gli esperimenti che misero in crisi la meccanica classica LO SPETTRO DEL CORPO NERO Alla fine dell’Ottocento divenne centrale lo studio delle proprietà di emissione e di assorbimento di un corpo nero. Si chiama corpo nero un oggetto capace di assorbire completamente onde elettromagnetiche di qualunque lunghezza d’onda. Un corpo nero emette radiazioni per irraggiamento. Lo spettro della radiazione emessa dipende solo dalla temperatura T e non dalla composizione chimica del corpo o dalle dimensioni del foro. Animazione Java Sperimentalmente si osserva come, fissata T, l’energia emessa sia distribuita tra le varie lunghezze d’onda. Al crescere della temperatura T la lunghezza d’onda λmax a cui corrisponde il massimo della curva si sposta verso lunghezze d’onda minori seguendo una legge sperimentale LEGGE DI SPOSTAMENTO DI WIEN max 3 2,90 10 m K T In base all’esperimento, per lunghezze d’onda inferiori a λmax l’intensità di irraggiamento scende rapidamente a zero. Curva sperimentale Previsione classica In teoria (applicando al problema le equazioni di Maxwell) per lunghezze d’onda inferiori a λmax l’intensità di irraggiamento dovrebbe cresce indefinitamente. La soluzione al problema arrivò nel 1900 ad opera di Max Planck. Alla base della soluzione proposta dalla meccanica classica vi era l’assunzione che la radiazione elettromagnetica venisse scambiata dal corpo nero in modo continuo. Planck ipotizzò che la radiazione elettromagnetica fosse emessa o assorbita dagli atomi solo in pacchetti discreti di energia, di entità proporzionale alla frequenza dell'onda elettromagnetica. Questi pacchetti di energia furono chiamati “quanti elettromagnetici” o, più semplicemente “quanti”. Secondo Planck, l’energia E scambiata dal corpo nero è direttamente proporzionale alla frequenza f dell’onda elettromagnetica assorbita o emessa secondo la formula E = nhf dove n è un intero positivo ed h è la “costante di Planck”, il cui valore numerico attualmente accettato è h = 6,62607 x 10 -34 J · s La costante di Planck esprime il valore fisso e non frazionabile in cui l’energia di una radiazione è divisa. Ogni radiazione è caratterizzata dalla frequenza: maggiore è la frequenza (più corta è la lunghezza dell’onda) maggiore è l’energia racchiusa in un quanto. L’energia cambia in quantità, ma per essere emessa viene racchiusa sempre nel medesimo quanto, della stessa dimensione. L’EFFETTO FOTOELETTRICO Nel 1887 Hertz osservò che colpendo una placca di zinco con delle radiazioni ultraviolette, il metallo si caricava elettricamente. Il processo di estrazione di elettroni ottenuto illuminando un metallo è chiamato comunemente “effetto fotoelettrico”. APPLICAZIONE: IL CANCELLO AUTOMATICO Se l’energia della radiazione elettromagnetica incidente supera la forza che tiene legati gli elettroni all’atomo, alcuni elettroni dello zinco vengono espulsi, generando così una carica elettrica . Secondo la meccanica classica la radiazione incidente di qualsiasi frequenza avrebbe potuto possedere energia sufficiente per emettere elettroni dal metallo colpito. anodo Tubo a vuoto - + Nel 1902, Philipp Lenard ideò un esperimento che contrastava la visione classica Primo problema catodo Secondo la meccanica classica aumentando l’intensità della radiazione incidente si deve rilevare una intensità di corrente maggiore indipendentemente dalla frequenza della radiazione monocromatica. anodo Tubo a vuoto - + Secondo problema catodo Si ha emissione di elettroni per effetto fotoelettrico in modo proporzionale all’intensità della radiazione incidente soltanto per frequenze maggiori di un valore minimo. Secondo la meccanica classica in che modo può aumentare l’energia cinetica degli elettroni? catodo Tubo a vuoto - + Aumentando l’intensità della radiazione luminosa. terzo problema anodo Aumentando la differenza di potenziale tra anodo e catodo. Secondo la meccanica classica l’energia cinetica degli elettroni emessi aumenta in modo proporzionale all’intensità della radiazione monocromatica. anodo Tubo a vuoto - + Si osserva che l’energia cinetica degli elettroni emessi aumenta in modo proporzionale alla lunghezza d’onda della radiazione monocromatica. terzo problema A catodo Secondo la meccanica classica aumentando la d.d.p. tra gli elettrodi la corrente dovrebbe aumentare indefinitamente. catodo anodo Tubo a vuoto - + terzo problema B Si osserva che esiste una corrente limite dipendente da λ Secondo la meccanica classica diminuendo la d.d.p. tra gli elettrodi la corrente dovrebbe diminuire fino ad annullarsi. Si osserva che il valore nullo della corrente si raggiunge per una d.d.p. di arresto che dipende esclusivamente da λ Assumendo come stato iniziale quello in cui la lastra irradiata ha il potenziale di 0V mentre l’altro elettrodo ha il potenziale d’arresto -ΔVa, analizziamo il comportamento di un elettrone emesso con energia cinetica Kmax. Per il teorema di conservazione dell’energia: tot iniziale E E tot finale Kiniziale U iniziale K finale U finale K max (e)(0V ) 0 J (e)( V ) K max eV LA SPIEGAZIONE DI EINSTEIN PER L’EFFETTO FOTOELETTRICO Einstein estense il concetto di quanto formulato da Planck: non solo le variazioni di energia sono quantizzate, ma anche la radiazione elettromagnetica, in virtù del fatto di veicolare energia, esiste in qualità di quanti di energia. Secondo tale ipotesi, la luce è composta da un flusso di quanti di energia, definiti successivamente fotoni Ogni fotone ha una massa nulla e trasporta un’energia E direttamente proporzionale alla sua frequenza f E = hf Quindi nella radiazione elettromagnetica, l’energia è quantizzata. Secondo la teoria della relatività, l’energia è legata alla quantità di moto dalla relazione: E c p m c 2 2 2 4 E hf h p c c c f Anche la quantità di moto è quantizzata. L’effetto fotoelettrico si spiega ipotizzando che un singolo fotone può interagire solo con un singolo elettrone. L’elettrone può uscire dal metallo solo se l’energia del fotone è almeno uguale al lavoro di estrazione. hf We We f h Deve quindi esistere una frequenza minima al di sotto della quale l’effetto fotoelettrico non può avvenire: fmin = We / h L'apparente dipendenza del numero di elettroni emessi dall'intensità della radiazione incidente, deriva dal fatto che considerando semplicemente che una maggiore intensità significa un maggior numero di fotoni e quindi di elettroni estratti. Come spiegare l’energia cinetica massima degli elettroni emessi? Analizziamo l’interazione elettrone/fotone. Un elettrone emesso assorbe dal fotone l’energia E = hf ed esce dal metallo con energia cinetica Kmax. K max hf We quindi l’energia cinetica massima dipende solo dalla frequenza e dal tipo di metallo, in accordo con gli esperimenti. inoltre, poiché We= h fmin, possiamo ottenere la relazione: K max h( f f min ) Lo spettro dell’atomo di idrogeno. Scomponendo con un prisma la luce emessa da un gas monoatomico ad alta temperatura o percorso da corrente si vede uno spettro a righe 1 1 f cRH 2 2 n m m, n Z nm Balmer determinò attraverso esperimenti la serie spettrale delle determinate frequenze emesse dell’atomo di idrogeno nel visibile Questo esperimento metteva in discussione il modello atomico planetario proposto da Rutherford ! ve Ogni carica accelerata emette energia. L’emissione continua di energia da parte dell’elettrone dovrebbe produrre uno spettro continuo. La perdita continua di energia dovrebbe fare avvicinare l’elettrone sempre più al nucleo collassando in un tempo di 10-7 s. Il danese Niels Bohr intuì che era necessario applicare anche alla descrizione degli atomi le nuove idee della fisica dei quanti e perciò avanzò due ipotesi: Un elettrone non può percorrere qualsiasi orbita intorno ad un nucleo, ma solo un insieme discreto di orbite, dette orbite stazionarie, ciascuna caratterizzata da un preciso livello energetico. Percorrendo un’orbita stazionaria l’elettrone non emette energia ma può emettere saltando da un’orbita all’altra. Bohr diede anche la condizione di quantizzazione che permette di stabilire quali orbite sono permesse. Se l’n-sima orbita ha raggio rn e quantità di moto pn, le sole orbite permesse sono quelle per cui risulta: 2 rn pn nh Imponendo l’equilibrio tra forza elettrica e forza centripeta, si ricava dapprima il valore di vn e sostituendo nella formula precedente il valore di rn. 0h2 rn n me e 2 2 Il valore dell’energia sull’orbita n è: me e 4 1 E ( n) 8 02 h 2 n 2 Come avviene l’emissione di luce da parte degli atomi? Bohr postulò che un fotone è emesso da un atomo quando un suo elettrone passa da un’orbita permessa di energia maggiore ad un’altra orbita permessa di energia minore. Quando un elettrone salta da un’orbita n1 di energia maggiore ad una n2 di energia minore, la differenza di energia tra i due stati ammissibili è E E(n1 ) E(n2 ) Questa energia è liberata sottoforma di un fotone di frequenza E E (n1 ) E (n2 ) me4 f h h 8 02 h3 1 1 2 2 n2 n1 In pieno accordo con l’esperimento di Balmer! 1 1 f cRH 2 2 n m LA FORMALIZZAZIONE DELLA MECCANICA QUANTISTICA La luce ha una doppia natura: si presenta come onda o come particella a seconda delle condizioni sperimentali. Questa è una proprietà intrinseca di tutte le radiazioni elettromagnetiche Louis de Broglie ipotizzo che anche la materia deve avere una doppia natura corpuscolare e ondulatoria. Ad ogni particella con quantità di moto p deve essere associata la lunghezza d’onda di de Broglie in modo tale che h p Oggetti macroscopici hanno λ “piccola”. Oggetti microscopici hanno λ “grande”. La relazione di de Broglie: E’compatibile con la meccanica classica (vedi diapositiva precedente) Ingloba la relazione di Planck Giustifica le ipotesi di Bohr Ingloba la relazione di Planck: E = h f Ricordiamo che la quantità di moto di un fotone è E p c Il valore della lunghezza d’onda di de Broglie sarà allora h c h p E da cui Eh c hf Giustifica le ipotesi di Bohr Nel modello corpuscolare l’elettrone gira lungo un traiettoria circolare senza irraggiare Nel modello ondulatorio l’elettrone è un’onda stazionaria La lunghezza dell’orbita deve essere un multiplo intero della lunghezza d’onda dell’elettrone 2rn n h 2rn n pn 2rn pn nh Il metodo sperimentale della fisica ha come primo passo l’osservazione di un fenomeno Per osservare un fenomeno bisogna poterlo “vedere” cioè è necessario colpirlo con un raggio di luce! Non è possibile conoscere con precisione DOVE un elettrone si trova senza impartirgli una quantità di moto non determinabile Questo è il contenuto del principio di indeterminazione di Heisenberg nella sua prima forma x p Dove Δx e Δp sono le indeterminazioni rispettivamente sulla posizione e sulla quantità di moto. La seconda forma del principio di indeterminazione di Heisenberg riguarda l’incertezza sul tempo e quella sull’energia: t E Non posso conoscere contemporaneamente in modo esatto la misura dell’energia di un sistema e la durata del tempo in cui questa misura viene effettuata. Funzione d’onda e dualismo onda corpuscolo Interpretazione di Copenaghen Niels Bohr P.A.M. Dirac W. Heisenberg E. Schrödinger Principi fondamentali 1 Le affermazioni probabilistiche della meccanica quantistica sono irriducibili, nel senso che non riflettono la nostra conoscenza limitata di qualche variabile nascosta. Nella fisica classica, si ricorre alla probabilità anche se il processo è deterministico (per esempio il lancio di un dado), in modo da sopperire a una nostra conoscenza incompleta dei dati iniziali. Per contro, l'interpretazione di Copenaghen sostiene che in meccanica quantistica i risultati delle misurazioni di variabili coniugate sono fondamentalmente non deterministici, ossia che anche conoscendo tutti i dati iniziali è impossibile prevedere il risultato di un singolo esperimento, poiché l'esperimento stesso influenza il risultato. 2 Sono prive di senso domande come: «Dov'era la particella prima che ne misurassi la posizione?», in quanto la meccanica quantistica studia esclusivamente quantità osservabili, ottenibili mediante processi di misurazione. L'atto della misurazione causa il «collasso della funzione d'onda», nel senso che quest'ultima è costretta dal processo di misurazione ad assumere i valori di uno a caso dei possibili stati permessi. Cosa vibra in un «onda di materia» E’ qualcosa che non ha un analogo classico Viene chiamata funzione d’onda ed è la soluzione dell’equazione di Schrödinger Dipende dalle coordinate e dal tempo ψ(x,y,z,t) E’ proporzionale alla densità di probabilità La probabilità di osservare la particella è proporzionale al |ψ|² Interpretazione del principio di Heisenberg Se non sappiamo nulla della posizione della particella, possiamo ipotizzare la sua ψ come uniformemente distribuita nello spazio. Pertanto avrà una ben precisa lunghezza d’onda e, per la relazione di De Broglie, una precisa quantità di moto! Se conosciamo con esattezza la posizione, invece, la sua lunghezza d’onda sarà mal definita, per cui la particella avrà una grande incertezza sull’impulso «Coloro che non restano sconcertati quando vengono in contatto per la prima volta con la teoria quantistica sicuramente non l’hanno capita» Niels Bohr