Lo straordinario percorso del pensiero moderno:
valori e contraddizioni
Anno Accademico 2013-2014
A cura del Prof. Renato Pilutti
…heri dicebamus
 Ci siamo lasciati lo scorso anno con un impegno, quello di
legare con attenzione gli spunti straordinari del tardo
Rinascimento, la ricerca di una capacità tutta umana di
comprendere le cose del mondo, la vita e il destino
dell’uomo stesso, alla Rivoluzione filosofica e scientifica
che si stava manifestando e sviluppando.
 Possiamo dire che da Copernico in poi (XV sec.) nulla è stato
più come prima.
 La vittima più illustre del passato (che stentava a passare del
tutto) è stato l’ultimo autore studiato nel precedente Anno
Accademico, Giordano Bruno, ucciso dall’Inquisizione romana
ai primi del 1600.
Lo scetticismo tra XV e XVI secc.
 Le certezze del sapere tradizionale erano dunque
messe in questione da un recupero della
posizione scettica, che aveva avuto illustri
rappresentanti anche nell’antichità, come Pirrone di
Elide (360-270 a. C.) e Sesto Empirico (II-III sec. d.
C.).
 Le grandi scuole platonica e aristotelica subivano
dunque, si può dire, l’attacco delle nuove scienze
empiriche e insieme quello di un pensiero complesso,
intriso di fideismo, magia, dottrine alchemiche e
astrologiche.
Michel de Montaigne
(1533-1592)
 Nato nei pressi di Bergerac, Michel, conte di
Montaigne, viene educato secondo i migliori principi
dell’umanesimo letterario e filosofico. Studia diritto
avviandosi a una carriera politica che lo vede anche
sindaco di Bordeaux. Diplomatico eccellente, amico di
Enrico IV di Navarra, ma soprattutto pensoso
ricercatore.
 Nel 1580 pubblica la prima edizione dei Saggi, per cui
è giustamente famoso.
Il pensiero
 Per questo autore, così interessante anche per i nostri
tempi, lo scetticismo è da considerare un metodo
conoscitivo adatto alla diversità degli spiriti, cioè delle
menti umane.
 Egli confronta volentieri e con cura le tradizioni della
grande cultura europea con i reportages dei primi
grandi viaggiatori sui cosiddetti “popoli selvaggi”, e
riscontra differenze radicali, che oggi definiremmo
etnico-antropologiche. Da ciò trae la convinzione
fondamentale che non possano darsi certezze
assolute sui temi conoscitivi ed etici.
Scetticismo e fideismo
 Se dunque il pensiero umano può essere così diversificato,
solo Dio può dare al pensiero stesso quella logicità e
veridicità necessaria a conoscere la verità delle varie realtà.
In qualche modo, dunque, in Montaigne troviamo correlati
lo scetticismo con una sorta di fideismo.
 In realtà il lascito di Montaigne, validissimo anche ai giorni
nostri è un monito costante e sistematico contro ogni
forma di dogmatismo, fanatismo e fondamentalismo.
Quanto utile risulta il pensiero di Montaigne oggi, in
una fase dove, accanto a straordinarie scoperte
scientifiche, si mantengono atteggiamenti incapaci di
ascoltare e di comprendere chi è diverso da noi!
Francis Bacon
(1561-1626)
 Francis Bacon, primo barone di Verulamio e visconte
di St Albans, figlio di Lord Nicholas Bacon,
guardasigilli di Elisabetta I, studia diritto e filosofia al
Trinity College di Cambridge.
 La sua vita è intensissima, e contribuisce,
nell’Inghilterra delle scoperte geografiche e dei viaggi,
della prima rivoluzione economica e mercantile, allo
svecchiamento della vecchia cultura tradizionale, in
favore di una ricerca sperimentale e pratica.
Il pensiero
 Specialmente nelle opere Sul progresso del sapere
umano e divino, e successivamente nel Novum
organum e nel De dignitate et augmentis scientiarum,
Bacon cerca di mostrare come ormai il sapere teoretico
tradizionale, specialmente aristotelico, sia inadeguato
ad esplorare la complessità e misteriosità della natura,
per cui occorra un nuovo approccio (Novum organum).
 Altrettanto, Bacon se la prende con le scienze-non
scienze approssimative come l’alchimia, l’astrologia e
la magia tornate di moda negli ultimi due tre secoli in
tutta Europa.
La Nova Instauratio
 Un vera riforma del sapere, per Francis Bacon, può
avvenire solo se si passa dalla teoresi logico-deduttiva
dei sillogismi al metodo induttivo, per cui si cerca di
capire come funziona la natura per via sperimentale.
 Egli vuole costituire una Nova Instauratio del sapere
attraverso l’empiria e la dimostrazione pratica dei
fenomeni naturali.
 Denuncia perciò una serie di pregiudizi che chiama
“idoli”: ne individua quattro: gli idoli della tribù, gli
idoli della spelonca, gli idoli del foro e gli idoli del
teatro.
Il superamento degli “idoli”
 Bacon sostiene che bisogna liberarsi da questi fantasmi-
idoli. In che modo?
 Non credendo più che a) l’uomo sia misura di tutte le
cose, b) il singolo possieda la capacità soggettiva di
comprendere le cose, c) il linguaggio e le relazioni non siano
ingannevoli, d) le tradizioni filosofiche siano veritiere.
 Bacon crea, dunque, le premesse per un cambiamento
molto radicale nel rapporto con la conoscenza, anche se
non privo di ambiguità e di utilizzo di ”prestiti”
argomentativi e concettuali della tradizione aristotelicoscolastica (vedi dottrina delle “forme”).
L’induzione come metodo
 Per Bacon la conoscenza della natura avviene per
induzione, che coglie la forma della natura che evolve
e che predispone ad ulteriori evoluzioni. Potremmo
dire che Bacon è un eracliteo bisognoso di Aristotele,
anche se non lo ammette esplicitamente.
 Infatti, che cosa sono le “tavole”, cioè gli ordinamenti
sistematici dei gradi della ricerca se non un’esigenza di
classificazione, ancorché non ben definita? Anche
Aristotele poneva l’esigenza di sistemare i vari gradi
della realtà nelle categorie, o no?
La storia naturale e sperimentale
 Per il conte di Verulamio occorre costruire una storia
naturale e sperimentale. Essa deve essere strutturata
secondo le tre facoltà dell’uomo:
- la memoria, cui corrisponde la storia,
- l’immaginazione, cui corrisponde la poesia,
- la ragione, cui corrisponde la filosofia (a sua volta
suddivisa in teologia, scienze della natura e scienze
dell’uomo: fisica, metafisica, meccanica, magia (sic!), etc..
 Bacon, noto per essere considerato l‘iniziatore del metodo
scientifico, in realtà lo è certamente, ma di più nello spirito
con cui operò, poiché altri lo furono molto più di lui, come
il nostro Galileo, che stiamo per incontrare.
Galileo Galilei
(1564-1642)
 Una biografia articolata e faticosa quella del nostro
immenso Galileo Galilei. A 21 anni lascia l’università
di Pisa senza conseguire titoli accademici in arte e
medicina, ma inizia lo studio delle matematiche con
Ostilio Ricci, allievo di Nicolò Tartaglia.
 Nel 1589 gli affidano la cattedra di matematica a Pisa
dove si dedica alla stesura del De motu. Nel 1592 si
trasferisce all’università di Padova dove rimane fino al
1610, meglio trattato e considerato, e in quegli anni
sviluppa studi di meccanica, ingegneria e matematica.
Il Sidereus Nuncius
 Tra il 1592 e l’anno successivo scrive di architettura militare e
fortificazioni e il trattato Le mecaniche. In quegli anni abbraccia
definitivamente la teoria copernicana, scrivendo un Trattato
sulla sfera e Operazioni del compasso geometrico e militare.
 Nel 1610 inizia la redazione del Sidereus nuncius, dove espone
la scoperta dei quattro satelliti di Giove. In quell’anno torna a
Pisa come matematico e fisico del granduca di Toscana e
pubblica nel 1612 un Discorso sulle cose che stanno in su l’acqua
e l’Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari nel 1613.
subisce le prime denunce: è il padre Niccolò Lorini che tuona dal
pulpito contro di lui dal monastero domenicano di San Marco
(ahi ahi!).
 Nel 1615 lo stesso frate lo denunzia al Sant’Uffizio.
Il Saggiatore
 Nel 1616 Galileo scrive la famosa lettera alla granduchessa
Cristina di Lorena dove dice che “la scienza non insegna
come si vadia in cielo, ma come vadia il cielo”. Siamo
nel cuore della polemica scienza-teologia-fede.
 Il cardinale Bellarmino lo convoca a Roma intimandogli di
abbandonare l’eliocentrismo. Galileo non prende una
posizione netta, ma il Bellarmino non è proprio un
fanatico. Nel 1623 pubblica Il Saggiatore e nel 1630 il
Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Nel
1632 il libro viene sequestrato e Galileo convocato a Roma
dall’Inquisizione.
I Discorsi
e Dimostrazioni matematiche
 Nel 1633 il processo si conclude con l’abiura di Galileo dalla
teoria copernicana e la sua condanna al carcere, dopo pochi
mesi tramutata in domicilio coatto, prima presso
l’arcivescovo di Siena e poi presso la sua casa di Arcetri. Ivi
lavora ai Discorsi e dimostrazioni matematiche
intorno a due nuove scienze, che viene pubblicato con il
suo consenso a Leyden nel 1638.
 Muore completamente cieco nella sua casa l’8 gennaio 1643.
 I suoi libri saranno resi fruibili dall’Indice dei libri proibiti
solo nel 1757.
La formazione
 Fondamentali sono stati gli studi delle opere di Euclide e
Archimede.
 Si tratta di un incontro tra le antiche tradizioni scientifiche
e la ricerca della nuova scienza. Un’attività molteplice che,
in realtà, converge verso un solo obiettivo: la verifica e la
critica sistematica dei postulati della scienza naturale del
suo tempo sulla base di una nuova formulazione dell’idea
di natura e dell’idea di esperienza.
 Una formazione dunque teorica e pratica molto composita,
nello stile dei tempi rinascimentali, curiosi ed entusiasti
dell’uomo e del mondo. L’invenzione del cannocchiale,
falsamente attribuita a Galileo, ne è un po’ il simbolo.
La scienza e la fede
 Per Galileo natura e Sacra scrittura procedono
entrambe da Dio, e perciò hanno un significato
importantissimo e complementare: se la Natura è
“osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio”, la
Scrittura è “dettatura dello Spirito Santo”.
 Per ciò esse non sono in contrasto come lex naturae e
lex divina: vanno solo applicate a due ambiti diversi, il
primo nello studio del mondo, e il secondo
nell’applicazione dei principi morali e della relazione
dell’uomo con Dio e tra tutti gli uomini.
Il “libro della natura”
 Il libro della natura, per Galileo, è un libro a caratteri matematici,
dove i triangoli e le altre figure geometriche rappresentano il suo
linguaggio, la sua grammatica.
 Nel Saggiatore Galileo spiega come i corpi siano conoscibili nelle loro
qualità oggettive tramite il linguaggio matematico e geometrico, nella
loro estensione, figura e moto.
 Le altre qualità dei corpi, invece, come il sapore, l’odore, il colore e il
suono sono conoscibili solo tramite la relazione soggettiva con l’uomo,
cioè con l’individuo conoscente.
 La natura quindi, per Galileo, è conoscibile solo mediante le sue
manifestazioni fenomeniche, che son misurabili matematicamente,
là dove si realizza il punto mediano tra la realtà oggettiva delle cose e la
conoscenza soggettiva degli uomini.
 Cambia così la gnoseologia classica in una nuova filosofia della scienza.
Il copernicanesimo e la struttura
del mondo
 Dopo avere messo in questione in maniera radicale
l’epistemologia aristotelica, Galileo, nell’ambito delle
dottrine fisiche e astronomiche, si muove sulla strada di un
radicale copernicanesimo.
 Dal 1616, pur ammonito dal cardinale Bellarmino di
proporre l’eliocentrismo solo come ipotesi fisicomatematica, Galileo non demorde e propone il testo
fondamentale Dialogo sopra i due massimi sistemi
tolemaico e copernicano.
 In realtà Galileo anche su questo terreno confuta
totalmente il sistema aristotelico-tolemaico, affermando
che le leggi del mondo fisico sono le stesse, sia sulla terra,
sia nei corpi celesti.
I nuovi progressi della fisica
 Dopo la condanna del 1633, Galilei, pur se isolato e
sconfitto, scrive il suo capolavoro, i Discorsi e
dimostrazioni matematiche intorno a due nuove
scienze.
 In tale opera ribadisce come la descrizione matematica
riesca a spiegare le ragioni e le leggi che governano il
moto dei gravi (pesanti o leggeri che siano), mediante
il principio di inerzia, senza presupporre alcuna
finalità al moto stesso, né alcuna tendenza a
ricomporre traiettorie, se non per l’intervento di
vettori causali esterni.
Thomas Hobbes
(1588-1679)
 Nato a Malmesbury, Thomas Hobbes studia a Oxford
conseguendo il Bachelor of arts, e diventa subito precettore in
casa del barone Cavendish, conte di Devonshire. Va in Francia
con il figlio di questi, William, cominciando la pubblicazione
delle sue prime opere.
 Successivamente è precettore del figlio di Sir Gervase Clifton, con
il quale va in Francia e Germania. In Italia incontra e conosce
Galilei, dopo di che pubblica Elementi di legge naturale e politica,
ma fugge in Francia timoroso dei disordini inglesi.
 A Parigi compone le Obbiezioni alle Meditazioni cartesiane,
finché nel 1651, tornato in Inghilterra riconciliato con Oliver
Cromwell, compone The Leviathan, il suo capolavoro.
 Dopo aver pubblicato in tarda età il Decameron physiologicum,
muore più che novantenne a Hardwicke.
Meccanicismo e materialismo
 Con Hobbes si crea un collegamento forte, da un lato con la
lezione di Francis Bacon e dall’altra con la cultura continentale
europea del tempo: materialismo meccanicistico, dottrina della
sensazione, teoria del moto, convenzionalismo delle scienze,
concezione del diritto di natura e della sovranità, sono i caposaldi
delle teorie hobbesiane.
 Per Hobbes tutto la filosofia naturale deriva dalla nozione di
corpo e di moto, che si danno nello spazio e nel tempo; ma è
soprattutto il moto la causa principale di ogni modificazione ed
evoluzione: moto come luogo dell’incontro dei corpi fisici e delle
stesse passioni umane.
 Contro Cartesio Hobbes sostiene l’identità dei processi fisico-
materiali con quelli spirituali. Sentire e pensare sono lo stesso
processo (!).
La teoria della conoscenza
 La teoria della conoscenza (gnoseologia) di Hobbes si fonda
conseguentemente sul senso, cioè sulla pressione che i
corpi fisici esercitano sul soggetto conoscente (l’uomo):
attraverso l’organo di senso, i nervi, il moto si trasmette al
cervello, cosicché lì si forma l’immagine della cosa
conosciuta, il cui ripetersi dà luogo alla memoria.
 Anche le alterazioni qualitative della sensazioni (colori,
sapori, odori, suoni, etc.), secondo Hobbes, sono dovute al
riflesso sensoriale esercitato dalla cosa esterna sull’uomo
conoscente, non possedendo, di per sé, alcuna reale
esistenza.
 Ciò che conta nella conoscenza è dunque la pura
esperienza. Hobbes è il caposcuola dell’empirismo.
Il linguaggio e la scienza
 Per Hobbes il linguaggio è mera convenzione. Il nome delle cose




non presuppone che dietro vi sia una realtà corrispondente.
La natura ha un linguaggio diverso dalla scienza: non
corrisponde mai a una descrizione razionale-mentale.
Hobbes è dunque fautore di un rigido nominalismo: troviamo
qualche autore studiato nel precedente Anno accademico, cui si
potrebbe riferire? Forse Occam?
Un nominalismo che, nutrendosi di un rigido empirismo
materalistico, si pone come sapere completamente deduttivo,
mentre la natura pone sempre problemi induttivi.
In questo ambito ogni aspetto filosofico è estraneo alla
dimensione teologica e teologale.
La morale e la politica
 La morale umana si fonda, per Hobbes, sullo studio delle
passioni: il suo punto di riferimento è senz’altro Epicuro (che
abbiamo studiato nel primo Anno accademico): l’uomo tende
all’autoconservazione, e pertanto deve seguir i moti che gli
danno soddisfazione, ma sempre con la misura della razionalità,
senza mai esagerare.
 L’altro aspetto che Hobbes sottolinea è la non-naturale-amicizia
tra gli uomini: se per Aristotele l’uomo è animal rationale et
politicus, e quindi socievole, per Hobbes l’uomo è lupus homini.
 Nello stato di natura vi è l’egoistica ricerca del proprio bene, cui
l’uomo cede, appunto, per natura, suscitando la lotta e perfino la
guerra.
 L’unica soluzione è quella della politica, che sostituisce la guerra
ad alcune condizioni.
Il patto sociale e il sovrano
 Per rimediare alla sua natura, per Hobbes, l’uomo deve
stipulare nelle varie comunità un patto sociale, nel
quale vi è una rinunzia a parte della propria libertà
personale, che è affidata al sovrano.
 Questo diventa quindi depositario di ogni potere che
gli è delegato dal singolo uomo, il quale accetta che la
morale e la giustizia vengano definiti e gestiti
monarchicamente e unilateralmente dal sovrano.
 In Hobbes possiamo dunque trovare le radici
teoretiche dell’assolutismo successivo (Francia, Russia
zarista, etc.).
René Descartes (Cartesio)
(1596-1650)
 Nato a La Haye in Turenna, René Descartes (Cartesius), studia dai gesuiti di
La Flèche grammatica, retorica e filosofia. All’università di Poitiers consegue il
titolo accademico in filosofia e diritto. Giovanissimo si unisce alle armate di
Maurizio di Nassau in Olanda, spostandosi poi in Germania (Francoforte e
Ulm). In quel periodo scrive il Compendium musicae e successivamente,
tornato a Parigi, mentore cardinale Bérulle, redige il trattato Regulae ad
directionem ingenii.
 Stabilitosi in Olanda nel 1629 (salvo qualche rientro a Parigi), si dedica a quelle
che saranno le sue opere maggiori: nel 1637 esce il Discorso sul metodo, e nei
dieci anni successivi i Principia philosophiae e Le passioni dell’anima, che
suscitano non poche polemiche e condanne da parte di teologi (Gisbert Voet) e
Università (Utrecht e Leyden).
 Muore in Svezia a 54 anni, ospite della regina Cristina.
Una scienza “meravigliosa”
 Che cosa sia stata questa improvvisa scoperta della
“scienza meravigliosa”, non ci è dato precisamente
sapere. Cartesio si trovava nei pressi di Ulm
nell’armata del principe Massimiliano di Baviera: allora
si stava dedicando con passione alla matematica e alla
geometria, cercando una specie di minimo comun
denominatore per le varie scienze.
 Gli pareva allora di intuire che una sola “catena di
ragioni” avrebbe potuto aprirgli la porta per un
rinnovamento generale del sapere cui si sentiva
fortemente portato.
Le “regole”
 Le sue prime asserzioni “nuove” fecero breccia come
“Regole”, che egli poi riprese nel Discorso sul metodo.
 Per Cartesio assume valore primario la regola
dell’evidenza, per cui “ogni scienza è conoscenza certa ed
evidente”. Dall’evidenza si procede in seguito con la
deduzione: l’intuizione dell’evidenza procede dunque con
il movimento continuo della deduzione delle cose messe
ordinatamente tra loro in connessione. Questo è il
metodo.
 La prima delle cose naturali semplici è il “cogito”, il
pensare soggettivo che dà certezza sull’esistenza
dell’io pensante e quindi di Dio stesso.
Dio, le verità eterne e la fisica I
 Se esiste il “cogito”, esistono l’io e Dio, come res cogitans: il


-
-
mondo esterno è invece res extensa.
Queste sono verità create da Dio nella mente umana e perciò
sono eterne e immutabili.
Abbandonando completamente la fisica aristotelico-scolastica,
Cartesio ipotizza tre leggi generali:
“Ogni parte della materia conserva sempre lo stesso stato fino a
quando le altre urtandola non la costringano a cambiarlo”;
“Quando un corpo ne spinge un altro non può trasmettere o
sottrarre a esso alcun movimento senza perderne o acquistarne
nello stesso tempo una certa quantità;
“Quando un corpo si muove tende sempre a continuare il proprio
movimento in linea retta”.
Dio, le verità eterne e la fisica II
 Cartesio individua dunque la fondamentale legge
dell’inerzia, essendo il movimento un stato delle cose.
 Il mondo è quindi retto da leggi matematiche ed è
caratterizzato, sia nelle cose terrestri, sia in quelle
celesti, dagli stessi principi ordinatori (come in
Galileo!).
 La struttura quantitativa delle particelle che
costituiscono i corpi determinano la loro diversità,
mentre gli aspetti qualitativi, come i colori, gli odori, i
sapori e la temperatura sono soggettivi e dipendono
dalle percezioni di ciascuno.
La macchina del corpo
 Dopo avere trattato il tema del “Mondo”, senza pubblicare il
testo, Descartes si occupa dell’Uomo. Applica però
anch’esso il suo meccanicismo sistematico.
 L’uomo è dunque per lui una sorta di bio-macchina che
funziona meravigliosamente perché tutti gli organi
concorrono in perfetta sincronia ai suoi bisogni: tutto però
dipende dal cervello che tramite il sistema nervoso ordina il
movimento, sia quello autonomo, neurovegetativo, sia
quello volontario.
 Al centro del cervello, per Descartes è posta la “ghiandola
pineale” (conarium), preposta alla percezione dai sensi
esterni, punto di contatto tra la res extensa e la res
cogitans, cioè il pensiero.
Il “Discorso sul metodo” I
 Il “Discorso sul metodo” è una sorta di prefazione ai
trattati su la “Diottrica”, le “Meteore” e la “Geometria”.
 Il suo primo assunto è quello di mostrare come sia possibile
unificare il carattere composito delle scienze trovando un
“metodo” capace di procedere fattivamente nella ricerca di
ciascuna disciplina, e indica quattro regole
fondamentali:
1) evidenza: “non accogliere mai come vera nessuna cosa
che non conoscessi con evidenza esser tale”;
2) analisi: “dividi ognuna delle difficoltà che tu esamini in
tante particelle quanto fosse possibile e richiesto per
meglio risolverle”;
Il “Discorso sul metodo” II
3) sintesi: “conduci per ordine i tuoi pensieri
cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a
conoscere, per ascendere a poco a poco come per gradi
alla conoscenza dei più composti”;
4) enumerazione: “fai dappertutto delle enumerazioni
così complete e delle revisioni così generali da essere
certo di nulla omettere”.
Vi è dunque una matematica universale (mathesis
universalis) che regola tutto. Descartes modifica anche
il linguaggio matematico algebrico, che è quello ancora
oggi in uso: x, y, z, con gli esponenti numerici.
La regola della morale provvisoria
 Descartes non scrisse mai un trattato di “Morale”. Le sue
riflessioni rimasero a livello di abbozzo, tant’è che le
chiamò come nel titolo, dando loro il connotato di
“provvisorietà”. In queste individuò tre momenti o princìpi:
 1. obbedire alle leggi vigenti e alle consuetudini morali
e religiose (temeva forse il rischio “rivoluzionario” del suo
pensiero filosofico,
 2. essere risoluti nelle proprie azioni una volta
intrapresa una linea guida e una decisione,
 3. proporsi di vincere se stessi, piuttosto che la fortuna
o la sorte, con una forma di autodisciplina (di origine
stoica).
Il dubbio
 Descartes si pose il problema della conoscibilità del reale,
dell’accesso alla verità in modo sistematico, con quello che
fu chiamato il dubbio metodico. Un dubbio che concerne
innanzitutto la conoscenza sensoriale, ma anche quella
legata alla ricerca scientifica e matematica.
 Cartesio non si accontenta di nulla di meno che
dell’evidenza, per poter ammettere che qualcosa è vero. Il
suo è una specie di scetticismo metodico.
 Perfino Dio avrebbe potuto aver ingannato l’uomo sulle
verità matematiche, ma ciò non è ammissibile perché Dio
non può volere ciò che è tipico di una specie di “genio
maligno”, non della bontà assoluta.
“Cogito, ergo sum”
 “Je pense, donc je suis”, una specie di entimema
logico, che sta per: 1) il pensante è, 2) io penso, 3)
dunque sono: cogito, ergo sum.
 Una prima obiezione che potremmo fare è la seguente:
allora, ciò che non pensa non è? Ovvero, vi può esserci
qualcosa che non pensa?
 Ecco che siamo nella diuturna diatriba tra realistioggettivisti (Aristotele e Tommaso d’Aquino) e
soggettivisti (Agostino e Descartes).
 Chi ha ragione? Si può dare una ragione che prevalga
sull’altra?
Dal “Cogito“ a Dio
 Descartes, per superare la querelle, ritiene che occorra
un fondamento: non altro che Dio stesso, come
causa dell’idea massima, quella di infinito.
 Ciò che conosco dipende dunque dalle idee chiare e
distinte che io -conoscendo- acquisisco: Dio è causa
delle idee e anche causa del mio stesso essere.
 Se è vero che le idee derivano da Dio e che Dio è causa
prima, anche della mia esistenza, Dio è causa sui,
come essere perfettissimo, incausato e incondizionato,
eterno e infinito.
Dio e la verità
 Il dilemma che si pone è dunque se sia Dio il garante
della verità delle cose, o se l’autocoscienza, in
quanto capace di concepire idee chiare e distinte,
sia il momento e il luogo nel quale abbiamo, come
esseri umani l’idea di Dio.
 Vi è prima di tutto, quindi, Dio e le realtà create
oppure il “cogito”, che mi permette di avere evidenza
di me e del mondo, come creature di Dio?
 Su questo, in Cartesio, permane una certa ambiguità di
fondo, che gli è stata rimproverata, sia dai
contemporanei sia successivamente.
Il mondo esterno
 Per Descartes il mondo esterno può essere conosciuto
solo nella sua estensione e nel movimento, di cui
danno evidenza le scienze matematiche e geometriche.
 Tutte le altre qualità delle cose, suoni, colori, odori,
calore e freddo, sono sottoposti al giudizio soggettivo
degli esseri umani, e pertanto non possono avere
caratteristiche di oggettività.
 La conoscenza è dunque possibile tramite i principi
della matematica e della geometria, che sono veri
come Dio stesso.
“Res cogitans “ e “res extensa”
 Si dà alla conoscenza dell’uomo una prima dimensione
che è detta “res cogitans”, cioè spiritualità, psichismo
e senso morale; e poi una seconda dimensione, che è
detta “res extensa”, cioè il mondo fisico, compreso il
corpo umano.
 Si accentua in questo modo un dualismo netto tra le
due dimensioni che Descartes cerca di comporre con la
teoria di strutture sottili -gli spiriti- che
collegherebbero le due dimensioni, mediante
movimenti sottili dei nervi.
L’errore
 Per il nostro l’intelligenza umana non può sbagliare nella
concezione dell’idea di una cosa, bensì nel giudizio che
di essa può dare: pertanto la possibilità dell’errore risiede
nel libero arbitrio, cioè nella volontà, che è limitata dal
fatto che esistono le passioni o inclinazioni naturali:
 Nulla, perciò, che derivi dalla res cogitans , dal puro
intelletto, può essere oggetto di errore.
 Descartes è stato un vero e proprio spartiacque nella
storia del pensiero occidentale: con lui inizia con maggior
nettezza una fase nella quale il soggetto pensante e
agente è posto al centro della riflessione filosofica.
Dopo Cartesio
 Nulla dopo questo pensatore è stato come prima in
ambito filosofico.
 Cartesio trovò sostenitori e avversari: tra questi
indubbiamente Malebranche e Pierre Gassendi, che
non trova nel cartesianesimo un vero superamento
della metafisica classica: Gassendi, invece, propone
una sorta di ritorno all’epicureismo atomistico
attraverso il sensismo, in definitiva lo sperimentalismo
di una scienza che trae dall’empiria la propria
epistemologia e anche il proprio linguaggio.
Blaise Pascal
(1623-1662)
 La formazione di Pascal è scientifica e filosofica. Studi
di geometria e matematica caratterizzano i primi anni
della sua crescita.
 Ben presto, però, il giovane Pascal non si fa bastare lo
studio della natura attraverso le scienze del numero e
si rende conto che la conoscenza non può essere data
dal solo esprit del geometrie, cioè dalla possibilità del
calcolo razionale: all’uomo, infatti, sfugge senza
possibilità di raggiungerlo, Dio stesso e la nozione di
infinito e di eterno.
L’affidamento e la scommessa
 Solo l’esprit de finesse, l’intuizione, può dare all’uomo
la possibilità di intuire che vi è una dimensione, quella
divina, in grado di dare la risposta definitiva.
 La “scommessa su Dio” (Dio c’è, e così vi è anche la
prospettiva dell’infinito) maturata negli ambienti del
giansenismo di Port Royal, dà a Pascal quello spirito di
ricerca mistica e spirituale, che lo colloca in una linea
di superamento, sia nel neonato cartesianesimo, che
per lui era troppo razionalista, sia della tradizione
aristotelico-scolastica: Pascal recupera così il filone più
autentico dell’agostinismo etico-filosofico.
Baruch Spinoza
(1632-1677)
 Ebreo di origine portoghese, Spinoza nasce a Amsterdam, dove studia




l’Antico testamento e il Talmud nelle scuole ebraiche. Allievo di
Franciscus van den Enden, professa una libertà di pensiero tale da
essere espulso dalla comunità ebraica.
Nel 1660 lascia Amsterdam per Rijnsburg, nei pressi di Leyden, dove
termina il Breve trattato su Dio, l’uomo e la sua felicità, iniziando il
Tractatus de intellectus emendatione, rimasto incompiuto.
Successivamente pubblica il Renati Des Cartes principiorum
philosophiae, Pars I et II more geometrico demonstratae, insieme al
Cogitata metaphysica.
Un ultimo trasferimento, a Voorburg presso l’Aia, gli permette di
attendere al fondamentale Ethica ordine geometrico demonstrata, e al
Tractatus theologico-politicus.
Muore all’Aia .
La “sostanza”
 Se Cartesio separa per primo la dimensione del mondo
dalla dimensione del pensiero, legandolo però
all’autoconsapevolezza del soggetto, Spinoza fa un passo
deciso in tutt’altra direzione: colloca la sua epistemologia
su una posizione decisamente monista, nettamente
contraria al dualismo cartesiano.
 Per Spinoza, tutto ciò che è in sé concepito per sé è
sostanza, la quale è -appunto- comprensibile in sé e per sé:
cioè è causa sui, esistendo necessariamente, poiché non
può non esistere.
 Tale sostanza coincide con Dio stesso: Deus sive
Natura.
Gli attributi della sostanza
 Si capisce come una tale concezione creasse problema, non
solo negli ambienti ebraici, ma anche i quelli cristiani.
 Dio, però, non coincide in assoluto con la natura, perché
questa si manifesta con caratteristiche, gli attributi,
praticamente infiniti. Gli attributi sono ciò che l’intelletto
percepisce della sostanza come costitutivo della specifica
essenza.
 Gli attributi sono la sostanza, ma noi ne conosciamo
realmente due soli: il pensiero e l’estensione, che però
sono due modi della sostanza stessa, che è infinita.
I modi della sostanza
 Se gli attributi sono la sostanza stessa, i modi ne sono gli




accidenti (cf. tradizione aristotelico-scolastica).
Ad esempio,il movimento è un modo dell’estensione,
mentre la nascita è un modo della generazione, ovvero la
morte un modo della corruzione.
I modi sono nel tempo, e quindi non necessariamente
esistenti mentre la sostanza (che è Dio) è eterna.
Alcuni modi, però sono intermedi tra la sostanza e i modi
finiti: sono i modi infiniti, come il pensiero, che è
immagine dell’intelletto infinito di Dio.
La sostanza pensante e la sostanza estesa sono
dunque la stessa cosa sotto due diversi punti di vista,
perché ambedue sono causate da Dio.
Natura naturans
e natura naturata
 Tutto rinvia a Dio, unica infinita sostanza, causa immanente di
tutta la realtà. Ogni essenza ed esistenza particolare, e anche il
suo operare afferiscono al rapporto con Dio stesso, vale a dire
tra natura naturans e natura naturata.
 La prima è ciò che in sé ed è concepito per sé, mentre la seconda
concerne tutto ciò che afferisce agli attributi di Dio nelle cose,
che comunque sono in Dio, perché altrimenti non potrebbero
essere neppure nelle cose, come attributi e modi.
 La realtà molteplice è comunque, se vista dall’intelletto,
una e unificata nella sostanza unica, che è Dio.
Libertà e necessità
 Tutta la realtà delle cose, gli uomini e i gruppi umani,
sono espressioni, modi e attributi di Dio, e quindi
sono intrinsecamente connessi e necessari.
 Tutta la realtà è necessaria e quindi anche la visione etica
a ciò si deve riferire.
 Se la mente riesce a cogliere l’unità del tutto, allora riesce a
cogliere Dio in tutte le cose, e in esse vede la necessità che
siano.
 Tale visione non crea pochi problemi a noi che siamo
immersi nella cultura del libero arbitrio, anche se
diversamente declinato.
Le tre forme di conoscenza
 Per Spinoza vi è una scalarità delle forme di conoscenza:
- la prima è l’immaginazione, che è conoscenza
inadeguata, approssimativa, condizionata da ciò che
esterno;
- la seconda è la ragione, che è conoscenza atta a cogliere i
nessi causali tra le cose e i loro rapporti con il tutto:
- la terza concerne la conoscenza intuitiva, che è in grado
di cogliere il tutto in modo non discorsivo, ma immediato.
La morale
 Spinoza è conseguente in tutto il suo pensiero. Circa gli aspetti




etici, soprattutto con l’opera Ethica ordine geometrico
demonstrata, si mantiene sullo stesso binario della sua
metafisica della sostanza.
L’amor Dei intellectualis, fa sì che ogni persona, nello sforzo
vitale (conatus) si esprime mediante la volontà, o gli appetiti,
concernenti tutto il proprio essere fatto unitariamente di corpo e
mente.
Le stesse passioni sono dunque parti di questa ricerca in
ognuno del proprio bene, che è l’utile, vale a dire ciò che
conserva ed espande il soggetto stesso.
Ma il massimo bene per l’uomo è la ragione intellettuale,
che lo deve portare al governo delle passioni smodate che
lo portano alla sofferenza e al conflitto con gli altri.
Pertanto, la suprema virtù della mente è conoscere Dio.
Diritto e Stato
 Se l’uomo, mediante la conquista del primato della ragione riesce
ad effettuare una costante meditatio vitae, può anche accettare
che la sostanza necessaria di Dio che si esprime nella natura,
possa essere rappresentata anche dagli ordinamenti pubblici
della società e dello stato.
 Il diritto naturale è sia oggettivo sia soggettivo, ma l’uomo,
avendo bisogno di governar le passioni, decide per il suo bene di
demandare a una struttura superiore (echi di Hobbes!) il governo
delle cose comuni. Allo Stato.
 Nel Patto sociale si esercita questa delega (cf. Tractatus
theologico-politicus), nella societas e nella civitas, dove si
esercita una ragione collettiva per il Bene comune (in questo
Spinoza si differenzia fortemente da Hobbes, che è
fondamentalmente pessimista sulla natura umana).
Gottfried Wilhelm Leibniz
(1646- 1716)
 Leibniz nasce a Lipsia, dove studio i filosofi moderni sotto la guida di Jakob
Thomasius: Bacone, Cardano, Campanella, Galilei, Keplero, Cartesio, Hobbes
sono i suoi autori di formazione. Studia poi diritto e matematica a Jena e a
Altdorf.
 Nel 1666 pubblica il trattato di logica De arte combinatoria. Legatosi al barone
di Boineburg a Norimberga e presso l’Elettore di Magonza Giovanni Filippo, è
consigliere della cancelleria, ove si occupa attivamente delle questioni politiche
e culturali del suo tempo. Nel 1667 pubblica il Hypothesis physica nova, poi va
in missione diplomatica a Parigi., dove conosce Malebranche. A Londra conosce
Newton con cui competa circa la scoperta del calcolo infinitesimale. In Olanda
conosce Spinoza, ma poi ritorna ad Hannover riprendendo il suo lavoro
diplomatico, protetto dalla duchessa Sofia. Fonda l’accademia delle scienze di
Berlino e pubblica finalmente i principali trattati: Meditationes de cognitione,
veritate atque ideis il Discorso di metafisica, il Nuovo sistema della natura, i
Nuovi saggi sull’intelletto umano (letti quelli di Locke), il Nova methodus pro
maximis et minimis rentalis usus, gli Elementa analyseos infinitorum etc., i
Saggi di teodicea, i Principi di Filosofia o Monadologia e i Principi della natura
e della grazia. Muore ad Hannover.
La logica
 L’intento di Leibniz è quello di trovare una logica nuova
rispetto a quella classica, più simile alla logica matematica
o algebrica. La discussione (a volte infinita e defatigante)
avrebbe potuto così diventare una specie di calcolo logico.
Il suo intendimento è quello di costruire un linguaggio
analitico condiviso, che sia in grado di superare le
controversie tra le persone, tra i popoli e tra i dotti, che
spesso derivano più da incomprensioni e travisamenti
linguistici, che da reali differenze di opinione o di giudizio.
 È la sua un po’ una ripresa dell’ars combinatoria di
Raimondo Lullo, che già nel secolo precedente a Leibniz era
stata riconsiderata.
Verità di ragione e verità di fatto
 Per Leibniz la logica si basa innanzitutto sui principi del
reale, i cui due principali sono: a) il principio di non
contraddizione o di identità e, b) il principio di ragion
sufficiente, cui corrisponde la distinzione tra verità di
ragione e verità di fatto.
 Nelle verità di ragione ciò che si predica coincide con il
soggetto, e quindi esse sono incontrovertibili come i
principi o assiomi matematici, apriori, mentre nelle
verità di fatto il predicato aggiunge qualcosa, e
pertanto esse sono opinabili, e dunque dimostrabili
solo a posteriori.
Conoscenza divina
e libertà umana
 L’a-priori e l’a-posteriori hanno a che fare con le due
conoscenze, quella divina e quella umana: se Dio, come
creatore conosce tutto immediatamente, l’uomo ha invece
bisogno di un processo discorsivo.
 Dio non necessita di chiarire a se stesso ciò che ha creato e
che governa, mentre l’uomo ha continuamente bisogno di
chiarire il processo conoscitivo delle cose, di sé e del
mondo stesso.
 Le verità di ragione appartengono solo a Dio come gli
assiomi matematici, mentre le verità di fatto appartengono
all’opinione e al giudizio umani, che sono intrinsecamente
limitati.
La sostanza individuale
 Leibniz concepisce la sostanza in modo diverso da Spinoza
e da Cartesio (la res extensa): egli la vede non come un
qualcosa di esteso, ma come il punto immateriale, inesteso,
metafisico, che chiama monade: cioè la sostanza semplice
che entra nei composti in modo infinito. L’’ispirazione per
tale concetto gli deriva, sia dal calcolo infinitesimale, sia
dalle recenti conquiste della biologia, che si può avvalere di
strumenti come il microscopio.
 La monade, in quanto sostanza individuale, è indivisibile e
imperitura, pura sostanza creata da Dio per comporre tutte
le creature e le cose del mondo.
I rapporti tra le monadi
 Le monadi sono sostanze autonome nelle quali si
riflettono tutte le perfezioni divine. Ogni monade è
diversa da tutte le altre come individua, indivisibile,
come la persona umana. È indipendente e
indiscernibile perché incomunicabile.
 Tra le monadi vi è un ordine gerarchico, per cui le
strutture della realtà sono composte in un’armonia
naturale.
 L’universo è un continuum di monadi, che si accordano
nell’armonia prestabilita da Dio stesso.
Il problema della materia
 Per Leibniz la materia costituisce un tema importante:
se le monadi sono sostanze individuali indistruttibili,
come si può dare la materia, i corpi fisici?
 Occorre una sorta di entelechia (di tipo aristotelico),
cioè la possibilità che le strutture organiche siano
organizzate da un principio naturale, da una forma,
che è la natura stessa,
 Questa è dunque la monade dominante che può
organizzare i corpi e tutte le cose della realtà umana e
naturale.
L’armonia prestabilita e la monade
 Per comprendere le modalità con le quali la realtà spirituale
può esistere insieme a quella materiale, Leibniz ipotizza
che Dio abbia fin dall’inizio predisposto una modalità per
la quale ogni dimensione della realtà è adeguata all’altra, in
una sorta di armonioso concerto di partecipazione:
l’armonia prestabilita.
 Un’armonia che ricorda un poco la nozione insita
nell’albero di Porfirio e anche nella prova tommasiana
dell’esistenza di Dio concernente la scalarità degli esseri e
dell’essere, dai minerali, passando per i vegetali, gli
animali senzienti e gli uomini provvisti di ragione
argomentante. E fino a Dio stesso che costituisce la
monade suprema.
La conoscenza
 La gnoseologia di Leibniz ha a che fare con la tradizione
platonica e cartesiana: Leibniz infatti concepisce la
conoscenza come una continua ispirazione derivante da
Dio stesso, muovendo delle potenzialità intrinseche alla
monade razionale presente nell’uomo.
 Se per Leibniz l’esperienza è importante (ma non come in
Locke, come vedremo), resta prevalente e centrale il ruolo
dell’intelletto, come dal detto scolatico “nihil est in
intellectu quod prius non fuerit in sensu, praeter
intellectus ipse”. Cioè, l’intelletto viene prima, e qui siamo
sulla linea platonico-agostiniano-cartesiana.
Dio e la creazione
 “Dio, per Leibniz, è la ragione prima di tutte le cose”. Lo
mostra il principio di causa o di ragion sufficiente: ogni
cosa non può avere in se stessa la causa del proprio esistere,
e pertanto bisogna risalire a una causa prima, perfetta,
onnipotente, eterna, buona, cioè Dio stesso.
 Da Dio derivano le verità di ragione, gli assiomi
matematici, gli enti creati e le loro essenze, che sono
contenuti da sempre in mente Dei.
 E siccome ogni essenza, o monade,è nella mente di Dio, ciò
che Dio fa esistere è ciò che di meglio possa essere: il
migliore dei mondi possibili (perché in Dio tutto e
possibile, ma Dio non può che volere solo il bene).
L’ottimismo e il finalismo
 Dio è causa intelligente, libera e buona, e perciò bisogna guardare il
mondo con un ottimismo razionale derivante da questa disposizione
di Dio.
 Si pone a questo punto, anche in Leibniz, il quesito agostiniano
sull’origine del male: da quello metafisico, a quello morale a quello
fisico: l’origine è nella stessa natura delle cose-monadi, poiché queste
sono limitate dalla loro stessa sostanza, imperfetta così come è
collocata nell’infinita scala della perfezione, che raggiunge il suo
culmine in Dio solamente.
 Il male è quindi una nozione metafisica cui segue ogni sua
manifestazione morale e fisica, necessitata dalle condizioni dell’essere
delle cose del mondo.
 L’uomo, che è monade razionale, deve allora tendere con tutte le
sue forze al bene, che la ragione e l’intelletto donatigli da Dio gli
consentono, dominando le passioni per perseguire il vero Bene
con Dio e in Dio.
La rivoluzione scientifica
 La rivoluzione scientifica va di pari passo con quella
filosofica: dal ‘600 la scienza non si occupa più di essenze e
sostanze, ma di fenomeni misurabili matematicamente,
come insegnava Galileo.
 Un meccanicismo generale permea il sapere scientifico, e in
parte anche quello filosofico: basti pensare che Cartesio
immaginava gli animali e le piante come bio-macchine.
 In ogni caso in quel secolo si registrano decisivi passi in
avanti del sapere scientifico: 1) le leggi astronomiche di
Keplero, 2) la meccanica di Galileo, 3) il sistema circolatorio
di Harvey, 4) la geometria di Descartes, 6)la geologia di
Stenone, 7) l’astronomia di Newton, etc..
La “nuova scienza”
 “La natura è scritta in linguaggio matematico”, è la
formula galileiana che troviamo nel Saggiatore del 1623. La
natura è costituita dunque di fenomeni quantitativi.
 Il fenomeno diventa quindi oggetto di scienza, così come
l’essere era stato fino ad allora l’oggetto principale della
riflessione filosofica, mentre il fenomeno (letteralmente
“ciò che appare”) era stato sempre oggetto della dòxa, cioè
dell’opinione.
 Sulla natura del mondo si passa dal concetto di cosmo,
ordinato e finito, al concetto di universo, luogo della
complessità indefinibile (Cusano, Galileo, Bruno…).
John Locke
(1632-1704)
 Lo schematismo storiografico dei manuali colloca Locke
insieme con Berkeley e Hume nel novero dell’empirismo inglese,
ma, come sempre, le cose sono più complesse e intrecciate. In
realtà, il richiamo all’esperienza si può far risalire addirittura a
Occam e più recentemente a Bacon. Pertanto Locke è inserito in
un processo molto ricco e articolato che ha a che fare con tutto il
pensiero europeo del suo tempo.
 Locke nasce nei pressi di Bristol, e studia a Oxford scienze
naturali (con Robert Boyle), medicina e filosofia (in particolare il
pensiero di Gassendi, di Cartesio e dei libertini).
Un po’ di biografia
 Esercita la professione di medico e precettore,
nell’entourage di Lord Ashley, conte di Shaftesbury, che
diviene presidente del Consiglio del re.
 In disgrazia il Lord “protettore”, Locke va in Olanda, per
tornare in Inghilterra passata la buriana.
 Ivi fu nominato Consigliere per il commercio nelle colonie,
come esponente liberale, aperto alle innovazioni che
l’economia di mercato nascente suggeriva. Contradditorio
il suo atteggiamento nei confronti dei regimi di schiavitù in
uso nel tempo.
 È in quel periodo che scrive l’importantissimo “Saggio
sull’intelletto umano” (1690).
Il pensiero
 Per Locke la questione è quella di una critica delle
facoltà intellettuali, attento sia all’empirismo di Bacon,
sia al razionalismo cartesiano.
 Giunge però ben presto alla conclusione che non vi
può essere nel processo conoscitivo un dominio
assoluto della ragione, ma un concerto di attività
conoscitiva, che non può non partire se non dalla
mente.
 Nella mente si trovano le idee che consentono di
avviare e sviluppare l’attività conoscitiva di sé e
del mondo.
Il “Saggio sull’intelletto umano”
 Il testo in questione tratta: a) dell’origine delle idee, b) della
certezza e dell’estensione della conoscenza umana, c) dei
fondamenti della credenza, dell’opinione e dell’assenso.
 Per Locke non possono darsi (come in Platone, Cartesio e
nei loro seguaci) idee innate: neppure i principi primi
come quello di non contraddizione, o la stessa “idea di
Dio”.
 Non si può dunque dire che l’uomo parte da un patrimonio
iniziale comune e condiviso, ma che comincia a conoscere e
procede nella conoscenza solo vivendo, solo
sperimentando, sbagliando e correggendosi.
L’empirismo di Locke
 Però, più che sulla linea di Aristotele o Tommaso d’Aquino,
Locke si pone sulle tracce di Bacon e dei sensisti: egli
infatti non crede alla possibilità di una conoscenza
oggettiva del reale, ma sempre legata alla
sperimentazione.
 Egli non credeva neppure alla possibilità di verità
fisiche o matematiche incontrovertibili: nessun
principio innatista, per Locke, è ammissibile, perché
mezzo di affermazione del potere,indipendentemente
dalla verifica sperimentale (critica dell’ipse dixit,
comunque).
I vari tipi di idee
 Per Locke vi sono:
 - le idee di sensazione, provenienti dall’esperienza, come i
colori;
 - le idee di riflessione, concernenti gli atti interni della mente
umana: il dubitare, il volere, etc.;
 - le idee semplici, cioè quelle costituite da elementi semplici,
suddivise in: a) primarie, come l’estensione, la figura, il moto,
etc.; b) secondarie (soggettive), come i colori, i suoni, gli odori, i
sapori, etc.;
 - le idee complesse, vale a dire le idee derivanti dall’esperienza e
prodotte dalla mente in termini di modo, di sostanza, e di
relazioni, che altro non sono se non collazioni di idee semplici
(mela che ha un colore e un sapore, non “sostanza” della mela…).
Il linguaggio e la conoscenza
 Il linguaggio è una struttura convenzionale di nomi ed
espressioni, che serve per la comunicazione e la
trasmissione di dati, e come supporto per la
sistematizzazione della conoscenza.
 Questa avviene in due modi:
 - per intuizione, quando si dà una conoscenza certa e
incontrovertibile, immediata (la percezione di un triangolo!);
 - per dimostrazione, con la seguente scalarità: a) conoscenza
intuitiva di se stessi; b) conoscenza dimostrativa dell’esistenza di
Dio; c) conoscenza delle cose esterne per sensazione.
 Fuori di questo sistema esistono solo: a) la conoscenza probabile,
b) la conoscenza per fede/fiducia e, c) l’opinione.
Il liberalismo politico
 Per Locke, lo Stato deve garantire e accrescere i beni civili comuni. Da
una posizione inizialmente autoritaria di tipo hobbesiano, Locke
progressivamente si sposta verso posizioni liberali (Whig).
 Con i due Trattati sul Governo, Locke sostiene che tra gli uomini si
realizza un patto sociale di reciproco vantaggio, nel quale ciascuno
rinuncia a qualcosa in cambio di continuità e sicurezza.
 A differenza di Hobbes, Locke sostiene che agli uomini devono essere
comunque garantiti i diritti soggettivi, civili e sociali, come quello alla
vita, alla proprietà, alla libertà, all’uguaglianza… In Locke il Pactum
Societatis è connesso con il Pactum Subjectionis (allo Stato), per
conseguire i migliori fini della convivenza.
 In questa situazione devono essere armonicamente collaborativi anche
i vari poteri, in ordine gerarchico: a) legislativo (supremo), b)
esecutivo(il re e il suo governo), c) giudiziario, d) federativo.
 Se così non fosse il popolo potrebbe ribellarsi!!!
La religione
 In A Letter Concerning Toleration (1685), Locke espone
un pensiero concernente la religione naturale, che
precede ogni religione storica, religione naturale
che può essere “di tutti” (deismo).
 Lo Stato deve comunque essere a-confessionale, laico,
e le strutture religiose tolleranti e rispettose delle
diversità.
 Infine, per Locke Dio esiste perché esiste il mondo
creato e perfettibile: un essere eterno è
assolutamente ragionevole.
George Berkeley
(1685-1753)
 Nato a Kilkenny in Irlanda, Berkeley si laurea a
Dublino in filosofia.
 La sua vita è un mix di ricerca e attività pratiche:
idealista, si pone l’obiettivo di evangelizzare e
“civilizzare” i “selvaggi” d’America. Ma si ferma a New
Jork, per fare ritorno in Irlanda dove viene nominato
vescovo di Cloyne.
 Scrive diversi testi molto interessanti e originali, tra i
quali ricordiamo il “Trattato sui principi della
conoscenza umana”, e diversi dialoghi.
Il pensiero
 Berkeley è il più “estremista” degli empiristi inglesi, al
punto da poter affermare che tutto ciò che è è solo e
solamente in quanto percepito: “esse est percipi”,
null’altro.
 Per lui tutto ciò che appare, è pura immaterialità,
essendo reale solo in quanto è presente-alla-mente.
 Non vi sono sostanze, ma puri nomi che significano
cose (nominalismo estremo, sulle tracce di Occam?).
 Le idee vengo impresse nell’uomo da Dio, il quale solo
esiste, mentre tutto ciò che è, è in quanto appare all’essere e
alla percezione.
David Hume
(1711-1776)
 Di Edimburgo, dove è nato e morto, Hume rappresenta uno snodo
fondamentale della filosofia europea. Presentato come un campione di
scetticismo metodico, si differenzia dai classici per una sua peculiare visione
della conoscenza.
 Dagli studi di giurisprudenza passa ben presto agli studi filosofici e letterari
classici, imbevendosi di cultura empirista.
 Non avendo avuto successo come avvocato (ma non gli piaceva), emigra in
Francia dove di trattiene quattro anni. Lì scrive il Trattato sulla Natura
umana, per poi tornare in patria, anche se non definitivamente, poiché ricopre
vari incarichi diplomatici a Vienna e Torino.
 La sua carriera universitaria non decolla mai, se non come bibliotecario a
Edimburgo forse perché l’invidia funzionava allora come ora. Ottiene alla fine
un prestigioso incarico presso l’ambasciata inglese di Francia a Parigi dove
conosce Voltaire, il barone d’Olbach , Diderot, D’Alembert, e Rousseau, che
invita in Inghilterra, senza però stabilire un proficuo rapporto umano e
scientifico, soprattutto per il carattere non facile del ginevrino.
Metodo sperimentale
e mondo dell’uomo
 Hume desidera applicare alla riflessione sull’uomo e la sua
natura la metodologia empirio-scientifica newtoniana. I
testi più importanti di questo progetto, dopo il “Trattato…”
sono la “Ricerca sull’intelletto umano” e la “Ricerca sui
principi della morale”.
 Newton e Locke sono i binari teoretici su cui si basa la sua
ricerca: Hume, infatti, non intende assoltutamente
allontanarsi da un percorso conoscitivo che si
distacchi dall’esperienza umana: ogni altra teoresi, di
tipo metafisico o d’altro genere, per lui è non valido o
addirittura fuorviante e pericoloso.
 Le percezioni sono la base di tutta la conoscenza.
L’analisi empirica della conoscenza
 Per Hume tutta la conoscenza parte dalle impressioni,
che comprendono le sensazioni, le passioni e le
emozioni, così come appaiono alla mente umana.
 Le impressioni precedono sempre le idee e
l’immaginazione, mentre non possono in alcun
modo darsi idee astratte.
 Molto interessante è la posizione humeana circa la
categorie di spazio e di tempo: lo spazio è
l’associazione di idee contemporanee, mentre il
tempo è l’associazione di idee successive.
La relazione causa-effetto
 Hume mette in questione la classica ipotesi causale, per cui
se due eventi collegati in rapida successione accadono, vi
sarebbe un nesso di causalità necessario tra di essi.
 Egli invece propone la plausibilità della mera
successione, ma privata del nesso di causalità.
 Per Hume, infatti, anche se a memoria d’uomo quanto
creduto come principio di causalità si è sempre mostrato
vero, ciò non significa che accadrà un tanto sempre e
comunque. Lo scetticismo del filosofo inglese viene
dunque applicato anche ai processi conoscitivi dati per
maggiormente ovvi.
La critica della credenza
 Anche sulle leggi fisiche, come quelle del moto dei
pianeti e della gravità, Hume pose dei dubbi, circa la
loro certa e necessaria ripetitività: nulla, infatti, può
confermare con assoluta certezza che ciò che appare come
vero oggi, sia sempre a accaduto e così continuerà ad
accadere per sempre.
 Per Hume, dunque, non si può mai essere certi che le leggi
fisiche e naturali finora date per certe e inconfutabili, non
possano essere riviste. Si può dire che, storicamente,
l’inglese ha avuto molte ragioni: basti pensare al
cambiamento del pensiero sul moto dei pianeti, della
terra e del sole, dall’aristotelismo-tolemaico, al
copernicanesimo, a Galileo e infine a Einstein.
La critica della sostanza corporea
e psichica
 Per Hume in nessun caso di può parlare di sostanza per
definire qualcosa che è e che si percepisce: la
percezione, infatti, concerne solo collezioni di qualità
particolari, che la mente tende a unificare in un concetto
rappresentativo di una realtà.
 Ciò è, se possibile, ancor più vero per l’io umano,
talché l’io stesso, modificandosi quotidianamente e
continuamente, è una realtà indefinibile in termini
assoluti e netti. Siamo qui di fronte a una sorta di
evoluzionismo filosofico estremo, anche se non
radicalmente scettico, come nei maestri antichi, del genere
di Pirrone o Sesto Empirico.
Lo scetticismo di Hume
 Lo scetticismo di Hume non comporta, come nei
classici, una sospensione del giudizio perché ritenuto
impossibile a darsi, ma una sorta di razionalismo
probabilistico, anche se proveniente dall’esperienza.
 Per lui solo le conoscenze matematiche, in quanto
rappresentazione convenzionale della realtà, possono
dirsi certe e incontrovertibili.
 La strada tracciata da Hume si sarebbe poi
rapidamente trovato Kant, con l’impostazione critica
del suo pensiero, e in tempi più a noi vicini Bertrand
Russell.
Morale e libero arbitrio
 La morale, per Hume, non è un sapere astratto, ma
concreto, per cui il giudizio sulla bontà o malvagità di
un’azione non può essere condizionato, né da una dottrina
filosofica, né da una dottrina religiosa, ma deve essere
definito indipendentemente dal premio o dalla punizione.
 Hume, comunque, critica, per quanto riguarda la
libertà umana, sia la visione del libero arbitrio, sia il
determinismo e l’ipotesi della casualità, sostenendo
che non si può dare in ogni caso, ma che è
indecidibile.
Filosofia della religione
 Il tema religioso interessa molto Hume, sempre nello stesso
spirito critico-scettico. Per lui la religione nasce dal
timore umano per l’ignoto che si trova dopo la morte,
per cui l’affidamento a Dio è l’unica speranza di
salvezza.
 Egli descrive il processo storico che ha portato le credenze
religiose dal politeismo al monoteismo. In quest’’ultima
versione della religiosità, Hume intravede il rischio
dell’assolutismo e del fanatismo (quanta ragione ha
avuto!), raccomandando, alla fine, di “ripararsi felicemente
nelle regioni della filosofia, oscure ma tranquille”.
Giambattista Vico
(1668-1744)
 Napoletano, Vico studia, dapprima un poco
disordinatamente teologia, metafisica e filosofia, e poi con
sempre maggiore metodo e presso validi magistri, fino a
laurearsi a Salerno in diritto. Nel 1999 l’Università di Napoli
gli affida la cattedra di eloquenza.
 Vico è appassionato dei classici, di Platone, Agostino,
Tacito, ma anche dei “moderni”, che legge e studia
avidamente, in particolare Bacon, Descartes (che
successivamente critica con grande acribia), e Hugo de
Groot (Grozio), dal quale trae molto delle sue dottrine
giusnaturalistiche e e storiografiche.
Le opere e il pensiero
 I suoi scritti sono numerosi e complessi, a partire dalle sette
orazioni inaugurali degli Anni accademici universitari, tra le
quali è importante la De nostri temporis studiorum ratione; sono
da ricordare anche le opere successive di carattere
giurisprudenziale, come il De universi iuri uno principio et fine
uno, e il De constantia iurisprudentis.
 Il suo pensiero critico comincia a delinearsi, infine, con le
consecutive opere Principi di una scienza nuova intorno alla
natura delle nazioni, i Cinque libri de’ principi di una scienza
nuova intorno alla comune natura delle nazioni, e la Scienza
nuova terza, pubblicata poco prima della morte.
 Con queste ultime opere Vico delinea un pensiero sistematico
sulla storia del mondo, delle nazioni e degli uomini, in una
visione laica, ma non priva di uno spirito escatologico
(l’influenza di Tacito e di Agostino si fa sentire).
La polemica anticartesiana
 In sostanza, Vico, pur apprezzando lo sforzo dei moderni di
comprendere la realtà tutta, applicando forme e metodi di carattere
scientifico (Descartes in primis), ne nega una validità assoluta,
ritenendo che il deduttivismo non possa riuscire a comprendere
tutta l’infinità e variegata realtà delle cose del mondo e delle cose
umane.
 In altre parole, il Vico ritiene che non si debbano abbandonare gli
strumenti narrativi e conoscitivi classici della filologia e della
filosofia per costruire una epistemologia completa, soprattutto
nelle cose che non sono quantificabili e misurabili come gli atti
umani e delle nazioni, nel corso del tempo.
 Per lui non è pensabile la realtà se non come un continuum di infiniti
punti (elementi leibniziani?) che si sviluppano fino a realizzare
tutto ciò che è e che accade, mediante sforzi (conatus) e tentativi.
Il criterio della verità
 Per Vico, Descartes, con la sua ipotesi conoscitiva delle idee chiare e
distinte, nascenti dall’autoconsapevolezza, non tiene conto che la verità
non può che essere colta nei fatti sperimentati: per Vico verum et
factum reciprocantur seu convertuntur, vale a dire il vero e il fatto si
danno reciprocamente.
 L’uomo, comunque, non può conoscere l’intima struttura delle cose
(che è accessibile a Dio solo, in quanto Creatore e Signore del tutto),
bensì solamente i fatti che compie e ciò che conosce per evidenza o
comunicazione di notizia da parte di persone fededegne od esperte
(viaggiatori e scienziati).
 Le cose conosciute dall’uomo, lo sono mediante una denominazione,
che viene data per esigenze di chiarezza e di classificazione.
 Solo le matematiche, in quanto scritte per convenzioni, sono veritative,
certe e incontrovertibili.
Il mondo dell’uomo: la storia
 La storia è il “mondo dell’uomo”, che può essere conosciuto
perché costituito dai fatti.
 Il mondo umano può essere conosciuto di più e meglio del
mondo della natura, i cui elementi costituitivi restano in
grande parte inaccessibili, perché noti solo a Dio.
 Per Vico, dunque, la filosofia si deve interessare
essenzialmente della storia umana, cercando di trarne le
regole generali, mentre la “filologia”, nella sua accezione,
deve dare il contributo analitico sui fatti storici accaduti, i
nomi dati alle cose, e via dicendo. Ognuna delle due
scienze deve integrarsi con l’altra per il fine della
conoscenza di ciò che l’uomo è in quanto autore.
Senso, fantasia, ragione
 Vico paragona queste tre dimensioni conoscitive, quella
dei sensi, quella dell’immaginazione e quella della
ragione a tre età della storia umana, in ciascuna delle
quali ha prevalso una di esse: a) alla dimensione
sensoriale l’età degli dei, b) alla dimensione della
fantasia l’età degli eroi, c) alla dimensione razionale
l’età degli uomini, successivamente.
 Al di sopra di tutto il processo evolutivo della Storia, per
Vico, comunque, c’è il Disegno provvidenziale di Dio, il
quale ha stabilito un percorso, che nel tempo porterà tutti
gli esseri umani a una vita migliore.
Linguaggio, poesia e mito
 Per il filosofo napoletano, il percorso che porta gli
uomini dall’età degli dei a quella della ragione, è un
percorso evolutivo, che prescinde da supposte e
irragionevoli “età dell’oro”, antichissime, vagheggiate
da sognatori e cantastorie: in realtà l’evoluzione
dell’uomo e delle civiltà è lenta e non priva di
contraddizioni: se vi è una linea che segna
indefettibilmente questa evoluzione, è quella della
nascita e dello sviluppo del linguaggio, che dal
mito e dalla poesia, giunge ad essere il mezzo
condiviso della riflessione, della filosofia e della
scienza.
Corsi e ricorsi storici
 Se per Vico in generale si possono intravedere i tre stadi
dello sviluppo umano sopra detti, ciò non significa che nel
tempo non possano esserci di nuovo arretramenti,
deviazioni, nuove stagioni di barbarie e ripiegamento…
 D’altra parte che cosa si può pensare del ‘900, il XX
secolo, il secolo breve, con le sue insuperabili stragi di
esseri umani e di indicibili crudeltà? E, se vogliamo,
della stessa crisi economico-finanziaria epocale che
stiamo vivendo in questi anni in tutto il mondo?
 …che Vico aveva qualche ragione.
L’illuminismo
 Nel nostro lungo percorso siamo giunti alla stagione
dell’illuminismo, cioè al tempo nel quale la ragione ha
acquisito tutta la sua centralità nella storia del pensiero
umano occidentale.
 La Francia è il luogo nel quale si è particolarmente
sviluppata questa linea di pensiero. Abbiamo già visto i
prodromi di questo pensiero studiando gli autori del ‘600 e
del primo ‘700, ma possiamo dire che le origini remote di
un recupero della centralità conoscitiva della ragione
sussistono anche in periodi e autori precedenti, attivi fin
dal X o XI secolo, come Abelardo. Origini antiche, dunque.
In Francia e in Europa
 La cultura e la società francese è il luogo dove si
sviluppa maggiormente il pensiero illuminista, anche
se un notevole contributo lo dà anche la cultura e il
pensiero inglese del secolo precedente (soprattutto con
la suola empirista).
 A sua volta l’illuminismo francese si diffonde nelle alte
sfere della politica e del potere, ma anche nei circoli
intellettuali, verso la Germania (Federico II di Prussia),
l’Italia (a Milano, Torino, Firenze…), l’Austria (Maria
Teresa e Giuseppe II), e, anche se in misura minore,
verso la stessa Russia (Caterina II).
Montesquieu
 Charles Louis de Secondat barone de Montesquieu (1689-1755)
opera da erudito, moralista, giurista, politico, viaggiatore cosmopolita.
 Egli studia la storia e gli atti umani, applicando lo spirito del tempo,
sperimentalista e ottimista, e credendo in una possibile progressiva
perfettibilità dell’umana convivenza.
 Soprattutto nelle opere “Lettere persiane” e “Lo spirito delle leggi”,
Montesquieu, mette in questione i vizi dei potenti del tempo ponendo
al centro le leggi di uno stato, che deve garantire ai cittadini giustizia e
libertà, sviluppando una sorta di “natural socievolezza” (contro le
teorie di Hobbes). In definitiva, le leggi altro non sono che
l’applicazione della ragione umana ai casi particolari che si
danno nel tempo e nello spazio della vita.
 Fondamentale la sua distinzione dei tre poteri che regolano la vita
politica, indipendenti e reciprocamente equilibrantisi: a)
legislativo,b) esecutivo, c) giudiziario, ancora oggi in discussione in
questa nostra Italia.
Voltaire
 François Marie Arouet detto Voltaire (1694-1778), è il più noto
dei pensatori illuministi.
 Intelligenza duttile e inquieta, Voltaire si sottrae a ogni
classificazione di scuola, e si presenta come difensore della
libertà e dei diritti soggettivi, in questo senso modernissimo.
Voltaire combatte ogni dogmatismo del tempo, sia religioso, sia
politico, in ciò ponendosi come baluardo di un sapere empirico e
ragionevole.
 In definitiva, con i suoi pamphlet e il suo situazionismo critico,
egli contribuì, nonostante le accuse di empietà e di mancanza di
sistematicità riflessiva, ad avviare il lungo processo critico che ha
portato alla modernità e al rispetto delle diversità antropologiche
e culturali.
 Voltaire si pone come un pensatore sensibile e aperto, moralista
senza bigottismo, in ricerca di verità locali, come possibili.
Condillac
 Etienne Bonnot de Condillac (1715-1780) è un classico
pensatore illuminista, sensista ed empirista, philosophe
metodico e sistematico, egli vuole consolidare il tema della
conoscenza come derivazione dalle sensazioni.
 Sia nel Saggio sull’origine delle conoscenze umane, sia nel
Trattato delle sensazioni, Condillac sottolinea la centralità
dell’origine materiale e sensitiva di ogni sapere umano:
addirittura egli pone, tra i sensi, il tatto nella posizione
principale, come senso della scoperta del mondo, che si
manifesta fina dalla primissima infanzia nei bambini, e
attraverso di esso si forma una conoscenza via via affinata
dagli altri sensi, e successivamente dal linguaggio che si
acquisisce e dalla capacità di ragionamento, sempre più
evoluta con la crescita.
I materialisti:
La Mettrie, Helvétius, d’Holbach
 Le conseguenze più estreme del sensismo e dell’empirismo
settecentesco sono tratte da alcuni pensatori decisamente
“materialisti”. Il medico Julien Offray de La Mettrie
(1709-1751) porta alle estreme conseguenze la tradizione
lockiana sintetizzando il suo pensiero così “io sono corpo
e penso”.
 Anche Claude-Adrien Helvétius (1715-1771)conferma con
qualche ambiguità il pensiero di La Mettrie e di Condillac,
così come fa più conseguentemente anche Paul Heinrich
Dietrich, barone d’Holbach (1723-1789), il quale affrma
che “l’uomo è il prodotto della natura”, non essendoci
nessun “Dio” e neanche alcun “orologiaio” newtoniano.
L’enciclopedia:
Diderot e d’Alembert
 Denis Diderot (1713-1784) e Jean-Baptiste Le Rond
d’Alembert (1717-1783) sono i principali autori de
l’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle
arti e dei mestieri, assieme a un notevole numero di altri
studiosi e pensatori.
 Con l’opera enciclopedica essi si pongono l’obiettivo di
sistematizzare la conoscenza del tempo alla luce dei
principi empiristico-lockiani del tempo, superando ogni
dipendenza dalla tradizione metafisica e teologica, a partire
dalla costruzione di un ordine e di una connessione delle
conoscenze.
 Con l’Enciclopedia si consegue un obiettivo conoscitivo che
parte dalle impostazioni tardo rinascimentali di Bacon
giungendo ad un primo compendio universale dei saperi.
Jean Jacques Rousseau
(1712-1778)
 Nato da famiglia calvinista ginevrina Rousseau vagabonda per la
Francia e l’Europa, inquieto e discontinuamente attratto da
salotti e incarichi di segretariato o come precettore. I suoi studi
sono irregolari e discontinui, ma ciononostante, le sue
frequentazioni (con Diderot, Condillac e lo stesso Hume) gli
permettono di farsi un notevole bagaglio culturale, che traspare
dagli scritti, alcuni dei quali di notevole importanza: in
particolare vanno ricordati Il Contratto Sociale, l’Emilio, la
Nuova Eloisa e le Confessioni.
 Rousseau è un uomo strano e difficile, forse per certi aspetti
sopravvalutato, come pensatore.
La critica del progresso
 In Rousseau si possono notare i primi “afflati del
romanticismo”, poiché il suo pensiero fin da subito si
distacca dalla considerazione, tipicamente empirista e
illuminista, di una ragione come elemento essenziale
della conoscenza.
 Egli individua l’origine del male nel mondo in un
luogo assolutamente originale rispetto al pensiero
corrente: nella società degli uomini. Non più dunque,
per Rousseau, la teodicea o storia della salvezza, e il
foro interno, ma la responsabilità dei contesti politici e
sociali che si sviluppano nel tempo e nella storia.
L’origine della disuguaglianza
 Nel Discorso sui fondamenti e l’origine della disuguaglianza
tra gli uomini, Rousseau sostiene che la fonte delle
ingiustizie sociali, va ricercata nell’abbandono di ciò che di
buon l’uomo aveva saputo costruire quando era uscito dallo
stato di ferinità iniziale: al tempo dei patriarchi l’uomo era
riuscito a costruire una condizione equilibrata, sia nelle
relazioni interpersonali, sia nelle relazioni tra i gruppi e le
popolazioni, dopodiché lo sviluppo organizzativo, la
fondazione delle città e degli ordinamenti ha creato le precondizioni per le attuali (del tempo di Rousseau!)
ingiustizie, diseguaglianze e disumanità, che devono essere
riformate.
 Questa visione rousseauiana resta piuttosto
utopisticamente generosa, largamente inplausibile.
Il “Contratto sociale”
 Al fine dunque di rimediare a questo stato di conflitto tra
gli uomini, deve essere costituito un “Contratto sociale”,
con il quale si possa riconoscere l’uguaglianza tra tutti
gli uomini, per consentire quello stato di equilibrio e
di felicità che gli spetta come diritto di natura.
 Il diritto di natura che deve ispirare il Contratto sociale non
può ispirarsi come in Hobbes al Pactum Subiectionis, ma al
Pactum unionis, liberamente stipulato tra gli uomini.
 Non si tratta dunque di ripristinare lo stato di natura ma di
rappresentare nella società civile una sorta di Volontà
generale, che non privilegia nessuno in particolare e si
occupa del bene di tutti.
Lo Stato
 La volontà generale si rappresenta dunque
nell’organizzazione dello Stato, il quale ha il compito di
garantire il diritto di uguaglianza tra tutti gli uomini: con
queste dottrine Rousseau si pone in una posizione
dottrinaria che lo ha fatto ritenere da alcuni come il
paladino della democrazia, se si sottolinea il valore
dell’uguaglianza, ma altri lo hanno ritenuto
intrinsecamente paladino di uno stato etico, se si sottolinea
il valore dei uno “stato” che realizza la volontà generale, a
qualsiasi costo e anche a scapito dei singoli.
 Questa ambiguità non è peregrina, come si vedrà
successivamente con eventi della Rivoluzione francese
e delle Rivoluzioni successive dell’Ottocento e del
Novecento.
L’educazione di Emilio
 L’Emilio è il trattato dell’educazione del singolo essere
umano, che deve riuscire a crescere per diventare un
buon cittadino nello stato degli “eguali”.
 Ma Rousseau non crede nell’educazione e nella
formazione tradizionale, fatta con libri e scuole,ma
propone una forma di autoformazione che sorga
dall’esperienza e dal fare concreto.
 L’Emilio è l’altro corno dell’utopia rousseuiana, frutto
di una visione già ottimisticamente romantica,
interessante, ma foriera di non poche deformazioni
successive.
La religione
 Anche la religione, per Rousseau, si pone in una
prospettiva naturale, di sentimento originario: Dio
stesso non può essere percepito o compreso con la
ragione, bensì con il sentimento.
 La religione naturale non ha bisogno di apparati e di
schemi liturgici, essa si può basare sul Vangelo, sulla
lezione di bontà e giustizia che ivi si legge e si impara.
 Gli uomini devono poi aderire alla “religione civile” che
ispira i comportamenti rispettosi dello Stato e delle sue
leggi.
 Anche su questo aspetto restano, in Rousseau,
contraddizioni e difficoltà di comprensione.
L’illuminismo tedesco
 Diversamente da quello francese l’illuminismo tedesco
non si pone completamente di traverso alla società del
tempo, ma, basandosi sulla profonda tradizione
filosofica recente (Leibniz) cerca di influenzare il
potere per un rinnovamento del pensiero e degli assetti
sociali.
 L’interlocutore di maggior spessore risulta esser il re
Federico II di Prussia, che accoglie a corte Voltaire.
 Massoneria e pietismo accompagnano lo sviluppo di
un rinnovamento culturale che trova in Lessing e
Winckelmann i suoi maggiori mentori.
Religione e storia: Lessing
 Nato nel 1729 (1781) Gotthold Ephraim Lessing, è stato
un intellettuale eclettico: scrittore, drammaturgo,
polemista, filosofo. I suoi studi, abbastanza regolari, e lo
spirito di curiosità lo mettono nelle condizioni di essere
sempre al centro della vita culturale tedesca del suo tempo.
 Lavora come precettore e segretario di uomini potenti,
come il principe Leopoldo di Braunschweig.
 La sua ricerca si concentra sugli aspetti filosofici ed estetici
della ricerca della verità, che egli non pensa accessibile
all’uomo, se non in forme intuitive e sentimentali (preromantico?), come nell’adesione religiosa, che egli ritiene
fondamentale.
Immanuel Kant
(1724-1804)
 Kant è il campione e il capitolo finale dell’Illuminismo,
diversissimo dai francesi e dagli inglesi, ma variamente loro
debitore. Professore universitario per tutta la vita, Kant è riuscito
a sistematizzare molto del pensiero precedente, dai classici in
poi, ripensando diversamente le diverse declinazioni della
filosofia, da quella teoretica, a quella morale, e perfino alla
metafisica, che pareva egli, in un primo momento, volesse
demistificare definitivamente come sapere non scientifico, ma
solo fantastico.
 Le opere principali: Critica della Ragion pura, Critica della
Ragion pratica, Critica del Giudizio, Prolegomeni ad ogni
Metafisica futura, Una Religione nell’ambito della pura
ragione, etc...
Il criticismo: fisica e metafisica
 La sua impostazione è “critica” in quanto egli ritiene che
sia necessario delineare precisi limiti alla stessa ragione,
che non può essere ritenuta quasi onnisciente come nel
razionalismo cartesiano. Il “criticismo” diventa allora il
filtro attraverso il quale passa il sapere filosofico.
 Se la matematica e la fisica, sulle tracce di Newton sono
saperi incontrovertibili (sappiamo che così non è), la
metafisica deve essere intesa come ontologia della
conoscenza fenomenica, cioè di ciò che appare alla
conoscenza.
 Newtoniano in fisica e ancora leibniziano in gnoseologia,
Kant supera entrambi, anche se non senza alcune
ambiguità, ad esempio con la sua nozione “mista” sulla
categorie dello spazio e del tempo.
Giudizi analitici e giudizi sintetici
 Per Kant, se lo spazio e il tempo sono le forme della
sensibilità immediata di percezione della realtà, le
categorie (12) sono le forme dell’intelletto.
 Ciò che viene concepito in base alla sensibilità è apriori, mentre ciò che viene elaborato mediante le
forme che l’intelletto dà alla conoscenza, con le
categorie, è a-posteriori.
 La conoscenza categoriale, propria dell’intelletto
può anche essere detta trascendentale, mutuando il
termine dall’antica tradizione “scolastica”.
La sensibilità: spazio e tempo
 Lo spazio e il tempo sono i “contenitori” (trascendentali)
di tutta la realtà, sono dimensioni gnoseologiche assolute
che l’uomo percepisce immediatamente con i sensi.
 Se lo spazio è il luogo in cui stanno le cose, il tempo è
il flusso nel quale accadono, e ambedue sono
interiormente percepiti come assoluti, intuizioni pure
a-priori.
 Kant, si può dire, pur derivando in parte da Leibniz e in
parte da Newton le nozioni di spazio e di tempo, pare
conservare un’idea ancora più antica, che si può far risalire
ai classici, a Platone, Aristotele, e perfino ad Agostino, con
la nozione greca di kairòs (il tempo opportuno, interiore).
L’intelletto e le categorie
 Per Kant l’intelletto è la funzione che permette di accedere a una
categorizzazione della conoscenza tramite uno schema bene
strutturato in 4 dimensioni di giudizio e categoriali: a) quantità,
b) qualità, c) relazione, e d) modalità.
 Nel dettaglio: a) presuppone la quantità come unità, pluralità e
particolarità; b) presuppone la qualità come realtà, negazione e
limitazione; c) presuppone la relazione come inerenza e sussistenza
(substantia e accidens), causalità e dipendenza (causa ed effetto),
comunanza (azione reciproca tra agente e paziente); d) presuppone la
modalità come possibilità-impossibilità, esistenza-inesistenza,
necessità-contingenza.
 Tutte le diverse categorie e i giudizi sono, per Kant, unificate nella
funzione “io penso”: nell’io-penso, che non è sostanziale, o
noumenico, ma fenomenico, perché appare, si riscontra lo snodo della
conoscenza umana.
 L’io-penso è l’appercezione trascendentale.
La “rivoluzione copernicana”
 Kant opera una sorta di rivoluzione copernicana nella
filosofia, o meglio la completa, dopo il percorso iniziato nel
‘600 da Descartes.
 La conoscenza non è dunque possibile da parte dell’uomo
della realtà in sé, tema che aveva affaticato i pensatori
occidentali per duemila anni, ma della realtà per come e per
quanto appare ai sensi e all’intelletto umani: l’uomo può
dunque conoscere solo i fenomeni (ciò che si manifesta),
non i noùmeni (le cose in sé).
 Tutti i fenomeni, però, si danno all’interno dello
spazio e del tempo come intuizioni a-priori, e si
manifestano secondo i criteri del pensiero umano
La ragione e le idee
 La ragione, dunque, per Kant, è in grado di formulare
concetti e dedurre ipotesi di conoscenza veridica sulla
realtà, mediante l’uso della tavola dei Giudizi e della
tavola delle Categorie, che corrispondono nel numero di
12. è chiaro che le Categorie operano nei Giudizi e in questi
sono applicabili alla realtà delle cose. Es. la proposizione
“L’uomo è un animale” è plausibile sotto tutti e 4 i punti di
vista del Giudizio, se vogliamo.
 Le idee, invece, sono giudizi sintetici a-priori, vale a dire
che le possiedo già nel mio intelletto, permettendomi così
esse di dare forma alla conoscenza categoriale nel giudizio.
Ad es. io so prima di provare a mettere la mano sul fuoco,
che il fuoco brucia…
La morale: l’imperativo categorico
 Per Kant la ragione pratica si occupa della vita spirituale, dei fini e dei
giudizi morali.
 Si occupa dunque di fatti e scelte dell’uomo che non sono conoscibili con gli
strumenti dell’intuizione e dell’intelletto meramente razionale.
 Il mondo dell’etica o morale è il mondo nel quale l’agire umano deve obbedire a
degli imperativi, quello ipotetico, che regola la convenienza razionale, ma
soprattutto a quello categorico, che individua in bene in sé di una scelta
moralmente corretta e giusta.
 “Fai in modo che la massima del tuo agire possa costituire legislazione
universale”, e “Non trattare l’uomo mai come un mezzo ma sempre come
un fine”, sono i due precetti kantiani che meglio riassumono l’imperativo
morale dettato dalla ragion pratica, che governa la dimensione etica della vita
umana.
 Con Kant è dunque finita la morale delle prescrizioni e legalistica, per assurgere
a una morale dove la ragione determina il “devo” disinteressato a premi o
punizioni, attento solo alla moralità dell’agire.
I postulati della ragione pratica
 Se si può dare una ragione pratica che governa l’agire
libero, e dunque moralmente rilevante, dell’uomo, e
siccome l’agire umano è sempre imperfetto e perfettibile, si
deve necessariamente dare la possibilità che questo
perfezionamento prosegua, non solo durante la vita
umana, ma oltre: ciò presuppone l’esistenza dell’anima
immortale e, di conseguenza, anche di Dio, che
rappresenta la Volontà santa e perfetta cui ogni essere
umano deve riferirsi.
 In Kant, dunque, l’esistenza di Dio si evince non dalla
teoresi sistematica, bensì dal sapere etico, che rende
necessaria la presenza di un Essere sommamente
giusto.
Religione e storia
 Kant attribuisce alla religione un grande compito:
quello di indicare i principi morali degni di una vita
eticamente fondata.
 Religione e storia umana sono collegate, perché,
come dall’evoluzione storica l’uomo lo ha portato al
progresso dei tempi attuali (di Kant, beninteso), così la
storia delle religioni spiega come si sia arrivati dai
politeismi arcaici, al monoteismo, e, in particolare al
Cristianesimo, che per il filosofo di Königsberg,
rappresenta la massima evoluzione del sentimento
religioso.
Il sentimento estetico e la natura
 Se il Kant teoretico e il Kant moralista sono
essenzialmente “illuministi”, il Kant che si occupa di
arte e di giudizio estetico, è mosso da ragionamenti
che appartengono già, in qualche modo, allo spirito
romantico che si stava diffondendo in tutta Europa.
 Si muove dunque un nuovo percorso che avrebbe avuto
straordinari sviluppi nei decenni successivi con
l’idealismo, e poi con Schopenhauer e Nietzsche: Kant
ritiene che il giudizio estetico e quello teleologico
hanno a che vedere con la Natura e la sua ragion
d’essere, armoniosa e necessaria.
Il giudizio estetico
 Per Kant il senso del bello risiede nel gusto, che deve
essere buono ed esercitato: contrariamente a pensatori
precedenti, come Leibniz, il bello non è necessariamente
correlato al bene, al buono e al vero, cioè ai trascendentali
della scolastica, ma vive di vita autonoma.
 Più potente del bello è il sublime, che insiste all’interno
dell’anima umana, ed è la capacità di godere
intensamente e in modo personale e originale delle
opere d’arte, facendo percepire all’uomo il proprio
limite e finitezza, con sentimenti di meraviglia e
perfino di sgomento (qui echeggia forse un poco il futuro
pensiero di Rudolf Otto!)
Il giudizio teleologico
 Infine, in Kant troviamo una sensibilità nuova per una
ipotesi di finalismo insito nel giudizio teleologico.
 Vi sarebbe, infatti, una istanza di razionalità oggettiva
in tutto ciò ch esiste, nell’uomo e nella natura.
 Non vi può essere -infatti- un dominio del caso in tutta
l’armonia percepibile nel movimento cosmico, nella
natura terrestre, e nell’uomo stesso, che evolve verso
un fine, specie se ascolta e osserva la ragione naturale,
e tutto ciò che spiritualmente rende sempre più
“umano” l’agire libero.
Introduzione all’idealismo tedesco
 Vi è una grande varietà di motivi nella stagione culturale
che introduce la fase detta dell’idealismo tedesco: elementi
illuministi, pre-romantici o romantici tout court si
intrecciano e vivono in una temperie straordinaria di scambi,
polemiche e nuove sistemazioni gnoseologiche, etiche e
politiche.
 I tre grandi pensatori dell’idealismo Fichte, Schelling e Hegel,
sono circondati da un profluvio di temi che intellettuali
variamente attivi, nell’accademia e al di fuori di essa propongono
continuamente.
 I fratelli Schlegel, Hamann, Herder , Jacobi, Schiller, Goethe, von
Humboldt e altri intellettuali, portano continuamente nuovi
stimoli di carattere culturale sui temi letterari, dell’origine del
linguaggio, della filosofia, della politica e della religione.
Il Romanticismo
 Si respira nel mondo germanico come una specie di ansia,
quasi,tesa a costruire ancora una nuova filosofia
dell’umanità, dopo che la lezione kantiana, pur avendo
fatto molta chiarezza sul piano teoretico, aveva lasciato
molti spiriti inquieti e insoddisfatti di una prospettiva
ancora troppo razionalistica.
 La dimensione del sentimento, messa già al centro
dell’attenzione da Rousseau, prende corpo nella
riflessione filosofica, così come nelle manifestazioni
artistiche, letterarie, e, forse, soprattutto musicali,
con l’esperienza gigantesca dei sommi autori di cultura e
area germanica, a partire da Mozart, Haydn, Beethoven,
Schubert, Schumann (che riscopre Bach), Mendelssohn, e
poi Chopin, Bruckner, Wagner, Brahms…
Friedrich Schleiermacher
 Uno degli intellettuali più significativi del tempo e di quella
temperie è senza dubbio il parroco luterano filosofo e teologo
Friedrich Schleiermacher (1768-1834), professore all’università
di Berlino.
 Egli, da filosofo delle religioni ritiene che la religione stessa sia
un sapere molto più elevato della metafisica e della morale,
poiché essa coglie l’unità del tutto tramite l’intuizione
(einfühlung), coglie nella natura dell’uomo e nella natura del
mondo una sorta di scheggia di divino, di infinito nel finito, e
così giunge al cuore della conoscenza del reale.
 Siamo già distanti anni luce dal cartesianesimo e anche dal
criticismo kantiano. Il romanticismo propone una specie di
ritorno al misticismo antico e medievale, quasi per superare d’un
balzo le aporie e le difficoltà conoscitive del razionalismo, se
pure variamente declinato.
Johann G. Fichte
(1762-1814)
 Si può dire che Fichte fu uno studente lavoratore ante litteram (come mi ci riconosco!).
Infatti, prima studia filosofia e teologia a Jena, Wittenberg e Lipsia, ma poi deve accettare
un lavoro come precettore a Zurigo. Ornato in Germania riprende gli studi e conosce
personalmente Kant cui porta uno scritto che gli darà immediata fama: Saggio di una
critica di ogni Rivelazione.
 Viene chiamato ad insegnare all’università di Jena, e inizia pubblicare lavori che
consolidano bene presto la sua fama di studioso, come I fondamenti della libertà di
pensiero.
 Ben presto attende alla redazione della sua opera principale, che supera il kantismo sul
versante di una sottolineatura dell’Io come contrapposizione a ogni Non-Io. Il
tema è trattato nell’opera Fondamenti dell’intera dottrina della scienza (1794), cui
seguiranno La missione del dotto, I fondamenti del diritto naturale (1796) e il Sistema
della dottrina morale (1798).
 Dopo alcuni conflitti a Jena, Fichte si trasferisce a Berlino dove conosce gli F. Schlegel e
Schleiermacher. Colà scrive La missione dell’uomo (1800), molto importante, I tratti
caratteristici del tempo presente (1806), la Guida alla vita beata (1806) e i Discorsi alla
nazione tedesca (1807).
 È il primo rettore della neo-fondata università di Berlino.
Una “filosofia della libertà”
 La filosofia di Fichte sin pone come inizio radicale
della libertà e assolutezza dell’io.
 L’io idealista non è più solo il cogito, res cogitans,
ma l’unica rappresentazione della realtà, nella
dimensione trascendentale.
 L’io trascendentale è l’evoluzione dell’io-penso
kantiano, ma liberato da ogni orpello legato alla
domanda sulla plausibilità della “cosa-in-sé”, che ha
interpellato per duemila anni e passa l’intera filosofia
occidentale.
Il porsi dell’io
 Se il soggetto pensante e l’oggetto pensato sono la
stessa cosa, tutta la realtà si risolve nell’Io assoluto.
 Se la logica classica si fondava sul principio di non
contraddizione e lo stesso pensiero kantiano sul
principio di identità, per Fichte, il principio stesso ha
origine in maniera assoluta dall’io, che solo non è
posto in relazione ad alcunché, perché si autofonda.
 Se nella metafisica classica si diceva “operari sequitur
esse”, Fichte rovescia la formula così “esse sequitur
operari”. Idealismo assoluto radicale.
L’io e il non-io
 Come Spinoza, Fichte afferma che “omnis determinatio
est negatio”, in quanto l’io, ponendo se stesso, nel
contempo pone tutto ciò che io non è, il non-io.
 Ma l’io deve darsi in modo diverso per potere entrare in
dialettica con il non-io: infatti, se l’Io assoluto
ricomprende in sé ogni realtà, l’io divisibile, soggettivo,
entra in relazione con il non-io dialettizzando la possibilità
di un’attività pratica.
 L’Io assoluto, dunque, presiede all’attività teoretica,
mentre l’io divisibile presiede a quella pratica.
L’attività conoscitiva
 Fichte rovescia il principio conoscitivo del realismo classico
(aristelico-tomista in particolare), partendo nell’attività
conoscitiva dall’io, ma concependolo come una realtà
inconscia già data: pertanto, secondo Fichte l’idealismo si
presta maggiormente del realismo a conoscere la
realtà, perché è in grado di ricomprendere nell’io la
realtà intera; al contrario, il realismo, con la sua
esternalità all’io non può in nessun modo penetrare la
realtà dell’io che gli resta inaccessibile.
 Ne la Dottrina della Scienza Fichte pone dunque l’Io come
principio primo dell’attività conoscitiva, anche se non in
modo assoluto.
L’idealismo “etico”
 L’io, per Fichte, ponendosi è in grado di superare
continuamente il non-io, ma dandosi da solo dei limiti per
un continuo perfezionamento morale: “Essere liberi è
cosa da niente, diventare liberi, è cosa celeste”, afferma
il filosofo.
 Il raggiungimento della perfezione morale è il percorso
tramite il quale l’uomo svolge il suo compito di
autorealizzazione e di progressiva “umanizzazione”, nella
prospettiva di osservare con sempre maggiore perfezione
l’ideale posto dall’Assoluto, cioè Dio.
 Una certa ambiguità teoretica su questo punto causa
l’allontanamento di Fichte dall’università di Jena.
L’esito religioso dell’idealismo
 Se la coscienza non è la verità ma solo il fenomeno
esterno della verità, che risiede in se stessa, solo la
ricerca della Verità nel Lògos (cf. Vangelo di Giovanni,
oggetto specifico di studio) divino può dare senso al
perfezionamento della vita umana.
 Ne l’Introduzione alla vita beata Fichte vede nel Lògos il
Sapere assoluto, la Coscienza divina, l’Intermediario fra Dio
e il mondo: la coscienza umana dell’io divisibile deve
pertanto umiliarsi davanti al Lògos, per poter accedere
misticamente alla visione estatica dell’Uno (Plotino).
 Fichte ritaglia per sé, infine, una sorta di missione sociale
come maestro (La missione del dotto).
La filosofia politica
 Per Fichte lo stato deve occuparsi del bene della nazione,
sia sul piano morale sia sul piano pratico. Egli teorizza una
sorta di “socialismo autarchico” caratterizzato da tre
princìpi:
- Lo stato produca tutto quanto di cui ha bisogno,
- Distolga i cittadini dai beni che non può produrre, oppure
imponga il monopolio nei casi di importazione dei beni
mancanti,
- Raggiunga i suoi confini naturali, e sia padrone delle terre
che gli appartengono per natura. Se così non fosse esso è
giustificato a muovere guerra a chi usurpa le sue risorse
naturali.
I Discorsi alla alla nazione tedesca
 Fichte riconosce al popolo tedesco, proprio nel
momento in cui le truppe napoleoniche sono ancora il
Prussia dopo la vittoria di Jena, una sorta di superiorità
culturale, derivante dalla storia e della costruzione di
un linguaggio condiviso da tutto il popolo, da Lutero,
passando per Leibniz e fino a Kant.
 Nulla di fichtiano e totalmente arbitrario si può infine
rilevare nell’utilizzo tentato da parte nazista circa una
sua sorta di ascendenza teoretica e morale.
 Fichte nulla c’entra con l’abominio nazista del XX
secolo.
Friedrich W. J. Schelling
(1775-1854)
 Di buona famiglia, Schelling entra nel seminario di Tubinga quindicenne,
dove trova, come compagni di studi Hölderlin e Hegel. È il suo approccio alla
teologia e alla filosofia: infatti, con i due illustrissimi compagni di corso, scrive
quello che è considerato un po’ come il “manifesto dell’idealismo”. Dopo avere
fatto per qualche tempo il precettore a Lipsia, viene accolto come docente di
filosofia all’università di Jena, dove conosce e frequenta Goethe, Novalis e
Schiller.
 I suoi scritti principali, tra molti altri: L’Io come principio della filosofia (1795),
La forma della filosofia in generale (1795), le Lettere filosofiche su dogmatismo e
criticismo (1796), Idee per una filosofia della natura (1797), L’anima del mondo
(1798), il Primo progetto di un sistema di filosofia della natura (1799), il Sistema
dell’idealismo trascendentale (1800) e poi il Bruno (1802), le Ricerche
sull’essenza della libertà (1809), la Filosofia della mitologia (1842-1854), e la
Filosofia della Rivelazione (1854).
La filosofia della natura
 Se Schelling all’inizio della sua ricerca sulla filosofia della
natura, si rifà molto a Fichte, ben presto se ne distacca,
prendendo un abbrivio molto diverso: in lui ogni retaggio
che possa sembrare meccanicistico o statico vien meno,
sviluppando piuttosto una visione, che oggi potremmo
definire olistica, cioè rivolta al tutto-da-comprendere, o
almeno organicista.
 Per Schelling la natura fa parte della realtà Tutta che
ricomprende l’uomo in tutte le sue manifestazioni e
possibilità conoscitive; in definitiva è una specie di
intelligenza immatura, che mediante l’uomo, giunge fino a
toccare lo spirito.
Meccanismo e finalità
 Per Schelling spirito e natura, conscio e inconscio,
libertà e necessità, ideale e reale, non sono
contrapposti, ma contigui e connessi senza confondersi: l’una polarità presuppone l’altra, dandosi
ragion d’essere proprio da essa.
 Non vi può essere, infatti, un sistema che funzioni
senza l’apporto dell’insieme che lo compone. Es.: la
pianta che si nutre delle sostanze della terra, dell’acqua
e dell’aria, usufruendo della luce solare, lo può fare
perché è intrinsecamente predisposta a questo, è
strutturata previamente per poterlo fare.
La filosofia trascendentale: storia
e memoria dell’autocoscienza
 Per Schelling la costruzione della coscienza è un
percorso trascendentale, un far affiorare dalla
memoria e dell’inconscio tutto ciò che diventa via via
conoscenza della realtà.
 L’io si innalza progressivamente dalla sensazione alla
riflessione, e dalla riflessione alla volontà.
 Il cammino di dipana in salita attraverso tappe che si
declinano sulla via ardua della riflessione teoretica che
riporta alla necessità e la riflessione pratica che porta
alla libertà, alla coscienza distesa e aperta sulla realtà
della vita e del mondo.
L’intuizione intellettuale:
arte e filosofia
 Schelling dunque arriva al punto: ogni riflessione
intellettuale che riguarda gli oggetti della conoscenza è
legato e condizionato da essi, ma vi è una dimensione,
quella nella quale l’intuire coincide con l’intuìto,
quella dell’arte, vertice di tutta la conoscenza.
 L’arte è superiore alla filosofia teoretica, perché
rappresenta il punto di incontro, la sintesi tra ciò
che del mondo l’io coglie, e l’io stesso che intuisce
il mondo intuendo se stesso.
 Nell’arte è l’Assoluto stesso che si manifesta.
Storia e rivelazione
 Schelling propone una lettura della storia, non come
caso o arbitrio di un destino cieco e fatale, ma come
progressiva manifestazione della Provvidenza, che
progressivamente svela Dio stesso, l’Assoluto.
 Vi sono tre periodi nella storia del mondo: 1) il periodo
tragico in cui domina il destino; 2) il periodo in cui il
destino si svela come legge di natura; 3) il periodo in
cui “anche Dio sarà”, in quanto destino e natura si
riveleranno come manifestazioni incomplete della
provvidenza.
La libertà e il male
 Con Schelling siamo a distanze siderali dal “dio”
aristotelico, impassibile e immobile, perché nessunolo-può-muovere. Per lui Dio-diviene in una
manifestazione progressiva del bene, che deve coesistere con il male, senza che ciò significhi
confusione: la presenza del male, lungi da essere agostinianamente- defectio boni, è una
dimensione necessitata dalla libertà umana, che
progressivamente si eleva a consapevolezza della
scelta secondo il principio della bontà e della
giustizia.
Filosofia negativa
e filosofia positiva
 L’ultimo Schelling è impegnato fortemente contro il suo ex
sodale di gioventù Hegel, il cui parallelo percorso lo ha portato
ad una filosofia e a una logica fortemente autoreferenziale, come
vedremo di seguito.
 Schelling propone invece una filosofia che da negativa,
diventa positiva se si mette in discussione, in dialogo con la
realtà della vita, con tutto ciò che non si può spiegare,
perché in parte rimane incomprensibile, confuso,
inespresso, e necessita invece dell’umile pazienza
dell’interpretazione e della comprensione.
 Per Schelling vi è un residuo incomprimibile, che darà spunto a
molte riflessioni dell’Ottocento (Schopenhauer e Nietzsche) e
anche del Novecento (Heidegger, Jaspers, Jung).
Georg W. Friedrich Hegel
(1770-1831)
 Hegel, che studia con Schelling a Tubinga, ma poi se ne
separa, rappresenta il campione dell’idealismo tedesco, il
passaggio conclusivo della grande stagione condivisa con
Fichte e Schelling stesso, ma anche punto dirimente di
appassionate adesioni, e sviluppi e feroci critiche. Anche lui
precettore a Bena e a Francoforte, prima di diventare
docente alle università di Jena, Heidelberg e Berlino.
 Due linee di pensiero seguirono all’opera del filosofo, talora
ferocemente antitetiche: quella favorevole di Bauer,
Feuerbach, Green, Marx, Bradley, Dewey, Sartre, Küng,
Kojève, Žižek, Brandom, Pollastri, etc., e quella dei critici
(Schelling, Kierkegaard, Schopenhauer, ancora Marx,
Nietzsche, Peirce, Popper, Russell, Heidegger, etc..
Le opere
 Tra le opere del grande pensatore di seguito
-
indichiamo le principali:
Scritti teologici giovanili,
Differenza fra il sistema filosofico di Fichte e quello di
Schelling,
Fede e sapere,
Fenomenologia dello spirito (1807),
La scienza della logica,
Enciclopedia delle scienze filosofiche,
Filosofia del diritto.
La dialettica
 Il paradosso è che Hegel non ha scritto alcun trattato
sulla dialettica…
 La ragione, molto semplice è questa: per Hegel,
differentemente che per Platone, Aristotele e Kant, la
dialettica si confonde quasi, o caratterizza la filosofia
stessa, che, sia che sia teoretica sia che sia pratica o
morale, non può che essere dialettica.
 Solo con la dialettica l’uomo può cogliere la verità delle
cose della propria stessa vita, solo la dialettica riesce a
cogliere l’infinito movimento del reale ponendo tesi,
antitesi e sintesi, in un continuo ed infinito ricercare.
La dialettica del concreto
 Solo con questa filosofia, per Hegel si può riuscire a
comprendere veramente la realtà, superando la rigidità
della logica classica fondata sul principio di identità/
non contraddizione.
 L’essere e il nulla per Hegel coesistono nella
dialettica che rinvia l’uno all’altro, entrambi
necessari e con-viventi/ com-presenti nell’ordine
della realtà.
 L’essere e il nulla altro non sono che il divenire,
oppure, con echi neanche tanto remoti di tipo
aristotelico, il passaggio dalla potenza all’atto.
L’essere è nel concetto
 Concetto significa con-cepito, vale a dire com-preso.
 Per Hegel l’essere delle cose si esprime nel concetto,
che ri-comprende anche l’essenza della cosa stessa.
 Se nella metafisica classica, si distingueva tra soggetto,
essenza ed essere, in ordine crescente di “densità”
ontologica, in Hegel avviene una sintesi fulminea, che
serve per collocare la comprensione delle cose nel loro
farsi, darsi, divenire perenne.
 A questo punto è chiaro come tutto ruoti attorno
all’autocoscienza dell’io pensante, con-cepente l’essere
stesso di tutte le cose a partire da se stesso.
L’identità di razionale e reale
 La vulgata interpretativa di questo ardito parallelismo
hegeliano, colloca Hegel stesso su un versante di estremo
cinismo, ma non è così: infatti, per il filosofo questa
coincidenza significa semplicemente che tutto ciò che
accade, cioè il reale, nel suo estrinsecarsi e dipanarsi
complesso, deve essere analizzato mediante la dialettica,
fino a coglierne i tratti di razionalità, vale a dire di
necessità, prescindendo da ogni giudizio morale, che
avviene su un altro piano.
 In ogni caso per Hegel, siccome Dio è l’essere per sé
realissimo, tutto torna da dove ha origine: vi è dunque una
razionalità superiore nella realtà, che può venire compresa
solo in una prospettiva superiore a quella della vita umana
dei singoli esseri umani.
Il “razionale” in Hegel
 Per Hegel il “razionale” non possiede l’accezione classica
platonico-aristotelica o tommasiana, per cui
rappresenterebbe essenzialmente la caratteristica
principale che umanizza e rende libero l’animale-uomo: per
lui il “razionale” ricomprende molto altro, ad esempio il
senso della natura e della storia, che già in Platone e
Agostino avevano avuto una attenzione importante.
 Il Lògos, in qualche modo, agisce… Hegel che vede
Napoleone a cavallo e commenta “Vedo passare lo Spirito
della Storia…” non ha torto. L’Europa non è rimasta la stessa
dopo la Rivoluzione francese e l’epoca napoleonica,
nonostante la Restaurazione. Illuminismo,
romanticismo, idealismo e rivoluzioni hanno cambiato
il corso degli eventi a cavallo del XVIII e del XIX secolo.
Il cammino
della coscienza verso il sapere
 Hegel dunque vede nella ragione il punto e il luogo nel quale si può
comprendere il senso delle cose e della storia, il punto di
conciliazione tra essere e potere essere, tra essere e dover essere.
 La verità delle cose, per Hegel, non può stare nei dualismi, nelle
dicotomie, nei contrasti radicali (come quello kantiano tra fenomeno e
noùmeno), ma deve essere oggetto di ragione mediante che può
convergere su un qualcosa di assoluto.
 Altrettanto, per lui, sbagliano gli intuizionisti che ritengono di poter
accedere alla verità tramite un unico estemporaneo atto intuitivo ( i
romantici storici e di tutte le stagioni).
 Il vero dunque è l’intero, l’organico, non le polarità, le discriminazioni
antitetiche e giustapposte.
 La ricerca e la conquista della verità va pertanto collocata nel
flusso della storia e in essa si possono dipanare i filo della sua
manifestazione.
Lo spirito soggettivo
 Lo spirito soggettivo, per Hegel, altro non è che
l’unità corpo-anima che si manifesta nella vita e
nell’attività umana. È la vita fisica e quella psichica, è
la normalità e le sue declinazioni nevrotiche e
psicotiche, fino alla follia, è lo stato di veglia e lo stato
di sonno. È l’uomo nella sua integralità naturale.
 Il nesso anima-corpo si muove poi verso
l’autocoscienza, che porta all’unificazione di
intelligenza e volontà, facoltà descritte
dall’antropologia classica, ma da Hegel riprese in
modo diverso.
Lo spirito oggettivo:
Stato, eticità e storia
 Lo spirito oggettivo si declina nelle istituzione e nelle
strutture statuali, che devono vivere una propria eticità, che
rappresenta il superamento dei beni individuali per un
bene comune.
 Il diritto e la morale sono i due ambiti nei quali si declina
l’eticità delle istituzioni. Il diritto come esplicitazione
della norma collettiva, la morale come interiorizzazione
della norma soggettiva e comunitaria.
 Hegel vede un progredire dello spirito della storia,
dall’antichità alla sintesi del pensiero germanico idealista in
cui si concilia lo spirito, la natura umana e divina, la verità e
la libertà nello Stato.
Lo spirito assoluto:
arte, religione e filosofia
 L’arte, la religione e la filosofia sono nell’ordine il
percorso dello spirito assoluto:
 l’arte come luogo dell’intuizione che conosce per via
diretta e immediata;
 la religione come luogo della rappresentazione di ciò
che oltrepassa la vita terrena e le realtà sensibili;
 la filosofia come luogo dove si svolge la vita
conoscitiva, attraverso la dialettica, che giunge al
concetto veritativo dell’essere e del divenire che si
unificano in esso.
La filosofia nel tempo
 Per Hegel la filosofia non può prescindere dal suo
tempo: essa si declina nel tempo e con le vicende che
si susseguono.
 In qualche modo la filosofia coincide con la sua
storia, evolvendo a mano a mano che la storia del
genere umano rappresenta stadi successivi della sua
crescita; la filosofia cresce con la storia e nella storia, e
viceversa.
 L’uomo vive filosofando, perché la vita è il luogo
della filosofia.
Dopo Hegel
 Le convenzioni di destra e sinistra hegeliana non rappresentano tutta
l’eredità di Hegel: infatti, se chi aveva accolto la lezione del filosofo
come conferma della razionalità dello status quo del regno prussiano,
aveva colto come vincolante l’affermazione filosofica “il reale è
razionale”, chi invece aveva privilegiato il suo rovescio “il razionale è
reale” coglieva con esso la necessità di far diventare “razionale” ciò che
“reale” ancora non era, promuovendo cambiamenti sociali e politici
anche radicali.
 Ma un terzo raggruppamento, questo sì di anti-hegeliani è quello dei
positivisti, cioè di quei pensatori che hanno collocato il pensiero di
Hegel su un piano di astrattezza inaccettabile, paradosso per chi aveva
cercato di togliersi di torno la supposta astrattezza di Kant. Ma,
evidentemente, il termine stesso “astrattezza” è da maneggiare con
cura. Per costoro la filosofia deve coincidere tout court con la scienza.
 Vi è poi un quarto raggruppamento, anch’esso anti-hegeliano, quello
degli antirazionalisti, come Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche.
La destra e la sinistra hegeliana
 Se la destra hegeliana si colloca su una posizione che
possiamo dire conservatrice, specialmente in tema
religioso, la sinistra si pone sul lato opposto, proclamando
un ateismo teoretico, che in Feuerbach trova il suo
massimo esponente.
 Per la sinistra la religione, come rappresentazione di miti
(cf. La vita di Gesù di Bruno Bauer) è soppiantata dalla
filosofia come luogo della ragione e dell’esercizio tutto
umano dell’intelletto. Personaggi fondamentali di queste
linee di pensiero sono Bruno Bauer, David Friedrich Strauss
e più di tutti rappresentativo Ludwig Feuerbach.
Ludwig Feuerbach
(1804-1872)
 Nato da famiglia benestante Feuerbach studia teologia ad Ansbach,
ma ben presto, non trovandosi in sintonia con quanto il teologo H.
Paulus proponeva, va ad ascoltare le lezioni di Hegel all’università di
Berlino. E lì si rinforza nell’idea di un rovesciamento radicale delle
prospettive filosofiche finora in auge. Studia e si laurea in filosofia a
Erlangen con una tesi molto hegeliana De ratione, una, universali,
infinita, ed ivi inizia la libera docenza universitaria, che però non dura
molto, poiché, per le sue idee ed alcuni suoi scritti ateistici (Pensieri
sulla morte e l’immortalità), viene sospeso dall’insegnamento.
 Prosegue con la sua ricerca pubblicando altri scritti, con i quali rileva il
progressivo affrancamento del pensiero umano dalla metafisica e dalla
teologia, a partire dal Rinascimento.
 Principali scritti di questa fase: la Critica della filosofia hegeliana, le
Tesi preliminari di una riforma della filosofia, l’Essenza del
cristianesimo, l’Essenza delle religioni, la Teogonia.
La critica della filosofia hegeliana
 Innanzitutto Feuerbach critica la pretesa di assolutezza
della filosofia hegeliana, la pretesa di conclusione e
completamento dell’intera storia della filosofia. Anche
Hegel è uno dei filosofi inseriti nella storia del pensiero
umano, non il più speciale.
 Il suo limite, secondo Feuerbach è quello classico dei
pensatori accademici: di volere cercare di comprendere
la realtà, accettandone la implicita razionalità, e
senza avere mai la spinta, l’inclinazione o la volontà,
di criticarla, non solo per darne una visione diversa,
ma eventualmente anche per modificarla.
L’Essenza del Cristianesimo
 Il cuore della ricerca di Feuerbach si può ritenere forse questo testo
fondamentale. La sua posizione non è illuministico-anticlericale, nel senso di
ritenere la religione, e quella cristiana in particolare, un cumulo di menzogne e
di inganni, no. In qualche modo tale posizione riecheggerà in forme ancora più
radicali in Marx e Engels (religione oppio dei popoli!).
 Al contrario, Feuerbach ritiene che il cristianesimo abbia un contenuto
positivo, come rilevato in quegli anni anche da Schleiermacher: se per
quest’ultimo la religione esprime l’esigenza umana d’infinito, Feuerbach
deduce che, in realtà, l’uomo desidera esprimere un’infinitezza che, però,
resta tutta nella sua vita, nella sua esperienza, nella sua intelligenza e
volontà.
 Perciò l’uomo, nel corso dei secoli, crea le figure religiose, fino all’idea stessa
del Dio unico del giudaismo, del cristianesimo e dell’islam, per superare il suo
timore e insicurezza esistenziali: è l’uomo, dunque, che crea Dio, non
viceversa. Una verità filosofica che supera quella religiosa invalsa nei secoli
precedenti.
La filosofia dell’avvenire
 La teologia dunque, secondo Feuerbach, deve essere risolta
in antropologia, a partire dalla Riforma protestante, che è
già una antropologia teologica, mentre invece quella di
Hegel è una teologia filosofica, che non esce dai binari di
una sterile ortodossia.
 Per Feuerbach bisogna passare dall’alienazione in Dio della
religione, e dall’alienazione della realtà nello Spirito
assoluto hegeliano, a una considerazione del finito reale
come punto di partenza, per la conoscenza di ogni cosa
della vita e del mondo, non mai dall’infinito, come hanno
fatto le dottrine precedenti.
 L’antropologia filosofica, per Feuerbach, nasce
dall’uomo concreto incarnato nella storia.
L’essenza della religione
e la Teogonia
 Per Feuerbach ogni religione si muove dalla natura, che
ricomprende anche l’uomo. È dalla natura che bisogna partire
(spinozismo!), là dove l’uomo manifesta i suoi bisogni vitali, per cui, a
volte, non trovando risposte concrete, tende ad affidarsi alla
trascendenza divina.
 Dio stesso, dopo la fase mitica e politeistica, altro non è che la
proiezione dei desideri (de sideris, dagli astri!) umani insoddisfatti e
bisognosi di un aiuto più alto e vigoroso. Ciò conduce Feuerbach a
considerare con grande interesse gli sviluppi scientifici e tecnici che
nell’Ottocento cominciavano a diffondersi.
 Nella Teogonia, Feuerbach ricostruire il sentimento degli antichi, che
vedevano nella storia una manifestazione delle possibilità che gli “dei”
(il mondo classico greco-latino) o Dio (il mondo giudaico-cristiano)
erano in grado di dare agli uomini su questa terra o nella beatitudine
eterna.
Il mistero del sacrificio
 Interessato alle scienze fisiche e biologiche, Feuerbach è
colpito da un libro di Jakob Moleschott sull’alimentazione,
interpretata come base costituiva per lo sviluppo globale
dell’essere umano, e sappiamo a i nostri giorni, quanto ciò
sia vero.
 Il titolo di un suo libro del 1862 è significativo: Il mistero del
sacrificio o l’uomo è ciò che mangia. La provocazione
estrema del titolo sta a dire quanto Feuerbach avesse a
cuore di fugare ogni dubbio circa l’aspetto biologico e
vitalistico dell’uomo come vivente, senziente,
autocosciente. L’uomo, per Feuerbach è proprio questo: un
animale razionale le cui facoltà vanno sempre considerate
unitariamente nell’espressione concreta della corporeità
naturale.
Arthur Schopenhauer
(1788-1860)
 Nato a Danzica Schopenhauer rappresenta quasi l’alter
ego di Hegel nella filosofia tedesca dell’Ottocento. Tanto
Hegel tende a costruire sistemi, edifici complessi di analisi
della realtà, quanto Schopenhauer non lo ritiene possibile,
pensando che la realtà sia talmente variegata e
imprendibile, da non poter mai essere colta con precisione
e completezza da un sistema di pensiero così strutturato
come quello hegeliano. Gli studi di Schopenhauer sono
buoni anche se rapsodici; in ogni caso si laurea in filosofia a
Jena con una tesi Sulla quadruplice radice del principio di
ragion sufficiente, dopo avere seguito a Berlino i corsi di
Fichte e Schelling: definisce addirittura Hegel “il gran
ciarlatano”.
Una vita errabonda
 Schopenhauer vive in modo vario e un po’ sregolato,
facendo molta fatica, all’inizio, a trovare spazio nel
panorama culturale tedesco, anche con la sua
pubblicazione più significativa Il mondo come volontà e
come rappresentazione, la cui prima edizione va al macero.
Il suo tentativo di competere con Hegel sul piano
accademico non funziona, ma alla morte del grande
avversario, qualcosa si muove anche per lui.
 Dopo il suicidio del padre, ricco mercante, Schopenhauer si
muove da Danzica verso Weimar, fino a stabilirsi a
Francoforte sul Meno. Discontinuo nelle relazioni e perfino
misantropo, si sposta a Dresda e poi a Vienna, e infine in
Italia. Studia i classici greci, latini e italiani facendosi una
profonda cultura artistico-letteraria.
La maturità
 Nel 1820 è libero docente a Berlino, ma due anni dopo
riparte per l’Italia, è a Milano, Venezia, Firenze, Roma.
 Torna a Berlino nel 1825 e poi a Heidelberg, ma la sua
carriera universitaria non decolla: si dedica pertanto a
un’attività pubblicistica, di polemista e scrittore. Studia
anche discipline scientifiche, per cui nel 1834/36 lavora e
pubblica il trattato Sulla volontà della natura.
 Finalmente, dopo alterne vicende, il successo di critica e
pubblico gli giunge nel 1851, alla pubblicazione di Parerga e
Paralipomena. Scopre anche il Leopardi delle Operette
morali, che lo convincono molto. Si ritira sempre di più
dalla società fino alla morte, avvenuta a Francoforte. La sua
lapide porta semplicemente nome e cognome: Arthur
Schopenhauer.
Il pensiero filosofico
 Si potrebbe dire che la sua filosofia, antitetica rispetto ai
grandi sistemi di Kant e degli idealisti (specie di Hegel), è
una sorta di neo-epicureismo pessimistico. In sostanza
Schopenhauer non crede nella possibilità di una
conoscenza chiara e soddisfacente delle ragioni della vita
umana.
 Ispirato dalla sue letture di testi delle grandi religioni,
specie dell’Induismo (Vedanta e Upanishad), del Buddismo
e dei Padri della Chiesa antica, egli ritiene ch l’unico modo
di trovare una ragione di vita e di condivisione sia la
compassione, cioè la disposizione d’animo atta a prendere
coscienza del limite, della presenza del dolore nel mondo e
della sua incomprensibilità.
Karl Marx e Friedrich Engels
(1818-1883) (1820-1895)
 Quasi come dioscuri Marx e Engels, dal momento in cui si conoscono non
separano più i loro destini, anche se le loro condizioni familiari ed esistenziali
sono profondamente diverse: Marx non è ricco, anzi, anche se sposa la
baronessa Jenny von Westphalen di nobile famiglia e da lei ha numerosi figli, e
Engels vive bene (?) il suo celibato; Marx studia regolarmente e si laurea in
filosofia a Jena con una tesi su La differenza della filosofia della natura in
Epicuro e Democrito, mentre Engels frequenta a Berlino i corsi di Schelling che
critica ferocemente senza laurearsi; Marx vive una vita piccolo borghesi, in
certe fasi di grandi stenti, ma Engels, figlio di un industriale tessile, fa spesso la
vita del viveur.
 Coppia così diversa non poteva darsi, ma anche così complementare, riuscendo
a scrivere molte opere fondamentali quasi a “quattro mani!”
 Marx, infine vive abbastanza errabondo tra la Germania, Parigi, Bruxelles e
infine Londra, Engels non ha problemi a girovagare tra il lavoro aziendale a
Manchester e casa
Le opere principali
 Elenchiamo qui in ordine cronologico:
- Critica della filosofia del diritto di Hegel (1843) sulla rivista Annali
-
franco-tedeschi,
La sacra famiglia,
L’ideologia tedesca (contro Bruno Bauer),
La miseria della filosofia, nel 1847 (contro Pierre Proudhon),
Il Manifesto del Partito comunista (1848)
La Critica dell’economia politica (1859)
Il Capitale (tra il 1867 e il 1895, ultimi volumi postumi),
Le Tesi su Feuerbach.
I Manoscritti economico-filosofici (del 1832 ma pubblicati nel 1939),
I Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (del
1857/8, ma pubblicati nel 1939/41).
Unità di teoria e prassi
 Marx constata lo stato di estrema arretratezza socio-
economica della Germania dei suoi tempi rispetto a Francia
e Inghilterra, ma anche la straordinaria fioritura culturale e
degli studi filosofici.
 A quel punto si pone come obiettivo di collegare o
correlare teoria e prassi, affermando che la filosofia
non doveva limitarsi ad analizzare e descrivere la
realtà per conoscerla, ma doveva proporsi il progetto
nuovo, di cambiarla! Di cambiarla con l’azione politica
coinvolgendo le classi che finora erano state escluse dalla
gestione del potere, come quella proletaria dei lavoratori.
La critica dell’ideologia tedesca
 Per Marx l’egregio lavoro fatto dalla filosofia idealista, da Hegel ai suoi
eponimi come Bruno Bauer, doveva esser radicalmente superato
portando l’attenzione su una teoria e una prassi in grado di mettere
mano agli equilibri sociali fino a rovesciare i rapporti di forza attuali.
 Il valore della lezione hegeliana sta nell’aver proposto lo sviluppo
della dialettica, che però non deve fermarsi all’analisi dei
processi, ma, passando dalla dimensione puramente ideologica e
speculativa, deve immergersi nella realtà fattuale per aiutare le
classi sfruttate a liberarsi in un processo che necessariamente,
stanti le contraddizioni, deve avvenire.
 Marx apprezza il lavoro di Feuerbach, ma ne denuncia i limiti che
consistono nel non aver compreso l’importanza di passare dalla
denuncia dell’alienazione provocata dalle religioni e dai sistemi di
potere all’azione politica per cambiare le cose.
La concezione materialistica
della storia
 Per Marx conta soprattutto la storia dell’uomo concreto, dei
gruppi, dei popoli che nella storia hanno agito e agiscono: da lì
bisogna partir, rinunciando a ogni ideologia e a ogni metafisica
puramente speculativa.
 Le attività produttive, dall’artigianato primitivo all’industria sua
contemporanea sono ciò che di più significativo presenta la storia
dell’uomo, perché racconta i rapporti di forza, di sfruttamento e di
esclusione che per millenni hanno caratterizzato i conflitti tra le classi
sociali.
 Le attività economiche costituiscono quindi la struttura dei
rapporti interumani, mentre tutto ciò che esula da esse, cultura,
arte, religioni, ideologie, costituiscono una specie di
sovrastruttura, determinata però dalla struttura, che è
infinitamente più importante. Engels saprà infine sottolineare
comunque anche ‘importanza degli elementi sovrastrutturali.
Capitale e lavoro
 Marx coglie un elemento che non era mai stato considerato
dall’economia classica: il concetto di plusvalore.
 Egli considera che se il prestatore d’opera fosse retribuito
per il valore che produce, non vi sarebbe sfruttamento, ma
una distribuzione equa del valore prodotto.
 In realtà il plusvalore della produzione viene trattenuto dal
capitalista che così riesce ad aumentare l’accumulazione
primaria, che non è detto investa in nuovi impianti di
produzione, ma piuttosto tende ad accantonare,
alienando il capitale dal lavoro.
 È chiaro che la teoria marxiana è adeguata alle condizioni
delle strutture industriali dei metà ‘800, ma non lo è più
per quanto concerne le strutture attuali.
Borghesia e proletariato
 Con la Rivoluzione Francese la borghesia ha assolto a un
ruolo progressivo, soppiantando i ceti parassitari
dell’aristocrazia e del clero, ma successivamente, essendosi
impadronita dei mezzi di produzione, a sua volta ha
emarginato le classi proletarie che si sono immesse nei
processi di produzione industriale.
 A questo punto le classi proletarie dei lavoratori devono
prendere coscienza della loro situazione e ribellarsi, per
acquisire la consapevolezza del proprio ruolo nella storia e
costruire un’egemonia che spetta loro.
 A questo fine il proletariato deve porsi l’obiettivo di
una vera rivoluzione con la quale espropriare dei
mezzi di produzione la borghesia, per realizzare una
società nella quale non vi siano privilegi.
Il materialismo dialettico
 La dialettica hegeliana serve alla ricerca di Marx e Engels
per confermare la validità della loro proposta di lettura
della realtà concreta dei conflitti di classe ed economici.
 Il marxismo storico si pone come una dottrina che
introduce uno schema evoluzionistico nello sviluppo
sociale, analogo, in qualche modo, alle ricerche di Darwin,
che stavano rivoluzionando il mondo scientifico.
 L’eredità del marxismo conserva un’importanza
formidabile, anche dopo i fallimenti dei regimi
novecenteschi ad esso ispirati (U.R.S.S., Cina Popolare,
etc.), specialmente per alcune intuizioni di carattere
economico, come la crisi mondiale contemporanea
dimostra (sovrapproduzione merceologica del settore auto,
ad esempio).
Søren Kierkegaard
(1813-1855)
 Kierkegaard è, se vogliamo, il secondo grande “avversario” teoretico di
Hegel nella filosofia tedesca ed europea dell’Ottocento. Filosofo e
teologo, fin da bimbo fu coinvolto nel severo clima pietista della sua
famiglie e della Copenaghen del tempo. Di temperamento malinconico,
Kierkegaard si rivela comunque anche uomo di spirito, inquieto e
contradditorio. Regine Olsen, diciottenne con la quale si fidanza non
diventa la sua donna (la rivedrà poche settimane prima di morire a solo
42 anni), perché il filosofo si appassiona ad altro, alla ricerca
intellettuale, sentendosi forse inadeguato per un rapporto di coppia.
Apprezza Socrate, Gesù e Pascal, ma critica Spinoza, Hegel, Schelling e
Schleiermacher, per ragioni diverse. Ce l’ha con i teologi, professionisti
del nulla e ipocriti, a suo dire.
 Peraltro era persona amabile, apprezzato anche da Cristiano VIII, re di
Danimarca, che stava volentieri in sua compagnia.
Il pensiero
 Kierkegaard contesta la sistematicità hegeliana, poiché,
sostiene, l’esperienza è sempre quella di singolo uomo, e
non è mai generalizzabile. Filosofi e teologi cercano invano
di “trovare la quadra” alla comprensione del mondo, ma
falliscono miseramente, perché pensano di poter far stare
dentro i loro schemi il mondo stesso: presunzione e
arrogante superbia, per lui!
 La verità dell’uomo è che la sua vita è segnata dall’angoscia
della non conoscenza del proprio futuro e del proprio
destino: da questa condizione esistenziale di
disperazione e angoscia l’uomo può uscire solamente
abbandonandosi a Dio.
Un esistenzialismo?
 Sappiamo che la corrente filosofica esistenzialista è del XX
secolo, con autori insigni come Heidegger, Sartre, Marcel,
Camus, Jaspers… (che studieremo). Come si può dunque
connettere a questo contesto di un secolo successivo lo stesso
Kierkegaard?
 Se anche per il filosofo danese l’esistenza precede l’essenza
delle cose e della vita, contrariamente al pensiero di molti
dei filosofi che egli contesta, soprattutto i razionalisti e gli
idealisti, Kierkegaard si differenzia dai pensatori sopra
citati, perché egli dichiara l’esigenza di superare il dolore e
la disperazione, le anomie e il nichilismo dell’esistenza con
l’abbandono a Dio. In questo si differenzia profondamente da
quelli, che, implicitamente o dichiaratamente, avevano
evidenziato una posizione piuttosto ateista, o almeno agnostica,
a eccezione di Marcel e qualche altro.
L’esistenza e il singolo
 Nel suo diario scrive: “in ogni campo e per ogni oggetto
sono sempre le minoranze, i pochi,i rarissimi, i
Singoli quelli che sanno: la Folla è ignorante”.
Commento mio: come sono d’accordo, ma non per
spocchia o superiority complex, ma perché Kierkegaard ha
intuito filosoficamente ciò che gli psicologi successivi
avrebbero mostrato sperimentalmente (cf. Le Bon,
Psicologia della folla).
 Si può capre la vita e le cose del mondo solo ex-sistendo,
cioè stando fuori, individualmente, soggettivamente, senza
aspettarsi dall’astrazione generica informazioni veridiche.
 In qualche modo Kierkegaard echeggia Duns Scoto e
Occam, ma anche Agostino e Pascal, forse i primissimi
“esistenzialisti”!
Possibilità,
angoscia e disperazione
 La disperazione dell’uomo svolta in angoscia quando il
sentimento di finitudine viene razionalizzato: l’uomo
sa di avere davanti un destino in larga parte ignoto, per cui
deve fare i conti con ogni incertezza, da quella quotidiana
del vivere concreto, a quella progettuale che riguarda il
futuro.
 L’uomo non può non sentire angoscia quando intuisce che
“tutto è possibile”, anche quando le cose sembrano andare
bene: la malattia non è prevedibile, così come la morte
stessa. La vita stessa si pone come una sorta di
malattia mortale, ché di per sé non si spiega, si deve
solo accettare, com-prendere, senza la pretesa di
coglierne gli infiniti fili e vettori causali che la
determinano.
Il paradosso della fede
 Per Kierkegaard l’unica possibilità di superamento
dell’angoscia esistenziale è la fede. Dio è l’unica realtà
che può salvare l’uomo, ma richiede una autentico salto
senza mediazioni nell’irrazionale, perfino all’accettazione
dell’assurdo.
 Ciò è salvifico, anche se la religione e, più ancora,
l’abbandono fiducioso alla fede sono dimensioni
incomprensibili per la ragione, specie la credenza in un
uomo-Dio, e nella distanza incolmabile che vi è tra l’essere
umano e Dio.
 Solo così si può uscire dalla normalità piatta della religione
giuridica e normativa, che non dà alcunché del senso di
alterità radicale che un rapporto diretto con Dio può
dare.
Le tre modalità esistenziali
 Qui imitando il Kant delle tre Critiche, Kierkegaard
propone tre modalità esistenziali, che però sono
alternative. Egli presenta questa prospettiva nelle opere
Aut-Aut e Timore e tremore (1843), nelle quali emergono
progressivamente le tre modalità: quella estetica, quella
etica e quella religiosa.
 Kierkegaard si differenzia da Hegel perché non riconosce
una possibilità di passaggio, di una progressione tra le tre
ipotesi, vedendole radicalmente contrapposte: l’una
esclude l’altra come scelta qualitativa, e il passaggio
eventuale da una all’altra richiede un autentico salto.
La vita estetica
 La vita estetica altro non è che la non-scelta, cioè
quella del libertino che non si impegna in nulla, non
sceglie mai. L’esteta ha un prototipo, per Kierkegaard,
ed è il cavaliere spagnolo Don Juan, Don Giovanni,
quello cantato da Mozart, e non a caso, perché la
musica è la più sensuale delle arti.
 Kierkegaard ritiene che l’esteta sia il più misero degli
essere umani, perché non riesce a progettare alcunché,
vivendo del più banale qualunquismo, incapace di
scegliere, di impegnarsi, di dare una prospettiva alla
propria vita.
La vita etica
 La vita etica è qualcosa di diverso e di più profondamente
umano di quella estetica, ma ha ancora dei limiti. Chi sceglie di
farsi ispirare da valori virtuosi, di vivere seguendo princìpi
coerenti con una morale rispettosa della propria vita e di quella
degli altri, ha già fatto un passo avanti rispetto a chi si crede
“centro del mondo” cui tutto va asservito, ma…
 Costui crede nella famiglia, nelle strutture pubbliche e
anche nello Stato, e vive una vita coerente nel tempo, senza
farsi catturare dalle chimere della provvisorietà e
dell’effimero, tipiche dell’esteta puro.
 Il rischio suo è, però, quello di farsi omologare nei
comportamenti generalmente stereotipati della massa, e di
non essere in grado di vivere con scelte autonome.
La vita religiosa
 In Timore e tremore, Kierkegaard affronta la dimensione
religiosa: solo quando l’uomo si pone davanti a Dio realizza
finalmente e veramente se stesso!
 L’esempio si ricava dalla storia di Abramo, l’uomo giusto che ha
fede e Dio lo riconosce donandogli il figlio Isacco nella tarda età,
ma poi glielo chiede in sacrificio. Mostruosità! Abramo non
segue né n’etica né il diritto del suo tempo e del suo
popolo, ma segue il comando di Dio, a lui abbandonandosi.
È allora che Dio stesso lo riconosce di nuovo come fedele e
impedisce il sacrificio.
 Dio può chiedere allora qualsiasi cosa, e l’abbandono alla
sua volontà è la strada più vera, la scelta più giusta.
L’esempio di Abramo, infatti, nulla ha a che vedere con il
sacrificio di Ifigenia alla dea Artemide da parte di Agamennone,
che aveva bisogno di partire per Troia con gli Achei.
L’angoscia e la disperazione
 Ne Il concetto di angoscia (angst) e ne La malattia mortale,
Kierkegaard sviluppa il tema dell’esistenza come
possibilità, come spazio di libertà che all’uomo solo è
concesso dalla sua natura di essere autocosciente e libero.
 La libertà è però un rischio che vive insieme con la vita
dell’uomo stesso: la vita offre qualsiasi strada, qualsiasi
possibilità di scelta, ma nel contempo offre anche infinite
possibilità di caduta, di errore, di perdita.
 Ciò determina un senso di profonda insicurezza che spesso
scivola nella disperazione e nell’angoscia esistenziale, che
attanaglia l’anima umana.
La verità dell’agire
 Per Kierkegaard le cose non stanno come pensano gli
idealisti (Hegel in particolare), di una verità accessibile
per via dialettica e razionale.
 Solo pensando o scrivendo nessun uomo ha accesso
alle verità più profonde, che invece sono conoscibili
solamente con il rischio dell’agire nel concreto della
vita, anche se tale scelta comporta rinunzie e sacrifici.
 Quindi, per Kierkegaard, è più importante avere
una fede da vivere, piuttosto che ideali e una vita
ideale senza opere, ma solo con l’arroganza del
sapere presunto.
Il cristiano e il mondo
 Non può stare insieme, per il filosofo danese,
l’ambizione di essere o di diventare grandi per il
mondo ed essere veri cristiani. L’una cosa esclude
l’altra, è un aut-aut radicale. Per lui la stessa Chiesa
luterana che conosceva, era troppo “amica del mondo”
per essere pienamente cristiana.
 La via di Cristo non è larga e comoda, ma stretta e
ardua, e a volte impervia come un sentiero montano.
“Angusta è la porta e stretta è la via che conduce alla
vita” (Mt 7, 14).
La singolarità di Kierkegaard
 Kierkegaard è un autore che non tollera di esser inquadrato in
schemi, nemmeno in quello “esistenzialista”.
 Lo spiega benissimo il suo massimo studioso italiano, il padre
Cornelio Fabro: “(…) Si tratta di un pensatore che elude gli
schemi di qualsiasi scuola teologica o filosofica (…) qui non si
tratta di un giro di pensiero che si svolge come un Tutto (Spinoza,
Hegel), né di un’intuizione che si dilata da se stessa in sistema
(Fichte, Schelling), e neppure di una vita che si fa riflessione di
pensiero (Pascal), o di un pensiero che scandaglia gli abissi della
vita (Agostino). (…) Gli stessi Discorsi edificanti che si
propongono di offrire una comunicazione diretta si sprofondano
all’improvviso nei recessi più inaccessibili dello spirito, in una
tensione di allucinante dialettica e contemplazione del sacro che
consola e punge a un tempo”.
Friedrich Nietzsche
(1844-1900)
 Nietzsche studia filologia classica a Bonn e a Lipsia, e viene chiamato
ancor molto giovane all’università di Basilea. Conosce il pensiero di
Schopenhauer e personalmente Richard Wagner, che lo impressiona
molto.
 Nel 1872 pubblica uno dei suoi testi fondamentali: La nascita delle
tragedia dallo spirito della musica, molto condizionato dalla lettura di
Schopenhauer, e dedicato a Wagner, alla cui musica annette allora
grande importanza. Due anni dopo pubblica Sull’utilità e il danno della
storia per la vita, ma già comincia a dare segni di difficoltà psichiche,
forse dovute a una paralisi progressiva, da cui fu tormentato fino alla
morte. Si trasferisce in Engadina e in Italia a Torino, dove soffre di gravi
crisi. Riesce a scrivere comunque moltissimo: è del 1878 il
fondamentale Umano troppo umano, e i primi quattro libri de La gaia
scienza (1882). L’anno dopo è il turno di Così parlo Zarathustra, e del
1886 Al di là del bene e del male. Elisabeth Nietzsche pubblica dopo la
morte del fratello La volontà di potenza.
Dioniso, Apollo e Socrate
 Nietzsche si rifà all’antica Grecia fin dall’inizio del suo
pensiero. Per lui, però, i riferimenti primi non sono quelli
di Fidia, Prassitele, o di Socrate, Platone e Aristotele, bensì
il pensiero presocratico naturalista e il mondo della
tragedia.
 Egli coglie nello spirito arcaico la verità più profonda
dell’umano, uno spirito che si esprime, non tanto con
la concezione derivante dalla razionalità “apollinea” e
quindi socratica, ma dal “dionisiaco”, dal primordiale,
dall’istintivo che c’è in ogni uomo, e che rischia di
essere ottenebrato e controllato da un ottimismo
teoretico e razionalistico che non ha ragion d’essere.
La malattia storica
 Nietzsche critica duramente chi crede nel progresso storico
dell’umanità (Hegel), perché questi in qualche modo
immobilizza, e quasi imbalsama ogni possibilità per l’uomo di
progredire veramente nella sua propria dinamica e verità
antropologica. La storia millanta di far conoscere una sorta di
“umanità” in generale, laddove invece blocca e impedisce un
autentico futuro.
 Per lui, nell’esaminare la storia umana bisogna abbandonare ogni
atteggiamento celebrativo, che lui chiama monumentale, oppure
antiquario, e ricercare invece uno spirito critico, che permetta
di non ritenere la storia magistra vitae, ma semplicemente il
racconto degli eventi umani, che sono sempre sorprendenti e
contradditori.
 Quanto distanti siamo dalla realizzazione dello spirito oggettivo
e di quello assoluto di Hegel!
Cristianesimo e nichilismo
 Nietzsche rileva in modo scandaloso per il suo tempo
alcune contraddizioni fondamentali nel percorso che dalla
civiltà greco-romana e poi cristiana hanno portato alla
modernità. Egli ritiene che si tratti di un percorso di vero
annichilamento dell’umano, in forza degli idealismi
dualistici che le dottrine platonico-cristiane hanno
sviluppato in duemila anni.
 Se per Platone il mondo più vero è quello delle idee, e
per il cristianesimo la vita terrena non è che una
preparazione alla vita eterna, è evidente che vi è un
fondamentale rifiuto per tutto ciò che è la vita
concreta e reale dell’uomo, in nome di un aldilà
altamente improbabile.
La “morte” di Dio
 La morte di Dio per Nietzsche ha poco a che fare con gli
ateismi contemporanei: piuttosto si colloca sul versante di
una critica radicale al cristianesimo paolino, che, secondo
lui, si è distaccato progressivamente ma nettamente dalla
lezione evangelica, quella di Gesù stesso, che egli invece
apprezza molto, per la sua radicalità e semplicità.
 Secondo il filosofo di Rocken, Paolo ha travisato il
messaggio di Cristo proponendo un dualismo
inaccettabile: anima-corpo, spirito-carne, vita celestevita terrena, in modo che l’uomo credente si è sentito
e si sente dissociato in quella unità antropologica per
cui è costituito.
 In questo senso per Nietzsche “Dio è morto”, ma si
tratta di un “dio disumano”!
Il rovesciamento dei valori
 Per Nietzsche dunque occorre una sorta di rovesciamento dei
valori, ma non nel senso che i valori correnti (correttezza, lealtà,
onestà, laboriosità, sobrietà, etc.) non siano validi e da
salvaguardare, ma nel senso che questi valori sono al servizio di
una visione veramente nichilista della vita umana e pertanto
occorre rivedere tutto l’impianto e il senso di una vita impostata
sulla negazione, sulla rinuncia e sulla paura.
 Se si rifiuta questo stato di cose negandolo, per il filosofo si dà
prova di una grande forza reattiva, capace di rovesciare la
situazione e di trasformare l’indebolimento attuale in nuovo
slancio vitale.
 L’uomo deve quindi trovare l’energia per superare questo
stato di cose, e superandosi, andare oltre (realizzando il
super-uomo, che non è Rambo!, ma un uomo che si realizza
completamente e coerentemente in tutta la sua umanità).
Il superuomo
 Chiariamo qui, per quanto possibile, uno dei maggiori
fraintendimenti (specialmente da parte delle destre politiche più
estreme del XX secolo)della dottrina nitzscheana, quella del
superuomo. Con questa espressione, Nietzsche, citando
Zarathustra, non intende nulla di mistico-esoterico quasi mitico,
od evocativo delle semidivinità del periodo greco-arcaico.
 Egli intende affermare il diritto e il dovere dell’uomo di
mettersi nelle condizioni di realizzarsi in tutte le sue
potenzialità, vincendo i legami che il nichilismo formatosi
nei secoli lo hanno condizionato e vinto. Pochissimi
uomini, i geni dell’arte, della scienza e delle attività umane
più elevate sono riusciti a superarsi, ma questo dovrebbe
essere possibile, proporzionalmente alle caratteristiche
individuali, a tutti gli uomini e a ciascuno.
 Allora anche le virtù umane saranno realizzate!
L’eterno ritorno
e la volontà di potenza
 Per Nietzsche non vi è finalismo nel mondo e non si deve neppur dare
la “domanda antropologica”: perché il mondo e non no? Non vi è
senso nella realtà, che è ed esiste anche senza le spiegazioni richieste
dalla domanda di senso tipicamente umana.
 Questa domanda naturale non s’ha da porre, ma semplicemente
prender e atto che ogni cosa può dipendere da mille fattori che l’uomo
non controllo, e pertanto egli (l’uomo) deve darsi da fare per realizzare
di più e meglio tutte le potenzialità di cui è dotato.
 Sembra quasi che la filosofia di Friedrich si attorcigli in un loop
senza via d’uscita, ma non è così: Nietzsche scopre i sepolcri
imbiancati della finzione che si è nascosta dietro i grandi sistemi
filosofici e anche religiosi e invita l’uomo a viaggiare la propria
vita autenticamente, mettendo in conto il dolore e il fallimento,
ma anche la possibilità di diventare veramente ciò che rischia di
rimanere pura potenzialità.
Il positivismo
 Il positivismo è un po’ il rovesciamento dei valori culturali
finora invalsi alla metà circa del XIX secolo: fino ad allora i
sistemi filosofici erano stati considerati la cultura
maggiore, mentre le scienze sperimentali dovevano stare
quasi a protezione del solido usbergo della filosofia.
 Ora, tutto ciò è messo in discussione da un movimento
culturale, che è anche pratico, tecno-scientifico, economico
e sociale. Le scienze fisiche e naturali prendono il
sopravvento e si pongono in una posizione preminente
rispetto alle dimensioni meramente speculative della
filosofia.
Evoluzione e progresso
 Per i positivisti, l’uomo può progredire, ma non come
pensavano gli illuministi e i loro precursori del XCII secolo
eliminando le tenebre dell’errore, o come gli idealisti che
ritenevano la storia come progressiva realizzazione dello
spirito, bensì come processo e conquista sofferta,
drammatica di un avanzamento civile ed economico
dell’umanità.
 La vita umana e la società hanno pertanto bisogno
dell’impegno diuturno della ricerca scientifica e del
lavoro, cui le dottrine positiviste annettono grande e
quasi incondizionata fiducia. La dura battaglia potrà
essere vinta, ma il costo elevato e ineluttabile.
Utilitarismo e individualismo
 L’uomo, per i positivisti, deve progredire e con l’individuo
tutta la società. Pertanto il fine deve essere comune, cioè il
raggiungimento del massimo utile per ciascuno e per tutti.
Pensatori come Jeremy Bentham (1748-1832) e John
Stuart Mill (1806-1873) studiano e propongono queste tesi
come le sole che possono migliorare la condizione umana.
 Ma in particolare il Mill, che si può definire quasi come un
“epicureo” contemporaneo, sostiene che ciò che conta non è
la quantità di piacere o felicità ottenibile, (posto che si
possa misurare!). Celebre è la sua paradossale
affermazione: “Meglio essere un uomo insoddisfatto
che un porco soddisfatto, oppure meglio essere un
Socrate insoddisfatto che un uomo stupido, anche se il
porco e lo stupido possono non essere d’accordo”.
Una nuova scienza: la sociologia
 Il tempo nel quale si sviluppano le dottrine positiviste è un
tempo nel quale gli aspetti e i fenomeni sociali assumono sempre
maggiore importanza, al punto che si delinea lo statuto
epistemologico, potremmo dire, di una nuova scienza, finora
trattenute tra le pieghe delle scienze filosofiche, antropologiche
ed economiche: la sociologia.
 Risulta evidente a quei ricercatori che occorre porsi con un
atteggiamento più specificamene dedicato allo studio dei
fenomeni sociali in quanto tali, pure se condizionati da tanti
fattori: l’economia, la politica, la cultura, le religioni.
 Lo studio della vita sociale viene dunque concepito quasi
analogamente allo studio delle scienze naturali, in quanto la
società stessa è un ambiente dove accadono fenomeno naturali,
pure se caratterizzati dalle scelte umane, soggettive, e collettive.
 La sociologia assume dunque dignità di scienza autonoma.
Scoperte scientifiche
e metodologie
 Nel periodo cui ci riferiamo, avvengono anche alcune delle
maggiori scoperte scientifiche della modernità: da Darwin a
Maxwell a Mendeleev, nuovi orizzonti si aprono all’uomo nello
studio dell’intera natura.
 La scoperta delle leggi concernenti l’elettromagnetismo,
l’evoluzione delle specie e la tavola degli elementi chimici, ma la
stessa nozione legata al secondo principio della termodinamica o
alla modalità ondulatoria e non corpuscolare degli elementi
costituitivi della materia, e della luce in particolare, oltre ad altre
scoperte nel campo medico e biologico danno il segno di una
rivoluzione del sapere senza precedenti.
 L’uomo ottocentesco trova nello spirito positivista una
rinnovata volontà di ricerca del sapere sulla natura e su
suoi fenomeni.
Auguste Comte
(1798-1857)
 Studia all’Ecole polytecnique di Parigi manifestando doti eccellenti in
campo matematico e scientifico. Incontra Saint-Simon, il filosofo
socialista utopista e si convince dell’esigenza di lavorare per un
profondo cambiamento sociale, ma in base a principi scientifici.
 Scrive nel 1825 il Prospetto dei lavori scientifici necessari per
riorganizzare la società, e, nel 1830 il Corso di filosofia positiva. Fonda
nel 1830 l’Association polytecnique destinata alla rigenerazione del
popolo sulla base delle nuove idee positiviste.
 Nel 1848 fonda la Societè positiviste e nel 1849 la Chiesa universale della
religione dell’Umanità, con le quali si propone di modernizzare il
pensiero sociale, e di emancipare culturalmente le persone,
togliendole dall’egemonia delle tradizioni culturali e religiose.
 Da ultimo, tra il 1851 e il 1854 pubblica il Catechismo positivista,
compendio generale delle sue dottrine sociologiche, politiche e
religiose.
La riorganizzazione della società
 Comte ritiene che il complesso sociale vada riorganizzato
in base a rigorosi principi scientifici. Prendendo le mosse
dalle ipotesi riformistiche di Saint-Simon, egli ritiene che la
storia si dipani tra epoche organiche ed epoche critiche,
come quella appena vissuta dalla Francia con la
Rivoluzione.
 Per evitare il rischio di sempre possibili involuzioni, Comte
sostiene che si debba uscire, sia dalle improvvisazioni
rivoluzionarie, sia dalla chimeriche ipotesi concernenti
l’aldilà delle teologie, per concentrarsi sulle dottrine
positive e sulle scienze, cioè su ciò che l’uomo può, con
le sue forze, pensare, progettare e costruire.
La legge dei tre stadi
 Il filosofo francese delinea un’interpretazione generale
della storia umana, proponendo tre stadi di sviluppo (echi
gioachimiti? O vichiani?):
a) vi è stata un’infanzia del genere umano alla quale
corrisponde, nella storia del pensiero umano la
dimensione teologica;
b) vi è stata poi una giovinezza, cui corrisponde la
dimensione filosofico-metafisica;
c) infine, una maturità, cui corrisponde la dimensione
positiva, quella attuale.
 Immaginazione (teologia), Ragione (metafisica),
Scienza (positivismo) sono appunto i tre stadi dello
sviluppo umano che Comte individua.
Gerarchia delle scienze
 Comte vede una sorta di successione nella classificazione
ed elencazione temporale delle scienze, nonché una sorta
di gerarchia costituita da una crescente complessità e nel
contempo da una decrescente generalità: per lui è normale
che l’uomo si sia interrogato progressivamente e sia riuscito ad
approfondire i saperi, a partire da quelli più ampi, come
l’astronomia, seguita poi dalla fisica, dalla chimica e dalla
fisiologia dei viventi (biologia e psicologia), per terminare
nello studio dei fenomeni sociali, come ambiente
epistemologico in cui si riassume lo studio dei comportamenti
umani.
 Sull’altro versante la matematica deriva dalla logica e poi rende
possibile la geometria, l’algebra e le altre discipline
matematiche.
La fisica sociale o sociologia
 Le cose e i processi sociali, per Comte, funzionano
come una sorta di fisica, perché nulla hanno a che
vedere con la teologia e la metafisica, saperi che nel
tempo hanno fuorviato le analisi umane. Il processo in
ambito sociale deve tener conto di dinamiche che non sono
mai state studiate in maniera scientifica, ma solo in base a
pregiudizi e precomprensioni di carattere astratto, avulso
dai meccanismi reali.
 La sociologia è la scienza che riesce a sistematizzare questi
processi, leggendoli in base a sue specifiche leggi, senza
farsi influenzare da saperi non correlati ai fatti ch accadono
e ai comportamenti umani nei gruppi associati in vario
modo.
La filosofia positiva
 La filosofia per Comte poco o nulla ha a che fare con le
dottrine precedenti, perché si basa sui fatti reali, senza
mediazioni metafisiche o teologiche. È una filosofia del
concreto realissimo e fattuale, è una lettura degli
accadimenti così come sono, senza interpretazioni
arbitrarie, soprattutto se inquadrate in schemi
precostituiti, come nel razionalismo del XVII e
nell’idealismo del XVIII/ e XIX secolo.
 L’uomo e le sue azioni soggettive e collettive è l’unico
soggetto di riferimento: altro non v’è, né Dio né dottrine,
né prospettive ultraterrene, né alcunché non sia misurabile
e sottoponibile all’analisi scientifica.
La religione dell’Umanità
 Alfine, Comte non resiste alla tentazione di sostituire alla
religione che ammette Dio come Essere supremo, una sorta
di religione dell’Umano, nella quale ogni uomo ha dei
doveri verso se stesso e verso tutti gli altri: non più diritti
metafisici, ma virtuosità dei doveri, che costituiscono l’asse
attraverso il quale ognuno può comprendere il proprio
posto nel mondo, senza pretese ulteriori, se non quella di
realizzare tutto se stesso insieme con gli altri.
 Non solo utopia generosa, quella di Comte, ma invito
forte all’assunzione di responsabilità individuale e di
una pratica di vita morale disinteressata e generosa.
Charles Darwin
(1809-1882)
 Stimolato dalla lettura di un testo del nonno Erasmus Darwin,
Charles Darwin studia medicina a Edimburgo e teologia a
Cambridge, ma non si laurea. Si imbarca invece sulla nave Beagle
per un viaggio intorno al mondo che dura dal 1831 al 1836, viaggio
che gli permette di coltivare la sua vera passione, quella per le
scienze naturali, e così maturare le idee per le sue opere future.
 Ritiratosi nel villaggio di Down, dove rimane fino alla morte, egli
elabora lì le sue teorie che espone nei fondamentali studi:
L’origine delle specie per mezzo delle selezioni naturali (1859) e
L’origine dell’uomo (1871).
 Altre interessanti opere sono: l’Autobiografia, pubblicata
postuma (1887) e il Diario del suo viaggio intorno al mondo
(1839).
L’evoluzione delle specie:
la selezione naturale
 Dalle idee di Linneo (1707-1778), che sosteneva la fissità delle
specie fina dalla creazione, alla concezione moderatamente
evoluzionistica di Buffon, sono le idee di Jean-Baptiste
Lamarck a colpire particolarmente Darwin. Lamarck, con
l’opera Filosofia zoologica aveva infatti sostenuto l’esigenza delle
specie d i evolvere per adattarsi all’ambiente e per adeguarsi a
una specie di “lotta per la sopravvivenza”.
 Ma forse altri due studiosi, un geologo Charles Lyell (1797-1975),
e un demografo Thomas Robert Malthus (1766-1834), lo
ispirano di più: il primo con la teorie dell’evoluzione della terra e
il secondo con la dottrina dell’espansione demografica in
rapporto all’espansione economica. Ambedue evoluzionisti,
suggeriscono indirettamente a Darwin l’analogia che
riguarda l’evoluzione naturale delle specie, tramite una
selezione naturale.
L’origine dell’uomo.
La coscienza e la morale
 Quando Darwin volge la sua attenzione all’uomo, ecco che le sue
ipotesi cominciano a creare problemi molto più seri,
perché mettono in questione tutte le concezioni
razionalistico-teologiche precedenti!
 Darwin afferma e scrive che anche l’uomo è frutto di
un’evoluzione da forme di vita animale precedenti (i primati in
primis), e che la sua evoluzione, ha comportato una crescita sotto
ogni profilo, a partire da quello intellettuale. La crescita
intellettuale, per Darwin, comporta anche la crescita del livello di
coscienza e quindi di senso morale.
 Le più recenti ricerche neuroscientifiche sembrano
confermare questa tesi, quando rilevano un progressivo
aumento fisico dei lobi pre-frontali del cervelli, aree della
corteccia preposte al raziocinio e allo sviluppo del pensiero.
Herbert Spencer
(1820-1903)
 Spencer nasce e cresce in una famiglia molto religiosa. Studia a
Derby matematica e ingegneria, ma bene presto mostra un
interesse molto eclettico per la filosofia naturale e sociale. Egli
infatti ritiene che anche la società degli uomini, le varie
comunità e popoli si evolvano, si sviluppino e si modifichino
analogamente alle specie naturali.
 Scrive molti testi in modo sistematico: i Principi primi, cui
seguono i Principi della biologia, i Principi di psicologia, i Principi
di sociologia e infine i Principi di moralità.
 Si può dunque definire uno studioso di discipline
raggruppabili nel plesso antropologico-sociale, con
mentalità forse abbastanza vicina a quella dei nostri tempi.
La legge dell’evoluzione:
principio unitario della realtà
 Spencer, come riconosciuto da Darwin stesso, arriva
forse prima di lui ad un evoluzionismo sistematico,
che egli cerca di applicare come legge di conoscenza di
tutta la realtà, non solo di quella naturale.
 Egli sostiene che l’intera realtà si muove secondo un
principio che prevede il passaggio dall’omogeneo
all’eterogeneo, dall’indefinito al definito,
dall’incoerente al coerente: ciò comporta
l’accettazione di una serie di princìpi: a)
l’indistruttibilità della materia, b) la continuità del
movimento, c) la persistenza della forza.
 l’evoluzione avviene pertanto in maniera sistematica o,
come scrive Spencer, ritmica, come seguendo un percorso
dettato dalle forze naturali e dall’interazione umana.
La relatività della conoscenza
e l’Inconoscibile
 Spencer concepisce la conoscenza come una possibilità sempre relativa,
in qualche modo analogamente agli empiristi classici, ma in assoluto
no troppo distante dal criticismo kantiano.
 Se condivide di Kant il concetto di inconoscibilità della cosa in sé
(il noùmeno), propone però una possibilità di conoscenza non
tanto del fenomeno come manifestazione puntuale della realtà,
ma come manifestazione continua, evolutiva della realtà stessa.
Se con gli empiristi condivide in generale la metodologia della
ricerca, ne propone però una variante significativa: la presenza
di un a-priori derivante dal principio dell’evoluzione e
dell’ereditarietà. Per Spencer, in definitiva non ci si può aspettare
qualsiasi cosa e il suo contrario, ma ciò che è intrinsecamente presente
in potenza nell’oggetto studiato (qui si può notare anche un retaggio
scolastico sul concetto di natura, come forma e principio vivente).
L’evoluzione
in campo politico e sociale
 Molto interessante la posizione socio-politica di Spencer, del
tutto alieno da militanze politiche o ideologiche.
 Per lui anche nella società e nell’evoluzione politica dei sistemi
occorre lasciare che le forze in campo si assestino, senza
particolari costrizioni. Non è possibile cambiare per
migliorare se si costringe l’uomo dentro schemi e gabbie
precostituite, obbligando popoli e nazioni a regimi cui non
sono abituati e per i quali non sono maturi (vien qui da
pensar alla democrazia esportata con la guerra cara a George W.
Bush!).
 Sarà il tempo e l’evoluzione che porteranno l’uomo a veder
conciliato al meglio il suo interesse privato e quello pubblico.
Sembra quasi di leggere un fondamento filosofico di una
sorta di liberalsocialismo democratico.
Nuovi orientamenti delle scienze
 Il positivismo ben preso rivela il suo dogmatismo,
diventando quasi una specie di religione laica. Sono le
scienze naturale i fisiche stesse che, con la loro evoluzione
e grazie alle scoperte mettono in crisi il dogmatismo.
 Mentre lo scientismo di marca positivista stava cercando di
fondare una riforma armoniosa della vita umana e della società
civile, erano le scienze stesse che, evolvendo, cominciavano a
mettere in questione certezze consolidate, ipotizzando che il
cammino della conoscenza dovesse passare attraverso una
continua verifica e ipotesi successiva.
 La scoperta delle matematiche non euclidee, la teoria della
relatività generale e quella dei quanti, preludevano già al
principio di indeterminazione che di lì a qualche anno
Heisenberg avrebbe fondato. Il meccanicismo scientista
positivista. era dunque sempre più un crisi.
Le scienze umane
 La psicologia si affranca accademicamente dalla filosofia di cui
era stata finora una branca, come filosofia razionale, e inizia il
suo percorso sperimentale, che bene presto si articola in vari
orientamenti di scuola, da quelli più biologisti e mentalisti, come
il comportamentismo, a quelli più speculativi come la psicanalisi
di Freud, la psicologia del profondo di Jung, o quella della
Gestalt, o della forma.
 Sotto il profilo filosofico si manifesta anche la corrente detta
empiriocriticismo (Avenarius e Mach), la quale si propone di
liberare la speculazione filosofica da ogni residuo bagaglio di
carattere idealistico o metafisico, superando perfino la
distinzione tra soggetto che percepisce e definisce, e oggetto
percepito, e quindi ogni dualismo classico, del tipo anima-corpo,
fisico-psichico, etc..
Le geometrie non euclidee
 Matematici come Carl F. Gauss (1777-1855), Nikolaj I.
Lobačevskij (1793-1856) e Bernhard Riemann (18261866, con le loro ricerche posero in questione
l’assolutezza delle geometrie euclidee, sostenendo
che, in condizioni diverse dalla spazio conosciuto e
sperimentato a tre dimensioni, come il nostro, spazio
a due o a quattro dimensioni, gli assiomi o postulati
euclidei cessano di esser validi: ad esempio la somma
degli angoli interni di un triangolo equilatero inscritto sulla
superficie curva di una sfera è comunque superiore a 180°.
 Oppure la possibilità che per un punto esterno a una retta
possa passare più di una parallela alle retta stessa, etc..
La teoria della relatività e i quanti
 Albert Einstein (1879-1955) e Max Planck (1858-1947) rivoluzionano
letteralmente una parte consistente della fisica classica galileiano-newtoniana.
 Il primo con la teoria della relatività e generale e i secondo con la teoria dei
quanti, mettono in questione inveterate convinzioni scientifiche:
a) con la relatività generale si critica in modo decisivo l’ipotesi newtoniana del
tempo assoluto, correlando invece il tempo allo spazio in maniera
indissolubile (alla velocità della luce il tempo quasi non scorre ovvero tra il
punto di partenza e il punto di arrivo in un secondo, appunto vi è un secondo
di differenza, a un anno-luce si possono teoricamente cogliere gli eventi
accaduti a un anno di distanza, l’anno prima);
b) con la teoria dei quanti mostra come la materia e anche la luce, finora
concepite solo come oggetti corpuscolari, nei loro stadi dimensionali
infinitamente piccoli di carattere ondulatorio, non abbiano comportamenti
prevedibili e quindi possano essere perturbate dall’osservatore stesso, così
come prevede il principio di indeterminazione di Heisenberg, cui lo stesso
Planck contribuì, senza però destituire di validità il principio classico di
causalità.
Émile Boutroux
(1845-1921)
 Boutroux studia a Parigi e a Heidelberg dove consegue il dottorato con
la tesi La contingenza e le leggi di natura. Insegna poi alla Normale
parigina e alla Sorbonne. Nel 1902 lascia l’insegnamento per dirigere la
Fondazione Thiers.
 Il suo posto nella filosofia contemporaneo è legato soprattutto alla
revisione di alcune ipotesi epistemologiche positiviste che al tempo
avevano conquistato molti spazi. Boutroux ritiene che siano
relativamente autonome solo alcune scienze, come la
matematica, la fisica e l’astronomia, mentre altre, come la
chimica-fisica, la biologia e le scienze dell’uomo (psicologia,
sociologia, antropologia culturale etc.) non possano essere
considerate l’una la prosecuzione dell’altra, ma possiedano
anche una specifica autonomia.
 In altre parole lo psicologico umano non può derivare del tutto dal
biologico, e questo dal chimico-fisico.
Il contingentismo:
scienza, libertà e religione
 Per Boutroux sia Cartesio sia Kant non hanno ragione quando
sostengono, rispettivamente che, le leggi scientifiche hanno tutte
basi matematiche e consistono in strutture cognitive a-priori
insite nell’uomo. Accade invece che l’uomo abbia bisogno di
costruire apparati simbolici per rappresentare le leggi
scientifiche.
 Questo è l’unico modo che permette di mantenere aperta la
ricerca di sempre nuovi approfondimenti delle leggi scientifiche,
che non devono essere imbalsamate in formule fisse e
irrevocabili.
 Questo filosofo, infine, riprende la tematica pascaliana
dell’esprit de finesse, che serve all’uomo per comprendere le cose
oltre e al di là degli schemi rigidi di un determinismo scientifico.
La religione può dunque convivere con la scienza, perché
raggiunge dimensioni umane altrimenti irraggiungibili.
Jules-Henry Poincaré
(1854-1912)
 Poincaré studia a Nancy, all’Ècole Polytecnique di Parigi,
all’Ècole des Mines e alla Sorbonne, conseguendo diversi
titoli accademici: una laurea in matematica, un a in
ingegneria e il dottorato di ricerca in matematica.
Poliedrico e intuitivo, alterna l’attività di docenza (a Caen
insegna Matematica, e poi a Parigi, Meccanica Fisica e
sperimentale, Fisica Matematica, Teoria della Probabilità,
Meccanica Celeste ed Astronomia), a quella di dirigente
industriale alla Societè Mineraire francese.
 Diede molti contributi in vari campi, scrivendo anche
pubblicazioni divulgative: topologia algebrica, geometria
algebrica, geometria iperbolica, teoria dei numeri,
elettromagnetismo, matematica quantistica, etc..
Il convenzionalismo
e l’oggettività della scienza
 Per Poincaré la scienza, e in particolare la geometria e
la matematica non possono dare soluzioni assolute,
cioè indefettibili e inconfutabili, in ragione della
possibilità di darsi diverse ipotesi, soprattutto con le
nuove ipotesi non euclidee. Per tale ragione la tesi
generale del filosofo-matematico è chiamata, con
qualche ambiguità “convenzionalismo”.
 In realtà ogni scienza richiede continue verifiche,
che consentano di dar senso alle sempre nuove
relazioni che si realizzano dentro ogni scienza e
tra le scienze umane e naturali.
Werner Heisenberg
(1901-1976)
 Heisenberg, insieme con Bohr, che conobbe a Gottingen,
Einstein, Planck e Dirac rappresenta il vertice della ricerca
della fisica teorica del ‘900.
 Nei primi trent’anni del secolo scorso le scienze fisiche
hanno compiuto passi giganteschi, passando da una visione
rigidamente newtoniana, che viene messa in questione da
Maxwell, a una visione che, senza respingere le scoperte del
grande scienziato inglese del XVII secolo, le colloca
correttamente nell’ambito degli eventi registrabili e
misurabili sulla terra, con l’avvertenza di ammettere nuove
leggi fisiche, se applicate al cosmo, tra le quali la relatività
generale e i quanti.
Indeterminazione e causalità
 Il principale contributo di Heisenberg è il famoso Principio di
indeterminazione (1927), che si inserisce nelle ricerche sulle
micro-particelle di materia e della teoria dei quanti.
 Per il fisico tedesco la misura simultanea di due variabili
coniugate, come posizione e quantità di moto oppure energia e
tempo, in presenza dell’osservatore, non può essere compiuta
senza un’incertezza ineliminabile. Si tratta appunto
dell’indeterminazione, che, nella dimensione micro, mette
in questione lo stesso classico principio di causalità.
 Premiato con il Nobel nel 1932, aderisce al programma nucleare
nazista (1939) di cui però non si sa molto: in ogni caso la sua
figura rimane in ‘un’aura in qualche modo ambigua per questa
ragione, che mise anche in questione la sua antica amicizia con
Bohr.
Sigmund Freud
(1856-1939)
 Sigmund Freud studia medicina a Vienna ed ottiene nel 1885 la
libera docenza in psicopatologia. Nel 1892 scrive gli Studi
sull’isteria con il dottor Breuer. Nel 1889 dà alle stampe
L’interpretazione dei sogni, nel 1901 Psicopatologia della vita
quotidiana. Seguono i Tre saggi sulla vita sessuale l’anno dopo e
nel 1909 compie con Jung un importante viaggio negli Stati Uniti
d’America dove presenta la nuova dottrina psicoanalitica. Nel
1912 pubblica il fondamentale Totem e tabù e nel 1920 Al di là del
principio di morte.
 Freud allarga i suoi interessi alla psicologia sociale con i saggi
Psicologia delle masse e analisi dell’io e Disagio della civiltà nel
1920.
 Scampato alla persecuzione antiebraica del nazismo, nel 1938
scrive a Londra il Compendio di psicanalisi, rimasto incompiuto.
La psicologia del profondo
 L’importanza culturale e sociale di Freud è fuori discussione. A partire
dagli esperimenti di Breuer con l’ipnosi, il medico viennese
inizia a considerare due ambiti: a) l’interpretazione dei sogni e,
b) l’analisi dei lapsus, delle fobie, delle ossessioni e delle
dimenticanze, ritenendo che ambedue queste fonti potessero
dire qualcosa di importante sullo stato psichico delle persone. In
questo modo Freud esce da una interpretazione solamente
organicistica degli stati e dei disagi mentali.
 La divisione della struttura della mente in tre livelli. L’Es (Id) a
rappresentare l’Inconscio, l’Ego a rappresentare il Conscio, e il
Super-ego a rappresentare la Coscienza, permette a Freud di
strutturare una mappa molto efficace delle interconnessioni sussistenti
tra vita corporea e vegetativa e vita psichica.
 La forza che muove, fin dall’infanzia, tutto il sistema psico-fisico è la
Libido intesa come pulsione di desiderio condizionante e irresistibile.
Eros e Thanatos
 Per Freud Eros è principio di piacere e spinta verso l’oggetto
desiderato (cf. in Platone), ma ha un contraltare, Thanatos, che
è l’stinto distruttivo, l’istinto di morte, come se l’uomo avesse
intrinsecamente nella propria natura una sorta di pars
construens e di pars destruens.
 Questa focalizzazione freudiana sulla Libido erotica, dopo una
prima fase di concordia e di ricerca comune, porta al distacco dal
mestro viennese di Alfred Adler (1870-1937), e soprattutto di
Carl Gustav Jung (1875-1961), che si differenzia fortemente dal
fondatore della psicoanalisi, ritenendola troppo orientata ai
fondamenti binari proposti da Freud, e preferendo uno sguardo
più ampio e complessivo sulla struttura umana, la sua storia, i
linguaggi, la simbolica archetipica e i tipi caratteriali (introverso/
estroverso, etc.).
La filosofia italiana dell’Ottocento
 La filosofia italiana del XIX secolo è strettamente collegata alla
dimensione storica e politica. Da un lato si riscontra una forte
influenza di Vico, dall’altra si muovono orientamenti molto
originali, anche se legati alla tradizione classica greco-latina,
come in Rosmini.
 Il movimento post-illuminista si sviluppa a Milano con cenacoli e
riviste, e annovera tra gli altri i nomi dei fratelli Alessandro
(1741-1816) Pietro Verri (1728-1797), di Giuseppe Ferrari (18111876), di Cesare Beccaria (1738-1794), filosofo del diritto e
giurista, notissimo per il trattato “Dei delitti e delle pene.”
 La “scuola napoletana” annovera studiosi come il Romagnosi
(1761-1835) e Pasquale Galluppi (1811-1846), né dimentichiamo
il grande rilievo filosofico dello stesso Giacomo Leopardi, con
le Operette Morali e lo Zibaldone di pensieri.
Antonio Rosmini
(1797-1858)
 Antonio Rosmini si è già laureato in teologia e diritto a Padova,
quando viene ordinato sacerdote. Fonda l’ordine religioso della
Carità, ma si dedica con grande passione alla riflessione
filosofica e teologica, non evitando problemi non da poco con la
gerarchia e il papato stesso, per le sue rigorose posizioni.
 Il suo scritto fortemente critico Delle cinque piaghe della Santa
Chiesa (1848) e il trattato Costituzione secondo la giustizia
sociale dello stesso anno gli creano problemi tali da essere posto,
come autore, all’Indice dei libri proibiti.
 I suoi scritti successivi più importanti: il platonico Nuovo saggio
sull’origine delle idee (1830), i Princìpi della scienza morale (1831),
la Filosofia della morale (1837), la Filosofia della politica (1839), la
Filosofia del diritto (1841-45) e la Teodicea (1845).
L’idea dell’essere
 Filosoficamente il Rosmini si oppone, sia al sensismo e
all’empirismo, sia al criticismo kantiano: egli sostiene che la
realtà non è una semplice funzione del soggetto (realismo
classico), ma un qualcosa che esiste in quanto indipendente dal
soggetto percettore, sotto il profilo ontologico.
 Per Rosmini l’essere è un lume che si accende nella mente e
da questa è intuito come verità inoppugnabile, senza che
ciò significhi di poter cogliere la sua essenza: e ciò è tanto
più vero in tanto in quanto l’essere è dato da Dio stesso, essendo
Dio l’Essere in sé, inconoscibile.
Questo essere non è solo ideale, ma è anche concreto nella
percezione che l’uomo ha di se stesso, ed è anche un essere
morale, nel momento in cui la coscienza illuminata dalla fede
discerne l’azione buona dall’azione mala, laddove l’uomo deve
essere sempre considerato come fine e mai come mezzo.
Vincenzo Gioberti
(1801-1852)
 Ordinato sacerdote nel 1825, Vincenzo Gioberti è all’inizio
influenzato dalle nascenti dottrine risorgimentali, non senza
interessare, però, un sovrano come Carlo Alberto, che lo nomina
suo cappellano. Ben presto le cose cambiano: Gioberti, accusato
di complotto viene arrestato e bandito dal Regno sabaudo senza
processo. Ripara a Parigi e poi a Bruxelles dove insegna filosofia,
ma torna a Torino nel 1848, rifiutando lo scranno senatoriale
offertogli dal re, ma accettando di essere nominato deputato.
Nominato Presidente del consiglio nel 1849, termina con l’ascesa
al trono di Vittorio Emanuele II la sua carriera politica,
iniziandone una diplomatica a Parigi, dove muore a 51 anni in
povertà.
 Gli è stato dedicato un liceo classico a Torino.
Pensiero e opere
 Il pensiero di Gioberti è di tipo classico, quasi scolastico:
per lui l’Ens, cioè Dio crea l’existens ex nihilo. Da Dio
vengono le idee della conoscenza umana che si
rispecchia in Dio stesso, e si manifestano attraverso il
linguaggio. È sostanzialmente un neo-platonico moderno.
 Per Gioberti la civiltà si identifica con la religione, come
sostiene nel Primato morale e civile degli italiani. Prima di
questo trattato aveva scritto anche testi filosofici e teologici
come La teorica del sovrannaturale, l’Introduzione allo
studio della filosofia, Del bello e Del Buono, il
Rinnovamento civile dell’Italia. Tutti scritti che possiamo
definire “ortodossi” dal punto di vista cattolico, ma che non
gli fecero mancare, per un certo periodo, l’iscrizione
nell’Index librorum prohibitorum.
Hegelismo e materialismo storico:
B. Spaventa e A. Labriola
(1817-1883) (1843-1904)
 Bertrando Spaventa, sacerdote napoletano, ben presto
abbandona l’abito talare, dedicandosi all’insegnamento della
filosofia nelle università di Bologna e Napoli. La sua concezione
storico-teoretica collega inmodo organico la storia della filosofia
moderna italiana a quelle europea, sostenendo che i pensatori
italiani sono stati precursori di quelli europei: Telesio e
Campanella di Bacon, Locke e Descartes; Bruno di Spinoza e
Leibniz; Vico di Hegel stesso.
 Antonio Labriola, docente di filosofia morale a Roma, si
inquadra nel marxismo teorico in qualche modo definibile come
ortodosso, distinguendo rigorosamente gli elementi della
struttura sociale, come quelli economici, giuridici e morali, da
quelli più sovrastrutturali, come la religione, l’arte e la scienza.
Il positivismo: Cattaneo e Ardigò
(1801-1869) (1828-1920)
 Carlo Cattaneo si distingue per un’impostazione teorica di
impostazione positivistica, naturalistica e anti-cartesiana.
Egli cerca di accreditare un’idea, un’esigenza di dare
importanza alla socialità, alla dimensione collettiva, non
solo statuale, ma legata alle comunità locali, federalista.
 Roberto Ardigò, anch’egli, come Spaventa, vive
l’esperienza del passaggio da sacerdote a laico. Egli studia il
pensiero positivo di Spencer, criticandolo, con una
sottolineatura: l’evoluzione di tutti gli ambiti umani e
cosmici è continua e infinita, talché altrettanto occorre
pensare dello sviluppo umano: da non trascurare la sua
teoria pedagogica della costruzione di un’abitudine tale da
costruire un percorso di crescita individuale e sociale.
Pensiero e azione
nel Risorgimento: G. Mazzini
 Pensiero e Azione è l’endiadi, il sintagma della dottrina e della prassi
di Giuseppe Mazzini, pensatore e agitatore politico emblematico
dell’Ottocento risorgimentale italiano ed europeo. La sua visione cerca
di coniugare il tema della libertà con quello della patria,
connettendoli in modo inscindibile.
 Per lui il luogo della patria e della libertà è la nazione, non come un
tutto-organico di tipo illuministico-positivistico, ma come un
luogo ideale e morale di comunità e di valori condivisi.
 Un altro aspetto altrettanto importante della sua dottrina, è l’afflato
all’uguaglianza sociale, che si differenzia profondamente dall’ipotesi
comunistica di Marx, ma anche dal liberalismo classico, poco attento ai
diritti sociali generali, e più attento all’individuo.
 Ma il tema centrale del pensiero mazziniano è la dimensione
spirituale, che ispira e ricomprende tutte le altre, dando l’afflato
morale a tutto l’agire umano individuale e collettivo. La dimensione
religiosa assume dunque anche una valenza laica.
Il liberalismo moderato
 Possiamo annoverare in questo orientamento politico-filosofico
figure come Alessandro Manzoni, il Gioberti, d’Azeglio,
Cesare Balbo. Costoro si possono considerare cultori di
un’impostazione comune, che ha nella storia il minimo comun
denominatore. È in quel periodo che a Torino e Firenze vengono
istituite Facoltà universitarie e Studi dedicati alle discipline
storiografiche (il Viesseux a Firenze e la Deputazione di Storia
patria a Torino).
 L’europeismo è un altro sentimento che cresce, anche per la
sensibilità del maggior politico del secolo italiano (e forse
dell’intera storia italiana contemporanea), Camillo Benso conte
di Cavour.
 Tale indirizzo politico, purtroppo, non avrà un prosieguo molto
felice, se perfino ai giorni nostri si è alla ricerca di un soggetto
che lo rappresenti dignitosamente.
Il liberalismo radicale
 Giuseppe Ferrari e Carlo Cattaneo, come rappresentanti del
liberalismo radicale, si differenziano non poco sia dal
Mazzini, sia dai moderati: dal pensiero mazziniano perché
non respingono la possibilità di alleanze progressive con le stesse
monarchie, al fine di creare un meccanismo di progresso sociale;
dal pensiero liberale moderato, perché non si accontentano di
una riformismo di aggiustamento, ma pretendono di percorrere
un itinerario molto più lungo e finalizzato a realizzare nel corso
del tempo una vera e propria sovranità popolare democratica
e rappresentativa delle esigenze di tutti.
 In questo contesto anche le patrie e le nazioni, e solo se
organizzate in modo federalista, hanno un ruolo di
liberazione progressiva dei popoli, in un contesto nel quale
libertà e giustizia si coniugano in armonia.
Benedetto Croce
(1866-1952)
 Di famiglia abruzzese agiata Benedetto Croce è ospite a Napoli di
Silvio Spaventa (fratello di Bertrando). A Napoli studia giurisprudenza
senza laurearsi mai. Ascolta però con grande interesse le lezioni di
Antonio Labriola, sviluppando così il suo approccio filosofico
storicistico alla realtà.
 Studia economia e politica stimolato dalla volontà di confrontarsi da un
punto di vista liberale con il materialismo storico dei marxisti che viene
conoscendo.
 Scrive nel 1900 Materialismo storico ed economia marxistica, fondando
subito dopo la rivista La critica, insieme con Giovanni Gentile, da cui si
separerà, conservando però sempre grande stima di lui.
 Nominato senatore nel 1910 entra nel Governo Giolitti nel 1920. dopo il
delitto Matteotti (1924) Croce assume una posizione antifascista
sempre più netta. Torna alla politica dopo la liberazione alla guida del
Partito liberale.
Le opere
 I quattro volumi della Filosofia dello spirito: 1. Estetica






come scienza dell’espressione e linguistica generale (1908);
2. Logica come scienza del concetto puro (1909); 3. Filosofia
della pratica. Economia ed etica (1909); 4. Teoria e storia
della storiografia (1917);
La filosofia di Giovambattista Vico (1911);
Saggio sullo Hegel (1913);
La poesia (1936);
La storia come pensiero e azione (1838);
Storia d’Italia (1928);
Storia d’Europa (1932).
Sulla storia, l’arte e l’economia
 Per Croce il positivismo sbaglia quando pretende di
strutturare la conoscenza della storia entro parametri fissi
e prefissati, rigidamente necessari, poiché invece la storia
degli uomini si dipana in modo diverso nei tempi e nei
luoghi e imprevedibilmente. La storia, comunque, si distingue
dall’arte, in quanto è narrazione di eventi e fenomeni reali,
mentre l’arte è la dimensione del possibile, che la creatività può
realizzare.
 Del marxismo il filosofo napoletano recupera la
sottolineatura data all’economia, ma non come unico
motore e ragione principalmente razionale dell’evoluzione
storica, bensì come dimensione da analizzare
filosoficamente, in quanto luogo della realizzazione
dell’utile, che deve sempre essere considerato in prospettiva
etica.
La filosofia dello spirito
 Nel primo volume della Filosofia dello spirito, Croce imposta il
suo sistema teoretico: egli distingue prima di tutto un
momento conoscitivo (teoretico) da uno pratico; nel
momento teoretico distingue poi l’arte dalla filosofia; nella
dimensione pratica individua una distinzione fra
l’economia (individuale) e la morale (universale).
 I quattro “trascendentali” che sintetizzano questo movimento
sono dunque: il bello, il vero, l’utile e il buono.
 Ma, a differenza di Hegel, Croce non accetta il processo
dialettico sistematico, poiché ritiene di non doversi
contrapporre i termini generali delle dimensioni spirituali,
bensì di giustapporli, poiché ciascuno di essi sintetizza una
dimensione della realtà dello spirito e della vita umana.
L’arte e la letteratura
 Per Croce l’arte comincia sempre dall’intuizione, e siccome
ogni sapere inizia dall’intuizione, tutto ha una componente
artistica, almeno all’origine.
 L’arte propriamente detta, come opera completa, altro non è che
un qualcosa di più complesso e specificamente approfondito:
dalla letteratura alle arti figurative alla musica.
 Ogni conoscenza intuitiva è dunque in qualche modo arte,
anche se non ogni prosieguo diventa opera d’arte.
 L’opera d’arte, però, non è un qualcosa di analizzabile in modo
minuzioso e positivistico, ma un qualcosa che si manifesta come
soddisfazione totale del gusto del fruitore in rapporto al lavoro
dell’artista, che può essere talmente profonda da manifestarsi
come geniale e universale.
Concetti e pseudo-concetti
 D’altro canto, per Croce, dall’intuizione si sviluppa il pensiero
che si dipana tramite i concetti (cose concepite), suddivisi in tre
elementi: a) l’espressività, b) l’universalità, c) la concretezza.
 Altrimenti, invece, funziona il pensiero nella ricerca scientifica,
nella quale si adoperano quelli che il filosofo denomina
pseudoconcetti, in quanto sono relativi al linguaggio di
ciascuna scienza, a partire dalla matematica, dall’algebra e dalla
logica, con le loro simbologie convenzionali.
 Gli pseudoconcetti sono dunque forme astratte dello
spirito, mentre i concetti del pensiero storico e filosofico
sono forme che contengono la concretezza della
dimensione esistenziale e storica.
 Il giudizio storico individuale è, infine, il momento
conoscitivo massimo in quanto conoscenza intuitiva logica e
quindi inconfutabile.
Economia ed etica
 Per Croce l’economia è il momento individuale necessario
che mette l’uomo nelle condizioni di progredire e
sviluppare le proprie attività, ed è un momento
logicamente antecedente alla morale.
 La morale, per contro, è la dimensione necessaria riflessiva
sul valore dell’economi e sull’esigenza di considerare
l’economia non come un assoluto, ma come uno strumento
atto a migliorare la vita dell’uomo e di tutti gli uomini.
 Il diritto poi si pone come elemento di mediazione e di
regolamentazione tra economia e morale.
 Infine, è la politica che deve operare una sintesi tra i vari
elementi costituitivi della vita civile e sociale, come Croce
stesso ha potuto sperimentare di persona nei vari periodi in cui
ha fatto politica (fase del liberalismo, del fascismo e del
dopoguerra fino alla sua morte).
Lo storicismo
 Molto interessante è la visione storicistica del filosofo
napoletano. Egli, contrariamente a Hegel, non vede lo sviluppo
degli eventi storici come crescita necessaria, o
manifestazione del realizzarsi dello spirito assoluto, ma
piuttosto come un processo che può avere momenti di
maggiore maturità e così realizzare progresso sociale, sia
momenti di crisi e addirittura di regressione.
 Per Croce,la storia è la storia del manifestarsi progressivo
della consapevolezza umana, cioè del costituirsi di una
libertà sempre più responsabile e moralmente capace di
affrontare i problemi delle comunità sociali e dei popoli,
anche se uno dei fondamenti di questo processo, che a volte si
manifesta anche in termini irrazionali, è proprio una certa
imprevedibilità, che necessita sempre di una visione più alta.
Giovanni Gentile
(1875-1944)
 Giovanni Gentile studia alla Scuola Normale Superiore di Pisa,
laureandosi in filosofia. Insegna all’università di Palermo e inizia
la sua attività saggistica. Pubblica gli studi su Rosmini e Gioberti
nel 1898, su La filosofia di Marx nel 1899, il Sommario di
Pedagogia nel 1913 e La riforma della dialettica hegeliana nello
stesso anno.
 Passato all’università di Pisa e a quella di Roma, Gentile continua
nella pubblicazione di saggi e testi filosofici: La teoria generale
dello spirito come atto puro nel volume della Riforma della
dialettica hegeliana, i Fondamenti della filosofia del diritto nel
1916, il Sistema di logica come teoria del conoscere del 1917, i
Discorsi sulla religione nel 1920, la Riforma del conoscere del
1917, Le origini della filosofia contemporanea del 1917-23 e gli
Studi sul Rinascimento del 1923.
Vita e altre opere
 Nel 1922/24 è Ministro della pubblica Istruzione nel I Governo
Mussolini, elaborando in quel periodo la famosa riforma
scolastica che porta il suo nome.
 Finisce nel 1920 la sua collaborazione con Croce nella rivista La
Critica e fonda il Giornale Critico della Filosofia Italiana.
Nominato Senatore del regno nel 1922, Gentile lascia il Governo
dopo il delitto Matteotti. Dirige l’Enciclopedia Italiana Treccani e
infine la Scuola Normale Superiore di Pisa. Nel 1943 è nominato
Presidente dell’Accademia d’Italia.
 Scrive i suoi ultimi saggi: Filosofia dell’arte (1931), l’Introduzione
alla filosofia (1933) e Genesi e struttura della società (pubblicata
postuma nel 1946).
 Gentile aderisce al fascismo dalla prima ora e anche dopo l’8
settembre 1943: un gruppo di partigiani dei GAP lo assassina
a Firenze il 15 aprile 1944: un’ignominia, in ogni caso.
La riforma della dialettica
 Gentile considera tutte le tappe del pensiero idealista, a partire
da Platone, passando per Kant, Fichte e Hegel.
 Rileva in tutti questi pensatori un limite diverso: in Platone la
non posizione dell’idea di Dio come origine della
percezione; a Kant di aver fondato la conoscenza sul
fenomeno come manifestazione del noùmeno; a Hegel di
aver proposto il movimento del divenire in una dialettica
che non è originata dall’io pensante; a Fichte, pur
ritenendolo più vicino al suo pensiero, di non essere
passato dalla nozione di io-puro non vi ha fatto scaturire la
conseguenza dell’atto puro di un io-pensante.
 Per Gentile il pensare, essendo attività, è causa sui, libertà e
coscienza, poiché solo il pensiero diviene, mentre la cosa è.
L’atto puro
e l’unità di soggetto e oggetto
 Per Gentile dialettica, filosofia, autocoscienza,
autoposizione (autoctisi) del soggetto, unità, realtà,
concretezza sono termini strettamente collegati e
reciprocamente necessari. Soggetto e oggetto non sono
indipendenti, ma intimamente interrelati nell’atto
puro della conoscenza.
 Il pensiero non può, però, non sapersi distinguere da se
stesso nell’atto del pensare: il pensante deve essere
distinto dal pensato, come la psicologia si deve
distinguere dalla logica.
 La storia stessa dunque, per Gentile, “non è quella che si
spiega nel tempo, ma quella che si raccoglie
nell’eterno atto del pensare”, cosicché l’atto puro del
pensiero conoscente è vivo ed eterno.
Concreto e astratto
 Se l’atto puro del pensiero conoscente riassume e
ricomprende tutta la realtà, allora si può dire, per
Gentile, che ogni processo conoscitivo è costruzione
della storia, ma anche processo pedagogico, quando si
tratta di trasmissione di conoscenza e di formazione.
 Sotto questo profilo è indubbia l’importanza di questo
filosofo, perché il processo educativo, cioè di crescita del
discente, avviene solo se tra i due soggetti avviene una
specie di incorporazione, di fusione, là dove il sapere riesce
a congiungersi con la disponibilità e l’apertura psicologica.
 Una pedagogia del genere collega in modo organico la
nozione astratta al concreto esistenziale dell’allievo,
permettendogli di avviare il suo proprio e autonomo
processo di crescita culturale e cognitiva.
Arte, religione e scienza
 L’arte, per Gentile, è il luogo dove si realizza la soggettività individuale,
ed è simile al sogno, l’arte, come per Croce, è lirica, è manifestazione
indicibile del sentimento. Se anche la filosofia è forma, l’arte lo è nella
modalità più soggettiva e irripetibile, lo è nell’ineffabilità della
creazione, analoga a i sogni, appunto.
 La religione, invece, è oggettiva, esterna, e si presenta nel tempo in
modi sempre più elevati, per cui si è assistito storicamente al passaggio
dai politeismi al monoteismo.
 La scienza, infine, è formalmente simile alla filosofia, ma è più astratta
e legata a linguaggi specifici, a dimensioni articolari e specifiche della
conoscenza, non potendo così darsi in termini critici, poiché il suo
oggetto si pone come realtà in sé: la natura è cosa-altra-dall’uomo,
anche se l’uomo fa parte della natura.
 Né la scienza, né l’arte, né la religione possono quindi avere storia,
poiché si pongono come oggetti da scoprire, a differenza della filosofia,
che è sapere in itinere, mai definitivamente accertato.
Teoria e prassi, vita e filosofia
 Per Gentile la vita è filosofia e la filosofia è vita. Non vi è
contrapposizione tra dimensione teoretica e dimensione pratica
della vita, perché la prima altro non è che la dimensione astratta
della seconda e viceversa.
 La filosofia è dunque la manifestazione di una volontà capace di
vivere, sostanza immanente di una vita spirituale, espressione
esistenziale di un essere pensante e raziocinante che decide,
ama, sceglie, vive.
 Per Gentile, il Cristianesimo supera la filosofia antica,
perché questa si è limitata a cercare di conoscere la natura
e l’uomo stesso, finendo nelle aporie dello stoicismo,
mentre quello ha posto l’uomo come vita intelligente che si
autocrea nella scelta della vita e delle opere che compie, a
immagine del Dio che l’ha creato libero.
 L’attualismo gentiliano in questo si riassume.
Il pensiero contemporaneo
 Nel ‘900 il pensiero si frammenta in numerosi i rivoli
teoretici e pratici. A differenza del secolo precedente, che aveva
visto l’evidenziarsi di alcune robustissime “scuole di pensiero”,
come l’idealismo, il romanticismo, il positivismo, il marxismo, il
XX secolo presenta molti ripensamenti caratterizzati dal prefisso
“neo”, e dunque abbiamo il neopositivismo, il neoidealismo, la
neoscolastica, oltre a scuole che possiamo ritenere tipiche del
tempo, come la fenomenologia, l’esistenzialismo, l’analitica e gli
orientamenti fusi o confusi con le dottrine psicoanalitiche, come
in Jaspers, Foucault, Lacan, Derrida, e i nouveaux philosophes
francesi degli anni ‘70 e ‘80.
 Hanno inoltre rilievo le nuove correnti teologiche, come in Karl
Barth e Rudolf Bultmann, e un’indubbia rinascita
kierkegaardiana dentro la scuola esistenzialista. In Italia, nella
seconda parte del ‘900 si sviluppa il “pensiero debole”.
Maurice Blondel
(1861-1949)
 Maurice Blondel, filosofo e docente universitario francese è un
pensatore cristiano, la cui teoresi è imperniata sull’azione.
Scrive nel 1893 un saggio dal titolo L’azione, di impronta
antipositivista e antiscientista. Partecipa al movimento ecclesiale
del modernismo, e così viene emarginato dopo la condanna
pontificia da parte di Pio X con l’enciclica Pascendi. Si chiude nel
riserbo e nel silenzio.
 Solo nel 1934 riprende un’attività forte che lo porta ad elaborare
con chiarezza una filosofia dell’azione e della volontà, con la
quale si oppone ancora, sia alle scuole scientiste sia all’hegelismo,
sostenendo l’importanza di un agire di coscienza, sia sotto il
profilo etico-pratico e politico, sia sotto il profilo religioso. Per
Blondel la vera scienza nulla deve alla ricerca esterna, ma
tutto deve al cuore stesso dell’azione.
Georges Eugène Sorel
(1847-1922)
 Sorel si è distinto in diverse attività: ingegnere, filosofo,
sociologo e teorico del sindacalismo rivoluzionario. Socialista e
marxista, sindacalista rivoluzionario.
 Nel 1908 pubblica le sue Considerazioni sulla violenza, sulla
rivista sindacalista rivoluzionaria diretta da Enrico Leone Il
Divenire Sociale. Intrattiene una corrispondenza notevole con
Benedetto Croce, Vilfredo Pareto, Gustave Le Bon e Bergson.
 Sorel considera la violenza proletaria necessaria, sia nella
versione dello sciopero generale, sia in altre forme. È invece
contro la guerra nel 1914 e sostenitore della Rivoluzione russa del
1917 e dei bolscevichi.
 Personaggio contradditorio e affascinante, più noto in Italia che
in patria: in Italia fu apprezzato e seguito anche dallo stesso
Mussolini nella sua fase socialista rivoluzionaria.
Il pragmatismo
 Non può che nascere in America, negli U.S.A. il pragmatismo,
legato a una visione estremamente chiara del rapporto tra
pensiero e prassi: riprendendo la distinzione kantiana fra
pratica come dimensione morale dell’agire umano, e
pragmatica come relazione tra mezzi e fini, W. James e C. S.
Peirce (1839-1914) sviluppano una dottrina molto interessante,
che ribalta il principio cartesiano delle idee chiare e distinte
come premessa di ogni agire razionale.
 Peirce in particolare ritiene che sia necessario invece
partire dalla prassi per chiarire i percorsi possibili all’agire
razionale, rischiando però di essere stracapito: a questo
punto è James a chiarire bene che non si tratta di una
dottrina meramente mercantilistica ed economicistica, ma
una teoria atta a confermare la possibilità di una prassi
fondata su solide basi.
Realismo e logicismo
 Pensatori come G. E. Moore (1873-1958), G. Frege (1838-
1925) e B. Russell (1872- 1970), si collocano sul versante di
un realismo radicalmente antimetafisico. Questo
realismo si oppone sia all’idealismo di tipo hegeliano, sia a
una sorta di scetticismo risalente addirittura a Berkeley.
 Questo realismo recupera il senso comune come
strumento epistemologico fondamentale, sostituendo
i punti di riferimento classici della perseità
proposizionale come soggetto e predicato, con i
termini funzione e argomento.
 Questi filosofi tendono dunque a semplificare in maniera
che si può definire atomica la logica e il pensiero.
Il neopositivismo
 Di questa corrente ricordiamo due studiosi: R. Carnap (1891-1970) e O.
Neurath (1882-1945). La polemica filosofica contro lo scientismo
positivista, crea una reazione motivata: la scoperta delle geometrie non
euclidee, la nuova fisica della relatività e dei quanti, le nuove scienze
umane (psicologia clinica e sociologia) rendono possibile una sorta di
reazione razionalistica, analitica e in qualche modo neo-kantiana.
Russell, Frege e Wittgenstein, oltre a i due filosofi sopra citati, guidano
una sorta di rivoluzione neo-positivistica, analitica, linguistica.
 È soprattutto a Vienna (con il suo Circolo), di cui fanno parte Neurath
e Carnap, che produce molti risultati e ricerche. Carnap scrive nel
1932 Il superamento della metafisica mediante l’analisi logica del
linguaggio, con la quale afferma esserci due soli tipi di
proposizioni: a) le formule logiche e matematiche che non dicono
nulla della realtà e, b) le formule empiriche: da ambedue questi
ambiti, secondo Carnap la metafisica esula.
 Per Neurath, invece, la fisica è il luogo e il modo epistemologico
che deve guidare ogni ambiente conoscitivo.
Storicismo e filosofia valoriale
 In quest’ambito della ricerca filosofica vanno ricordati
soprattutto due autori: Wilhelm Dilthey (1833-1911) e Max
Scheler (1874-1928).
 Dilthey distingue due dimensioni della conoscenza: a) lo
spiegare tipico delle scienze fisiche e naturali e, b) il
comprendere, che attiene a tutti gli altri ambiti della
conoscenza umana, specialmente quella riferita alle scienze
antropologiche, a quelle storiche e agli ambiti della creatività
artistica.
 Scheler affronta invece il tema di un’etica che non si basi
solamente sul formalismo prescrittivista kantiano, ma
affronti il tema dell’agire libero dell’uomo tenendo conto
della dimensione soggettiva e intenzionale dell’agire
stesso, alla luce di una nozione chiara del fine buono, cioè
l’uomo, l’umanità intera e la natura tutta nella quale l’uomo vive.
Fenomenologia e esistenzialismo
 Un altro “ambiente” filosofico novecentesco di grande interesse è quello
della fenomenologia e dell’esistenzialismo, nei quali annoveriamo
alcuni pensatori fondamentali: F. Brentano (1838-1917), K. Jaspers
(1883-1969), G. Marcel (1889-1973) e J.-P. Sartre (1905-1980).
 L’intreccio tra i due approcci riflette l’interesse novecentesco per
una modalità conoscitiva legata all’intenzionalità della
coscienza individuale, come luogo dove si danno gli oggetti
esterni, ma anche luogo che si propone come esistenziale, cioè
connesso a ciò che della vita umana appare come ex-sistente,
oltre ogni metafisica dell’essere. Molto importanti sono i legami
che si registrano tra queste teoresi filosofiche e la psicologia
sperimentale contemporanea. In ogni caso il tema posto è quello di
legare la ragione conoscente e l’esistenza dell’uomo.
 Queste dottrine si sono sviluppate, sia su un versante di tipo religioso,
come in Marcel, sia su un versante di tipo agnostico come in Jaspers, o
ateistico, come in Sartre.
Il marxismo nel ‘900
 Personaggi come Lenin (Vladimir Ilijč Ulianov, 1870-1924), G.
Lukács (1885-1971) e A. Gramsci (1891-1937) sono forse più noti,
specie il primo e il terzo, all’ambito della storia politica, che alla
storia della filosofia contemporanea. In modo profondamente
diverso, questi tre autori sviluppano la dottrina marxista: se
Lenin contribuisce a dare un significato estremamente
pragmatico al tema della trasformazione rivoluzionaria della
società e del ruolo del partito, contribuendo alla costruzione
del sintagma che comprende il suo stesso nome, Lukács recupera
l’elemento dialettico nell’analisi marxista della realtà.
 Infine, Gramsci muove da una certa staticità la nozione marxista
di classe, introducendo il tema di una continuità tra rivoluzione
socialista e Risorgimento, là dove il ruolo degli intellettuali è
visto come organico e tendenzialmente egemonico.
Il pensiero sociologico
 Due fra i principali ricercatori di questa disciplina umanistica
otto/novecentesca possono essere considerati E. Durkheim (1858-1917) e T.
Parsons (1902-1979). In particolare con Durkheim la sociologia tende ad
affermarsi come disciplina autonoma, sia dall’economia, sia dalla psicologia
(specialmente quella sociale) e dalla psicoanalisi, sia dalla filosofia, sia infine
dall’antropologia culturale e dall’etnologia, con le quali discipline in qualche
modo “confina” e interloquisce continuamente.
 La sociologia si interroga dunque, sempre descrittivamente, su tutti i
fenomeni sociali, a qualsiasi ambito appartengano: dal lavoro, alla
religione, dall’economia all’educazione. Su ogni ambiente si può dare uno
sguardo sociologico, tale da far comprendere i fenomeni e la loro ripetitività o
specificità.
 L’americano Parsons sviluppa una sociologia che rifugge da schematismi di tipo
storicistico, sostenendo che tale scienza deve basarsi essenzialmente sulla
possibilità di individuare collegamenti sistematici tra i fenomeni: il suo
indirizzo, molto diffuso è detto funzionalismo.
 Si tratta di una scuola di pensiero che si inserisce in un dibattito molto ampio e
fecondo, che ha nella cosiddetta “Scuola di Francoforte” il suo vertice.
La “Scuola di Francoforte”
 I nomi che si fanno solitamente per designare questa “scuola”
socio-filosofica di primaria importanza nel ‘900 (dal 1923 in poi)
sono M. Horkheimer (1895-1973), T. Adorno (1903-1969), E.
Fromm (1900-1980) e H. Marcuse (1898-1979).
 A differenza dei funzionalisti à la Durkheim e Parsons, i tedeschi
di Francoforte, cui diede una mano qualche decennio dopo
anche Jurgen Habermas (1929) ritengono di fare una sociologia
fortemente filosofica ed eticamente fondata. La sociologia deve
quindi interessarsi allo smascheramento degli inganni di
una società industrial-democratica che tende a fagocitare
le coscienze all’interno di una sorta di pensiero unico.
 La Scuola di Francoforte è pertanto fortemente intrisa di
libertarismo e anche di una sorta di socialismo utopistico, di
teoria critica della società contro ogni razionalismo
ottimisticamente illuminista o positivista.
Lo strutturalismo:
linguistica e antropologia
 Se nel ‘7/ 800 studiosi come Herder e von Humboldt avevano
studiato il linguaggio come struttura diacronica, che si sviluppa
nel tempo, ricercatori interdisciplinari come F. De Saussure
(1857-1913) e C. Lévi-Strauss (1908-2009) battono una strada
diversa: cercano di individuare una sorta di struttura sistemica
sincronica, sia nel linguaggio, sia nelle società che si formano nel
tempo. Ad esempio, per quanto concerne il linguaggio, De
Saussure, ritiene che si debba in ogni tempo, luogo e idioma
parlato/scritto, distinguere tra la dimensione linguistica
(langue) e la dimensione del parlato individuale (parole),
poiché la prima dà comuni significati etimologici e semantici,
mentre la seconda corrisponde al sentimento e al significato
accepito dal singolo parlante, sempre diverso.
 Lo stesso metodo strutturalista è stato applicato da Lévi-Strauss
all’etnologia e all’antropologia culturale.
Teologia dialettica
e dimitizzazione
 Nel profluvio sterminato di teologi del ‘900, possiamo fermarci su un
paio: Karl Barth (1886-1968) e Rudolf Bultmann (1884-1976). Il
prodromo della loro ricerca, specialmente di quella bultmanniana, può
essere considerato Rudolf Otto (1869-1937), autore (1927) di un testo
fondamentale per comprendere la dimensione del sacro e del religioso
“Il Sacro”, che costituisce una dimensione antropologica “a-priori”
presente nella vita umana e in tutte le culture e civiltà: si tratta del
numinosum, del mysterium tremendum et fascinans. Bultmann,
dal canto suo demitizza la Scrittura separando nettamente il “Gesù
storico” dal “Cristo” paolino, il giudaismo dall’ellenizzazione.
 Barth propone invece una lezione straordinaria di matrice
kierkegaardiana che presenta il divino a una distanza
insuperabile per l’uomo, il quale deve abbandonarsi alla Fede,
senza timore. Il suo commento della Lettera ai Romani di Paolo, resta
un caposaldo della teologia del ‘900, come luogo dove risuona la parola
divina cui l’uomo deve semplicemente arrendersi.
Henri-Louis Bergson
(1859-1941)
 Henri Bergson supera sia la tradizione positivista, sia la
tradizione spiritualista, avendo una notevole influenza nei campi
della psicologia, della biologia, dell’arte, della letteratura e della
teologia francesi. Docente di licei e università varie in Francia e
Inghilterra, ha molti riconoscimenti, fino al premio Nobel per la
letteratura nel 1927. Ebreo, resta sulla soglia di una conversione al
cattolicesimo.
 Le sue opere principali: il Saggio sui dati immediati della
coscienza del 1889; Materia e Memoria del 1896; L’evoluzione
creatrice del 1907 e infine Le due sorgenti della morale e della
religione.
 Scrive altre opere e discorsi (come il trattato sul Riso) ed è
insignito di molte onorificenze , pur vivendo delle sue risorse con
la famiglia in modo sobrio e umile.
L’evoluzione creatrice
 Per Bergson l’evoluzione naturale si presenta come un
continuum senza un fine (teleologia), derivante dalla
creazione, superando ogni forma di meccanicismo e di
finalismo senza senso.
 Lo slancio vitale è la forza che muove la vita, come
adattamento dinamico all’ambiente in una continua
dialettica di crescita. La trasformazione dell’uomo e della
natura avviene, sia mediante forze intrinseche, sia
mediante un intervento volontario da parte dell’uomo, che
deve sempre tenere conto della sua esperienza (influenze
del pragmatismo di William James, con cui Bergson ebbe
rapporti fecondi).
La durata e il tempo
 Bergson sembra anticipare, in un certo senso, la dottrina della
relatività generale di Einstein, con l’idea di un tempo correlato
alla velocità di un oggetto osservato, e in un altro senso
recuperare la nozione filosofica greca classica di kairòs, o di
tempo interiore di matrice agostiniana.
 Per lui, dunque, accanto a un tempo lineare, fisico,
misurabile, vi è un tempo la cui durata è di carattere
spirituale, interiore, come accrescimento qualitativo
continuo, refrattario a ogni misurazione. Il suo tratto
essenziale è il vissuto affettivo, che realizza cambiamento nel
tempo fisico, ma in modo inesprimibile.
 Il tempo è dunque il luogo dove avviene il cambiamento
continuo, ma nella conservazione evolutiva dell’esistente.
L’istinto e l’intelligenza
 Una delle differenze fondamentali che caratterizzano
l’essere umano nei confronti degli altri animali, è la
distinzione antropologica tra istinto e intelligenza (che
però le neuroscienze contemporanee leggono in modo un
po’ diverso): se l’istinto è dato dalla natura e
dall’ontogenesi, l’intelligenza si sviluppa con la
conoscenza formale delle cose e dei loro rapporti, ed è
strumento esistenziale.
 Ma l’intelligenza è la pista attraverso la quale l’uomo
è riuscito far il salto verso una condizione biologica,
psicologica e cognitiva, che lo ha differenziato
profondamente in termini evolutivi, pista tuttora
aperta e foriera di inconcepibili sviluppi e fermenti di
crescita ulteriore, oltre i limiti attualmente raggiunti.
L’intuizione
 Bergson ritiene che la conoscenza avvenga analiticamente
attraverso l’intelligenza, ma sinteticamente solo attraverso
l’intuizione a livello di coscienza del dato empirico. Se
l’intelligenza permette all’uomo di codificare,
classificare, analizzare la realtà in ogni sua piccola
parte, l’intuizione, come sguardo unitario (un
prodromo della psicologia Gestaltica?)…
 …l’intuizione gli permette di cogliere il semplice per
arrivare al complesso, di vedere la sorgente prima
delle foce, di cogliere la bellezza di Parigi senza
bisogno della cartoline, di apprezzare una pittura,
nella sua struttura unitaria, differentemente da un
mosaico!
 L’intuizione è come la porta della verità delle cose!
La morale, la religione, la società
 Bergson ritiene che la società debba uscire dalle forme
cristallizzate di credenza, aprendosi a modalità nuove e
dinamiche: l’intera umanità è portata ad accettare una
religione capace di dialogare con i problemi del
mondo e dell’uomo in un afflato mistico e fraterno.
 Essendo ebreo, riesce a mantenere integra la sua posizione,
rinunciando a tutte le cariche precedentemente
attribuitegli, quando il governo di Vichy vara le leggi
antisemitiche.
 La sua morale è interamente umanistica e aperta alla
condivisione, socializzante e solidale.
John Dewey
(1859-1952)
 Filosofo, scrittore e pedagogista, John Dewey esercita una
profonda influenza sulla cultura, la società e la politica
statunitense del suo tempo. Si laurea in filosofia a Baltimora e
insegna nelle università del Michigan e del Minnesota, prima di
fondare la sua scuola-laboratorio di pedagogia all’università
di Chicago. Incontra e dialoga proficuamente con i maestri del
pragmatismo americano William James e Charles Peirce. Insegna
alla Columbia University di New Jork, e viaggia per il mondo, in
Cina, Giappone, URSS, studiando anche il sistema educativo
sovietico. Influenza non poco la politica del partito democratico
di quegli anni.
 Le sue opere principali: Logica come teoria della ricerca (1938),
Liberalismo e azione sociale (1935), Natura umana e
comportamento.
La natura
 La formazione di Dewey è stata molto influenzata dal
pragmatismo americano e dall’evoluzionismo di Darwin.
L’uomo, con la sua esperienza dialoga con l’ambiente e
costruisce il proprio sé,mediante una pedagogia pratica e
interattiva. Nella quotidianità si svolge la relazione tra
l’uomo, l’ambiente e la natura, ma anche la relazione tra
tutte le persone nella società. Questo complesso di
relazioni forma l’esperienza e modifica lo stato delle cose.
 L’evoluzione è la risposta alla precarietà del vivere,
operando la natura per sentieri di selezione e di
miglioramento delle specie, tra qui quella umana.
 Di tutto questo processo la filosofia opera in qualità
di supervisore razionale e ordinativo, critico e ausilio
di rinnovamento.
L’indagine e la scienza
 La ricerca e lo studio razionale della realtà, per Dewey, si
svolgono al livello della coscienza di ciascun individuo.
Ogni persona è in grado di conoscere lo spirito
dell’ambiente e della società in cui vive e opera, e gli
impulsi al rinnovamento, che può scegliere o rifiutare. Non
si agisce perché determinati ad agire (à la Spinoza), ma
perché capaci di decidere in un senso o nell’altro nel
processo deliberativo.
 L’uomo si costruisce un profilo personologico come
un abito (denominazione scolastica: habitus, virtù o
vizio); quest’abito lo configura e lo sostiene
nell’azione, e può essere modificato con il progresso
psicologico e spirituale.
La morale e l’arte
 Per Dewey sembra che la morale, sapere aperto e non
dogmatico, possa in qualche modo percorrere quasi gli stesi
itinerari dell’arte. Infatti, come quest’ultima è apertura
infinita all’intuizione creativa, così la morale, come scienza
di indirizzo delle azioni umane, non può che essere
guidata dall’intelligenza.
 La morale e l’arte hanno a che fare con l’infinito dispiegarsi
dell’umano dentro ogni singolo uomo, per cui non deve essere
sottoposta a vincoli estrinseci, che non abbiano a che fare con la
straordinaria esperienza soggettiva: ciò non significa certo che
Dewey sia una sorta di immoralista, ma semplicemente, che egli
vede nella crescita di ogni personalità libera, un modo per
ricercare una strada originale alla soluzione dei problemi
che ogni esperienza di vita pone.
L’educazione e la società
 Il pensiero pedagogico di Dewey risente del particolare
influsso di Ralph Waldo Emerson: Dewey, infatti, crede che
l’esperienza educativa non debba fondarsi sulle esigenze
degli insegnanti, bensì sugli interessi naturali degli alunni,
che sono in grado di discernere le cose con maggiore
freschezza, rispetto agli adulti.
 La scuola deve rendere partecipe l’alunno di tutti i
saperi necessari a una sua progressiva integrazione
sociale, mediante una pedagogia attiva e progressiva,
adatta alle varie età dell’allievo; le età di cui Dewey
scrive si configurano come segue: dai 4 agli 8 anni, dai 9
ai 12 anni,dai 12 ai 14 anni, nei quali periodi occorre
predisporre piani educativi proporzionati e adeguati agli
stadi di sviluppo psicologico e personologico dei singoli.
Ludwig Wittgenstein
(1889-1951)
 Di famiglia viennese benestante Wittgenstein studia ingegneria a Berlino e a
Manchester. Nel 1912 va a Cambridge per studiare matematica e logica alla
scuola di Bertrand Russell. Dopo la guerra che lo vede combattente, pubblica il
Tractatus logico-philosophicus, ottenendo un notevole consenso da parte del
maestro inglese.
 Nel frattempo, rinunziando all’eredità paterna, in profonda crisi esistenziale e
morale, si ritira a fare il maestro elementare in alcuni villaggi austriaci dal 1919
al 1926.
 Nel 1926 torna nella capitale austriaca dove prende contatto con gli esponenti
del Circolo di Vienna, per trasferirsi a Cambridge dove viene incaricato
dell’insegnamento della filosofia fino al 1947. La morte lo coglie qualche anno
dopo, lasciandogli il tempo di scrivere e pubblicare altri testi molto importanti:
le Ricerche filosofiche (1953), e le Osservazioni sui fondamenti della matematica
(1956).
 Wittgenstein è un punto di riferimento fondamentale della filosofia del ‘900.
Chiarificazione e terapia linguistica
 Non affrontando qui gli eccessivamente complessi temi di logica
simbolica e matematica, ci soffermiamo sul cuore della tesi
filosofica di Wittgenstein: per lui il pensiero si identifica
completamente con il linguaggio. Il filosofo viennese sotto
questo profilo è un radicale: come il mondo è costituito da
tutto-ciò-che-accade, così il linguaggio è costituito di
proposizioni che affermano o negano fatti e cose,
proposizioni che hanno nomi, i nomi delle cose.
 Ogni residuo espressivo metafisico per Wittgenstein deve essere
eliminato, lasciando solo ciò che ha un significato immediato che
corrisponde alle cose.
 La filosofia,quando pretende di codificare, classificare,
elencare, si riduce a pura, inutile tautologia.
 Un detto famoso del nostro è: Di ciò che non si sa, si taccia.
(Quanto utile di questi tempi banalmente logorroici!)
I giochi linguistici
 Per Wittgenstein, soprattutto nella seconda fase del suo
pensiero, il linguaggio è, non solo l’unica
rappresentazione possibile del pensiero umano, ma
anche lo strumento che offre, nell’infinita gamma dei
suoi giochi, ogni possibilità descrittiva della realtà.
 Per questo non si può ammettere di usare il linguaggio
come uno strumento traducibile a piacimento nei vari
idiomi, ma lo si deve utilizzare come un itinerario vitale,
che permette, sia l’espressione concettuale, sia le
dinamiche organizzative e vitali del singolo individuo e
delle comunità.
 Ma ciò è possibile solo e solamente se l’uomo
riconosce il proprio simile come tale, come altro da sé,
ma come se fosse un “io”. Non solo io/me ma io/tu.
Max Weber
(1964-1920)
 Weber cresce in una famiglia già molto orientata alla politica, il padre è un
deputato del partito Nazional-liberale, per cui il giovane Max respira tematiche
socio-politiche ed economiche fin da molto giovane. Studia giurisprudenza,
economia e storia a Heidelberg, laureandosi poi a Gottingen nel 1889 con una
tesi su La storia romana nel suo significato per il diritto pubblico. Diviene
professore di economia politica a Friburgo, per poi passare a Heidelberg.
 Una grave malattia nervosa ne interrompe l’attività e gli studi dal 1897 al 1903,
per poi riprendersi molto bene, anche con un viaggio in America.
 Pubblica successivamente, tra l’altro: Studi critici sulla logica delle scienze della
cultura (1906), L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904-5), Le sette
protestanti e lo spirito del capitalismo (1906), e, più tardi, dopo una guerra che
egli aveva vissuto con angoscia, Il senso della avalutatività delle scienze
sociologiche ed economiche (1917), Il lavoro intellettuale come professione
(1919), e gli studi comparsi postumi Economia e società (1921).
 Max Weber è un intellettuale poliedrico, poiché i suoi interessi spaziano
dall’economia alla sociologia, al diritto alla filosofia, segnando un tempo con il
suo metodo che ha avuto non pochi seguaci.
Il metodo
delle scienze storico-sociali
 Weber si oppone, sotto il profilo metodologico, sia al
positivismo ottimistico, sia all’intuizionismo, perché
ambedue gli “ambienti” gnoseologici sono insufficienti,
parziali e -in sé- a volte fuorvianti.
 È invece indispensabile, nella ricerca sociologica,
osservare rigorosamente un atteggiamento
avalutativo, disinteressato nel senso scientifico del
termine, poiché la sociologia non racconta gli eventi come
la storia, ma ne analizza i fondamenti, le ricorrenze
fenomenologiche, le costanti e le frequenze.
 La sociologia peraltro aiuta la ricerca storica come struttura
basilare di lettura dei fenomeni sociali, così come sono
inseriti nel flusso della narrazione storica.
Il disincanto
e la razionalizzazione del mondo
 Sotto il profilo gnoseologico e conoscitivo Weber osserva che
l’uomo moderno ha perduto tutti i suoi riferimenti classici,
canonici, storicamente dati, per cui gli serve osservare
lucidamente il mondo, per come si è sviluppato.
 A questo punto Weber propone il modello chiamato degli
“idealtipi”, che rappresenta tutte la macro-strutture e realtà
storiche e sociali, come: a) lo stato, b) la religione (il
cristianesimo, etc.), c) il capitalismo, d) i regni, e) i modelli
socio-politici come quello socialista, quello liberale, etc..
 Weber coglie anche un elemento di disincanto nella situazione
attuale (si intende, del suo tempo), proponendo un
atteggiamento cosciente della situazione per poterla gestire con
la massima sobrietà e saggezza possibile, al fine di garantire il
massimo di consapevolezza e di esercizio della libertà, come
valore ineludibile.
Edmund Husserl
(1859-1938)
 Edmund Husserl studia matematica a Berlino, dove si laurea con una tesi sul
calcolo delle variazioni. Concentra poi la sua attenzione sulla logica e la
filosofia, pubblicando nel 1891 la Filosofia dell’aritmetica, lavoro con il quale
cerca di sottolineare l’importanza dei processi psichici di astrazione.
 Più tardi però Husserl modifica questa posizione scrivendo Ricerche logiche,
dove distingue rigorosamente la psicologia come scienza del pensiero pensante
dalla logica come scienza del pensiero pensato.
 Insegna a Halle dove scrive e pubblica il fondamentale Idee per una
fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica. Nel 1916 inizia una
collaborazione con Heidegger a Friburgo. Heidegger pubblica nel 1928 le lezioni
di Husserl su La fenomenologia della coscienza interna del tempo. Nel 1929
escono il volume Logica formale e logica trascendentale, e Meditazioni
cartesiane (conferenze tenuta alla Sorbonne). Con l’avvento del nazismo l’ebreo
Husserl fu radiato dall’insegnamento. Tiene conferenze a Vienna e a Praga nel
1935, da cui trae l’ultima importante opera La crisi delle scienze europee e la
fenomenologia trascendentale.
 Il suo archivio è stato messo in salvo a Lovanio.
Significato e compiti
della fenomenologia
 Husserl sviluppa il suo progetto filosofico, criticando
fortemente l’epistemologia del positivismo. Egli punta
a sottolineare il dato della coscienza come luogo nel quale
si formano le strutture cognitive pre-categoriali che
preludono a ogni forma di conoscenza.
 Per lui non si può fare scienza considerando la
coscienza come un semplice aggregato di fatti
psichici, ma come un luogo nel quale appaiono le
essenze dei fatti depurate di ogni costrutto
psicologistico residuo.
 I fenomeni sono così ridotti e disponibili per essere
conosciuti secondo gli statuti epistemologici delle singole
scienze.
Il metodo:
la sospensione del giudizio
 Husserl ritiene che prima di tutto si debba uscire dal modo
di pensare cosiddetto “naturale”, che appare come tale,in
quanto nel tempo vi è stata una sedimentazione dei
contesti fisici e psichici nei quali accadono gli eventi.
 Bisogna dunque procedere a una sospensione radicale del
giudizio immediato, che Husserl chiama alla greca
“epoché”, in modo da depurare del tutto lo sguardo e le
facoltà conoscitive dell’intelletto, risalendo alla
funzione originaria e costitutiva della coscienza , che va a
sua volta salvaguardata da ogni atteggiamento di
scontatezza naturale o di convenienza.
Le essenze e il carattere
intenzionale della coscienza
 La coscienza dunque intuisce le essenze non come fatti
psichici, ma nella loro “verità” intrinseca, poiché il suo
agire non si limita a registrare gli eventi che le appaiono,
ma li provoca addirittura, con la sua intenzionalità
strutturale: si tratta di un movimento che permette di
intuire le essenze delle cose, le idee, così come si
manifestano nel tempo e nello spazio e incontrano la
coscienza stessa.
 Ci si trova di fronte forse, semplificando i concetti in
una sintesi sperabilmente non arbitraria, a un
kantismo generalizzato di ascendenza un po’
platonica, si potrebbe dire,poiché la coscienza
conosce intenzionalmente le essenze/ idee delle cose e
dei fatti.
L’evidenza e il “mondo della vita”
 Husserl sviluppa una riflessione che si presenta sempre
non facile o addirittura ardua, come nel tema della
presenza di un mondo vitale, evidente e nello stesso
tempo nascosto alla coscienza, che conosce solo se è in
grado di isolare gli elementi, i fatti e gli atti, tutte le cose
che intenzionalmente incontra.
 Il rischio di una specie di idealismo solipsistico è
scongiurato nel filosofo tedesco,poiché egli non dimentica
di specificare che ogni coscienza di sé è profondamente
incarnata nella corporeità del vivere individuale, mai
separato, però,dalla relazione con l’altro. Il mondo
vitale è dunque questo, un intreccio di relazioni
ineludibili, perché costituenti l’essenza stessa di quel
mondo.
La crisi delle scienze europee
 Come prima di lui Hegel e Nietzsche, Edmund Husserl è
consapevole della crisi culturale e scientifica dell’Europa del suo
tempo, ma quasi segno premonitore dell’Europa odierna.
 Husserl denunzia la pericolosità di un abbandono fiduciario alla
veridicità e incontrovertibilità delle scienze,e specialmente di
quelle umane, quando sono declinate come le scienze storiche e
naturali.
 Per lui la scienza deve partire dal dato di coscienza
depurato da ogni residuo, dallo spirito come luogo
(l’interiorità di Agostino e di Meister Echkart!) nel quale
risuona la verità delle essenze delle cose stesse.
 Il tramonto dell’Europa (profetico!) si può evitare solo se si
decide di emendare il razionalismo da ogni arroganza.
Karl Jaspers
(1883-1969)
 Karl Jaspers è un filosofo e psichiatra tedesco. Studia medicina
a Heidelberg, Monaco, Berlino e Gottinga, laureandosi su un
tema criminologico Nostalgia e crimine nel 1908. Lavora come
volontario all’ospedale psichiatrico di Heidelberg con Emil
Kraepelin.
 Insegna all’università di Heidelberg dopo avere pubblicato la
dissertazione Psicopatologia generale nel 1913, senza più tornare
da quel momento all’attività medica e psicoterapeutica.
 Nel 1919 è nominato docente di filosofia con il trattato Psicologia
delle visioni del mondo. Diventa amico di Heidegger da cui si
stacca per le note ragioni nel 1933. Scrive nel frattempo il suo
capolavoro, Philosophie. Nel 1947 scrive La colpa della Germania,
e nel 1949 Origine e senso della storia. Dal 1948 alla morte si
trasferisce a Basilea e insegna in quella università.
Psichiatria e Filosofia
 Jaspers dà un contributo importante agli studi psichiatrici
del suo temo, occupandosi del tema della paranoia,
proponendo il metodo dell’analisi biografica, la cui forma è
l’elemento più importante dell’intera anamnesi.
 Il suo testo fondamentale Filosofia (1931) raccoglie la
summa del suo pensiero ed è l'autore stesso ad ammettere
che fra i suoi libri questo fu sempre per lui il più caro.
L'opera nasce legata strettamente alla psicologia - che,
come è stato detto, era l'attività cui Jaspers aveva scelto di
dedicarsi - ed è infatti la conoscenza di quelle che verranno
successivamente chiamate "situazioni limite", che si
presentano così sovente nello studio della vita psicologica,
che permette al filosofo di definire il ruolo della filosofia
del suo tempo: "chiarificazione dell'esistenza“.
Il suo esistenzialismo
 Il tentativo di comprendere il mondo fatto dall’idealismo e dal
positivismo, per Jaspers, fallisce, perché bisogna giungere in un
altro modo alla chiarificazione dell'esistenza.
 Questo passaggio da fare suggerisce all'esistente di utilizzare i
mezzi che gli sono propri per definire la sua situazione.
 La decisione è il fulcro delle possibilità dell'esistente, che
tentando le strade della trascendenza cerca di non ridursi a mero
esser-ci.
 Io stesso, comunicazione, storicità, volontà, libertà,
situazioni-limite (situazioni che sono così necessariamente,
come il dolore, la morte, sono definite dall'autore come
l'esistenza stessa), coscienza assoluta, azioni incondizionate
e l'esistenza della soggettività nell'oggettività sono i temi
trattati nel libro secondo di Philosophie.
Il recupero di
Kierkegaard e Nietzsche
 Nel tempo Jaspers si allontana da Edmund Husserl che non lo soddisfa per la
difficoltà, della sua fenomenologia, spingendolo verso la lettura di Kierkegaard
soprattutto e di Nietzsche.
 Il legame della filosofia con la vita "vera e propria", “concreta” è dato nelle
domande filosofiche che fin dall'antichità riguardano il soggetto del pensiero e
l'affermazione sopra citata dell'autore sottolinea questa prospettiva e la
ribadisce.
 Egli definisce l'esistenza come "ciò che non diventa mai oggetto, l'origine
partendo dalla quale penso e agisco, ciò che si rapporta a se stessa e, in
ciò, alla sua trascendenza". Le parole chiave della sua speculazione:
- Esserci (Da-sein): l'esser qui proprio di tutte le cose che sono al mondo;
- Esistenza (Exsistenz): definisce solo la condizione dell'uomo che non può essere
definita completamente, ma solo chiarita, delucidata, analizzata;
- Trascendenza (Transzendenz): ciò che è al di là della situazione attuale
dell'esistenza, definisce la stessa pratica del filosofare come scoperta.
Martin Heidegger
(1889-1976)
 Martin Heidegger studia nelle università di Costanza e Friburgo laureandosi in filosofia
nel 1913 con una tesi su La teoria del giudizio nello psicologismo. Nel 1915 è docente a
Friburgo e scrive La teoria delle categorie e del significato in Duns Scoto; diviene nel 1926
assistente di Husserl e viene chiamato a Marburgo come professore nel 1927, l’anno nel
quale pubblica Essere e tempo.
 Nel 1929 viene richiamato a Friburgo dove sostituisce Husserl. È del 1929 la prolusione
dell’Anno accademico Che cos’è la metafisica. Nello stesso anno esce il trattato su Kant e
il problema della metafisica, insieme con L’essenza e il fondamento. Il tema della sua
adesione al nazismo nel 1933 resta controverso e non ancora del tutto chiarito: in ogni
caso nel 1934 Heidegger si ritira dalla vita pubblica in una residenza da lui amatissima
nella Foresta Nera.
 Studia e insegna pubblicando: La dottrina platonica della verità, L’essenza della verità e la
Lettera sull’umanismo tra il1943 e il 1947; i suoi studi su Hölderlin e sulla poesia gli
ispirano la pubblicazione di Sentieri interrotti nel 1950.
 Le ultime opere: L’introduzione alla metafisica del 1953, Il principio del fondamento del
1955; importantissimo, In cammino verso il linguaggio del 1957; Nietzsche del 1961; Il
trattato di Schelling sull’essenza della libertà umana del 1971.
Analitica esistenziale
e temporalità dell’esistenza
 Per Heidegger la finitezza naturale dell’uomo si deve declinare e
comprendere in modo fenomenologico (Husserl), ma partendo non
tanto dalle essenze, quanto dall’esistenza. L’uomo partecipa in
qualche modo alla sua essenza solo ex-sistendo, solo “stando
fuori”.
 L’uomo non è una struttura rigida di “facoltà” (cf. l’antropologia
platonica e aristotelico-tomista), ma un fluire esistenziale
comunque legato all’Essere di cui in qualche modo è custode,
mediante l’intelligenza e il linguaggio.
 In questo suo esistere nell’essere l’uomo “si prende cura”, si comporta e
dice cose impersonali con il riflessivo “si”, comprende se stesso più
completamente se riesce a darsi ragione considerando la propria morte,
se comprende il suo essere-per-la-morte.
 L’uomo genera al proprio interno una storicità che è indipendente dal
flusso storico oggettivo, con il quale dialoga, ma sempre all’interno di
un esistere unico e concreto.
Esattezza e verità
 Heidegger “rimprovera” alla metafisica classica, da Platone a
Hegel, passando per Aristotele, san Tommaso, Cartesio, Leibniz,
Spinoza e Kant, di avere idealizzato la conoscenza della verità,
distanziandone indefinitamente la possibilità di coglimento, e
lasciando solo a disposizione della conoscenza una sorta di
certezza mediata dalla scienze logiche e matematiche,in quanto
esattezza.
 Invece, siccome la verità è un disvelamento, è alètheia,
(α̉λήθεια) non può darsi che nel modo di una disponibilità
dell’Essere a stagliarsi sul nulla, e in questo modo ad
illuminare gli enti finiti.
 Nessun “dio aristotelico”, né “cristiano” regge a una visione come
quella heideggeriana, che richiama Anassimandro là dove questi
afferma che “tutte le cose devono finire lì di dove hanno
tratto origine”.
La tecnica e il mondo moderno
 La storia del pensiero occidentale, secondo Heidegger, a
partire dai grandi greci e fino all’idealismo e al positivismo
ottocenteschi, ha prodotto una sorta di dominio della
rappresentazione degli enti rispetto all’Essere. Di qui si è
instaurato un vero e proprio ulteriore dominio della tecnica e del
meccanicismo, che sta portando la cultura umana verso lidi
sempre più distanti dalla verità
 Il pensiero di Heidegger è, in quest’ambito, in qualche modo
perfino apocalittico, se si può utilizzare il termine quasi come
metafora. Neppure Nietzsche è stato abbastanza radicale nella
critica a questa deriva: e quindi, per il filosofo di Messkirch si
deve superare perfino l’approccio umanistico classico, per
arrivare a un umanismo senza metafisica, là dove l’exsistere, non è altro dall’essere, ma vi coincide.
La storicità dell’arte, l’ermeneutica
e la funzione della poesia
 Se è vero che l’essere on può essere costretto dentro le briglie
strette della logica e delle matematiche, allora il suo ambienta
naturale altro non è che la poesia, la pòiesis come creazione
quasi ex nihilo di un qualcosa di vero, sia pure esso uno quadro di
Van Gogh o un tempio greco, è un qualcosa che si staglia nella
realtà come vero, ineffabile, eterno.
 E allora occorre darsi un approccio ermeneutico per cogliere quella
verità che si nasconde negli interstizi dell’essere, che si svela
lentamente, come dal mistero.
 Non vi sono scorciatoie logico-sistematiche per cogliere l’essere
nell’ex-sistere dato nel tempo dell’uomo, ma solo la strada impervia
e imperfetta del linguaggio dell’uomo, il quale non rappresenta altro
che la datità possibile degli enti dentro l’essere, accolto
nell’esistenza di ciascun uomo.
 Vi è una vicinanza di questo “ultimo Heidegger” con alcune tendenze
psicanalitiche, linguistiche, estetiche e teologiche contemporanee.
Carlo Michelstaedter
(1887-1910)
 Questo meraviglioso giovane goriziano, pur nella sua breve vita, è
riuscito ad esprimere concetti e riflessioni di grande profondità. Carlo
Michelstaedter, nasce in un’agiata famiglia di origine ebraica. Studia
al Staatgymnasium goriziano formandosi in maniera serissima nelle
discipline classiche, e costruendosi una cultura personale di
impostazione mitteleuropea. Dopo avere studiato per un anno
matematica a Vienna, va a Firenze per studiare lettere e filosofia. Lo
colpisce molto la morte di una donna da lui amata, Nadia Baraden.
 Si laurea infine, dopo con una tesi molto interessante La persuasione e
la rettorica, che costituisce la summa del suo giovane pensiero. Nel
periodo ultimo scrive anche delle poesie e il Dialogo della salute.
Mangia e dorme pochissimo, vivendo come un asceta.
 Si suicida, dopo un pesante litigio con la madre, con un colpo della
pistola lasciatagli dall’amico Enrico Mreule, il 17 ottobre 1910. Carlo è
sepolto nel cimitero ebraico di Valdirose a Nova Gorica.
Il pensiero
 Da tutti i suoi scritti, dall’Epistolario e perfino dai dipinti,
traspare in lui una costante e profonda inquietudine, un
desiderio di altrove quasi metafisico. Michelstaedter lavora
molto sul un supposto “tradimento” del pensiero platonico da
parte di Aristotele. La nostalgia delle altezze incommensurabili
dello spirito e del pensiero, lo traggono costantemente in una
dimensione fatta di puri intelligibili.
 In questo contesto esistenziale, allora, la vita umana si dipana tra
una dimensione propria, della persuasione, che è
consapevolezza della finitezza “tragica” del vivere umano, e una
dimensione falsa, quella della rettorica, che rende l’uomo
sempre schiavo delle pulsioni derivanti dal potere e dal successo,
come eterni miti negativi.
 E canta: “Noi col filo/ col filo della vita/ nostra vita/
filammo a questa morte”.
E. Anscombe
e il neotomismo analitico
(1919-2001)
 Irlandese, allieva di Wittgenstein, Gertrude Elizabeth
Anscombe è una filosofa analitica, che è stata capace di
riscoprire una certa forma di tomismo, cioè di pensiero realista
classico. Si interessa di logica, di etica e di filosofia del
linguaggio, nel 1958 scrive un importante articolo di etica Moral
Modern Philosophy, che la segnala.
 Insegna a Oxford e anche Cambridge, sviluppando
progressivamente la sua antropologia dell’intenzione, vale a
dire una concezione dell’uomo che riconosce la possibilità di un
suo agire (relativamente) libero e quindi di rendersi responsabile
delle proprie azioni.
 La sua visione etica è connotata da un rigore antropologicomorale detto consequenzialismo, dove la libertà si coniuga
con il principio di responsabilità.
La Gestalt I
 La psicologia [e filosofia] della Gestalt, nacque come corrente
psicologica in Germania agli inizi del XX secolo. Come termine
tecnico, Gestalt [forma] fu usato inizialmente da Ernst Mach, e
successivamente da Husserl e da Christian von Ehrenfels.
Fondatori della psicologia gestaltista possono essere considerati
Kurt Koffka, Wolfgang Kőhler e Max Wertheimer. Se ne
occupò successivamente Kurt Lewin con la teoria sociologica
del “campo”, tesa a sottolineare l’importanza di una visione
d’insieme dei fenomeni sociali, delle reti, dei sistemi. La teoria
della Gestalt si configura e caratterizza per il suo “olismo”, in base
al quale si ritiene che la percezione del mondo e l’umana
esperienza non possano essere suddivise negli elementi che le
costituiscono, e si possano conoscere solo nella relazione
biunivoca di tutte e tra tutte le parti [autosimilarità].
La Gestalt II
 Dalla teoresi si è poi sviluppata anche una psicoterapia gestaltica,
soprattutto per opera di Fritz Perls, il quale, sulle tracce di
Freud, ritenne di dover esplorare la personalità umana nei vari
“strati” di cui è costituita, e dunque di lavorare per fare emergere
la “personalità genuina”, per vari passaggi sempre più profondi,
dallo “stato dei cliché”, cioè dell’ipocrisia e della pura
convenienza. In questo senso, il richiamo alla Gestalt può essere
interessante anche per chi si addentra nel mondo ermeneutico
dell’interpretazione di testi antichi e della comparazione con le
metodiche esegetiche ed ermeneutiche contemporanee. Per
capire il testo bisogna esplorare il contesto e il mondo [Sitz im
Leben] che l’ha prodotto e quello che ne attua la ricezione, e
dunque anche l’uomo, che scrive, legge, soffre, spera, interpreta.
Luigi Pareyson
(1918-1991)
 Luigi Pareyson si laurea in filosofia a ventuno anni a
Torino, precoce tanto da esser notato da Giovanni Gentile.
Segue in Germania dei corsi tenuti da Jaspers, ottenendo
subito dopo un incarico di insegnante al Liceo classico di
Cuneo. Impegnato nella Resistenza in Giustizia e Libertà,
dopo la guerra insegna al Liceo Gioberti di Torino e
successivamente all’università di Torino, dove ha tra i suoi
allievi Gianni Vattimo, Umberto Eco, Sergio Givone, Mario
Perniola, Valerio Zanone, e altri futuri studiosi.
 È accademico dei Lincei e membro dell'Institut
international de philosophie, oltre che fondatore e direttore
della Rivista di estetica.
L’interpretazione inesauribile
 Pareyson si può considerare tra i maggiori filosofi italiani del XX
secolo.
 È tra i primi a far conoscere in Italia l'esistenzialismo tedesco e a
riconoscersi in questa visione (La filosofia dell'esistenza e Carlo Jaspers,
1940), in un quadro dominato dal neoidealismo, ma si dedicò anche a
dare una nuova interpretazione dell'idealismo tedesco (Fichte 1950).
Per Pareyson l'esistenzialismo tedesco va ripreso in chiave ermeneutica,
al fine di considerare la verità non un dato oggettivo, come avviene
nella scienza, ma come interpretazione inesauribile del singolo, che
richiede una responsabilità soggettiva, e una ricerca che non può
mai terminare, poiché la verità infinitamente sfugge all’uomo.
 Chiama la propria posizione "personalismo ontologico".
 Si dedica anche a ricerche storiografiche, individuando nella filosofia
tedesca post-hegeliana due correnti, riconducibili rispettivamente a
Søren Kierkegaard e a Ludwig Feuerbach, e che sarebbero sfociate
rispettivamente nell'esistenzialismo e nel marxismo.
Emmanuel Lévinas
(1906-1995)
 Lévinas nasce a Kaunas in Lituania da una famiglia ebrea, ma la sua
formazione e cultura è senz’altro francese. Infatti, pur essendosi formato nella
prima giovinezza sulla grande letteratura russa ed ebraica, frequenta
l’università di Strasburgo, dove insegna tra gli altri Charles Blondel. Colà fa
amicizia con Maurice Blanchot. Studia anche a Friburgo e alla Sorbonne dove
frequenta Gabriel Marcel e si laurea.
 Durante l’occupazione tedesca Lévinas è fatto prigioniero di guerra e trasferito
presso Hannover.
 Ivi inizia a scrivere alcuni dei suoi trattati maggiori: De l’Existence à l’Existant e
Le temps e l’autre., poi pubblicati nel 1948.
 Nel frattempo il filosofo suo amico Blanchot protegge la moglie di Lévinas
dall’insidia nazista., mentre gran parte della sua famiglia è deportata e
assassinata.
 Dopo la guerra raggiunge una chiara fama in Francia come pensatore e docente.
Dagli anni ‘50 intraprende studi sistematici sulla Bibbia e sul Talmud.
 Insegna a Nanterre, a Poitiers, a Friburgo in Svizzera e alla Sorbonne.
Insegnamento e filosofia
 La sua ricerca si dipana con altri importanti lavori teoretici che lo
possono definir quasi come un filosofo esistenzialista talmudico: nel
1961 esce Totalité et infini: essay sur l’extériorité (ed. Jaca Book in trad.
italiana), nel 1974 Autrement qu’être o audelà de l’essence (ed. Jaca
Book).
 La sua dottrina è basata sull’unica possibilità che l’uomo possiede,
quella di riconoscersi come soggetto solo e solamente riconoscendo
un “io” nel Volto dell’altro: solo nella relazione l’io-soggettivo può
trovare la sua vera identità, che altrimenti si chiuderebbe nello sterile
solipsismo egoistico/ egolatrico/ autoreferenziale, fomite di
disperazione.
 Per Lévinas la filosofia stessa non è solo o tanto “amore della
sapienza”, ma il suo reciproco “sapienza dell’amore”, base conoscitiva
ed etica per la vita umana. L’etica deriva dall’incontro del Soggetto con
l’altro Soggetto declinato al Nominativo: è il Nome dell’Altro che
permette al Nome dell’Uno di vivere; la sua stessa teoresi esistenziale è
fondata su un’etica del riconoscimento dell’Altro-da-Sé.
La realtà e l’Altro
 Per Lévinas la realtà non è mai del tutto determinabile
come oggetto conosciuto, poiché essa continuamente
sfugge alla definizione, restando solo -se mai- dentro una
qualche possibilità di comprensione dell'io che entra in un
relazione costitutiva con la realtà stessa.
 L'Altro è sempre irriducibilmente "altro" e rinvia alla
ricerca di un fondamento, atto a una ri-partenza
conoscitiva del pensiero.
 La riflessione radicale comporta questo: ciò che posso
conoscere, di me stesso e del mondo, dipende da un
confronto costante, in-tenzionale, cioè in-tensione verso
l'altro-da-me.
L’Io non è assoluto!
 La conoscenza certa ed evidente della realtà, così come insegna la
tradizione aristotelico-tommasiana, non viene meno come dopo il
"cogito cartesiano", che ha posto il Soggetto al di sopra di tutto, ma si
rafforza nel confronto radicale con l'Altro (cfr. anche in M. Buber e J.-L.
Nancy)...
 ...perché la conoscenza certa ed evidente è sempre solamente umana,
quindi progressiva e in-terminabile, infinita quindi come totalità che si
conquista lentamente senza mai possederla del tutto (cfr. la definizione
"scolastica" di "eternità": interminabilis vitae tota simul et perfecta
possessio).
 Il valore del pensiero levinassiano, di questi tempi-egoisti ed
egolatri, quando sembrano (appunto, sembrano) vincere la
partita giocatori di poker di tutte le risme, sta proprio nell'aver
messo in questione l'assolutezza idealistica dell'Io, come
soggetto-in-grado-di-conoscere-senza-l'Altro.
Hans Georg Gadamer
(1900-2002)
 Gadamer vive tutto il secolo scorso entrando in questo millennio: vien
da dire che “pensare fa bene”. Studia a Breslavia e poi a Marburgo dove
nel 1922 ottiene il Dottorato di ricerca con Paul Natorp, con una tesi su
L’essenza del piacere nei dialoghi di Platone.
 Nel 1929 è libero docente, dieci anni più tardi ordinario e nel biennio
46/47 rettore dell’università di Lipsia.
 Insegna poi a Francoforte e a Heidelberg, sostituendo Jaspers. Durante
questo periodo completa la sua opera fondamentale Verità e Metodo.
Nel 1973 viene nominato cittadino onorario di Napoli, città che ama
moltissimo.
 Il nucleo fondamentale della sua filosofia è l’approccio
ermeneutico, cui dedica gran parte del suo tempo e ingegno,il
tutto a partire dalla prospettiva dialogica e dialettica platonica,
di cui è appassionato studioso e cultore.
 L’ermeneutica come dottrina dell’interpretazione dei testi e oltre i testi.
L’ermeneutica
come disciplina universale
 Da Platone in poi l’ermeneutica conosce varie vicende, fino alla sua
decisiva ripresa primo-ottocentesca da parte di Schleiermacher.
Gadamer si inserisce in questo percorso, sviluppando arditamente la
teoria, con alcune linee fondamentali: a) se per lo Schleiermacher e
Dilthey la comprensione si poteva concludere o meno rispettivamente- con l’intuizione (einfühlung) o il prosieguo, per
Gadamer, così come per Heidegger, il comprendere è un modo
dell’Esser-ci, un percorso che transita dall’autore al recettore, i cui
orizzonti si fondono (Orizontverschmelzung).
 Non è possibile mai “tornare indietro ai tempi e ai sentimenti
dell’autore”, ma bisogna accettare di far rivivere il testo in tempi, luoghi
e sensibilità diverse.
 Il circolo ermeneutico che si crea tra i due soggetti e i due tempi deve
tenere conto delle pre-comprensioni (Vorverständnisse)del fruitore,
che vanno considerate con prudenza e accettate come ineludibili, ma
feconde di sempre nuove “letture del testo”, nel dialogo infinito che
produce senso, e dialogo anche fra gli uomini.
Paul Ricoeur
(1913-2005)
 Non si può dire che anche Paul Ricoeur non sia vissuto a lungo!
Orfano di entrambi i genitori, Ricoeur viene cresciuto a Rennes dai
nonni paterni. Precoce negli studi, bene presto conosce la filosofia.
 Dopo la laurea, si immerge in una straordinaria attività di ricerca,
fondendo con sapienza le emergenze teoretiche del suo tempo: dalla
fenomenologia all’esistenzialismo cristiano all’ermeneutica, che con
Gadamer stava assurgendo a nuova fama.
 Ricoeur prende le mosse da Jaspers e Husserl per analizzare soprattutto
la tematica del linguaggio , come luogo nel quale si dà il tema del
senso, del senso delle cose di tutto ciò che è a questo mondo.
 Apprezza la demitizzazione che del pensiero cartesiano hanno fatto
Marx, Nietzsche e Freud, i quali hanno sospettato un grande inganno
nel dualismo del maestro, mostrando come oltre le certezze delle idee
”chiare e distinte” vi siano rispettivamente: a) i valori dell’economia e
della società, b) la volontà di potenza e, c) l’inconscio.
La metafora infinita e il simbolo
 Per Ricoeur, il linguaggio è in grado di esprimere tutto ciò che può essere
espresso e anche ciò che non può esserlo, perché opera attraverso i segni
e i simboli linguistici, tra i quali la metafora è il più potente. Attraverso
la metafora, per Ricoeur, si coglie la verità profonda del senso stesso delle
cose.
 La ricerca di questi sensi va cercata soprattutto nell’opera letteraria, là
dove il lettore può trovare le corrispondenze significanti tra il testo e la
sua propria vita.
 Le opere principali: Finitude e culpabilité. L’homme faillible, trad. it. di M.
Girardet, Finitudine e colpa. Parte II: “La simbolica del male”, Il Mulino,
Bologna 1970, La métaphore et le problème central del l’erméneutique, Revue
philosophique de Louvain 70, 1971, tr. italiana a cura di M. Cristaldi, La sfida
semiologica. Lezioni tenute all’Università di Catania nell’Anno Accademico
1973/1974, Armando Editore, Roma 2006, De l'interpretation: essai sur Freud,
Paris, 1965 ; tr. it. Della interpretazione. Saggio su Freud, Il Melangolo, Genova
1991, Le conflit des interprétations, Paris, 1962 ; tr. it. Il conflitto delle
interpretazioni, Jaca Book, Milano 1977.
Edith Stein
(1891-1942)
 Edith Stein, religiosa e filosofa tedesca dell'Ordine delle
Carmelitane Scalze. Di origine ebraica, si converte al
cattolicesimo dopo un periodo di ateismo che durava
dall'adolescenza; viene arrestata in Olanda dai nazisti e rinchiusa
nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau dove,
insieme alla sorella Rosa (anch'ella monaca carmelitana scalza)
muore. Nel 1998 papa Giovanni Paolo II l'ha proclamata santa e
l'anno successivo l'ha dichiarata compatrona d'Europa.
 Studia con Husserl a Gottingen dove conosce anche Max Scheler.
Dopo la guerra, quando fa l’infermiera volontaria, si laurea a
Friburgo iniziando una carriera universitaria promettente come
assitente del suo stesso maestro sulla cattedra di filosofia.
Il suo pensiero
 Ben presto a partire dalla sua tesi accademica su Il
problema dell'empatia, Edith Stein sceglie un tema
arduo, importantissimo per la scuola filosofica cui
afferiva, la fenomenologia, il tema dell'alterità, inteso
come relazione fra il sé medesimo e il sé dell’altro,
come dimensione affettiva eticamente rilevante. In
questo contesto Stein dice il corpo come strumento di
comunicazione, insieme con la psiche e lo spirito, in
una visione antropologica integrata e complessa,
aiutata anche dallo studio diretto del Tommaso
d’Aquino di De ente et essentia.
Il maschile e il femminile
 Le differenze fra femminile e maschile sono quasi ordinati alla loro
unità nell’essere entrambi “essere umano”. Ciò nonostante Stein
constata che le differenze tra i due generi non si fermano alla struttura,
ma consistono anche in una diversa disposizione alla vita stessa,
comprendendovi la vita della psiche e dello spirito. L’uomo e la donna
sono profondamente differenti, e perciò si cercano, quasi per
ricostituire un ordine che appartiene alla sfera dell’amore corporeo, ma
altrettanto alla sfera mistica dell’amore divino. Approfondendo
ulteriormente l’analisi della distinzione, la filosofa individua nel
“femminile” una “unità, chiusura dell'intera personalità
corporeo-spirituale, sviluppo armonico delle potenze” e in quella
maschile “elevazione di singole energie alle loro prestazioni più
intense". Le due dimensioni viste nella loro dinamica sono allora
integrabili in una visione più elevata dell’esistenza umana e in
una prospettiva di accoglimento del significato profondo e
mistico del femminile in relazione al maschile, oltre la loro
intrinseca possibilità di incomprensione e conflitto.
La multidisciplinarietà
delle scienze umane
 Troviamo in Edith Stein una grande attenzione alla
multisciplinarietà delle scienze umane. Ella non si fa incantare dal
grande sviluppo delle psicologie cliniche, cui annette comunque una
grande importanza, ma conferma l’importanza di una visione
antropologica più completa che nasca da un approccio filosofico e
teologico. La persona declinata nei due generi, il maschile e il
femminile, non può ridursi ad essere pensata come una struttura
meramente bio-psichica, perché questa è superata infinitamente da
una dimensione spirituale, cioè al suo più proprio destino. La
differenza non deve perciò creare discriminazione, come un certo
femminismo successivo avrebbe creduto, bensì composizione armonica
tra strutture antropologiche per ruoli diversi e complementari.
 Cfr. in STEIN E., Beiträge zur philosophischen Begründung der
Psychologie und der Geisteswissenschaften, Niemeyer, Tübingen 1970;
it.it. Psicologia e scienze dello spirito - Contributi per una fondazione
filosofica di A.M. Pezzella, Intr. di A.Ales Bello, Città Nuova, Roma
1996.
Hans Jonas
(1903-1993)
 Allievo di Heidegger e Bultmann, e compagno di studi di
Hannah Arendt, Hans Jonas si laurea in filosofia a Freiburg.
Deve fuggire dalla Germania nazista, come molti altri, in quanto
ebreo. Dopo avere militato con gli inglesi durante la Seconda
guerra mondiale, si trasferisce in Palestina (anche lì partecipa
alla guerra nazionale del 1948), insegna alla Hebrew University di
Gerusalemme. Continua in seguito a insegnare in università
statunitensi.
 Il suo pensiero si sviluppa in tre fasi: a) lo studio del passato
attraverso l’approfondimento delle tradizioni gnostiche come
origine del nichilismo contemporaneo; b) lo studio del
presente come filosofia della natura secondo la metodologia di
studio delle scienze naturali; c) l’attenzione verso il futuro come
studio di un’etica della responsabilità individuale.
Filosofia della natura
e della tecnica
 Jonas è impressionato dagli accadimenti del “secolo breve”, che egli vive
al centro di tutto ciò che avviene. Anche per questo egli cerca di
strutturare un pensiero che tenga conto di tutti gli elementi: la
natura, l’uomo, la storia, intrecciati inevitabilmente e
reciprocamente condizionanti.
 Nella raccolta di saggi Organismo e libertà: verso una filosofia biologica
del 1964, egli sostiene l’esigenza di risistemare in termini unitari
ciò che è mentale da ciò che è fisico in una unità psicofisica, come
un tutto (echeggia in questo Schelling).
 Nei successivi saggi Aspetti etici della sperimentazione sui soggetti
umani del 1968 e Dalla fede antica all’uomo tecnologico del 1972, Jonas
sottolinea l’esigenza di dare un senso umanistico alla ricerca
tecnoscientifica, tenendo sempre al centro il superiore interesse
della salvaguardia dell’uomo e della natura: è di quegli anni il
primo trapianto di cuore effettuato dal chirurgo sudafricano Christian
Barnard a Johannesburg, e la definizione della “morte” da parte della
Harvard Medical School.
Per un’etica attuale
 Il testo più significativo di Jonas può essere per certi aspetti
considerato Il principio responsabilità del 1979, nel quale il
filosofo declina una visione integrale dell’etica come sapere
pratico. Partendo da presupposti che possiamo definire kantiani
di una morale come “dover agire” per il bene, Jonas arricchisce la
prospettiva con una particolare sottolineatura di ciò che debba
intendersi come bene e scrive: “ Agisci in modo che le
conseguenze della tua azione siano compatibili con la
sopravvivenza della vita umana sulla terra”.
 È oltremodo evidente la preoccupazione del nostro per le
conseguenze che una mancata vigilanza su un’applicazione
meramente utilitaristica delle tecnoscienze potrebbe
provocare sulla terra mettendo a repentaglio la vita stessa.
L’agire deve sempre seguire il pensiero, non viceversa,
monito antichissimo e sempre valido.
Etica e bioetica
 Su tematiche come l’eugenetica, la clonazione, il
prolungamento della vita, la limitazione delle nascite, le
nuove tecniche di procreazione assistita e la libertà di
ricerca scientifica, Jonas assume posizioni razionalmente
molto chiare. La sua ispirazione tiene conto innanzitutto del
principio di realtà e della sua infinita multiformità.
 Non vi possono per lui essere risposte valide per sempre, in
termini assoluti, ma bisogna cercare soluzioni e interpretazioni
adeguate a ogni singolo caso, avendo bene presente il fine più
alto, il bene maggiore.
 Peraltro l’uomo non conosce del tutto neppure se stesso, e per
nulla le cose ultime che sono affidate alla fede religiosa: perciò,
non conoscendo ciò che costituisce la profondità del nostro
essere, dobbiamo accettare questa condizione creaturale, il limite
e tutto quello che per ora ci sfugge.
Eugenetica ed eutanasia
 Jonas distingue rigorosamente tra genetica preventiva e
genetica migliorativa, accettando chiaramente la prima,
per la possibilità che dà di migliorare la vita delle persone e
dei nascituri, e respingendo la seconda, perché
intrinsecamente foriera di selezione individuale e di
modifiche legate anche a criteri di utilità ed economicità.
La prima migliora la vita umana, la seconda distingue negando o
accettando i soggetti umani nell’infinita varietà delle espressioni
psicofisiche in cui si può esprimere.
 Circa l’eutanasia, Jonas respinge nettamente quella attiva,
sottolineando invece l’attenzione che si deve avere contro
ogni accanimento terapeutico, là dove il medico, che non ha
la missione di uccidere il paziente, ma il contrario: ogni caso
deve essere esaminato volta per volta, senza eccessive norme
giuridiche, con l’essenziale norma dell’amore per la vita.
Hannah Arendt
(1906-1975)
 Hannah Arendt, di famiglia ebrea, studia a Marburg con
Heidegger, con il quale si lega anche affettivamente per un
periodo (problema nonda poco per lei l’adesione temporanea del
maestro al nazismo!). Si laurea a Heidelberg con una tesi su
sant’Agostino sotto la guida di Karl Jaspers. Nel 1929 sposa il
filosofo Gunther Anders, dal quale si separa nel 1937. Va a Parigi e
sposa un altro filosofo, Heinrich Blücher, (proprio non gli porta
bene accompagnarsi a dei pensatori!) Da Parigi poi emigra con il
nuovo marito e con la madre negli Stati Uniti per sfuggire alla
persecuzione nazista.
 Nonostante il disinteresse di Heidegger per lei, quando dovette
emigrare, comunque, nel dopoguerra testimoni in favore del suo
antico maestro, quando questi viene accusato di adesione al
regime hitleriano.
Le opere
 Arendt è nota soprattutto per un’opera che non è propriamente
filosofica, La banalità del male, reportage etico-giuridico che lei redige
seguendo a Tel Aviv nel 1961 il processo a Adolf Eichmann per il
giornale New Jorker.
 Arendt rileva come il male possa non essere radicale: anzi è proprio
l'assenza di memoria, del non ritornare sui propri pensieri e sulle
proprie azioni mediante un dialogo con se stessi che persone spesso
banali si trasformano in autentici agenti del male. È questa stessa
banalità a rendere, com'è accaduto nella Germania nazista, un popolo
acquiescente quando non complice con i più terribili misfatti della storia
e a far sentire l'individuo non responsabile dei propri crimini, senza il
minimo senso critico.
 Scrive anche anche Le origini del totalitarismo (1951), in cui traccia le
radici dello stalinismo e del nazismo, e le loro connessioni con
l'antisemitismo. Questo libro è stato al centro di molte
controversie, perché compara due sistemi che alla maggior parte
degli studiosi sembrava diametralmente opposti.
Cornelio Fabro
(1911-1995)
 Friulano, sacerdote stimmatino è Cornelio Fabro, teologo,
filosofo e biologo, ha molto studiato il tema della libertà, e ha
fondato questo studio su una critica serrata alla filosofia
moderna e contemporanea derivante dal pensiero idealista, cioè
dalla tesi secondo la quale essere e pensiero coincidano.
 Secondo Hegel, in particolare, questo è il cominciamento e il
fondamento di tutta la teoria della conoscenza, e allora anche la
verità coincide con la certezza e la libertà con l’opinione
soggettiva di ciascuno dentro il mondo. La verità perde allora
ogni condizione di possibilità di valenza oggettiva.
 Sappiamo invece che la certezza può essere solo una parvenza di
verità: io posso essere certissimo di una cosa che alla verifica si
rivelerà poi falsa! Quante volte accade.
Libertà ed Essere
 Sappiamo invece che la certezza può essere solo una
parvenza di verità: io posso essere certissimo di una cosa
che alla verifica si rivelerà poi falsa! Quante volte accade.
 Non con ciò si vuol significare che la verità è facilmente
accessibile, tutt'altro! Basti pensare alla diuturna millenaria
ricerca umana sulla natura delle cose e su di sé, sempre in
evoluzione e indefinitamente aperta...
 Però, se nella condizione umana si può dare la nozione di
libertà, questa nozione non può essere staccata dalla
realtà dell’essere, e quindi dalla verità delle cose, ma di
converso si stacca costantemente dal “sensus communis”,
come solito-modo-di pensare (Schelling).
Libertà e Verità
 Sopra dicevamo che, forse, libero è “chi vuole ciò che fa”, non
“chi fa ciò che vuole”, perché in questo caso potrebbe non
conoscere ciò-che-vuole, ma venire semplicemente influenzato e
attratto da un “qualcosa” di immediatamente gradevole.
 Il padre Fabro (Riflessioni sulla libertà, Edivi, Segni, 2004,
83.126) ci ha insegnato a riprendere per mano un concetto di
libertà non banale, scontato, mediatizzato, ma faticoso,
meritevole di attenzione e di allenamento.
 È sembrato voler dire che non basta il talento della libertà, ma
occorre l’allenamento alla ricerca dell’essere, cioè della verità, e
quindi della libertà, come dice Giovanni (8, 32):
“Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.
Michel Foucault
e i “nouveaux philosophes”
(1926-1984)
 Foucault è un filosofo, sociologo e psicologo francese. Si laurea all’ all’École
Normale Supérieure di Parigi in filosofia e psicologia avendo come docenti
Maurice Merleau-Ponty e Louis Althusser. La sua ricerca si impernia su alcuni
grandi temi filosofici e socio-politici come: la burocrazia, il sistema carcerario,
la sessualità, la follia.
 Insegna a Uppsala, in Tunisia e al College de France, pubblicando i suoi
principali lavori, come Le parole e le cose (1966), Sorvegliare e punire (1975) e
altre opere legate alla sua ricerca su una storia dell’Occidente declinato
secondo una forma di pensiero anti-sistematica, di denuncia, libertaria (in
questo ricorda P. Pasolini).
 Bernard Henry Levy, Gilles Deleuze, André Glucksmann, Jacques
Derrida e qualche altro, francesi, sono considerati i nuovi filosofi, per le
contaminazioni socio-psico.antropologiche che introducono nelle loro
filosofie, che in generale si possono definire anti-autoritarie e libertarie.
Il pensiero debole
 Gianni (Gianteresio) Vattimo (1936) e Pier Aldo Rovatti (1942)
rappresentano in Italia la dottrina denominata pensiero debole, un
concetto introdotto in filosofia per descrivere un importante
mutamento nel modo di concepire la filosofia, a partire dalla metà del
XX secolo. Questo mutamento, introdotto secondo Vattimo e Rovatti
dall'opera di pensatori come Nietzsche e Heidegger, è caratterizzato dal
cadere di numerosi presupposti fondanti della filosofia classica e della
tradizione filosofica occidentale.
 Tra i due Vattimo si iscrive nella tradizione dell'ermeneutica moderna
occupandosi dell'indebolimento dell'essere, mentre Rovatti è piuttosto
fedele al pensiero fenomenologico tramandatogli dal suo maestro Enzo
Paci.
 Il pensiero debole si presenta dunque come una forma particolare di
nichilismo, partendo dall'assunto che, nella contemporaneità si sia
attuata una crisi irreversibile delle basi cartesiane e razionalistiche del
modo di filosofare, stravolgendo quindi il pensiero, così come si era
sviluppato durante l'età moderna.
Emanuele Severino
(1929)
 Severino si laurea all’università di Pavia nel 1950 con Gustavo
Bontadini, sostenendo una tesi su Heidegger e la metafisica, ottenendo
ben presto la libera docenza e un incarico all’università Cattolica di
Milano. Le sue posizioni lo portano bene preso a entrare in conflitto
con quelle ufficiali della chiesa, che, dopo un’accurata indagine del
padre C. Fabro, lo allontana dall’università. Ottiene l’incarico a Cà
Foscari a Venezia dove ha per allievi Umberto Galimberti e Salvatore
Natoli, tra gli altri. Oggi insegna, come emerito Ontologia
fondamentale, all’università San Raffaele-Vita e Salute di Milano.
 Severino affronta il tema proposto ancora da Platone e Aristotele e
ripreso poi in epoca moderna da Heideggeri: il tema dell'essere. Per
Severino, tutte le filosofie precedenti sono caratterizzate da un errore
di fondo: la fede nel senso greco del divenire. Sin dagli antichi
greci, infatti, un ente (ovvero un qualcosa che è) viene considerato
come proveniente dal nulla, dotato temporaneamente di esistenza
e successivamente ritornante nel nulla.
L’eternità dell’essere
 Severino, riflettendo sull'opposizione assoluta tra essere e non-
essere, dato che tra i due termini non vi è nulla in comune,
ritiene evidente che l'essere non può che rimanere
costantemente uguale a se stesso, evitando di rimanere alterato
dall'altro da sé. Anzi, essendo l'essere la totalità di ciò che esiste, non
può esserci altro al di fuori di esso dotato di esistenza (Severino rifiuta,
quindi, il concetto di differenza ontologica così come è stato avanzato
da Heidegger).
 Per Severino, quindi, tutta la storia della filosofia è basata sull'errata
convinzione che l'essere possa diventare un nulla.
 Ma, mentre Parmenide tentava di risolvere il conflitto tra il divenire e
l'immutabilità dell'essere affermando l'illusorietà del divenire (negando
l’esistenza delle cose del mondo e cadendo quindi in un'aporia),
Severino sceglie una via differente, portando il suo pensiero a delle tesi
estreme.
L’eternità degli essenti
 Dato che l'essere è, e non può mai diventare un nulla, ogni
essente è eterno.
 Ogni cosa, ogni pensiero , ogni attimo sono eterni. Il divenire
temporale non può, quindi, che rappresentare l'apparire
successivo degli eterni stati dell'essere, così come i fotogrammi di
una pellicola si susseguono sino a formare lo svolgimento
completo di un film. Gli enti entrano ed escono da quello che
Severino chiama cerchio dell'apparire.
 Ciò significa che, quando un ente esce dal cerchio
dell'apparire, non diviene un nulla, ma si sottrae
semplicemente alla vista: dunque, le cose esistono anche
quando scompaiono ovvero non si vedono.
Martha Nussbaum
(1947)
 Martha Nussbaum, gentile filosofa, ha tenuto e tiene corsi di diritto,
etica e scienza politica nelle università di Chicago, Harvard, Brown.
Forse la sua opera principale è La fragilità del bene (The Fragility of
Goodness, 1986, 2001), nel quale esprime tutta la sua umanità e la scelta
per un altruismo di carattere quasi stoico e attento alle emozioni e alla
fragilità umana.
 Scrive tra l’alto: "Classe sociale, fama e prestigio non contano nulla,
mentre l'argomentazione è tutto“, e non per intellettualismo elitistico,
ma perché solo il risultato della ricerca conta, costituisce un valore che
si aggiunge, fa crescere. E questo vale anche in economia. La cultura
umanistica, antropologica, filosofica e psicologica, aiuta le
organizzazioni a funzionare meglio, a dare valore ai processi e ancora di
più alle persone che questi processi conducono.
 Martha dialoga su questi temi proficuamente con colleghi come Robert
Nozick e Judith Butler.
Cultura e profitto
 Nussbaum sembra operare una netta contrapposizione tra
"cultura" e "profitto", una cesura, una contrapposizione,
ma poi nel testo la sua riflessione porta altrove. E conduce,
com'è ragionevole che sia, su un territorio, non solo di
convivenza tra la dimensione della "cultura" e la
dimensione del "profitto", ma che addirittura auspica un
sempre maggiore dialogo tra i due "ambienti" concettuali e
operativi.
 Quando Martha Nussbaum afferma che "(...) le discipline
umanistiche insegnano a pensare criticamente, a usare
l'immaginazione, a essere compassionevoli e trasformano gli
individui in cittadini globali, ossia in persone capaci di una
visione d'insieme del mondo (...)", implicitamente ammette la
funzione della cultura nell'organizzazione economica e nella
stessa politica. Il suo è un umanesimo laico integrale.
Il “ritorno di Socrate”
 Negli ultimi anni si è assistito, a partire dalla
Germania, a una specie di ritorno del metodo
socratico, così come tramandatoci da Platone, con la
maieutica, cioè la ricerca della verità delle cose e della
vita mediante il dialogo intersoggettivo, paziente e
rispettoso.
 A fronte di una certa crisi delle psicoterapie e della
direzione spirituale di tipo religioso, la pratica filosofica in tutte le sue diverse tipologie inclusa la consulenza
filosofica – propone un’attività del filosofare svolta
così come precisato nei punti seguenti:
a) la pratica filosofica si realizza in una relazione dialogica
tra due o più interlocutori a carattere prevalentemente benché non esclusivamente- argomentativo.
Le pratiche filosofiche
oggi in Italia
b) la pratica filosofica non presuppone, da parte del partecipante,
cognizioni filosofiche né un particolare livello culturale. Il
filosofo utilizza un linguaggio accessibile ai propri interlocutori e
si assicura che il dialogo poggi costantemente su parole e
concetti condivisi, o almeno negoziati nel loro significato d’uso;
c) la pratica filosofica non consiste nell’insegnare dottrine
filosofiche o nell’imporre determinate concezioni del mondo, per
quanto “sagge” queste possano apparire; essa non ha mai intenti
terapeutici.
 Anche in Italia, dal 2003, sulle tracce dell’esperienza del
professor Gerd Achenbach, che le propose nei primi anni ottanta
in Germania, nasce Phronesis, l’Associazione Nazionale per
la Consulenza filosofica, di cui attualmente sono
Vicepresidente.
Il nuovo realismo italiano
 Studiosi come Enrico Berti, Maurizio Ferraris, Roberta De
Monticelli, Nicla Vassallo, Remo Bodei, Michela Marzano, Franca
D’Agostini, il domenicano Giuseppe Barzaghi e così via, stanno
recuperando un pensiero che sembrava quasi perduto.
 Evidentemente Vico non ha tutti i torti quando parla di “corsi e ricorsi”.
Il pensiero pare volgersi talora ondivago da un estremo all’altro, perché
la vita e la natura chiedono sempre di immaginare nuovi percorsi
conoscitivi, sorprendendo ciascuno di noi con l’infinita ricchezza della
realtà delle cose.
 Ogni intelligenza pensante si chiede dunque il senso, il senso di
ogni cosa, anche se a volte questo senso non appare o si
manifesta debolmente avvolto da nebbie e buio.
 Ma l’infinita (nel senso di non-finita) curiosità e sete di
conoscenza dell’uomo vince sempre e il cammino continua senza
requie e senza avere mai termine.