1 - Macrobiotica

annuncio pubblicitario
1
1.11 - Hegel
1.11 - Hegel
(.htm)
Hegel è uno dei filosofi che meglio hanno “smaterializzato” il mondo; Leibniz è stato il primo filosofo e
scienziato moderno a proporre questa tesi, però ai suoi tempi pochissimi sono riusciti a seguire fino in fondo
le intuizioni che egli proponeva; quando Hegel lo ha fatto, e siamo agli inizi dell’Ottocento, non solo verrà
capito ma il suo pensiero diventerà il punto di riferimento privilegiato per i filosofi del tempo: Hegel sarà un
filosofo che andrà per la maggiore per circa cent’anni; ancora nei primi decenni del Novecento, con
l’Idealismo, la sua visione del mondo sarà capace di influenzare pesantemente le scelte culturali e politiche
di molti stati europei.
Oggi nessuno parla di Hegel perchè ha parecchie “colpe”. La prima è quella di essere stato un filosofo che
ha praticamente demolito tutte le religioni storiche, nel senso che le ha definite come espressione di un
livello inferiore di conoscenza rispetto alla filosofia e, questo, non gli è stato perdonato nè dai cattolici nè dai
protestanti. In realtà, questa affermazione era già stata fatta dalla maggior parte dei filosofi precedenti ma, a
partire da Hegel, si comincia a vedere un diverso atteggiamento delle autorità statali nei confronti di questa
tesi che, anzi, verrà strumentalizzata sul piano politico. Anche per questo si finirà per identificare il pensiero
hegeliano con una posizione ideologica di estrema destra. Ma su questo discorso torneremo.
Hegel è un filosofo ateo, ma è un ateismo che per tanti versi richiama quello della religione buddhista. Il
Buddhismo venera Buddha e lo venera come un uomo particolarmente evoluto, un avathar, un salvatore, un
Gesù Cristo ridimensionato come uomo evoluto e non figlio di Dio e seconda persona della Trinità. Il
Buddhismo non ha sviluppato una teologia perchè Dio è, semplicemente, il mondo.
Il Buddhismo, a livello popolare, prevede innumerevoli divinità che esistono tra l’assoluto e l’uomo per cui
il popolino, all’interno di una cultura buddhista, andrà ad offrire l’incenso ad una particolare divinità, così
come il cristiano dello stesso livello va ad accendere la candela davanti alla statua di santa Rita, fa il
pellegrinaggio al santuario della Madonna di Lourdes o ad altri santuari più o meno noti: luoghi ed entità che
finiscono per diventare momenti di preghiera privilegiati rispetto a Dio, perché a livello popolare si sente più
vicini a noi un qualsiasi santo o la Madonna.
Hegel è portatore di una dimensione religiosa estremamente sofisticata, evoluta, impegnativa, nella quale
Dio, come figura che si può pregare e a cui ci si può rivolgere non c’è più. Questa religiosità si caratterizza
nell’affermazione che tutto ciò che esiste è espressione di una razionalità assoluta: è come dire che tutto ciò
che esiste è all’interno di Dio o, se vogliamo, è manifestazione di Dio. Non c’è nulla che non abbia in Dio la
sua radice e, come provocatoriamente più volte abbiamo affermato, anche Satana e il male sono momenti di
un progetto divino che noi non riusciamo ancora a capire.
Questa è la conclusione della filosofia hegeliana, che è poi quella di Eraclito evoluta e approfondita come
oltre duemila anni di storia potevano consentire: Dio è la compresenza degli opposti, che insieme
determinano una dimensione di razionalità che ancora oggi ci risulta scomoda.
E’ un altro dei motivi per cui non si parla più di Hegel: se le religioni istituzionali lo hanno sempre visto
come il fumo negli occhi, lo stato lo ha invece guardato con interesse, ma era uno stato di tipo autoritario,
uno stato di destra che non ammetteva i principi democratici per noi, oggi, irrinunciabili. In realtà potremmo
chiederci perché Hegel ha potuto assumere una posizione così nettamente negativa, senza mezzi termini,
contro le religioni storiche in un’area come quella tedesca dove pochissimi anni prima Kant era stato diffidato
dal re di Prussia a parlare della religione con troppa libertà: Kant stava portando avanti un discorso sulla
religione naturale, una specie di super-religione al di sopra di tutte le religioni storiche, e il re di Prussia lo ha
censurato dal momento che in terra tedesca chiesa e stato sono sempre stati alleati. Kant aveva a suo
tempo obbedito, però aveva saputo poi mantenere nei confronti del potere politico una notevole autonomia e
non ha mai legittimato il potere politico esistente, non ha mai detto che lo stato prussiano del tempo fosse la
migliore forma di organizzazione statale, anzi ha affermato a chiare lettere che lo stato e la chiesa che
pretendono di non dover rendere conto alle critiche della ragione commettono un sopruso e finiscono per
indebolirsi con le loro stesse mani di fronte alle critiche della filosofia.
Hegel, invece, non ha dovuto fare i conti con la censura perché ha fatto una scelta di campo sul piano
politico legittimando il governo prussiano come realtà che si autogiustifica per il fatto stesso che esiste. Ciò
ha finito per porre Hegel in una situazione privilegiata e il suo pensiero ha avuto da parte della struttura
statale una considerazione e un rispetto tali, per cui ha avuto spazi più ampi nella critica contro le religioni
storiche.
In realtà, però, il pensiero hegeliano è qualcosa che va oltre la semplice giustificazione del dato, della
realtà esistente: dal pensiero hegeliano nascerà Marx, la cui dottrina politica è la versione di sinistra del
pensiero hegeliano. Marx è stato un grande teorico dell’economia e della politica e il suo pensiero costituisce
in questi campi una pietra miliare della cultura occidentale, ma dal punto di vista filosofico ha finito per
cadere in una ingenuità che Hegel ha evitato. Infatti, nel momento in cui Marx elaborerà la sua visione del
mondo finirà per creare quella che è stata definita come l’ultima religione storica: il Marxismo è l’ultima
religione nata nell’Occidente, perché ci delinea un mondo futuro che è il paradiso, un mondo nel quale non ci
saranno più sfruttati né sfruttatori.
Pagina 1 di 6
2
Ora, se dal punto di vista economico il pensiero di Marx ha delineato una dottrina che bisogna
assolutamente conoscere per capire a fondo l’evoluzione storica dell’economia e, dal punto di vista politico,
può ancora essere un punto di riferimento valido per le aree del pianeta economicamente più arretrate, dove
ancora si devono registrare situazioni di sfruttamento della mano d’opera analoghe a ciò che era l’Europa
della prima metà dell’Ottocento, dal punto di vista filosofico il suo pensiero è datato e difficilmente potrà
ancora, in futuro, uscire dalla sua pur fondamentale posizione di tassello storicamente importante della
evoluzione del pensiero umano.
La teoria hegeliana invece non è affatto superata ed è ancora oggi pienamente valida, nel senso che può
ancora dare potenti intuizioni per la spiegazione del mondo e se nessuno parla più di Hegel è perché è “fuori
moda”: una filosofia come quella hegeliana ci toglie qualunque possibile alibi, lo toglie a tutti, perché nel
momento in cui ci si lamenta di qualcosa egli ci fa osservare che il reale è razionale. Non stai bene? Si sono
create le cause per cui oggi devi avere questo malessere: Hegel non ti impedisce di andare dal medico, però
contemporaneamente ti ribadisce che se stai male è prima di tutto colpa tua, poi potrai incolpare il medico di
non essere bravo come tu vorresti nel trovare la cura giusta, ma in realtà sei tu la causa del tuo problema.
Ecco cosa significa l’affermazione che il reale è razionale. Non possiamo, tanto per fare un esempio,
lamentarci della immigrazione clandestina quando noi stessi siamo a livello planetario corresponsabili degli
squilibri che ne hanno creato le premesse.
Hegel è il filosofo che ci mette di fronte alla realtà dicendoci che questa è il risultato logico e ineluttabile di
una serie concatenata di cause che anche noi abbiamo voluto o permesso. In un simile contesto maledire il
presente è solo un atto di ignoranza ed è la peggiore premessa per poterlo modificare: il filosofo si fa carico
di tutte le sue corresponsabilità come singola cellula che compone la più ampia realtà sociale e può soltanto
guardare in avanti partendo da una analisi quanto più razionale possibile del passato. E qui la filosofia
hegeliana si rivela meno ingenua di quella di Marx: questi proponeva una mitica età dell’oro nel nostro
futuro, nel senso che il risultato della lotta politica della classe rivoluzionaria dei proletari avrebbe portato alla
fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Hegel, molto più realisticamente, trae dalle premesse della sua
filosofia la conclusione che la dialettica sociale potrà affinarsi e diventare meno rozza e brutale ma non potrà
mai comporsi in una armonia perfetta perché l’essere stesso si costituisce come dialettica dei contrari.
Il mondo non finirà mai e ogni momento si propone come un dato che dovrà necessariamente essere
superato, quindi Hegel, se è vero che come uomo può fare una scelta di destra, come filosofo non dirà mai a
chi è al potere che può dormire sonni tranquilli in quanto espressione della volontà di Dio, espressione della
razionalità assoluta, perché Hegel come filosofo farebbe immediatamente il discorso che gli antichi romani
nella loro saggezza politica facevano fare a uno schiavo durante la cerimonia del trionfo.
Al generale romano che aveva vinto una guerra e tornava a Roma vittorioso dopo aver conquistato nuovi
territori, veniva concesso l’onore del trionfo: il generale vittorioso con la corona d’alloro in testa passava su
un cocchio in mezzo a due ali osannanti di folla, ma sul cocchio c’era uno schiavo che, tra gli osanna della
folla, ripeteva nell’orecchio del generale vittorioso: “Ricordati che sei un uomo come tutti gli altri e prima o poi
ti toccherà morire esattamente come tutti gli altri”.
La filosofia hegeliana nel momento in cui accetta e giustifica la realtà dell’uomo che vince e del partito che
raggiunge il potere, al tempo stesso sottolinea proprio alla realtà vincente che per il fatto stesso che esiste il
vincitore si creano le condizioni perché nasca un’opposizione e prima o poi tutto si capovolgerà.
Il discorso hegeliano può essere molto bene sintetizzato e intuito a fondo se pensiamo alla nostra realtà
individuale: ciascuno di noi in questo momento sa di esserci e questo sapere di esserci viene definito da
Hegel come il momento di sintesi, sintesi di una realtà precedente che noi siamo stati, sintesi di tutta la
nostra storia precedente, però nel momento in cui sono consapevole della mia individualità come sintesi di
60 anni di vita, in quel preciso momento questa sintesi viene automaticamente messa in discussione perché
l’attimo di consapevolezza appena colto già si presenta come catturato e inglobato da quel passato da cui si
distingueva. La consapevolezza di questo istante è sintesi di tutto il mio passato ma viene rimessa in gioco
in modo dialettico da quel futuro che per la mia coscienza non c’è ancora ma che ineluttabilmente si
contrappone ed è altro dall’istante attuale; in questo senso la sintesi del passato è, contemporaneamente,
tesi: tesi in quanto contrapposta alla antitesi rappresentata dal futuro, da ciò che ancora non sono e che,
proprio per ciò, si contrappone come diverso, come quel qualcuno che non sono ancora.
Tesi, antitesi e sintesi sono la dimensione dell’Essere; già con Eraclito, si affermava la razionalità
dell’Essere come divenire ma si trattava, anche lì, di una razionalità che ci mette in crisi: noi oggi siamo
ancora legati alla logica di tipo aristotelico cristallizzata dalla ortodossia cristiana che è sintetizzata
nell’affermazione A=A, che poi, in termini concreti, significa: io sono una persona per bene, ci sono le
carogne, bisogna fare qualcosa contro di loro e nel momento in cui chiedo il porto d’armi perché il mondo è
pieno di carogne, non voglio sentirmi dire che la richiesta del porto d’armi è già la manifestazione in me di
quella stessa dimensione di aggressività che sto rimproverando agli altri; no, io sono una persona per bene,
la mia è la parte della onestà e del rispetto delle leggi per cui non accetto di sentirmi dire che l’idea di
viaggiare con la pistola in tasca nasce dalla stessa radice di violenza contro cui combatto.
Questa è la trasposizione sul piano individuale di una secolare tradizione religiosa che ci ha costruito un
mondo eternamente dicotomizzato per cui c’è Dio che è il bene, e naturalmente io sono dalla sua parte, e
1.11 - Hegel
Pagina 2 di 6
3
Satana come suo eterno nemico, personificazione del male che si manifesta in tutti coloro che non la
pensano come me.
Hegel ha il coraggio di affermare che Dio è la radice unitaria e infinita del bene e del male: Dio come realtà
vera è l’abisso infinito e misterioso da cui emergono vita e morte. In questa ottica rientriamo in quei discorsi
provocatori, paradossali che avevamo già fatto con Eraclito, e che a noi danno fastidio perché, in quanto
occidentali, siamo figli della logica aristotelica male interpretata che ci porta ad utilizzare distinzioni quanto
più possibile nette e definitive, per cui facciamo fatica a seguire Hegel mentre ci invita a riflettere sul fatto
che nessuno di noi ha mai visto nella realtà spazio temporale qualcosa che sia sempre uguale a se stesso.
Stiamo inseguendo questa illusione da quando l’uomo esiste. L’esoterismo afferma che la radice di questo
bisogno ce la portiamo dentro di noi ed è la chiave per risolvere tutti i nostri problemi: anche se nella pratica
nessuno ha mai visto qualcosa che fosse anche solo per un istante uguale a se stesso continuiamo a
cercare delle prove e delle conferme in questa direzione per il fatto che ciascuno di noi, come momento
dell’Essere eternamente Uno e, quindi, uguale a se stesso, ciascuno di noi ha in sé queste radici unitarie
che ci spingono verso la soluzione prospettataci da Parmenide e da Spinoza. Il nostro “errore” consiste nel
fatto che cerchiamo una conferma che Dio è Uno in una direzione sbagliata, cioè nella dimensione spaziotemporale. In realtà anche lì si rivela la unicità dell’essere ma la sua è una evidenza che si rivela solo a chi è
capace di guardare il piano esistenziale con la lente della metalogica di Eraclito e Pitagora e della dialettica
di Hegel.
Tutto ciò che siamo riusciti a trovare è stata la eterna evidenza e identità degli assiomi matematicogeometrici, la perfezione delle figure geometriche, l’affascinante e inquietante incommensurabilità della
circonferenza del cerchio, l’intuizione dell’infinito che si esprime con la stessa potenza nella linea retta e in
ciascuno degli infiniti punti di cui essa è composta, ma nessuno di noi ha mai visto queste “cose”, nessuno di
noi le ha mai toccate con la mano: sono oggetti di pura intuizione perché si trovano in una dimensione
iperuranica, trascendente; sono in quella dimensione spirituale che Hegel definisce come realtà vera, perché
nella dimensione materiale non esiste un filo d’erba perfettamente identico ad un altro e lo stesso filo d’erba
non è neppure per una frazione di secondo uguale a se stesso.
Io vengo al mondo e vedo le fotografie che del Cervino ha scattato mio padre; alcuni decenni dopo scatto
anch’io una fotografia di questa montagna proprio da quel lago dove già mio padre era rimasto affascinato
da questa montagna: controllando le due foto ho l’impressione che il Cervino sia sempre lì, che sia sempre
uguale. In realtà sappiamo che il Cervino fotografato da me non è più quello di mio padre perché, nei
decenni nel frattempo intercorsi, il gelo, il vento, la pioggia hanno modificato la massa piramidale del monte
così come allo stesso modo è stata modificata ciascuna delle pietre che dalle vertiginose pareti della
montagna sono precipitate a valle.
Nel pensiero di Hegel, come già in Cusano, Bruno, Spinoza e Leibniz si ribadisce con forza che l’Infinito
non ammette ritorni né repliche e l’unica identità possibile è quella parmenidea dell’Essere che è
eternamente se stesso.
C’è di Hegel una citazione che è riportata in molti testi scolastici: “ A stento l’opinione riesce a farsi un
concetto della diversità dei sistemi filosofici; essa, piuttosto, nella diversità scorge più la contraddizione che
non il progressivo sviluppo della verità. Il bocciolo dispare nella fioritura e si potrebbe dire che quello vien
confutato da questa; similmente, all’apparire del frutto, il fiore vien dichiarato una falsa esistenza della
pianta, e il frutto subentra al posto del fiore come sua nuova verità. Tali forme non solo si distinguono, ma
ciascuna di esse dilegua anche sotto la spinta dell’altra perché esse sono reciprocamente incompatibili. Ma
in pari tempo la loro mobile natura le eleva a momenti dell’unità organica, nella quale non solo non si
respingono, ma sono anzi necessarie l'una non meno dell'altra e questa egual necessità costituisce ora la
vita dell’intero.” (G.W.F. Hegel Fenomenologia dello Spirito – La Nuova Italia – Firenze, 1933)
Cioè l’albero è vivo perché in questo momento sta mettendo i germogli, tra un mese avrà i fiori che, con il
tempo, diventeranno i frutti e a fine stagione anche i frutti cadranno come le foglie: l’albero è vivo per questo
continuo cambiare che è un continuo morire a se stesso. Noi siamo vivi perché stiamo morendo, perché
stiamo trapassando dalla nascita alla morte: la vita è un traghettare dalla nascita alla morte, la vita non è
l’opposto della morte, ma è un andare verso la morte. La morte si pone, perciò, come sintesi della vita ma, a
sua volta, nel momento in cui essa si afferma come realtà in atto si pone come tesi a cui, automaticamente,
si contrapporrà l’antitesi, per cui la morte si rivela come il serbatoio da cui riemerge la vita.
1.11 - Hegel
Hegel non ha affrontato il discorso specifico della reincarnazione perché a lui non interessa la realtà del
singolo individuo.
Per noi, giustamente ma, anche, inguaribilmente individualisti, il messaggio hegeliano diventa difficile da
accettare perché è portatore di una dimensione di religione impegnativa e filosoficamente corretta, nella
quale si viene costretti ad accettare il mondo e a non pregare Dio perché ce lo cambi, tuttavia lo stesso
Hegel ci apre una prospettiva di straordinaria potenza: l’attimo che stiamo vivendo come occasione che
possiamo utilizzare per realizzarci a livelli più alti. Con Hegel ritorna il discorso del finito che è espressione
dell’infinito, ritornano le suggestioni di Cusano: in quella realtà che noi definiamo finita, come il segmento, ci
sono infiniti punti geometrici e il finito si rivela portatore, rivelazione dell’infinito.
Pagina 3 di 6
4
Se paragoniamo l’eternità ad una linea retta, la nostra vita può essere vista come un segmento, un
“pezzo” dell’eternità, ma all’interno della nostra vita troviamo infiniti punti geometrici, infiniti attimi di
coscienza: anche l’attimo è espressione dell’infinito, e ne può diventare, per noi, l’intuizione più potente:
sono i due modi opposti, estremi di intuire l’infinito, nel quale, come già osservava Cusano, gli opposti
coincidono.
Quella che noi chiamiamo realtà spazio temporale è una serie di gabbie, per cui vediamo il punto
geometrico come intuizione dell’individuo: è la monade, un centro di coscienza nell’Essere, e poi in quanto
siamo portatori di una dimensione di infinito mai perfettamente realizzata sul piano esistenziale, ecco che
questo attimo, questo punto geometrico lo vediamo affermarsi nel tempo, fino a delineare un segmento
come successione dei punti di consapevolezza, segmento che poi “vogliamo vedere” radicato in una retta
che, dilatandosi all’infinito in entrambe le direzioni del passato e del futuro, rappresenta il nostro tentativo di
esorcizzare i buchi neri delimitanti la nascita e la morte.
Tuttavia la linea retta, per quanto colta come espressione di un bisogno interiore, non può appagarci
perché non abbiamo il coraggio di accettare la prospettiva che in noi si esaurisca tutta la realtà dell’essere,
per cui vogliamo necessariamente pensare che esistano altre infinite rette che esprimano il tu, l’altro da noi,
per cui il piano si propone come l’infinito “contenitore “ di questi centri di coscienza con cui abbiamo bisogno
di sentirci in interazione. Ma l’esperienza della nostra vita ci spinge ad una ulteriore dilatazione della
intuizione dell’infinito che, dal piano come semplice contenitore delle linee rette, si trasforma nella
tridimensionalità dello spazio che meglio ci aiuta a concepire la compresenza non solo di esperienze
esistenziali individuali ma l’interazione di culture, di religioni, di filosofie che conferiscono uno spessore
temporale e storico al “contenitore” del tutto. Tutte queste “diverse” intuizioni dell’infinito non possono
coesistere come entità separate, stante la radice unitaria dell’Essere, per cui si va dall’intuizione di Dio come
origine del mondo proposta dalla religione, allo sfero di Parmenide, eventualmente aggiornato nell’ipersfera
della scienza contemporanea: è l’infinito che ci costituisce e che ci spinge sempre oltre.
1.11 - Hegel
E qui ritorniamo alla scoperta della potenza infinita dell’attimo, che Hegel ci propone.
Il modo corretto per uscire dal tempo non è quello di aspettare di essere morti per sentirci immortali, ma è
quello di sprofondare tutta la nostra coscienza nell’attimo che stiamo vivendo, per scoprirne la potenza
infinita: le più grandi decisioni della nostra vita, quelle che hanno rappresentato le svolte importanti, sono
state prese in un certo istante della nostra vita. Forse le abbiamo poi ripensate e rimesse in discussione,
però c’è stato l’istante in cui ciascuno di noi ha deciso di smettere di fumare, ha deciso di sposarsi, di fare
quel certo tipo di studi, di non licenziarsi ma di continuare a lavorare dove già si trovava … : se non
riusciamo a individuare questo istante è perchè non siamo ancora capaci di coglierlo in tutta la sua potenza.
Ogni attimo della nostra vita può avere questo spessore infinito, infinito perché ogni volta che noi facciamo
una svolta entriamo in uno spazio-tempo che si apre a infinite possibili variazioni completamente nuove, che
non riusciamo ancora a percepire ma che da quell’istante riveleranno la loro infinita potenzialità.
Hegel, nel momento in cui viene utilizzato in questi termini, è un filosofo che non sarà mai superato: è un
filosofo che può andare fuori moda in un’epoca come quella di oggi, nella quale non vogliamo sentirci dire da
un lato che siamo esattamente ciò che ci siamo meritati di essere e, inoltre, che oggi viviamo nel mondo che
abbiamo voluto o permesso, o consentito. Hegel non ci piace nel momento in cui una rilettura del suo
pensiero apre gli spazi per la constatazione che se vogliamo che il mondo cambi non dobbiamo aspettare
che lo cambi chi è al potere, il partito per cui votiamo, la chiesa a cui ci sentiamo legati: se vogliamo che il
mondo cambi dobbiamo in questo momento decidere di fare noi qualcosa per cambiarlo e cominciando da
noi stessi. E’ vero che Hegel afferma che siamo sempre e comunque dei burattini manovrati da energie più
grandi di noi ma, andando oltre Hegel, avremo la soddisfazione di avere scelto il nuovo spazio di manovra
del burattino che pure ancora dobbiamo essere.
Hegel è uno Spinoza moderno, però mentre Spinoza propone un discorso che è quello del mistico che ha
trovato la visione del mondo, grazie alla quale qualunque pena e sofferenza viene a trasformarsi in serena
contemplazione della infinita realtà dell’Essere divino, Hegel, pur privilegiando la dimensione “divina”, non
dimentica mai che tutto continuamente evolve e si capovolge. Un rabbino che apprezzava Hegel ha
proposto un’interpretazione cabalistica interessante del fatto che la Bibbia comincia con la lettera “bet”.
Nella scrittura ebraica, che procede da destra verso sinistra, la lettera bet (‫ )ב‬risulta aperta verso sinistra,
quindi in avanti nel senso della scrittura e della lettura ed essendo la prima lettera del testo sacro ha, dal
punto di vista cabalistico, una importanza tutta particolare. Il suo aprirsi-concludersi in avanti è stato
interpretato come un invito a non pretendere di rimettere in discussione o a rimpiangere il passato perché
l’uomo, a questo riguardo, può soltanto prendere atto del passato accettandone la razionalità in quanto
evento storico, mentre la sua responsabilità personale deve impegnarsi verso il futuro perché è in questa
direzione che può essere utilmente impegnata la nostra energia.
Il passato va accettato non passivamente nel senso che, riconoscendolo come espressione della assoluta
razionalità dell’Essere, non hanno più alcun senso le recriminazioni e i rimpianti ma, proprio perché ciò che è
passato ha espresso la razionalità di un precedente rapporto causa-effetto così, con questa
consapevolezza, ci impegnamo nel presente non più schiacciati da un passato che ci è piovuto addosso, ma
piuttosto con la forza di chi ha capito che è nell’attimo presente che posso utilizzare la dialettica dell’essere
Pagina 4 di 6
5
per far sì che, nel mio prossimo futuro, io possa riconoscere nel passato l’espressione della mia volontà che
ha saputo fare propria la dimensione razionale dell’essere.
E’ in questa ottica che Hegel afferma che la filosofia è come la nottola di Minerva: è come la civetta che
salta fuori dal suo nido solo all’imbrunire, solo quando il giorno è concluso.
La filosofia ci permette di capire il senso delle cose solo dopo che sono avvenute, nel senso che, con la
dialettica degli opposti, si può cogliere il divenire degli eventi storici come processo logico che si realizza. Di
qui la possibilità, per l’uomo, di impegnarsi per determinare il futuro, pur con la considerazione che in Hegel,
come già in Leibniz, ciò non significa la certezza di poter scegliere e determinare il nostro futuro in modo
assolutamente sicuro. Come, infatti, negli infiniti possibili futuri di Leibniz il gioco delle infinite variabili che
sfuggono al nostro controllo può fare apparire, per certi versi, presuntuoso il tentativo della monade di fare
emergere nella propria coscienza uno spazio-tempo perfettamente definito a propria scelta così, in Hegel, la
coscienza evoluta del filosofo, che ha realizzato la consapevolezza del “punto di vista dell’Assoluto”, può
certamente tentare di muoversi con una sua autonomia nella dialettica dei contrari ma sempre nella
consapevolezza, anche qui, che il tentativo può rivelarsi presuntuoso dal momento che nella visione
hegeliana del mondo il soggetto individuale è strumento dello spirito oggettivo rappresentato dagli stati che
determinano la storia e, questi ultimi, sono a loro volta strumenti dello Spirito Assoluto che si afferma su una
dimensione di razionalità assoluta che, in quanto tale, si rivela come razionalità, al singolo individuo, sempre
e soltanto a cose fatte.
La prospettiva di poterci “destreggiare” nella razionalità dell’Essere, che per Hegel ci schiaccia e ci
trascende, va oltre il pensiero hegeliano e ci potrà essere suggerita dal progetto del superuomo
nietzscheano che assumerà una dimensione di coscienza tragica perché, se è vero che qualunque nostra
scelta può a posteriori essere vista come il realizzarsi di un destino che già era scritto, sarà pur sempre un
destino individualmente scelto con una lucidità e determinazione sovrumane.
Il senso di ciò che avviene nel mondo si può capire solo a posteriori e nessuno può chiedere a Dio che
cosa voglia realizzare perché in realtà non c’è un Dio che vuole, una realtà antropomorficamente
comprensibile che abbia un futuro davanti a sé: Dio come realtà vivente è il divenire, l’eterno divenire, che
non ha spiegazione se non nella sua dimensione di razionalità assoluta che, in quanto tale, coincide con
“l’Essere è” di Parmenide.
Per questo si può affermare che, nella filosofia hegeliana, gli individui sono il combustibile dell’essere in
quanto sono sempre e soltanto delle marionette nelle mani di un “burattinaio” che non esiste come realtà
antropomorficamente concepibile. In questa ottica un personaggio come Napoleone si riduce ad essere la
prima delle marionette. Sotto questo punto di vista la grandezza di Kant e di Nietzsche, rispetto ad Hegel,
consiste nell’aver osato credere che il singolo individuo sia capace di giungere ad operare scelte autentiche
e responsabili.
Kant aveva chiarito che un’azione si dice giusta, moralmente giusta quando l’uomo è posto come fine
dell’azione, non strumento e mezzo; in altre parole, quando si decide di fare una certa cosa, ci si deve
chiedere se si è presa questa decisione perché l’umanità diventi migliore o perché una certa parte
dell’umanità o addirittura un singolo individuo stia meglio: in questo caso non è un’azione moralmente giusta,
perchè è l’umanità come insieme il fine per cui si deve lavorare. Hegel non accetta questo discorso, perchè
per lui l’umanità, le sue angosce, i suoi dolori, le sue sofferenze sono la vita dell’Essere: il bocciolo deve
morire perché ci sia il fiore, il fiore deve morire perché ci sia il frutto, il frutto deve morire perché l’albero sia
vivo, il bocciolo, il fiore, il frutto sono vittime sacrificali della vita dell’albero e questa si propone come realtà
superiore: Hegel ha puntato la sua attenzione su questa dimensione.
1.11 - Hegel
Nietzsche è un grande filosofo anche perché ha tentato di opporsi a filosofie come quelle di Parmenide, di
Plotino, di Spinoza, di Hegel, nelle quali la realtà dei singoli si scioglie nell’assoluto. Se siamo dei mistici
possiamo anche trovare interessante questa prospettiva, però nel momento in cui siamo un individuo che ha
le sue speranze e ambizioni, i suoi ricordi e i suoi progetti, l’idea di accettare che io eternamente sono in Dio
può essere, in certi momenti della vita, una sorta di autocastrazione.
Nietzsche si ribellerà a questa prospettiva e, anche se è un filosofo che sarà difficile far accettare come
portatore di una dimensione religiosa, è, però, un filosofo che ci potrà dare quella spinta che ci può aiutare a
ritrovare una dimensione religiosa più personale, più originale, capace di farci diventare protagonisti della
vita e non capaci soltanto di pregare e sperare che Dio ce la mandi buona.
Ed è grazie alle suggestioni nietzscheane che possiamo servirci del pensiero hegeliano per giungere
proprio là dove egli non ha osato o voluto arrivare: è il discorso, già fatto, del filosofo che, giunto alla
intuizione metalogica della dialettica dell’essere, affronta l’infinita potenza dell’attimo forte della
consapevolezza raggiunta. E’ proprio in questo modo, grazie al pensiero di filosofi come Hegel che si sono
succeduti nel tempo, che possiamo essere affascinati dalla potenza delle intuizioni leibniziane della realtà
come infinito ipertesto divino nel quale le infinite possibilità che si aprono davanti a noi sono tutte
ugualmente vere e, quindi, praticabili se solo riusciamo ad evolvere al punto da non essere più momento di
passività ma soggetti che attivamente scelgono il percorso esistenziale.
L’affermazione hegeliana che la sua era l’ultima filosofia possibile è, contemporaneamente, vera e falsa,
confermando anche qui la metalogica che egli ha riscoperto ed evidenziato.
Pagina 5 di 6
6
E’ vera nel senso che le sue intuizioni nella cultura occidentale già compaiono in Eraclito e Pitagora ma
sono di gran lunga più antiche in culture diverse e, in questo senso, è una filosofia che esiste da sempre e
che, non potendo come tale diventare datata, può soltanto essere aggiornata in rapporto alle nuove
conoscenze progressivamente raggiunte in campo scientifico. Nel Corpus Hermeticum, un’opera nella quale
sono compendiati scritti diversi dell’epoca ellenistica –siamo nel II-III secolo dopo Cristo- che riportano un
sapere che ha radici culturali ben più antiche, si cita un dialogo tra Ermete Trismegisto e suo figlio Tat:
Tat: “...il mondo è necessariamente Dio. Come può essere, allora, che in ciò che è Dio, che è l’immagine
del Tutto, ci siano cose morte? Infatti la morte è corruzione, e la corruzione è distruzione, ed è impossibile
che alcunchè di Dio possa essere distrutto. Ma non muiono nel mondo gli esseri viventi, o Padre, sebbene
siano parte del Mondo?”
Ermete: “Taci, figlio mio, perchè tu sei indotto in errore dalla apparenza del fenomeno. Gli esseri viventi
non muoiono ma, essendo corpi composti, si dissolvono; e questo non è morte, ma la dissoluzione di un
miscuglio. Se si dissolvono, non è per andare incontro alla distruzione, ma ad un rinnovamento. Che cos’è
infatti l’energia della vita? Non è movimento? E cosa c’è nel Mondo che sia immobile? Niente!.”
1.11 - Hegel
(Corpus Hermeticum XII – Sull’intelletto comune).
D’altro canto, l’affermazione hegeliana è discutibile nel senso che, se per filosofia intendiamo il modo con
cui ciascuno di noi giustifica se stesso nel mondo e ne trae la conseguente possibilità di scegliersi il percorso
esistenziale, esistono tante filosofie quanti sono gli individui e, ciascuna di queste, perennemente nuova,
autentica ed originale.
La macrobiotica, come momento di applicazione sul piano dietetico dei principi della dialettica che da
Eraclito a Hegel nella storia della filosofia occidentale più volte è riemersa, coniugata con la potenza delle
intuizioni di Leibniz e delle provocazioni di Nietzsche, può diventare il momento in cui ciascuno di noi può
verificare giorno per giorno, nel suo stato di salute, il proprio livello di comprensione della dialettica yin yang
che regge il mondo e può rivelarsi come il momento di liberazione che da secoli i più grandi filosofi e i più
grandi profeti hanno cercato di individuare. Con un limite, storicamente finora sempre confermato,
consistente nel fatto che, stante l’attuale livello medio dell’umanità, sarà per molto tempo ancora una scelta
aristocratica, nel senso etimologico del termine.
Pagina 6 di 6
Scarica