De Joanna di Palazzo Spada c’è una
relazione? Sono la stessa persona o è un caso omonimia? Se dovesse essere la stessa persona
si pone un problema di conflitto di interesse enorme. Il Paolo De Joanna, braccio destro
tecnico di D’Alema, avrà sicuramente condiviso le posizioni dell’ex premier, orientate a una
liberalizzazione spinta (si legga Maria Carla De Cesari, La svolta di D’Alema, su “Il Sole 24
Ore” del 23 ottobre 1998) degli Ordini e dei Collegi professionali e in particolare alla
soppressione dell’Ordine dei giornalisti. D’Alema è tornato sull’Ordine dei giornalisti nel
dicembre 2005 in una popolare trasmissione condotta dal collega Bruno Vespa, rivelando che
nel referendum del giugno 1997 aveva votato per la sua abolizione (si legga la notizia in:
www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2124).
Altro quesito. Il Donato Marra di cui parla “Il Sole 24 Ore” del 28 ottobre 1998 è lo stesso
dott. Donato Marra, consigliere relatore ed estensore (con De Joanna) del parere
interlocutorio 50/2006? E’ il Donato Marra, già segretario generale della Camera (epoca della
presidenza Jotti) e poi sottosegretario alla Giustizia del Governo Dini nel gennaio 1995? (Si
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leggano sui due punti “Il Sole 24 Ore” del 30 aprile 1992 e del 24 gennaio 1995). E’,
comunque, una persona presa in considerazione da Massimo D’Alema per la carica di
segretario generale di Palazzo Chigi.
Nessuno mette in dubbio le qualità tecniche e professionali dei consiglieri De Joanna e
Marra. Gli stessi, però, sono stati contaminati dalla politica e possono anche apparire
avversari del Governo Berlusconi, che attribuisce grande valore e valuta un successo la
riforma dell’esame di Stato delle professioni intellettuale varato il 22 dicembre 2005 dal
Consiglio dei Ministri. I giudici devono essere e anche apparire indipendenti.
Il parere interlocutorio, a mio modesto avviso, contiene troppi errori e svariate distrazioni su
passaggi qualificanti, come dimostro nello studio allegato (pubblicato oggi nella home page
del portale dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia-www.odg.mi.it). Nessuno ha capito la
fretta di depositare il parere il 3 febbraio, quando si sapeva che la sera prima il Presidente
della Repubblica aveva apposto la sua firma sul “dlgs la Loggia”, che assegna allo Stato le
competenze sulle professioni nel rispetto di 5 sentenze della Corte costituzionale (in
particolare le sentenze nn. 353 del 2003; 319, 355, 404 e 424 del 2005). Come è possibile che
due valorosi consiglieri di Stato, pur avendo ricevuto una memoria a mia firma, ignorino che
la direttiva 89/48/Cee vuole che i professionisti (e i giornalisti sono tali) abbiano alla spalle
almeno una laurea triennale? Come è possibile accantonare (e mai citare) il parere 2228/2002
della seconda sezione consultiva che vuole la professione di giornalista tra quelle comprese
nel Dpr 328/2001? La II sezione consultiva del Cds, con il parere 2228/2002, chiesto da
Giuliano Amato (nella veste di ministro ad interim dell’Istruzione/Università), ha concluso
scrivendo: ”Al quesito posto dall’amministrazione deve dunque darsi la seguente risposta:
non sussistono motivi ostativi alla riforma dell’ordinamento professionale dei giornalisti,
come prevista dall’art. 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999, citato all’inizio delle presenti
considerazioni”.
De Joanna e Marra, trascurando la direttiva 89/48/Cee, scrivono che il nuovo Dpr non può
“riguardare le professioni per le quali tale titolo di studio (la laurea, ndr) non è richiesto
dalle norme legislative vigenti, tanto meno modificando tale requisito, come è invece previsto
dallo schema di regolamento in esame per varie professioni tra le quali quella di
giornalista”. Ma il 21 maggio 2001 la stessa sezione consultiva (Atti normativi) del CdS ha
dato via libera al Dpr 328/2001, preparato dal Governo Amato, che richiedeva la laurea
triennale per le professioni di geometra, perito agrario e perito industriale vincolate per legge
- come i giornalisti – al possesso di un diploma. Due pesi e due misure. Anzi due Governi
(Amato e Berlusconi) e due pareri (opposti).
Le decisioni radicalmente difformi tra la II sezione consultiva (parere 2228/2002) e la Sezione
Atti normativi (atto interlocutorio 50/2006) sulla professione di giornalista dotrebbero
spingere il presidente del Consiglio di Stato a sottoporre, in tempi ragionevolmente veloci,
l’intero “decreto Siliquini” all’adunanza generale. La questione è “di massima di
particolare importanza”. Bisogna fugare ombre e perplessità. La Sezione Atti Normativi ha
mostrato incredibili limiti culturali e costituzionali; e attaccando soltanto i giornalisti (l’unica
categoria nominata in chiave negativa) ha mostrato di essere in (strana) sintonia soprattutto
con Eugenio Scalfari e Francesco Giavazzi (Repubblica e Corriere della Sera) nonché con
Massimo D’Alema.
Ill.mi Signori, mi fermo. La mia sofferenza è grande, è la sofferenza di una persona educata
ad avere fiducia nell’imparzialità e nella trasparenza dell’amministrazione. Vi chiedo la
cortesia di leggere la memoria allegata e di fare in modo che non si perda altro tempo. Il
parere interlocutorio rappresenta anche una manovra dilatoria rispetto alla data del 9 aprile
2006. Pauca intelligenti”.
…………..
14
LE SENTENZE CONTRADDITORIE DEL CONSIGLIO DI STATO:
1)
In: www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2328
Parere 2228 del 7 maggio 2002 della II sezione consultiva:
Al quesito posto dall’amministrazione deve dunque
darsi la seguente risposta: non sussistono motivi
ostativi alla riforma dell’ordinamento professionale
dei giornalisti, come prevista dall’art. 1, comma 18,
della legge n. 4 del 1999, citato all’inizio delle presenti considerazioni”.
2)
In: /www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2329
Parere 50 del 3 febbraio 2006 della Sezione consultiva Atti Normativi:
“Decreto Siliquini” sull’esame
di Stato di 21 professioni:
sospesa l’espressione
del parere e chiesta al Governo
“una nuova istruttoria”.
DOCUMENTAZIONE GIURIDICA
Dlgs. 27 gennaio 1992 n. 115. Attuazione della direttiva n. 89/48/CEE relativa
ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che
sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni. (in:
www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2158).
Dlgs 2 maggio 1994 n. 319. Attuazione della direttiva 92/51/CEE relativa ad un
secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale che
integra la direttiva 89/48/CEE. (in:
www.odg.mi.it/docatts/319dlgs9426dic05.rtf).
Dlgs 8 luglio 2003 n. 277. Attuazione della direttiva 2001/19/CE che modifica le
direttive del Consiglio relative al sistema generale di riconoscimento delle
qualifiche professionali e le direttive del Consiglio concernenti le professioni di
infermiere professionale, dentista, veterinario, ostetrica, architetto, farmacista e
medico. (in: www.odg.mi.it/docatts/277dlgs2003.rtf).
Direttiva 2005/36/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre
2005 (detta “Zappalà”) relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.
(in: www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2193)
(Fonti: www.deaprofessionale.it)
Decreto Legislativo (“La Loggia”) 2 febbraio 2006 n. 30. Ricognizione dei
principi fondamentali in materia di professioni a norma dell'articolo 1 della legge
5 giugno 2003 n. 131. (Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’8 febbraio 2006 n. 32 ).
(In: www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2333).
Intervento conclusivo del prof. Vincenzo Caianiello, “L’inserimento delle
professioni nel Titolo V della Costituzione”, in Atti del Convegno nazionale
“Quale federalismo per le professioni” del 18 marzo 2002 in Codroipo-Ud,
promosso
dal
Cup
del
Friuli
Venezia
Giulia.
(in:
www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2331).
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