LICEO CLASSICO GABRIELE D’ANNUNZIO CLASSE IV D a.s. 2015- 2016 LA FIGURA DELLA DONNA DURANTE LA PREISTORIA EPOCA PALEOLITICA ED EPOCA NEOLITICA IL RUOLO FONDAMENTALE DELLA DONNA PER LA SOPRAVVIVENZA DELLA COMUNITA’ PERIODO PALEOLITICO Nel Paleolitico i gruppi sociali erano nomadi, si procuravano il necessario per vivere attraverso la caccia e la raccolta e si spostavano alla ricerca di cibo. La caccia ai grandi animali era prerogativa degli uomini, più dotati fisicamente, ma non costituiva una fonte di cibo sicura. La sopravvivenza della comunità era dunque assicurata dalle donne: oltre che alla cura dei figli, esse si dedicavano anche alla raccolta di erbe, radici e frutti, e alla cattura di piccoli animali. Le donne preistoriche riconoscevano le parti commestibili o le proprietà medicinali di ogni pianta. Impararono che alcune di esse possedevano fibre robuste ed elastiche e che altre potevano fornire tinture naturali. Conoscevano molto bene i cicli vitali delle piante ed i luoghi in cui, a seconda della specie, esse crescevano più abbondanti, conoscevano il tempo di maturazione dei frutti ed impararono i meccanismi della riproduzione. Tutte queste conoscenze portarono alla scoperta dell’agricoltura, mentre la cattura e l’allevamento di piccoli animali molto probabilmente diedero l’avvio alle prime esperienze di addomesticamento. Gli archeologi hanno ritrovato molte statuette femminili risalenti al periodo paleolitico. Si pensa che esse rappresentassero la capacità della donna di generare la vita e che avessero un valore magico. Infatti, non avendo conoscenze scientifiche o mediche al riguardo, molto probabilmente la nascita di un bambino appariva all'uomo preistorico come un evento magico ed inspiegabile, che sembrava determinato solo dalla madre. Per tutti questi motivi, le comunità paleolitiche riconoscevano alle donna un ruolo molto importante. LA DONNA NELL’EPOCA NEOLITICA Nelle società neolitiche, il villaggio intorno al quale si trovavano le terre coltivate divenne il centro della comunità. I frutti della terra, lavorata in comune, erano distribuiti tra le varie famiglie del villaggio, il bestiame, invece, era di proprietà di ogni famiglia. L'allevamento degli animali e il loro utilizzo nei campi, prese il posto della caccia e divenne quasi esclusivo compito degli uomini. A causa della maggiore disponibilità di cibo e della sedentarietà, le donne riuscivano a mettere al mondo più figli e i bambini erano in grado di sopravvivere alla nascita e ai primi anni di vita in numero superiore rispetto all'era paleolitica. Le donne, insomma, ebbero più figli da allevare e dovettero lasciare agli uomini il lavoro dei campi. Mentre gli uomini si dedicavano dunque alla produzione dl cibo e di manufatti, le donne badavano ai figli e svolgevano attività all’interno della casa: cucinavano, tessevano, lavoravano l’argilla. L'allontanamento dalle attività produttive e di interesse pubblico portò ad escludere le donne anche dai luoghi o dalle situazioni in cui venivano prese decisioni che riguardavano tutta la collettività. LA FIGURA DELLA DONNA NELL’ANTICA GRECIA IL RUOLO SOCIALE DELLA DONNA In Grecia, ad Atene, la donna libera, di buona famiglia, non aveva un ruolo sociale; fulcro della società ateniese era il nucleo familiare, per cui il destino di ogni donna era quello di sposarsi e di mettere al mondo dei figli, preferibilmente maschi, vista l’importanza che aveva la continuazione del gruppo. Il matrimonio era inteso come un contratto che si fondava sul concetto di dono, nel senso che la donna quando si sposava, veniva “data in dono”con le sua dote dal padre, o dal tutore, al futuro sposo. In caso di divorzio (ad esempio, per l’adulterio della donna), la sposa tornava alla casa paterna con la propria dote, i propri effetti personali e i propri gioielli. Nel matrimonio i due sposi avevano ruoli e compiti distinti: l’uomo si occupava degli affari, del lavoro, della vita sociale, mentre la donna era destinata ad occuparsi del buon andamento della casa. LE GIORNATE DELLA DONNA La donna trascorreva, quindi, la giornata nel gineceo (stanze a assegnate alle donne) dove sotto la sua tutela vivevano anche i figli, e le schiave, cui la padrona di casa assegnava i vari lavori domestici. Essa filava e tesseva, controllava il lavoro affidato alle schiave e organizzava le cerimonie familiari e i banchetti, ai quali, però, non prendeva parte. I bambini trascorrevano le giornate ascoltando storie e racconti di eroi (o le favole di Esopo), oppure giocando con trottole, piccoli animali di terracotta, bambole snodabili. I figli maschi restavano nel gineceo fino a sette anni, età in cui cominciavano a frequentare la scuola di un maestro, per imparare a leggere, scrivere e fare i conti, mentre le bambine restavano nel gineceo sotto la tutela materna. LE RARE USCITE DELLA DONNA La donna usciva in rare occasioni, come le feste di matrimonio o le feste religiose. In effetti, il solo campo della vita sociale in cui le donne potevano godere degli stessi diritti degli uomini, era proprio quello religioso, in quanto le donne sposate e madri di famiglia, con un’ottima reputazione, potevano essere elette sacerdotesse. FIGURE FEMMINILI CHE LA SOSTITUIVANO AL MARITO L’uomo poteva anche convivere con una concubina, che dal punto di vista dei doveri era parificata alla moglie, ma non godeva di alcun diritto; infine accanto all’uomo poteva esserci anche un’etèra, una donna colta, educata fin da piccola a fare compagnia all’uomo e sostenere conversazioni di alto livello su vari argomenti; lo accompagnava dove non erano ammesse la moglie e la concubina (ad esempio, ai banchetti) e aveva col “compagno” un’intesa prevalentemente intellettuale. ALTRA CONDIZIONE DI VITA NELL’ANTICA SPARTA A Sparta, invece, le donne godevano di una maggiore libertà, in quanto venivano educate fuori casa, frequentavano le palestre, potevano non occuparsi della casa e non curarsi della crescita dei figli. Era più importante dedicarsi alla danza e agli esercizi ginnici, così da fortificarsi e dare alla luce figli più sani e robusti. Come è noto, infatti, Sparta aveva al centro dei propri interessi lo Stato, che doveva sopravvivere attraverso l’incremento della popolazione: quindi, fondamentale era assicurare alla città uomini forti e validi, anche se non legittimi. Poteva, infatti, accadere che un marito non più giovane facesse giacere la moglie con un giovane particolarmente prestante per far nascere figli perfetti, che poi lui avrebbe riconosciuto come suoi. LA FIGURA DELLA DONNA NELL’ ANTICA ROMA LA DONNA NELL’ANTICA ROMA La donna romana cominciava dalla nascita ad affrontare mille difficoltà per la sua sopravvivenza. In età traianea in una città dove le persone ammesse all'assistenza alimentare erano 179, 145 maschi e solo 34 femmine. Il che dimostra quanto la condizione femminile fosse considerata al di sotto di quella maschile, sia pur sempre migliore di quella greca, dove era alla stregua di una schiava. La donna era considerata un essere inferiore, con pochissimi diritti e totalmente sottomessa prima al padre e ai fratelli, poi al marito. Quando vennero rapite le Sabine nel famoso ratto, le donne accettarono di andare spose solo a certi patti che i Romani accettarono: le sabine non avrebbero mai dovuto lavorare per i loro mariti, salvo filare la lana; per la strada gli uomini dovranno cedere loro il passo; nulla di sconveniente sarà detto a loro o in loro presenza; nessun uomo potrà mostrarsi nudo davanti a loro; i loro figli avranno una veste speciale (praetexta) e un ciondolo d'oro (bulla aurea). I Romani promisero ma presto dimenticarono. Nel patriarcale mondo romano il rapporto tra i sessi era cambiato. Si nasceva ufficialmente solo con il rito del riconoscimento. Dopo il parto il neonato veniva deposto in terra. Se il capofamiglia lo sollevava in aria con gesto rituale, veniva accolto come figlio legittimo dalla famiglia e dalla società, altrimenti veniva esposto, cioè abbandonato nella strada. I neonati più a rischio di esposizione erano i deformi, gli illegittimi e le femmine. I SOPPRUSI CONTRO LE DONNE La sproporzione tra maschi e femmine derivava da un lato dall'ingiustizia sociale che preferiva aiutare i maschi anzichè le femmine, e poi dall'uccisione delle neonate, per l'antichissima usanza della pubblica esposizione. Con l'avvento del patriarcato le donne non possono combattere, e pertanto sono di peso e vanno eliminate, o tenute quel tanto che serve per procreare. Nel duro passaggio dalla libertà delle donne sabine alla semischiavitù romana, i Romani ebbero la meglio e le leggi sabine che proteggevano le donne scomparvero. Ne lasciarono però un'impronta, perchè le donne romane non furono totalmente schiave come le Greche, segregate come in cella nel gineceo senza alcun diritto. Anzi rispetto alle donne barbare erano privilegiate. Un'altra impronta la lasciarono gli Etruschi, dove le donne erano nei diritti quasi uguali agli uomini. L’ASSEGNAZIONE DEL NOME ALLA NASCITA DELLA DONNA Trascorsi i primi otto giorni dalla nascita c'era il rito di purificazione con l'acqua, un po' come il battesimo. Parenti e amici di famiglia portavano doni e alla bambina veniva dato un nome, il vero praenomen, tenuto assolutamente segreto, ma solo per la femmina, e custodito nell’intimità familiare. Al di fuori dell’ambiente domestico, il nome era sostituito da un cognomen, quello della gens paterna con le aggiunte per distinguerla dalle sorelle, secondo l’ordine di nascita: Maxima, Maior, Minor oppure Prima, Seconda, Tertia, o con un soprannome per le sue caratteristiche fisiche: Rutilia o Fulvia (di capelli rossi), Murrula (bruna), Burra (tenera). Così mentre un uomo aveva tre nomi la donna ne aveva solo uno. Nella cerimonia nuziale, alla domanda del marito “Qual è il tuo nome?” la sposa risponderà di chiamarsi con lo stesso nome di lui e al precedente cognomen gentilizio paterno subentrerà o si aggiungerà quello dello sposo. Così la catulliana Lesbia, il cui nome ufficiale è Clodia (figlia di Clodio), diventerà Clodia Metelli, la donna di Quinto Metello Celere. E per la seconda volta nella sua vita la donna continuerà a tacere al pubblico il vero nome, che non sarà posto neppure nell'epigrafe funeraria. L’EDUCAZIONE DELLA DONNA In famiglia il padre si preoccupava di educare i figli maschi, delle femmine poco si curava. Al padre spettava nutrirle, controllare la loro moralità e combinare un buon matrimonio. Il resto era affare della madre. Nelle case patrizie i precettori facevano il resto, indirizzando la fanciulla a essere sposa e madre, educandola nelle attività domestiche, come la tessitura della lana, e verso le virtù di castità, riservatezza e modestia. I genitori, specie se agiati, facevano impartire lo studio a casa per i pericoli nei tragitti tra casa e scuola. La verginità delle fanciulle andava preservata. Nelle scuole pubbliche la fanciulla imparava a leggere, scrivere e fare di conto. Poi veniva spedita a casa prima dei suoi coetanei maschi. Alcune donne, per l'elevato livello culturale della famiglia, divennero colte, ma la donna intellettuale non sempre piaceva. La ragazza che avesse compiuto gli studi di letteratura greca e latina, docta puella, e mostrasse troppo la sua cultura poteva, al contrario dei maschi, infastidire. IL MATRIMONIO DELLA DONNA Nella Roma arcaica una figlia, ancora giovanissima, poteva essere promessa in sposa o fidanzata a un giovane contro la propria volontà. Era un impegno perseguibile in caso di inadempimento, che vincolava la donna ad una fedeltà prematrimoniale. Il matrimonio si perfezionava con il trasferimento della donna dalla famiglia paterna a quella del marito. Per il fidanzamento il ragazzo consegnava alla ragazza un anello che lei indossava all'anulare della mano sinistra. I matrimoni venivano decisi dai parenti dei due giovani per motivi di prestigio o economici, soprattutto in età repubblicana. Il matrimonio più vincolante era la confarreatio, dal panis farreus, pane di farro mangiato dagli sposi, appena entrati nella nuova casa. C'era poi la coemptio, con cui il padre cedeva la figlia allo sposo per un compenso pecuniario. L’usus era invece la sanatoria di una condizione di fatto, per cui diventano sposi i conviventi di un anno intero senza interruzione di tre notti consecutive. Una donna romana poteva essere ceduta dal padre al marito già a 12 anni, ma troviamo iscrizioni funerarie che citano fanciulle sposate a 10 ed 11 anni, usanza che oggi fa rabbrividire. I romani si sposavano soprattutto per garantirsi una discendenza, mentre sul piano della sessualità avevano atteggiamenti liberi, almeno da parte degli uomini, la cosa diventerà reciproca in epoca imperiale. Nella formula più arcaica l'uomo chiedeva alla donna: vuoi essere la mia mater familias?, e la donna chiedeva: e tu vuoi essere il mio pater familias? Se però il marito erava ancora "filius familias", un minorenne, la donna che entrava nella famiglia del marito era sottoposta alla potestà del suocero. In ogni caso il pater familias, marito o suocero, aveva su di lei un potere, manus, che per un'antica legge dei tempi di Romolo comportava almeno in due casi diritto di vita o di morte: quando la moglie era sorpresa in flagrante adulterio e se aveva bevuto vino, bada bene, anche senza essersi ubriacata. Si dice che l'uomo tornando a casa controllasse l'alito della moglie, come dire che poteva ucciderla impunemente con la scusa del vino. Un sistema drastico per divorziare senza divorzio e senza alimenti. IL PARTO DELLA DONNA Partorire in età romana era molto pericoloso: il dieci per cento delle donne moriva di parto, spesso per lacerazioni e lesioni irreparabili in un utero troppo infantile per l'estrema giovinezza delle spose, o per emorragia o altre cause. Per questo in età imperiale la donna cercò di limitare le nascite, specie nelle classi più elevate, soprattutto se era riuscita a portare a termine le tre gravidanze dovute. Usava pozioni contraccettive ed abortive, con ruta, elleboro e artemisia. Oppure ricorreva ai rimedi medici come i pessari, cioè tamponi di lana imbevuti di aceto e collocati negli organi genitali. Ma doveva farlo spesso di nascosto, perchè anche la decisione sull'aborto spettava al futuro padre che poteva ripudiarla se non era d'accordo. La maggior parte dei medici rifiutava di assistere aborti, che potevano derivare da adulterio, e in tal caso diverrebbero complici, subendo le stesse pene degli amanti, per cui si ricorreva alle levatrici o a donne esperte. Se la donna moriva nella pratica abortiva, per un intervento chirurgico fallito, il medico veniva accusato di omicidio. Comunque l'aborto non era punito per sè, ma solo se procurava la morte della donna. La puerpera alle prime contrazioni si lavava le mani e si copriva il capo. Invocava Giunone Lucina, o la Dea Carmenta (come Antevorta che presiedeva all'inizio e alla nascita, perchè Postvorta riguardava la fine cioè la morte), o altra Dea, intanto veniva spogliata e sistemata sulla sedia da parto dall'ostetrica. Perchè i Romani avevano apposite sedie da parto, forate sotto per far colare i liquidi (non per far uscire il bambino come si è supposto) e le maniglie per attaccarsi nella spinta. Le schiave portavano ampolle di olio di oliva, cataplasmi, spugne, coperte di lana grezza, e versavano acqua calda nelle catinelle. Una schiava abbracciava da dietro lo schienale la partoriente, mentre l'ostetrica sedeva su un basso sgabello sotto di lei, ungendola d'olio d'oliva per rendere più elastica la pelle e facilitare il passaggio. Le schiave ponevano sul ventre mani riscaldate e panni bagnati di olio caldo sui genitali. Lungo ognuno dei fianchi si poggiava una vescica piena di olio caldo. Queste pratiche per evitare dolori ma anche le antiestetiche smagliature non ci sono neppure nelle cliniche moderne. Per sedare il dolore si usavano cataplasmi caldi. Le spugne asciugavano il sangue delle ferite e l'acqua calda per la pulizia dei genitali. Le coperte venivano usate per coprire le gambe della donna, le bende e il cuscino per fasciare e deporvi il neonato. L’ATTIVITA GINNICA DELLA DONNA Le fanciulle di un celebre mosaico romano di Piazza Armerina, in Sicilia, succintamente vestite in reggiseno, fascia pectoralis e perizoma, subligar, gareggiano in un bikini ante-litteram. Nelle ville di campagna i ricchi proprietari riservavano al gioco della palla un locale chiuso sphaeristerium, ma le ragazze del mosaico si trovano in un ambiente termale, come attesta la piscina e la presenza di atlete che praticano altri sport. Infatti si usava la ginnastica nelle palestre annesse alle terme. La palestra era solitamente circondata da portici, aveva stanze adibite a bagni, spogliatoi ed esedre con sedili. In seguito la sua funzione si estese e divenne sede di conversazioni e di scuola. Nelle terme i Romani erano soliti fare anche giochi con la palla in locali appositi per favorire la traspirazione e apprezzare poi ancor più gli effetti ristoratori del bagno. Sorano, un ginecologo greco che esercitava la professione a Roma in età traianea, si accorse che le ragazze romane erano precocemente puberi, per cui prescrisse loro il gioco della palla, la danza e il canto nei cori. Ma mentre in Grecia le ragazze andavano spose solo dopo la pubertà, le romane venivano maritate anche impuberi, poichè le norme giuridiche fissavano a dodici anni l’età minima per le nozze. Plutarco spiegò che i Romani le sposavano a quell’età e ancora più giovani per averle vergini nell'anima e nel corpo. Se il consorte era molto più grande trattavasi di pedofilia legalizzata. IL TRADIMENTO DELLA DONNA Se il marito tradiva con una schiava, una libertina, con una mima o una meretrice era lecito, se lo faceva con una matrona rischiava la pelle da parte dell'altro marito o del padre di lei. Ma lui, solo per il sospetto di essere tradito da sua moglie, poteva ripudiarla. Il marito tradito poteva uccidere gli adulteri se li sorprendeva in casa sul fatto. Se invece l'adultera non era colta in flagrante, il marito doveva convocare un tribunale familiare e tutto si risolveva in casa. Secondo la legge più antica, quella delle XII Tavole, l'uccisione doveva essere immediata e di entrambi gli amanti, altrimenti la vendetta del marito non era giustificata. Successivamente le cose cambiarono. La moglie infedele poteva essere cacciata di casa e il marito aveva tre giorni per denunciarla al giudice. Se lui, o il padre dell'adultera, non la denunciavano entro 60 giorni, al loro posto poteva farlo chiunque. Erano considerate adultere anche ragazzine di 12 anni. Il marito che scopriva la moglie fare sesso in casa sua con un mimo, un ruffiano, uno schiavo o un liberto era autorizzato ad ucciderli entrambi, ma se il complice non rientrava in queste categorie il marito assassino rischiava l'esilio. In genere l'adultera veniva segregata su un'isola. Le veniva tolta metà della dote e un terzo del patrimonio. Non poteva risposarsi, aveva il disprezzo di tutti, non le era consentito indossare la stola delle matrone e doveva uscire con l'infamante toga delle prostitute, non poteva neppure testimoniare in tribunale. I DIRITTI DELLA DONNA Soltanto l'uomo godeva dei diritti politici di votare, eleggere e farsi eleggere e la carriera politica. La donna ne era esclusa, e pure per esercitare i diritti civili, come sposarsi, ereditare, fare testamento, aveva bisogno del consenso di un uomo che esercitasse su di lei la tutela: il padre, poi il marito e, all'eventuale morte del marito, il parente maschio più prossimo. Le cose cambieranno solo con Ottaviano. La donna romana aveva molte limitazioni alla sua capacità giuridica, giustificate da pretese qualità negative della donna come l'ignoranza della legge (grazie, non la facevano studiare), l'imbecillità della mente femminile e la debolezza sessuale. Non poteva adottare (cosa consentita anche a impotenti ed eunuchi), non poteva rappresentare interessi altrui, nè in giudizio, nè in contrattazioni private, non poteva garantire per debiti di terzi, nè fare operazioni bancarie, nè essere tutrice dei suoi figli minori. Durante l'impero dunque la matrona usciva di casa, tenendo in una mano la borsetta e nell'altra il flabellum, ventaglio di piume di pavone, per il caldo e per scacciare le mosche. La schiava le reggeva l'umbella, ombrellino da sole, (perchè l'abbronzatura non era di moda e faceva male alla pelle, che è anche vero) e che non si chiudeva, di solito verde. Scambiava visite, a volte da sola, a volte con il marito o con un'amica. Per spostarsi più lontano usava la carrozza. Faceva spese nei negozi, dalla fullonica (tintoria) ritirava la biancheria, dal calzolaio i sandali e dal sarto le vesti, ma non faceva la spesa quotidiana per il cibo, spettante agli schiavi. La sera accompagnava il marito ai banchetti, rincasava tardi, anche dopo il marito. Andava pure alle terme, prendendo il bagno insieme agli uomini, finchè nel II secolo l'imperatore Adriano separò ambienti ed orari di donne e uomini, forse perchè lui era omosessuale BELLEZZA E ABBIGLIAMENTO Per essere belle le ragazze romane dovevano essere magre e le madri le costringevano a diete feroci, anche se non tutti erano d'accordo. ma le fanciulle romane raccoglievano i capelli in massa senza scriminatura centrale, in un nodo legato dietro la testa con un nastro dal quale li facevano ricadere spioventi sul collo. Insomma una coda di cavallo. La moda cambiò comunque secondo i tempi e le donne che contavano, come l'imperatrice, Solo con le nozze potevano cambiare la pettinatura da ragazzina, in un’elegante acconciatura da matrona.ma nell'antica Roma si ritenevano particolarmente eleganti le acconciature etrusche: annodati o intrecciati dietro le spalle, a boccoli sulle spalle, annodati a corona sul capo o raccolti in reticelle o cuffie. Diademi e coroncine, o spilloni di metallo prezioso completavano le preziose acconciature. Per essere bionde usavano posticci di chiome di barbari nordici, oppure spargevano sui capelli una porporina d'oro. Ma esisteva anche lo schiarimento con una mistura di limone ed acqua distillata di fiori di ligustro. In più c'erano saponi particolari, come le "Spumae Batavae", usati per schiarire i capelli o tingerli di rosso o di nero corvino. I capelli erano comunque trattati con balsami a base di olio di noce ed essenza di mirto. L'IGIENE DELLA DONNA I lavacri avvenivano spesso nelle terme pubbliche ma i ricchi disponevano di terme private, dove si immergevano in acqua calda, poi tiepida poi fredda dove erano immerse erbe aromatiche come rosmarino e alloro. Per i denti si usava un dentifricium, dentifricio, a base di soda e bicarbonato di sodio. Anche l'urina era usata per sbiancare i denti. Oltre al dentifricio, di uso quotidiano, si usavano attrezzi come il dentiscalpium, in osso, legno, piuma o metallo, una sorta di stuzzicadenti utilizzato per eliminare i residui di cibo, ma pure come una specie di filo interdentale, infatti ce ne erano di sottilissimi e di più spessi. Si dice che Trimalcione ne possedesse uno in argento, spina argentea, ma ne esistevano anche in oro. L’auriscalpium invece era utilizzato per la pulizia delle orecchie. Nel set da toletta non potevano mancare lo scalptorium, arnese per grattarsi la testa, il culter, coltellino per pulire le unghie e la volsella, pinzetta per la depilazione. Presso le terme si trovava un servo appositamente addetto alla depilazione, detto alipilus. LA FIGURA DELLA DONNA DURANTE IL PERIODO MEDIEVALE L’ESISTENZA SOTTOMESSA DELLA DONNA MEDIEVALE Fisicamente deboli, moralmente fragili, le donne erano considerate nel Medioevo creature da proteggere. Esse furono, fin dall’antichità, sottoposte alla sorveglianza e alla guida degli uomini e ubbidienti ai loro ordini. A partire dall’anno 1000, la donna povera, conduceva sempre la stessa misera esistenza, abitava nelle casupole che circondavano i grandi castelli feudali ed era la prima ad essere sottomessa ai padroni. Il compito principale assegnato loro, di qualsiasi ceto o condizione fossero, era quello di prendersi cura della famiglia a cui appartenevano o presso cui prestavano servizio e di vegliare sui beni del gruppo familiare. Le donne libere, non appartenenti ad un rango sociale elevato, erano soggette ad una vita faticosa e priva di gioia; la nobildonna, invece, viveva nei grandi castelli circondata da dame, cavalieri e servitori. Essa si concedeva lusso e divertimenti grossolani. Le serate erano passate accanto ai grandi camini dove la castellana ricamava, mentre gli altri familiari giocavano a scacchi oppure ai dadi. Una stanza del castello, la stanza delle dame, era riservata alla donna: lì ricamava, chiacchierava e scambiava segreti con le sue dame di compagnia. Le donne ricche, oltre a pensare all’abbigliamento ed alla propria bellezza, potevano anche imparare a leggere e a scrivere, ma non potevano studiare: l’istruzione era riservata solo agli uomini. Le bambine erano promesse spose dai genitori con un regolare contratto, nel quale si stabilivano i beni da portare in dote e la somma che il marito doveva pagare alla famiglia della promessa sposa. IL MATRIMONIO Giunte all'età giusta, se non erano inviate in convento, le ragazze venivano date in sposa ad un uomo prescelto dal loro genitore. Una volta sposate, uscivano dalla tutela paterna per passare a quella del coniuge e si spostavano a casa con il marito. Le più fortunate divenivano le padrone del focolare domestico, ma nella maggior parte dei casi si spostavano a casa dei suoceri, dove dovevano subire l'autorità della nuova famiglia, e dove potevano essere sorvegliate in assenza del marito. Bisogna notare anche che, mentre l'adulterio delle donne, o i rapporti prematrimoniali, erano puniti o con un'ammenda o, spesso, con la morte per fuoco, le donne sposate dovevano spesso convivere e tollerare la presenza di schiave, amanti del marito, e di figli irrispettosi. Le mogli potevano inoltre essere ripudiate per sterilità, ma potevano loro stesse divorziare se il marito non era in grado di dar loro dei figli, o se questi avesse dissipato la loro dote, bene inalienabile che doveva tornare interamente alla moglie dopo la morte del marito. Va inoltre notata una particolarità, se, come abbiamo detto l'adulterio era ferocemente punito, l'abbandono del tetto coniugale non prevedeva nessuna pena. In quei casi, i mariti si limitavano ad emettere un bando per invocare il ritorno della moglie, ma le donne non erano punite. LA VEDOVANZA Alla morte del marito, salvo uno specifico testamento, le donne dovevano lasciare la casa e tornare a casa del padre. Dagli atti giuridici del tempo, risulta che a volte i figli obbligavano la madre a compilare un inventario delle cose portate via. Questi erano comunque dei casi limite, infatti la maggior parte delle volte, i mariti lasciavano alle loro mogli l'usufrutto della casa in cui queste potevano dirigere la famiglia, fino alla maggiore età dei figli maschi. Spesso la vedovanza permetteva alle donne di liberarsi sessualmente. Infatti, vergini fino al matrimonio, e minacciate di morte, in caso di adulterio, le donne potevano avere rapporti con uomini diversi, sempre nell'ambito della più grande discrezione, solo dopo la scomparsa del marito. LA VITA PUBBLICA E IL CONVENTO La vita pubblica delle donne medievali era assai limitata. Alle donne era vietato esprimersi in pubblico, tanto che, anche nelle cause legali, queste dovevano farsi rappresentare da un uomo, ossia dal padre, dal marito o dal parente maschio più vicino. Come abbiamo detto, le ragazze che non venivano date in moglie a nessuno, se non erano messe a servizio, venivano mandate nei conventi. Queste vocazioni forzate, spesso non erano gradite dalle giovani donne. Abbiamo testimonianze posteriori di suore scrittrici (Suor Maria Clemente Ruoti), che si lamentano della vita del convento. Bisogna però dire che la clausura ha rappresentato, per lungo tempo, l'unica possibilità, per una donna, di accedere alla cultura. I conventi servivano anche da ricovero per le donne bisognose. A partire dagli inizi del XIII secolo, comparvero molte fondazioni di ordini e di monasteri per donne. Queste comunità femminili di religiose vivevano soprattutto grazie ai compensi ricavati dall'artigianato e dalla cura dei malati. LA FIGURA DELLA DONNA DEI GIORNI NOSTRI LA DISCRIMINAZIONE DELLE DONNE La discriminazione nei confronti delle figlie femmine si verificano spesso ancora prima della nascita: in alcuni Paesi, come l'India e la Cina, molte famiglie preferiscono avere figli maschi e, quando l'ecografia effettuata durante la gravidanza rivela che si tratta di una femmina, i genitori decidono di ricorrere all'aborto. In moltissime società tradizionali, la donna si trova in una condizione di inferiorità in famiglia, che spesso è stabilita dalla legge: in molti paesi arabi la poligamia è ancora ammessa; in Arabia Saudita una donna non può viaggiare all'estero senza il permesso scritto di un parente maschio. Anche là dove la legge prevede l'uguaglianza tra i coniugi, la realtà è ben diversa ed in molti Paesi le donne sono di fatto completamente sottomesse al marito: la donna che si ribella a questa condizione, rischia di essere criticata da tutti. Le donne sono molto spesso vittime di violenza all'interno della famiglia. Moltissime vengono picchiate e non sono nemmeno rari i casi di donne uccise dal marito o da altri familiari per motivi diversi: per non aver portato la dote prevista; per aver tenuto un comportamento giudicato sconvenienti, ad esempio per una ragazza anche solo aver baciato un ragazzo. LA DISCRIMINAZIONE NELL’ISTRUZIONE Il tasso d'analfabetismo femminile è ovunque più alto di quello maschile, perché in molti Paesi quando una famiglia non può permettersi di mandare a scuola tutti i figli, preferisca assicurare un'istruzione ai maschi. Benché la percentuale di analfabeti sia molto diminuita negli ultimi decenni, sia tra i maschi sia tra le femmine, le differenze rimangono molto forti: nell'Africa sono ancora circa la metà le donne analfabete, mentre gli uomini sono solo il 30%. Anche nell'istruzione superiore esistono notevoli differenze, a svantaggio delle donne. LA DISCRIMINAZIONE SUL LAVORO Molte donne si dedicano esclusivamente alla casa ed alla famiglia. In generale le donne che hanno un lavoro retribuito sono meno numerose degli uomini, quindi le donne hanno minori opportunità di raggiungere un'autonomia economica e si trovano a dipendere dal marito. Le donne che lavorano svolgono più spesso lavori poco retribuiti e, infatti, il salario medio femminile è nettamente inferiore a quello maschile. Infine anche nei Paesi in cui le differenze sono meno forti, pochissime donne riescono a raggiungere i livelli più alti: la carriera della donne è sempre più limitata di quella degli uomini, anche nei Paesi più industrializzati, come gli USA ed il Giappone. LA DISCRIMINAZIONE NELLA VITA SOCIALE • All'interno della società le discriminazioni sono molto frequenti. In generale le donne hanno una minore libertà di comportamento e sono più esposte alle critiche rispetto agli uomini. In molti Paesi è considerato preferibile che le donne escano di casa il meno possibile. Inoltre in molti Paesi musulmani le donne non possono vestirsi come desiderano, ma sono tenute a nascondere il corpo e talvolta anche il viso: in Stati come lo Yemen o l'Afghanistan, le donne portano in maggioranza un velo che copre il corpo e la faccia. In generale è molto diffuso il maschilismo, ovvero l'idea che la donna sia per natura inferiore ed all'uomo spetti una posizione superiore LAVORO REALIZZATO DA HONDY VERONICA MARTINA BENDANDI ALESSIA CIAVATTELLA VIGLIOTTI ERIKA DI GIULIO LUNA DOTALE