Capitolo 1 - LA SOCIOLOGIA DELL’ EDUCAZIONE E
DELL’ ISTRUZIONE
1.1 - Introduzione
In questa tesi ci occupiamo, dal punto di vista
sociologico, della “professione” insegnante nelle odierne
scuole medie superiori italiane e in particolare anche
della tematica del burnout e dello stress che colpisce
questi ed altri professionisti ( per esempio i vari
operatori socio-sanitari, certe categorie di manager
etc.). Il nostro approccio è quindi quello della sociologia
della scuola o dell’istruzione scolastica. Tuttavia, non
bisogna dimenticare che la sociologia dell’istruzione fa
parte della sociologia dell’educazione, cioè di quella
branca della sociologia generale che studia le istituzioni
e i processi educativi. L’istruzione, cioè, è solo un
“momento”, formale e specializzato, di quel più ampio
processo educativo che dura tutta la vita e che consiste
nell’apprendimento della cultura propria del gruppo in
cui ci capita di nascere e di vivere ( valori, norme, modi
di pensare, agire, sentire, saperi tecnici e pratici,
costumi ecc). In questo senso l’educazione è il processo
tramite il quale si forma, si mantiene e si sviluppa la
personalità,
considerata
come
una
risultante
7
dell’incontro storico complesso tra un organismo biopsichico dotato di certe disposizioni, una certa cultura, e
la rete di interazioni sociali in cui esso è immerso.
In prima approssimazione, quindi, il processo
educativo potrebbe essere schematizzato, come nella
figura
seguente,
che
vuole
sottolineare
l’interconnessione tra le varie agenzie educative:
MONDO
DEL
LAVORO
FAMIGLIA
SCUOLA
POLITICA
MASS
MEDIA
MONDO
DELLA
RELIGIO
NE
MONDO
DEL
DIRITTO
MONDO
DELL’
ARTE
L’ educazione è un fenomeno complesso e nel
suo
studio
convergono
naturalmente,
oltre
alla
sociologia, molte altre discipline, quali la storia (ad
esempio
nascita,
sviluppo
e
caratteri
dei
sistemi
scolastici nelle varie epoche storiche ecc), la politologia
(ad esempio: lo studio del rapporto tra lo stato- nazione
moderno e il sistema scolastico; l’analisi delle politiche
8
dell’istruzione ecc), l’economia (ad es.: lo studio dei
rapporti tra istruzione e sviluppo economico nei paesi
sviluppati e sottosviluppati; i mercati dell’istruzione
ecc), l’antropologia (ad es.: lo studio dell’educazione
nelle culture orali, scritte o tecnologiche ecc), la
psicologia e la pedagogia (ad es.: studio dei vari tipi di
apprendimento/insegnamento,
del
rapporto
tra
motivazione e apprendimento, del ruolo delle emozioni
e delle relazioni affettive in tali processi, le dinamiche di
gruppo ecc), le scienze della comunicazione (ad es. : lo
studio della comunicazione all’interno della classe ecc).
Naturalmente la sociologia, come vedremo, ha
un proprio “punto di vista” nello studio dell’educazione
in generale e dell’istruzione in particolare. Ma ciò non
toglie che essa può e deve recepire e adoperare ai
propri fini i risultati di tutte queste discipline. Non solo,
è ormai opinione unanime della comunità scientifica che
un fenomeno così complesso debba essere analizzato
con un approccio interdisciplinare e in una prospettiva
sincronica, diacronica e comparativa.
In questa prospettiva ci sembrano interessanti le
riflessioni
di
S.Brint
sulla
“concezione
sociologica
dell’istruzione”.1 In primo luogo, l’autore sottolinea il
1
S.Brint, Scuola e società, Il Mulino, Bologna, 2002
9
pregio del metodo comparativo interculturale, che è
l’unico che ci consenta di raccogliere un insieme molto
più variegato di dati, superando così il rischio che le
nostre conclusioni siano viziate in partenza da un
pregiudizio “etnocentrico”. In secondo luogo propone lo
studio del rapporto tra scuola e società a diversi livelli di
analisi, tutti importanti e necessari, concepiti come una
sorta di cerchi concentrici, una progressiva “messa a
fuoco” del soggetto. Le tre prospettive proposte sono
quella macrostorica, quella mesoistituzionale
e quella
microinterazionista.
Il livello macrostorico si prefigge di comprendere
lo sviluppo delle attuali finalità e attività della scuola (ad
es.: il rapporto storico tra religione e scuola; tra stato
nazionale moderno, ideologia democratica e scuola;
scuola e interessi di classe e/o di ceto; scuola e mercato
del lavoro; conflitti e coalizioni tra educatori, partiti
politici e altri interessi ecc). Secondo Brint,:
“l’analisi macrostorica è stimolante perché impone di
guardare alle istituzioni, non solo dal punto di vista delle
loro origini e del loro sviluppo, ma anche in termini
comparati. Altre società, contraddistinte da tradizioni e
coalizioni di potere diverse, costituiscono un contesto
culturale che pone in risalto e aiuta a capire le proprie
istituzioni e la loro evoluzione.”2
2
S.Brint, op. cit., p 26
10
A livello mesoistituzionale, il sociologo studia,
invece,
le
assumono
istituzioni
in
un
scolastiche
certo
nella
forma
periodo. Questa
analisi
che
ci
permette di capire come le istituzioni sono organizzate,
a quali tipi di forze reagiscono nei loro ambienti, e
perché esse talvolta non funzionino bene. Secondo Brint
“le scuole nella società contemporanea possono essere
concepite come istituzioni che a)trasmettono saperi
scolastici ai giovani, b)plasmano le personalità e i
comportamenti secondo un tipo o più tipi socialmente
approvati e c)convogliano gli studenti verso determinate
posizioni nella struttura di classe e occupazionale”.3
L’ analisi istituzionale consiste quindi di tre parti:
a)l’analisi delle pratiche relative al conseguimento dei
fini istituzionali(ad es:l’organizzazione del tempo e dello
spazio;le gerarchie di status; i rituali; le categorie di
appartenenza
standardizzate;
la
vita
scolastica
comunitaria ecc). b) L’analisi degli interessi dei maggiori
attori nell’istituzione e dei modi in cui quegli interessi
influiscono sul funzionamento dell’istituzione.(es: la
“cooperazione
amministratori
antagonistica”
ecc);
c)
tra
alunni,
l’analisi
degli
docenti,
effetti
dell’ambiente esterno sul funzionamento dell’istituzione.
Le scuole come organizzazioni sono molto simili, ma i
fini, le attività delle singole scuole variano notevolmente
3
ivi, p 27
11
in funzione dei loro specifici ambienti esterni: ogni
scuola fa parte di una struttura gerarchica più ampia;
le
scuole
hanno
organizzazioni,
rapporti
(istituzioni
con
per
la
altri
gruppi
formazione
e
degli
insegnanti, associazioni professionali degli educatori,
case editrici ecc), con le politiche governative, con le
comunità locali, con la cultura mass-mediatica, con le
organizzazioni che mediano il rapporto con il mondo del
lavoro ecc.
Il livello microinterazionista si occupa di ciò che
avviene
negli
incontri
tra
persone
nella
specifica
situazione scolastica:
“l’analisi dell’esperienza scolastica immediata è di
importanza centrale per gettare luce sui modi con cui
vengono generati i vari comportamenti possibili:
padronanza degli argomenti dei corsi, adempienza
doverosa, confusione, disaffezione, ostilità attiva”4.
Le
persone
portano
in
questi
incontri
vari
elementi di “sfondo” (“retroscena”) che servono a
comporre
la
rappresentazione
(“ribalta”)
di
sé
e
dell’altro, l’interpretazione di tali rappresentazioni e i
successivi comportamenti. Secondo Brint,
“mostrando come sia i successi sia i fallimenti in aula
possano nascere dal modo in cui gli attori interpretano e si
adattano alle espressioni simboliche degli altri, l’analisi
microinterazionista contribuisce alla nostra comprensione
4
ivi, p 29
12
di alcune delle questioni fondamentali della scolarizzazione
di massa”5.
In particolare, per quanto riguarda la figura
dell’insegnante, questo approccio ci consente di studiare
i modi in cui si forma e viene gestita l’autorità e i
meccanismi di costruzione di una solida comunità di
apprendimento e i modi in cui la comunicazione tra
docenti e alunni viene distorta con effetti notevoli sulla
struttura
dell’autorità
e
sulla
stessa
comunità
di
apprendimento.
1.2
-
Le
teorie
sociologiche
sull’istruzione
scolastica.
In
questa
parte
cerchiamo
di
delineare
le
principali teorie sociologiche, classiche e moderne,
sull’istruzione scolastica. Per quanto riguarda i “classici”
ci limiteremo a tratteggiare solo il pensiero di Marx,
Durkheim e Weber, perché è principalmente ad essi che
si ispirano variamente le principali teorie sociologiche
moderne sull’istruzione.
1.2.1 - E. Durkheim.
Com’è noto, il problema centrale della sociologia
di Durkheim è quello dell’ordine e della integrazione
5
ivi, p 30
13
sociale, nel senso che
con la sua teoria cerca di
spiegare:
“ come sia possibile l’ordine sociale, fondandolo sulla
coesione e sulla solidarietà tra gli individui e, quindi, sulla
condivisione di valori comuni”.6
La teoria durkheimiana dell’ordine sociale ne
spiega
l’esistenza
non
grazie
alla
coercizione,
all’interesse o alla inerzialità della vita sociale, ma in
base ad un minimo di consenso
comuni
(soprattutto
morali),
verso alcuni valori
che
è
quindi
una
condizione necessaria della stabilità e della continuità
della società.
Nella sociologia di Durkheim il punto di partenza
è perciò la società, con le sue esigenze di continuità e
stabilità. Le forme della solidarietà sociale non possono
essere spiegate a partire dall’individuo e dai suoi
interessi. L’individuo, lasciato a sé stesso, sarebbe
infatti un essere asociale ed egoista , quasi animalesco.
E’ solo il legame con la società che ne fa un uomo
nuovo. I punti fermi del suo discorso sono quindi i
seguenti7: 1) il primato morale della società rispetto
all’individuo. 2) la necessità che l’individuo colga questa
superiorità, sviluppando
se
stesso
secondo
questo
E.Besozzi, Elementi di sociologia dell’educazione, Carocci, Roma, 1998, p 39.E’
un testo che abbiamo molto utilizzato per la ricostruzione del pensiero dei vari
autori.
7
E. Besozzi, op. cit.,p 41
6
14
legame necessario. 3) una concezione della individualità
come homo duplex. 4) la
sacralità del rapporto
dell’individuo con la sua società, legame che si realizza
pienamente nella coscienza collettiva, che, nella società
industriale caratterizzata da una solidarietà organica,
trova il “suo cemento in una religione di nuovo genere”,
il culto della società stessa che viene a prendere il
posto,
trasfigurata,
della
divinità
delle
religioni
tradizionali. Qui l’educazione è il mezzo fondamentale
tramite il quale si realizza il primato della società
sull’individuo,
società
che
infatti
traccia
l’ideale
educativo:
“è questa che ci traccia il ritratto dell’uomo che noi
dobbiamo essere e in questo ritratto vengono a riflettersi
tutte le particolarità della sua organizzazione”8.
L’ educazione è quindi un processo tramite il
quale l’individuo si adatta alla società che, in quanto
autorità morale, richiede conformità ai suoi principi e
alle sue regole. Il fine ultimo dell’educazione è la
stabilità e la continuità della società. Infatti,
“l’uomo che l’educazione deve realizzare in noi, non è
l’uomo come la natura l’ha fatto, ma come la società vuole
che sia.”9
E l’educazione, nella definizione di Durkheim, è
E. Durkheim, La sociologia e l’educazione,Newton Compton Italiana, Roma,
1971, p 98
9
E. Durkheim, Pedagogia e sociologia, Canova,Treviso 1962, p 63
8
15
“quell’azione esercitata dalle generazioni adulte su quelle
che non sono ancora mature per la vita sociale. Essa ha il
fine di suscitare e sviluppare nel bambino un certo numero
di stati fisici, intellettuali e morali, che reclamano da lui sia
la società politica nel suo insieme, sia l’ambiente
particolare al quale è destinato.”10
E’ evidente per Durkheim che in una società
altamente differenziata come quella moderna ciascun
individuo è destinato a svolgere un compito particolare
e limitato, e quindi dovrà avere una corrispondente
educazione specialistica e differenziata. Ma ciò esige
anche una educazione che sia comune, che sia garante
della compatibilità tra divisione del lavoro e solidarietà
sociale. Questo è appunto il compito dell’educazione,
compito di cui deve essere investita la scuola (più che la
famiglia) e in particolare la scuola di Stato
“che assicuri tra i cittadini una sufficiente comunità di idee,
senza la quale qualsiasi società è impossibile”.11
1.2.2 - K. Marx
Marx
ha
una
concezione
del
rapporto
tra
educazione e società antitetica a quella di Durkheim,
una concezione in cui vi è un legame forte tra struttura
economica ed educazione. Anche per Marx la coscienza
individuale ha una origine sociale in quanto dipende dai
modi di produzione che definiscono l’essere sociale.
10
11
E. Derkheim, La sociologia e l’educazione, op cit, p 40
E. Durkheim, op. cit., p 50
16
Inoltre Marx, più che Durkheim, parte dal fatto che la
realtà sociale è prodotta dagli uomini, ovvero solo dalle
attività di esseri umani concreti. E quindi è una realtà a
sua volta modificabile dagli uomini stessi tramite la loro
azione, e il pensiero e le conoscenze che ne sono
strumento. Per Marx, i rapporti sociali sono prima di
tutto rapporti economici, che si impongono al singolo
individuo come “dati” della sua situazione. Secondo
Marx, ogni società ha due “piani”: da un lato la
struttura economica (formata da forze produttive e
rapporti di produzione) e dall’altro la sovrastruttura
(istituzioni politiche e giuridiche, modi di pensare,
ideologie, religione, filosofie
ecc)
che
dalla prima
dipende strettamente.
Fondamentale nel suo pensiero è il concetto di
contraddizione, con il quale Marx spiega il cambiamento
sociale. La società capitalistica moderna presenta due
forme di contraddizione : da un lato quella tra forze
produttive e rapporti di produzione ( che genera
interessi antagonistici tra gli attori e una ineguale
distribuzione del lavoro e dei suoi prodotti); e dall’altro
quella tra aumento progressivo delle ricchezze in mano
ai proprietari dei mezzi di produzione (borghesia) e la
crescente
miseria
dei
lavoratori(proletariato).
La
17
contraddizione ci presenta quindi una immagine della
società inconciliabilmente spaccata. L’altro concetto
fondamentale,
alienazione.
al
primo
L’alienazione
collegato,
è
è
quello
l’espropriazione
per
di
il
soggetto della sua umanità: l’uomo, cioè, perde il
legame tra sé stesso e gli oggetti da lui prodotti, tanto
che la realtà gli appare come un “dato” non più
riducibile alla sua stessa azione, come “sacralizzata”.
Questo è ancora più evidente nel processo lavorativo
capitalistico,
dove
l’
operaio
è
espropriato
dal
capitalista del prodotto del proprio lavoro. La divisione
tra lavoro manuale e intellettuale genera un uomo
sempre più unilaterale, diviso esso stesso, spogliato
delle sue potenzialità più propriamente umane e ridotto
a pura macchina erogatrice di forza-lavoro. In questo
contesto teorico, e pratico (da un lato una educazione
destinata ai borghesi, e dall’altro una educazione
destinata agli operai, per non parlare di un enorme
tasso di analfabetismo), l’educazione ha un ruolo
duplice. Da un lato, nella società capitalistica, essa non
è altro che uno strumento ideologico in mano alla classe
dominante con il quale essa legittima e consolida il
proprio potere materiale ( avendo non solo la proprietà
dei mezzi di produzione materiale, ma anche quella dei
18
mezzi di produzione intellettuale, fra cui la scuola)
bloccando qualsiasi istanza di emancipazione e di presa
di coscienza da parte delle classi sfruttate. Dall’altro, in
una prospettiva di cambiamento sociale rivoluzionario,
essa può diventare uno strumento di emancipazione e
sviluppo
dell’uomo
onnilaterale,
cioè
di
un
uomo
riconciliato con la natura, con gli altri uomini, un uomo
che insieme agli altri uomini si riappropria della sua
umanità.12
1.2.3 - Max Weber
In Weber vi è un nesso forte tra cultura, potere
ed educazione. Weber, a differenza di Marx, presenta
un quadro
multidimensionale
della
società, in cui
economia, politica e cultura interagiscono tra loro
(senza
che
aprioristico
nessuna
sulle
di
esse
abbia
e
così
altre)
l’organizzazione della società
un
primato
definiscono
e le caratteristiche dei
suoi vari gruppi. Accanto alle classi sociali vi sono anche
i ceti, così definiti:
“un effettivo privilegiamento positivo o negativo nella
considerazione sociale, fondato sul modo di condotta della
vita e perciò sulla specie di educazione formale[…] e sul
prestigio derivante alla nascita e dalla professione”.13
12
13
cfr. E. Besozzi, op . cit., pp 42-46
M. Weber, Economia e società, Comunità, Milano, 1961, 5 vol, p 303
19
Quindi il ceto definisce l’appartenenza originaria
di un individuo e i suoi orientamenti culturali e la
considerazione di cui gode nei rapporti sociali. Ogni ceto
possiede tre elementi: 1) un insieme specifico di
orientamenti valoriali 2) un proprio specifico stile di vita
3) un suo specifico ideale educativo ( che per es,
influenza le scelte scolastiche e professionali, come
mostra Weber a proposito delle differenze tra ceto
protestante e cattolico).
Altrettanto stretto è il rapporto tra stratificazione
sociale, potere ed educazione. Lo strato sociale di volta
in volta dominante cerca infatti di imporre anche il
proprio “modello educativo”. Come dice Collins,
“l’istruzione è espressione di una “cultura di ceto” e
diventa un mezzo per la “lotta […] che ha luogo tra i ceti
per il dominio, per i vantaggi economici o per il
prestigio”.14
Qui, a differenza che in Marx, Weber vuole
mostrare
come
la
società
e
l’educazione
siano
interdipendenti e come l’educazione sia storicamente
variabile e specifica in funzione di elementi non solo
economici, ma anche politici e culturali (classe, partito,
ceto). C’è naturalmente un nesso stretto tra potere ed
educazione anche in Weber, ma a differenza che in
14
R. Collins, Sistemi educativi e tipi di stratificazione in M. Barbagli ( a cura di),
Istruzione, legittimazione e conflitto, Il Mulino, Bologna, 1978, p 146
20
Marx, il potere è la risultante della combinazione di vari
fattori (economici, culturali, politici). Ogni tipo di potere
(carismatico, tradizionale, legale) ha una sua specifica
base di legittimazione e definisce quindi anche un suo
specifico ideale educativo
“in quanto che, una volta organizzato e legittimato, tenta di
diffondere la propria cultura”.15
A questo proposito ci sembra molto efficace lo
schema di Besozzi che qui riportiamo.16
SCHEMA I
Legame tra tipo di potere e ideale educativo
Tipo di potere
Base di
legittimazione
Carismatico
Carisma
Tradizionale
Tradizione
Legale-razionale Razionalità
Tipo di cultura
Orale
Scritta
Tecnico-pratica
Ideale
educativo
L’iniziato
L’uomo colto
Lo specialista
Nella società moderna, in cui il tipo di potere
prevalente è quello legale-razionale, in cui domina una
cultura
tecnico-pratica,
rappresentata
nell’ideale
educativo dello “specialista”, e in cui è sempre più forte
il
processo
di
“razionalizzazione”
e
di
“burocratizzazione”, vi è una “progressiva estensione
dell’educabilità a tutti in modo generalizzato: il soggetto
dell’educazione non è più infatti l’individuo eccezionale o
l’appartenente a un determinato gruppo privilegiato,
bensì è il cittadino in genere, in grado di acquisire
15
16
E. Besozzi, op. cit. p 50
E. Besozzi, op. cit., p 50
21
competenze e conoscenze utili, di acquisire quindi una
professionalizzazione.
La
domanda
di
competenza
tecnica crescente nella società moderna fa quindi
retrocedere
l’ideale
depotenziamento
dell’uomo
del
colto,
carisma
ha
così
come
portato
il
al
consolidamento di pratiche educative riservate a strati e
ceti privilegiati.17
1.2.4
-
Le
moderne
teorie
sociologiche
sull’istruzione
Le principali prospettive che analizzeremo sono:
1) Il Funzionalismo, 2) I Neo- Marxisti 3), I NeoWeberiani, 4) Gli Interazionisti simbolici.
Naturalmente, non tutti gli autori importanti che
citeremo sono perfettamente collocati in una o l’altra
prospettiva.
Il Funzionalismo
La teoria funzionalista, sia nella versione classica
(Durkheim) che in quella moderna (Merton e Parsons)
considera la società come un “sistema” di “parti”
interdipendenti, che compiono determinate funzioni utili
o necessarie alla sopravvivenza dell’intero sistema.18
17
Cfr E. Besozzi, op. cit., p 51
22
Le
funzioni
socializzazione,
il
svolte
controllo
dall’istruzione
sociale,
la
sono
la
selezione
e
allocazione degli individui nelle varie occupazioni. E’ un
dato di fatto che l’istruzione ha avuto in tutti i paesi più
avanzati una enorme espansione, quali che siano gli
indicatori prescelti (tassi di scolarizzazione, numero di
ore passate a scuola ogni giorno, numero di insegnanti,
percentuale degli investimenti nell’istruzione sul PIL
ecc). E tale espansione ha riguardato, in varia misura,
tutti gli strati sociali, e sia gli uomini che le donne.
Secondo
questi
teorici
tale
espansione
è
una
conseguenza della modernizzazione e della crescente
differenziazione istituzionale della società, cioè della
tendenza della società a diventare più complessa, ad
articolarsi in un gran numero di ruoli, professioni,
mestieri, alcuni dei quali richiedono “capitale umano
strategico”, ovvero personale molto qualificato capace
di svolgere le “occupazioni strategiche della società
moderna” (imprenditori, manager, ingegneri, medici,
architetti, insegnanti ecc). Seguendo la limpida analisi
di Barbagli, tale teoria può essere articolata nelle
seguenti proposizioni:
18
I più importanti teorici di riferimento sono: R.K. Merton, Teoria e struttura
sociale, Il Mulino, Bologna, 1983; e T. Parsons, La struttura dell’azione sociale, Il
Mulino, Bologna, 1986; Il sistema sociale, Comunità, Milano, 1981; La classe
sociale come sistema sociale in V. Cesareo (a cura di), Sociologia
dell’educazione,Hoepli, Milano, 1972
23
“a) il livello di qualificazione richiesto dalle occupazioni
della società industriale cresce costantemente attraverso
due processi: a1) in primo luogo una tendenza all’aumento
della percentuale dei posti di lavoro che richiedono un alto
livello di qualificazione e una tendenza parallela alla
diminuzione di quelli che ne richiedono uno basso; a2) in
secondo luogo una tendenza degli stessi posti di lavoro a un
costante innalzamento del livello di qualificazione
richiesto. b) e’ l’istruzione fornita dalle istituzioni
scolastiche che provvede il livello di qualificazione
richiesto. Ciò significa che b1) l’istruzione rende la forza
lavoro più produttiva; b2) essa viene fornita non da molte,
ma da un’unica istituzione specializzata: la scuola. C) ne
consegue che man mano che il livello di qualificazione
richiesto dalle occupazioni nella società industriale cresce,
aumenta la percentuale della popolazione che deve passare
attraverso le istituzioni scolastiche, così come aumenta la
durata del periodo che questa deve trascorrere in esse.”19
In altre parole, la principale funzione della
scuola
è
quella
di
soddisfare
la
domanda
di
qualificazione proveniente dal mondo del lavoro, ed
essa lo fa convertendo le capacità in competenze
necessarie a svolgere le occupazioni “più strategiche”.
Ciò
favorirebbe
economico.
la
Queste
mobilità
erano
sociale
le
e
idee
lo
sviluppo
degli
studiosi
funzionalisti intorno agli anni ’50-’60.
Al di là dei meriti, dei punti di forza e di
debolezza teorici ed empirici, di tali teorie, occorre dire
che
alla
loro
base
vi
ideologie:1)
l’istruzione
sociale;
l’istruzione
2)
erano
come
come
anche
mezzo
mezzo
due
di
di
diverse
progresso
sviluppo
19
A. Bagnasco, M. Barbagli, A. Cavalli, Corso di sociologia, Il Mulino, Bologna,
1997, pp 460-461
24
economico.20 Secondo la prima, la politica scolastica
non
doveva
tanto
rimettere
in
discussione
le
disuguaglianze nella distribuzione del potere e della
ricchezza, cioè i privilegi, ma si dovevano cambiare i
criteri di tale distribuzione. Diffondere l’istruzione voleva
dire distribuire in modo diverso, favorendo non i giovani
socialmente
privilegiati,
ma
quelli
intellettualmente
dotati, cioè forniti di quelle capacità che l’istruzione
avrebbe convertito nelle competenze necessarie. La
seconda ideologia si rifaceva invece alla “teoria del
capitale umano”, secondo la quale l’istruzione è una
forma di investimento produttivo in, appunto, “capitale
umano”.
Questo
tipo
di
investimento
e
quindi
l’espansione dell’istruzione, si sosteneva, poteva dare
sicuramente
un
grande
contributo
allo
sviluppo
economico, non solo delle società avanzate, ma anche
dei paesi sottosviluppati. Se si tratta di convertire le
capacità in competenze diventa allora cruciale scoprire
quali sono i fattori che impediscono ai giovani dotati di
raggiungere i livelli culturali più elevati. Le ricerche
empiriche mostravano infatti che, in molti sensi, vi era
un enorme “spreco di talenti”. Tali ricerche infatti
mostravano almeno due fatti indubitabili: 1) da una
20
Cfr M. Barbagli, Introduzione,op. cit.
25
parte vi era una correlazione positiva fra origine sociale
e durata della carriera scolastica ( i giovani provenienti
dalle classi sociali inferiori non raggiungevano i più alti
livelli di istruzione); 2) dall’altra la percentuale di
giovani che abbandonavano la scuola, a parità di
capacità (misurata da test), era più alta nelle classi
sociali inferiori che in quelle superiori. Per spiegare il
legame
tra
origine
sociale
bassa
da
un
lato
e
rendimento e durata della carriera scolastica dall’altro,
questi ricercatori elaborarono una teoria, la teoria del
deficit o della privazione culturale e, conseguentemente,
un programma di “educazione compensatrice”. Secondo
queste teorie
“se i giovani provenienti dalle classi sociali inferiori hanno
un basso livello di rendimento e interrompono presto gli
studi è perché, a differenza di quanto avviene nelle classi
medie, la famiglia non fornisce loro né le capacità cognitive
e linguistiche, né i valori, gli atteggiamenti e le aspirazioni
che la scuola richiede. Se non riescono a scuola è perché
mancano di tutti questi attributi, perché sono appunto in
una situazione di “privazione culturale”.”21
Questi giovani partono quindi da una posizione
già svantaggiata sotto molti profili. Di qui i programmi
di “educazione compensatrice” realizzati su larga scala,
soprattutto
negli
USA
(anni
’60),
programmi
che
intendevano controbilanciare gli svantaggi procurati ai
bambini delle classi sociali inferiori da una carente
21
M. Barbagli, op. cit., p 15
26
socializzazione familiare prima del loro ingresso a
scuola.
Tali
programmi,
però,
non
ebbero
l’esito
sperato, e in ogni caso, l’ottimismo sul fatto che
l’espansione dell’istruzione avrebbe sicuramente portato
a una riduzione delle disuguaglianze sociali e allo
sviluppo economico ebbe una seria smentita dai fatti.22
Di qui una serie di critiche, teoriche ed empiriche, a
questa impostazione funzionalista. Al di là delle critiche
“razziste”, secondo le quali le differenze del Q.I. rilevate
tra le diverse classi sociali e i diversi gruppi etnici ( a
favore dei bambini delle classi superiori) sarebbero
dovute almeno in parte a differenze genetiche, le
critiche più serie a quelle ricerche sono venute sia dai
cd. “teorici della differenza”23, sia dalla cosiddetta
“nuova sociologia dell’educazione” inglese.24
Le critiche dei “teorici della differenza” sono le
seguenti. Al di là del fatto che parlare di “deprivazione
culturale” è un non senso, se si dà al termine cultura il
suo proprio significato antropologico, l’errore della
teoria del deficit è quello di cercare le cause dei
fallimenti e dei ritardi scolastici non nella scuola ma solo
Si veda per un bilancio critico ed equo : J: Bruner, La cultura dell’educazione,
Feltrinelli, Milano, 1998
23
A. Davis e J. Dollard, Classe sociale e apprendimnto scolastico, in M. Barbagli ( a
cura di), op. cit.; R. Rosenthal e L. Jacobson, Pigmalione in classe,in M. Barbagli ( a
cura di), op. cit.;
24
N. Keddie, Scuola e conoscenza”, in M. Barbagli (a cura di), op.cit.
22
27
nel bambino, nel suo ambiente d’origine. Con ciò non si
vedono tutti quei meccanismi (come per es.la “profezia
che si autoadempie”) che fanno sì che scuola e
insegnanti abbiano involontariamente un atteggiamento
discriminante. Inoltre, molte altre ricerche empiriche, e
in particolare quelle del sociologo del linguaggio W.
Labov, hanno dimostrato che, per es. il linguaggio dei
bambini neri è ricco e strutturato, non inferiore a quello
dei bambini di ceto medio, solo diverso. In altre parole,
è certo possibile che tali bambini abbiano difficoltà di
adattamento al linguaggio scolastico, ma ciò non può
essere in nessun modo equiparato a un deficit.
I neomarxisti
Questi studiosi ( in particolare Althusser e
Bowles e Gintis), criticano, anche su base empirica, la
tesi funzionalista secondo cui la funzione della scuola
sarebbe quella di convertire “capacità” in “competenze”
e l’espansione dell’istruzione sarebbe spiegabile con
l’aumento
proveniente
della
domanda
di
dall’economia.25
qualificazione
A
tecnica
differenza
dei
funzionalisti, questi autori, sulle orme di Marx, pensano
che per capire i sistemi scolastici moderni occorre
S. Bowles e M. Gintis, L’istruzione nel capitalismo maturo”, Zanichelli, Bologna,
1979
25
28
considerare non i “bisogni” del sistema sociale o la
domanda economica, ma i rapporti di produzione e la
lotta tra le classi sociali. Inoltre, mentre i funzionalisti
considerano la scuola come un canale di mobilità
sociale, essi sostengono che essa è, al contrario, uno
strumento di mantenimento delle disuguaglianze fra le
classi, uno strumento che opera non tanto con mezzi
coercitivi (premi/punizioni) ma con mezzi “simbolici”,
con una “violenza simbolica”. L’opera più autorevole di
questo approccio è quella di S. Bowles e M. Gintis.
Secondo gli autori, la scuola perpetua e riproduce il
sistema
capitalistico
promuovendo
meritocratica”,
la
in
almeno
credenza,
che
il
tipica
successo
due
modi:
della
economico
1)
“ideologia
dipenda
esclusivamente da determinate capacità e competenze;
2) trasmettendo agli studenti non tanto conoscenze
quanto
quegli
attributi
non
cognitivi
(tratti
della
personalità, modi di presentazione, atteggiamenti ecc)
che permettono agli adulti di svolgere il loro lavoro
riproducendo così la divisione gerarchica del lavoro. In
altre parole, la scuola premierebbe, in coloro che sono
destinati a lavori poco qualificati, la “docilità”, la
“passività”
e
l’”obbedienza”,
e
scoraggerebbe
la
“spontaneità” e la “creatività”. Questo effetto non è il
29
frutto di una scelta deliberata da parte degli attori
scolastici, ma l’esito di una “corrispondenza oggettiva”
tra i rapporti sociali tipici dell’istituzione scolastica (per
es: gerarchia: allievi/insegnanti/presidi) e quelli che
sono propri del mondo del lavoro (per es: gerarchie
aziendali). Non solo. Gli studenti, come i lavoratori sul
loro lavoro, non hanno potere sul loro curriculum. E sia
l’istruzione che il lavoro, inoltre, sono concepite come
attività puramente “strumentali” che vengono svolte
non per il piacere o il senso di realizzazione personale,
ma per ottenere ricompense (voto, salario) o per
evitare punizioni (bocciatura, licenziamento). E infine
l’estrema divisione del lavoro nel mondo produttivo
“corrisponde” a una elevatissima competizione fra gli
studenti causata dal sistema di valutazione.
I neoweberiani
L’autore
più
rappresentativo
di
questa
prospettiva è R. Collins.26 Come abbiamo visto, secondo
Weber al potere legale-razionale corrisponde l’ideale
dello
“specialista”.
promossa
dallo
La
preparazione
sviluppo
specialistica
è
dell’amministrazione
26
R. Collins, Istruzione e stratificazione;teoria funzionalista e teoria del
conlfitto;Sistemi educativi e tipi di stratificazione in M. Barbagli(a cura di), op. cit.
,Si veda anche R. Collins, The credential society, Academic Pres, New York, 1979
30
burocratica, che “esercita un potere in virtù del sapere”.
E’ qui che istruzione ed esami assumono la massima
importanza, come scrive Weber:
“La configurazione dei titoli di studio[…] serve alla
formazione di un ceto privilegiato negli uffici e nelle
amministrazioni contabili. Il suo possesso sorregge la
pretesa […] soprattutto alla monopolizzazione delle
posizioni di vantaggio sociale ed economico a favore degli
aspiranti muniti di titolo di studio. Quando sentiremo
esigere ad alta voce l’introduzione del procedimento
disciplinato di formazione e delle prove di qualificazione in
tutti i campi, ciò non costituirà naturalmente un’ “ansia di
cultura” […] ma il tentativo di limitare le assunzioni alle
cariche e di monopolizzarle a favore dei possessori del
titolo di studio. L’ “esame” è oggi il mezzo universale di
questa monopolizzazione.”27
I neoweberiani , come Parkin e soprattutto
Collins, non rigettano in toto le posizioni di neomarxisti
come Bowles e Gintis, secondo le quali la scuola serve a
fornire agli imprenditori una forza lavoro “docile” e
“disciplinata”. Sostengono invece, che quelle posizioni
sono
solo
una
teoria
“parziale”
dell’istruzione.
In
particolare, la tesi neomarxista a) vale solo per la
moderna istruzione di massa; b) può essere applicata
solo alle fasce inferiori dei sistemi scolastici e c) non è
sufficiente a spiegare le profonde differenze esistenti fra
i sistemi scolastici dei diversi paesi capitalistici. Secondo
Collins, lo sviluppo dell’istruzione avvenuta nella società
moderna è dovuto all’azione dei vari ceti sociali per
27
M. Weber, Economia e società, op cit, pp 311-312
31
mantenere e migliorare la propria posizione nel sistema
di stratificazione. Queste azioni(non solo delle classi
sociali, ma anche dei vari ceti e gruppi di potere) hanno
generato il cosiddetto “credenzialismo” , ovvero il
monopolio dell’accesso alle professioni più remunerative
e alle maggiori opportunità economiche da parte dei
detentori di lauree e di altri elevati titoli di studio. Sono
anche questi ceti che, attraverso l’uso di credenziali
educative hanno conquistato il diritto di decidere chi
può erogare certe prestazioni e servizi e hanno influito,
tra l’altro, sul contenuto e la struttura dei curricula
scolastici. Secondo Brint,
“una volta che i titoli si sono affermati come base per
l’impiego, si è verificata una situazione inflazionistica,
poiché gli studenti e le loro famiglie hanno capito che
disporre di titoli di studio significa avere maggiori
opportunità. L’aspirazione democratica alla mobilità
ascendente fa dunque sì che i titoli di studio assumano una
importanza altrimenti impensabile. Ne è risultato una
proliferazione di titoli e specializzazioni professionali del
tutto inspiegabile se non appunto nell’ambito del sistema
credenzialistico. Associazioni professionali, governi,
istituzioni scolastiche: tutti hanno svolto la loro parte nel
trasformare la struttura occupazionale nel mosaico di
nicchie specialistiche che vediamo. Tutte queste istituzioni
hanno un preciso interesse nell’espansione della società
delle credenziali.”28
La prospettiva dell’ interazionismo simbolico
L’ interazionismo simbolico trae ispirazione da
numerose fonti di pensiero, quali la psicologia sociale di
28
S. Brint, op. cit.,pp168-169
32
G.H.Mead, la fenomenologia di A. Schutz e di Berger e
Luckman.29 Secondo questi autori il mondo in cui
viviamo è “significativo” perché è costituito da un
ambiente non semplicemente fisico ma soprattutto
simbolico. Il linguaggio è il più potente, ricco e flessibile
sistema simbolico ed è attraverso il linguaggio e altri
simboli (gesti, modi di vestire, oggetti, azioni ecc) che
le persone definiscono e interpretano il mondo e
organizzano le loro reciproche relazioni. In altri termini,
gli esseri umani non reagiscono alle azioni degli altri,
come fanno altre specie animali non simboliche, ma
reagiscono ai “significati” che per loro assumono quelle
azioni:
“Il termine interazionismo simbolico si riferisce,
naturalmente, al carattere proprio e particolare
dell’interazione così come avviene tra gli esseri umani. La
particolarità consiste nel fatto che gli esseri umani
interpretano o “definiscono” le azioni l’uno dell’altro,
piuttosto che semplicemente reagirvi. La loro “risposta”
non si riferisce direttamente alle azioni reciproche, ma
invece è basata sul significato che noi attribuiamo a tali
azioni. Così l’interazione umana è mediata dall’uso di
simboli, dall’interpretazione, o dall’ accertamento del
significato delle azioni reciproche. Questa mediazione
significa che tra stimolo e risposta si inserisce un processo
interpretativo che è appunto peculiare al comportamento
umano”.30
29
G.H. Mead, Mente, sè e società, Barbera, Firenze, 1966; A. Schutz, Saggi
sociologi, UTET, Torino, 1979; P.L. Berger e T. Luckmann, La realtà come
costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969.
30
H. Blumer, La società come interazione simbolica in Rassegna italiana di
Sociologia, XIII, 2, pp 297-309
33
In questo senso la “realtà” non è un qualcosa di
esternamente
esistente
in
modo
oggettivo,
auto
evidente e indubitabile, ma è piuttosto il prodotto di una
costruzione
sociale
che
avviene
all’interno
delle
interazioni. E’ cioè una interpretazione che diamo dei
dati dei nostri sensi, per cui individui che, per esempio
appartengono a culture diverse possono interpretare la
realtà molto diversamente. Le interazioni tra uomini
sono “incontri” e “scontri” tra diverse “visioni del
mondo”, e ciò a tutti i livelli, non solo nel caso
macroscopico
di
rapporti
tra
membri
di
culture
radicalmente diverse, ma anche nel caso di tutti i
normali incontri della nostra vita quotidiana (tra uomini
e donne, giovani e vecchi, alunni e insegnanti, bianchi e
neri ecc) all’interno di una stessa società e cultura. Il
sociologo, quindi, non deve tanto fornire spiegazioni
“oggettive”
dei
vari
modelli
di
comportamento
ricorrendo a concetti (ad es.; “classe”, “ruolo” ecc) che
reificano il mondo in fatti sociali intesi come cose. Ma
deve cercare di analizzare i processi attraverso i quali i
vari attori in una concreta situazione costruiscono la
loro realtà sociale, e individuare quali tra i vari
significati possibili questi specifici attori attribuiscono
all’azione. Secondo Barbagli,
34
“la sociologia dell’educazione (secondo
questa
impostazione) non deve […[ riprendere, dandoli per
scontati, concetti come quelli di “intelligenza”, “capacità” e
“classe sociale”, cercando ad es. di stabilire delle relazioni
empiriche fra i primi due e il terzo. Deve invece
riproblematizzare queste categorie, rivolgendo anzi la sua
attenzione allo studio dei processi attraverso i quali questi
concetti vengono creati e usati”.31
Questi sociologi dell’educazione, quindi, studiano
ciò che avviene quotidianamente dentro la scuola,
l’interazione insegnanti/alunni e alunni/alunni, i processi
attraverso i quali ciascuno “categorizza”, “classifica”,
“definisce” il comportamento dell’altro. Per es: cercano
di capire come sia costruita in classe l’identità degli
allievi (e degli insegnanti), come e perché alcuni di
questi vengono definiti “intelligenti” e “capaci”, mentre
altri “stupidi” ecc. ; studiano il ruolo delle aspettative
degli insegnanti e in generale della scuola come
elemento di influenza, tra l’ altro, del rendimento
scolastico tramite il meccanismo della “profezia che si
autoadempie”; studiano le “rappresentazioni” individuali
e sociali dell’intelligenza”, del “buon allievo”, del “buon
insegnante” ecc. In questo modo, per es, è stato
possibile “relativizzare” molto la tesi della cd teoria della
deprivazione culturale, nel senso che si è cominciato a
ritenere che anche la scuola svolge un ruolo attivo,
seppure inconsapevole, sul comportamento degli allievi
31
M. Barbagli, Introduzione, op. cit., p. 21
35
e sul loro rendimento.32 Inoltre sono stati elaborati
nuovi
originali
metodi
di
studio,
coerenti
con
l’impostazione teorica, come l’osservazione partecipante
e la registrazione audiovisiva degli scambi, l’analisi della
comunicazione verbale e non verbale, la pragmatica
della comunicazione, l’analisi della conversazione.33
R. Boudon e P. Bourdieau
Per
finire,
considerazioni
è
opportuno
sull’opera
di
fare
questi
alcune
due
brevi
studiosi.
Bourdieau è uno dei principali teorici della riproduzione
culturale. Rielaborando in modo originale il pensiero di
Marx e di Weber, egli analizza il dominio sociale
direttamente nel campo della cultura e problematizza il
rapporto esistente tra “cultura familiare” ( l’eredità
culturale del singolo) e “cultura scolastica”, depositaria
della cultura e della ideologia della classe dominante.
Bourdieau è stato uno dei primi sociologi che ha
criticato la tesi funzionalista secondo la quale la
democratizzazione
e
l’espansione
dell’istruzione
avrebbero ridotto le disuguaglianze sociali e avrebbero
favorito una elevata mobilità sociale ascendente:
32
Su tutti questi temi, oltre a S. Brint, op. cit., si veda F. Carugati e P. Selleri,
Psicologia dell’educazione, Il Mulino, Bologna, 2001; C. Pontecorvo (a cura di)
Manuale di psicologia dell’educazione, Il Mulino, Bologna, 1999
33
Cfr G. Fele e I. Paletti, L’interazione in classe, Il Mulino, Bologna,2003
36
“senza dubbio soltanto per effetto di inerzia culturale si
può continuare a ritenere il sistema scolastico un fattore di
mobilità sociale, secondo l’ideologia della “scuola
liberatrice”, quando al contrario tutto tende a dimostrare
che è uno dei fattori più efficaci di conservazione
sociale”.34
Secondo il sociologo francese,
“la scuola non riconosce le disuguaglianze di partenza degli
allievi e in questo modo non fa altro che riprodurre le
gerarchie sociali:attraverso la riproduzione culturale si
perpetuano le disuguaglianze sociali”.35
Egli introduce due concetti importanti:1) il
“capitale
culturale”,
trasmesso
precocemente
dalla
famiglia di origine, ovvero un complesso di conoscenze,
informazioni,”gusti”, stile di vita, valori che influiscono
sul rendimento scolastico. E 2) un “ethos di classe”,
cioè un insieme di atteggiamenti verso la cultura e in
particolare verso la scuola e la cultura scolastica, che
influenza soprattutto la durata della carriera scolastica.
L’eredità culturale è appunto l’insieme di “capitale
culturale” e “ethos di classe”. In sostanza la scuola
tratta tutti gli allievi, di fatto diseguali, come uguali nei
diritti e nei doveri, e in questo modo non fa che sancire
le
disuguaglianze
iniziali
di
fronte
alla
cultura,
inducendo gli individui a pensare che le disuguaglianze
sociali siano dovute solo alle “doti naturali”, e che il
P. Bourdieau, La trasmissione dell’eredità culturale, in M. Barbagli (a cura di),
op. cit.,p 286
35
E. Besozzi, op. cit., p 116
34
37
risultato scolastico sia dovuto solo ad esse. Trasforma in
sostanza il “privilegio” in “merito”.
Anche Boudon critica la tesi funzionalista, pur
all’interno di una teoria diversa da quella di Bourdieau,
sottolineando maggiormente la dimensione individuale
della scelta scolastica, e arrivando poi a conclusioni non
troppo distanti da quelle di Bourdieau.36 Infatti l’autore
“arriva alla conclusione che l’istruzione non riduce le
disuguaglianze sociali, anzi si producono “effetti perversi”,
perché, per ottenere lo stesso status occupazionale occorre
sostenere costi, in termini di tempo e denaro, sempre più alti.
Ma l’istruzione ha anche effetti perversi perché l’aumento
della scolarizzazione genera inflazione dei titoli di studio,
che, a sua volta, contribuisce a neutralizzare gli effetti
positivi sulla mobilità sociale che ci si poteva aspettare dalla
democratizzazione della scuola”.37
La teoria della scelta scolastica, poi, è stata
ripresa anche da altri autori diventando una delle
principali
prospettive
della
attuale
sociologia
della
scuola e dell’educazione.38
36
cfr R. Boudon, Istruzione e mobilità sociale,Zanichelli,Bologna, 1979
E. Besozzi, op. cit., p 119
38
cfr D. Gambetta, Per amore o per forza?, Le decisioni scolastiche individuali, Il
Mulino, Bologna, 1990
37
38
39