Diapositiva 1 - Liceo Classico De Castro

LO SPAZIO E IL TEMPO DOPO EINSTEIN
SILVANO TAGLIAGAMBE ORISTANO I.I.S.S. DE CASTRO 18/12/2015
1
La TEORIA DELLA
RELATIVITÀ RISTRETTA O
SPECIALE
3
MAXWELL VERSUS NEWTON
Le equazioni di Maxwell determinano una velocità: la velocità
della luce. Ma la meccanica di Newton non è compatibile con
l’esistenza di una velocità fissa, perché quella che entra nelle
equazioni di Newton è sempre l’accelerazione, non la velocità.
Nella fisica di Newton la velocità è sempre un concetto relativo,
velocità di qualcosa rispetto a qualcos’altro: non esiste la velocità
di un oggetto in sé, esiste solo la velocità di un oggetto rispetto a
un altro oggetto.
Una possibilità è che ci sia una specie di substrato universale
rispetto al quale la luce si muove a quella velocità: ma tutti i
tentativi sperimentali, compiuti alla fine del XIX secolo, di usare la
luce per misurare la velocità della Terra rispetto a questo ipotetico
substrato sono falliti.
LA SOLUZIONE DI EINSTEIN: IL PRESENTE ESTESO
La soluzione di Einstein consiste nel mettere a nudo l’intrinseca
contraddittorietà del concetto di simultaneità assoluta.
Assumendo, con Maxwell, che quella della luce sia una velocità
fissa e partendo dal presupposto che essa sia anche la velocità
massima possibile, ne deriva che se io sono sulla Terra e tu sei su
Marte, io ti faccio una domanda e tu mi rispondi appena senti
quello che ti ho detto, a me la tua risposta arriva un quarto d’ora
dopo che ti ho fatto la domanda: il tempo impiegato dalla luce per
compiere il tragitto dalla Terra a Marte e ritorno. Gli avvenimenti
che si verificano entro questo quarto d’ora per noi che siamo sulla
Terra non sono né passati, né futuri.
Questa è una sorta di zona intermedia, nel senso che non
appartiene né al passato, né al futuro. È un presente esteso, la
cui durata dipende dalla distanza spaziale: rispetto alla Luna è di
qualche secondo, rispetto alla Galassia di Andromeda è di due
milioni di anni.
Quando Terra e Marte convergono in un incontro
ravvicinato la loro distanza si ferma a 0,618 Unità
Astronomiche, pari a 92.451.500 chilometri.
La figura descrive quello che in fisica si chiama “spaziotempo”:
l’insieme del passato e del futuro rispetto a un evento, ma
anche di quello che non è “né-passato-né-futuro”, che non è un
istante, ma ha una durata.
Sulla Galassia di Andromeda, la durata di questo “presente
esteso”, di questa zona intermedia tra passato e futuro rispetto
a noi è di due milioni di anni. Tutto quello che accade durante
questi due milioni di anni non è né passato né futuro rispetto a
noi.
Se su Andromeda vivesse una civiltà avanzata che a un certo
punto decidesse di inviare una flotta di navi spaziali a farci
visita, non avrebbe alcun senso chiedersi ora se la flotta sia già
partita oppure no. L’unica domanda con un senso sarebbe
quando potremo ricevere il primo segnale da questa flotta.
Fonte: Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.
La teoria della relatività speciale di Einstein ci costringe dunque
a prendere atto del fatto che la differenza tra presente e nonpresente (che non è osservabile, proprio come ciò che è
collocato «là», nello spazio dell’altrove, ma solo
«rammemorabile» o «anticipabile») è dello stesso tipo della
differenza qui/là e che l’«ora» può essere trattato allo stesso
modo del «qui» e il passato o il futuro allo stesso modo del
«là».
Sulla base di calcoli rigorosi questa teoria afferma, ad esempio,
che se un individuo a 10 miliardi di anni luce da noi si
allontanasse da noi a 16 km/h il suo «ora-istantaneo»
includerebbe fatti per noi accaduti 150 anni fa, simultanei al
1863. Analogamente, se si avvicinasse a noi alla stessa
velocità di 16 km/h il suo «ora» includerebbe eventi che per noi
avverranno tra 150 anni, e dunque nell’anno 2163.
Emergono così tutte le aporie e le difficoltà del
«presentismo», la concezione che fa coincidere ciò che
esiste con ciò che esiste nel presente. Per l’ovvio principio
di transitività che sembra implicito nel significato stesso di
esistere o essere reale, tutto ciò che è reale per
l’osservatore posto a 10 miliardi di anni luce da me, in
quanto è nel suo presente a distanza, deve essere reale
anche per me: se è nel suo «ora» deve essere anche nel
mio, il che significa che il mio «ora» deve essere esteso,
nel caso dell’esempio che è stato fatto, sia a eventi
accaduti 150 anni fa, sia a eventi che accadranno fra 150
anni. L’«ora» ha dunque lo stesso ruolo del «qui», e come
il «qui» va esteso e integrato con il riferimento al «là», cioè
all’altrove, l’«ora» deve essere esteso e integrato con il
riferimento sia a «ieri» che a «domani».
LA SOLUZIONE DI EINSTEIN: IL PRESENTE ESTESO
L’idea di presente esteso indica dunque che spazio e
tempo sono intimamente legati e si fondono in un
concetto unico di spaziotempo. In virtù di questo nuovo
concetto dire “qui e adesso” ha senso, mentre dire
“adesso” per designare fatti che “stanno accadendo ora,
simultaneamente” in tutto l’Universo è qualcosa che non
ha senso.
Allo stesso modo, nella nuova meccanica, il campo
elettrico e il campo magnetico si fondono in un concetto
unico, quello di campo elettromagnetico.
L’EQUIVALENZA TRA MASSA ED ENERGIA
Si fondono anche i concetti di energia e massa, per cui
anziché due leggi separate, la conservazione della
massa, verificata dai chimici in tutti i processi, e la
conservazione dell’energia, che segue direttamente
dalle equazioni di Newton, abbiamo una sola legge di
conservazione: ciò che si conserva è la somma di
massa ed energia.
Einstein si rese dunque conto che massa ed energia
sono due facce della stessa entità: e comprese che la
massa, da sola, non si conserva, e l’energia, così
com’era concepita allora, da sola non si conserva.
L’una si può trasformare nell’altra.
LA TRASFORMAZIONE DELLA MASSA IN ENERGIA
Un rapido calcolo permette a Einstein di capire quanta energia si
ottenga trasformando un grammo di massa. Il risultato, dato dalla
famosa formula
E = mc2
è importante per gli sviluppi futuri che avrà: l’energia in cui si
trasforma un grammo di materia è enorme, un’energia uguale a
quelal di milioni di bombe che scoppino insieme o, se pensiamo a
scopi pacifici, sufficiente per illuminare le città e a far girare le
industrie di un intero Paese per mesi.
1
La TEORIA DELLA
RELATIVITÀ GENERALE
27
«Aiutami, Marcel, sennò divento pazzo!». È il 10 agosto 1912 quando
Albert Einstein spalanca la porta del suo grande amico Marcel
Grossmann – un matematico da poco divenuto rettore del Politecnico di
Zurigo, a soli 34 anni – e implora il suo soccorso. Di anni, Einstein, ne ha
uno in meno: il fisico tedesco è infatti nato nel 1879 a Ulm, una piccola
città del Baden-Württemberg. Ma di fama ne ha già molta di più.
Soprattutto da quando la sua teoria della relatività ristretta, elaborata nel
1905, è stata accreditata dal fisico più autorevole di quei tempi, Max
Planck. Con quella teoria un giovane e sconosciuto impiegato dell’Ufficio
Brevetti di Berna, Albert Einstein appunto, aveva mandato in soffitta i
concetti di spazio e di tempo assoluto e aveva dimostrato che energia e
materia sono due facce di una medesima medaglia. In poche settimane
di lavoro quel ragazzo di appena 26 anni aveva abbattuto alcuni dei
pilastri su cui, da un paio di millenni, si reggeva la filosofia occidentale e
su cui, da un paio di secoli almeno, si reggeva la fisica di Isaac
Newton.Eppure è solo due anni dopo, nel 1907, che nella mente di
Albert Einstein si accende la lampadina più luminosa e il giovane fisico
matura quella che lui stesso definisce «l’idea più felice della mia vita».
Fonte: Pietro Greco, Relatività generale: l’idea più felice compie cent'anni, ‘Scienza in
rete’, 25 novembre 2015.
Perché questo scoramento? Il motivo è semplice: a
cinque anni dall’idea più felice della sua vita il giovane
fisico non è riuscito ancora a scrivere l’articolo in cui
annuncia al mondo la sua nuova teoria della relatività
generale. Einstein non è un fisico analitico. Non
procede per deduzione matematica da un assunto. Lui
è un fisico che crea mediante l’intuizione. Come lui
stesso dirà, la sua mente prima produce l’immagine
fisica e poi formalizza la teoria (riducendola a una
formula matematica, appunto). Così ha fatto nel 1905
con la relatività ristretta. E così sta facendo ora con la
relatività generale.
Fonte: Pietro Greco, Relatività generale: l’idea più felice compie cent'anni, ‘Scienza in
rete’, 25 novembre 2015.
Il fatto è, però, che nel 1905 sono passate pochi giorni, forse
poche ore o pochi minuti tra l’intuizione per immagine e la
formalizzazione. Ora sono passati cinque anni e lui non è
ancora riuscita a tradurre l’immagine – la più felice della sua
vita – in una formula matematica. Come mai? Anche a questa
domanda si può rispondere abbastanza facilmente. Nel caso
della relatività ristretta, la matematica necessaria a formalizzare
l’idea fisica era semplice. Alla portata di un giovane fisico. Nel
caso della relatività generale, Einstein se ne rende conto, c’è
bisogno di “nuova matematica”. E lui non è un matematico
creativo: non sa crearla quella nuova matematica. Ecco perché,
quel 10 agosto 1912, ritornando al Politecnico di Zurigo dopo
un anno trascorso presso l’università di Praga, spalanca la
porta dell’ufficio di Grossmann e grida, disperato: «Aiutami,
sennò divento pazzo!».
Fonte: Pietro Greco, Relatività generale: l’idea più felice compie cent'anni, ‘Scienza in
rete’, 25 novembre 2015.
Marcel Grossmann è un matematico. Un matematico creativo.
Ma neppure lui sa come creare la matematica specifica di cui
ha bisogno Einstein. Ma, conoscendo la sua materia, sa dove
cercarla, quella matematica difficile e astrusa. E così indirizza
l’amico verso due matematici italiani: Tullio Levi Civita e il suo
maestro, Gregorio Ricci Curbastro. Il secondo, Ricci Curbastro,
ha già inventato la “nuova matematica” di cui ha bisogno
Einstein: è il calcolo differenziale assoluto. Con il discepolo,
Levi Civita, l’ha poi sviluppata.Grato, Albert Einstein studia il
calcolo differenziale assoluto di Ricci ed entra in contatto – un
lungo contatto epistolare – con Tullio Levi Civita. Ma non è
facile tradurre la banale idea dell’uomo in caduta libera che non
sente più il suo peso in una formula matematica che contenga
una nuova teoria della gravitazione universale. Non è facile
neppure con l’aiuto di Grossmann e di Levi Civita.
Fonte: Pietro Greco, Relatività generale: l’idea più felice compie cent'anni, ‘Scienza in
rete’, 25 novembre 2015.
Occorre ancora molto fatica. Molto studio matto, anche se
non più disperato. In soldoni, occorrono altri tre anni e tre
mesi prima che Albert Einstein riesca a tradurre in una
formula l’idea più felice della sua vita. Finalmente nel 1915,
cento anni fa, il fisico tedesco, ormai trasferitosi a Berlino,
elabora in maniera formale la teoria della relatività generale
e con un’equazione riesca a descrivere come la materia (col
suo campo gravitazionale) curva lo spaziotempo.
L’equazione – che tra l’altro contiene un operatore
matematico che, in onore a Ricci Curbastro, si chiama
“tensore di Ricci” – costituisce una delle conquiste più alte
mai effettuate dalla ragione umana.
Fonte: Pietro Greco, Relatività generale: l’idea più felice compie cent'anni, ‘Scienza in
rete’, 25 novembre 2015.
UN PROBLEMA ULTERIORE
Il problema che Einstein dovette affrontare dopo la formulazione
della sua teoria della relatività ristretta è determinato dal fatto che
questa sua teoria non quadra con quanto sappiamo sulla gravità:
l’esistenza di una velocità limite, quella della luce, non è
compatibile con l’idea di una forza, quella di gravità appunto, che
agisce a distanza istantaneamente fra corpi che non si toccano.
Per venire a capi di questa contraddizione occorre ipotizzare che
anche la forza di attrazione fra il Sole e la Terra e fra gli oggetti
che cadano debba essere attribuita a un campo, quello
gravitazionale appunto.
Questa ipotesi comporta un radicale mutamento dell’idea di
spazio, che non può più essere concepito come un grande
contenitore vuoto, piatto e fisso, ma, essendo un campo, è
qualcosa che si muove e ondeggia, una sorta di gigantesco
mollusco flessibile (la metafora è di Einstein).
UN PROBLEMA ULTERIORE
Newton aveva cercato di spiegare perché le cose cadono e i
pianeti girano. Aveva immaginato una «forza» che tira tutti i corpi
l’uno verso l’altro : l’aveva chiamata «forza di gravità». Come
facesse questa forza a tirare le cose da lontano, senza che ci
fosse niente in mezzo, non era dato sapere. Newton aveva anche
immaginato che i corpi si muovessero nello spazio, e lo spazio
fosse un grande contenitore vuoto, uno scatolone rigido per
l’Universo. Un’immensa scaffalatura nella quale corrono diritti gli
oggetti, fino a che una forza non li faccia curvare. Di cosa fosse
fatto questo «spazio» contenitore del mondo, neppure era dato
sapere. Ma pochi anni prima della nascita di Albert, due grandi
fisici britannici, Faraday e Maxwell, avevano aggiunto un
ingrediente nuovo al freddo mondo di Newton: il campo
elettromagnetico. Il campo è un’entità reale diffusa, che porta le
onde radio, riempie lo spazio, può vibrare e ondulare come la
superficie di un lago, e “porta in giro” la forza elettrica.
LA PIÙ BELLA DELLE TEORIE
La teoria di Einstein descrive come si curva lo spazio intorno a
una stella e intorno al nostro Sole. la Terra non gira attorno al Sole
perché tirata da una misteriosa forza a distanza, come ipotizza
Newton, ma perché sta correndo dritta in uno spazio che s’inclina.
Come una pallina che rotoli in un imbuto: non ci sono forze
misteriose generate dal centro dell’imbuto, è la natura curva delle
pareti a far ruotare la pallina.
I pianeti girano intorno al Sole e le cose cadono perché lo spazio
è incurvato intorno a loro.
LA PIÙ BELLA DELLE TEORIE
Sempre a causa di questa curvatura, la luce devia. Einstein
predice che il Sole devii la luce. Nel 1919 viene compiuta la
misura, e risulta essere vero. Non è solo lo spazio a incurvarsi,
ma anche il tempo; e Einstein predice che il tempo passi più
veloce in alto e più lento in basso, vicino alla Terra. Si misura, e
risulta essere vero. Di poco, ma il gemello che ha vissuto al mare
ritrova il gemello che ha vissuto in montagna un poco più vecchio
di lui. È solo l’inizio. Quando una grande stella ha bruciato tutto
l’idrogeno, si spegne e quanto resta viene schiacciato sotto il
proprio stesso peso, fino a curvare lo spazio così fortemente da
sprofondare dentro un vero e proprio buco. Sono i famosi buchi
neri. Oggi sono osservati nel cielo a centinaia.
LA PIÙ BELLA DELLE TEORIE
Ma non basta. Lo spazio intero può distendersi e dilatarsi; anzi,
l’equazione indica che non può stare fermo, deve essere in
espansione. Nel 1930, l’espansione dell’universo viene
effettivamente osservata. E la stessa equazione predice che
l’espansione debba essere nata dall’esplosione di un giovane
universo piccolissimo e caldissimo: è il Big Bang. Ancora una
volta, nessuno ci crede, ma le prove si accumulano, fino a che nel
cielo viene osservata la radiazione cosmica di fondo: il bagliore
diffuso che rimane dal calore dell’esplosione iniziale. E ancora, la
teoria predice che lo spazio si increspi come la superficie del
mare, e gli effetti di queste «onde gravitazionali» sono osservati
nel cielo sulle stelle binarie, e combaciano con le previsioni della
teoria con la sbalorditiva precisione di una parte su cento miliardi.
E così via.
A ispirare questa teoria fu un’idea in apparenza banale.
Un’immagine. Eccola, come la racconta Einstein medesimo
nella sua Autobiografia: «Stavo seduto in una poltrona
nell’Ufficio Brevetti di Berna, quando all’improvviso mi ritrovai a
pensare: se una persona cade liberamente, non avverte il
proprio peso. Rimasi stupefatto. Questo pensiero così semplice
mi colpì profondamente e ne venni sospinto verso una teoria
della gravitazione».
Sulla base di questo principio, già nel 1907, Einstein sente di
poter elaborare una teoria della relatività più generale di quella
formulata nel 1905, perché in grado di spiegare anche il
comportamento dei corpi soggetti alla forza di gravità. Detta in
altri termini, Einstein comprende di poter elaborare una nuova
teoria della gravitazione universale in grado di spiegare, a
differenza di quella di Isaac Newton, anche il comportamento
dei corpi che viaggiano a velocità prossime a quelle della luce.
Fonte: Pietro Greco, Relatività generale: l’idea più felice compie cent'anni, ‘Scienza in
rete’, 25 novembre 2015.
Ecco dunque l’immagine, come la racconta Einstein medesimo
nel manoscritto intitolato Grundgedanken und Methoden der
Relativitätstheorie in ihrer Entwicklung dargestellt (Concetti
fondamentali e metodi della teoria relativistica illustrati nel loro
sviluppo) da lui originariamente preparato per rispondere all’invito
rivoltogli nel 1919 dalla rivista ‘Nature’ di scrivere l’articolo di
apertura di un numero dedicato alla relatività, poi uscito il 17
febbraio 1921. Nel gennaio dell’anno seguente l’articolo era
pronto ma era così lungo che dovette essere sostituito da uno
molto più breve che alla fine fu pubblicato.
Il manoscritto originale, che si trova ora alla Pierpont Morgan
Library a New York, è del massimo interesse perché, come
sottolinea Abraham Pais, “a un certo punto spiega come nel
1907, nel preparare un articolo di rassegna, fosse stato indotto a
chiedersi in quale modo la teoria newtoniana della gravitazione
dovesse essere modificata perché le sue leggi si accordassero
alla relatività ristretta”.
Cediamo dunque la parola ad Einstein:
“Fu allora che ebbi il pensiero più felice della mia vita, nella
forma seguente. Il campo gravitazionale ha solo
un’esistenza relativa, in modo analogo al campo elettrico
generato dall’induzione magnetoelettrica. Infatti per un
osservatore che cada liberamente dal tetto di una casa,
non esiste - almeno nelle immediate vicinanze – alcun
campo gravitazionale. In effetti, se l’osservatore lascia
cadere dei corpi, questi permangono in uno stato di quiete
o di moto uniforme rispetto a lui, indipendentemente dalla
loro particolare natura chimica o fisica (in questo genere di
considerazioni, ovviamente, si trascura la resistenza
dell’aria). L’osservatore di conseguenza ha il diritto di
interpretare il proprio stato come uno ‘stato di quiete’.
Grazie a questa idea, quella singolarissima legge
sperimentale secondo cui, in un campo gravitazionale, tutti i
corpi cadono con la stessa accelerazione, veniva
improvvisamente ad acquistare un significato profondo.
Precisamente, se vi fosse anche un solo oggetto che
cadesse nel campo gravitazionale in modo diverso da tutti gli
altri, allora, grazie a esso, un osservatore potrebbe
accorgersi di trovarsi in un campo gravitazionale e di stare
cadendo in esso. Se però un oggetto del genere non esiste,
come si è mostrato sperimentalmente con grande precisione,
allora l’osservatore non dispone di elementi oggettivi che gli
consentono di stabilire che si trova in caduta libera in un
campo gravitazionale. Piuttosto ha il diritto di considerare il
proprio stato come uno stato di quiete e il proprio spazio
ambiente come libero di campi, almeno per quanto riguarda
la gravitazione.
L’indipendenza dell’accelerazione di caduta dalla natura
dei corpi, ben nota sperimentalmente, è pertanto un
solido argomento in favore dell’estensione del postulato
di relatività a sistemi di coordinate in moto non uniforme
l’uno relativamente all’altro”.
Questo pensiero, che porta Einstein a immaginare
idealmente il nostro Universo come privo di qualsiasi
gravità, è frutto, ancora una volta, di un’astrazione
spinta
fino
al
punto
estremo
di
liberarsi,
concettualmente, di aspetti ardui da affrontare per
stabilire il controllo cognitivo su ciò che resta. Solo dopo
essere riusciti a farlo ci si affida agli aspetti più semplici
per riannodare il filo con quelli difficili precedentemente
accantonati.
La chiave di questo processo di pensiero, come sottolinea Kip
Thorne, è costituita dalla riduzione dello spazio preso in
considerazione esplicitata dalla precisazione “nelle immediate
vicinanze”. Si immagina dunque che l’osservatore in caduta
libera dalla sua casa sia piccolo e che altrettanto ridotto sia il
suo “quadro di riferimento”, cioè il laboratorio ideale, contenente
tutti le attrezzature e gli strumenti di misurazione necessari per
ogni tipo di rilievo che si desideri effettuare. È evidente che
quanto più piccole sono queste dimensioni tanto minore sarà la
differenza della forza esercitata dall’attrazione gravitazionale
sulle diverse parti del corpo, in particolare su quelle esterne e
sul centro, sino a rendere insignificante e non rilevabile questa
differenza. Se le dimensioni sono quelle di una formica tutte le
parti del corpo saranno talmente vicine le une alle altre da far sì
che la direzione e la forza che l’attrazione gravitazionale
esercita su questo corpo saranno esattamente le stesse. Ecco
perché non si avverte il peso e la gravità sembra scomparsa,
per cui la sensazione è quella della caduta libera.
Quadri di riferimento piccoli e in caduta libera nel nostro Universo dotato di
gravità sono dunque equivalenti a quadri inerziali in un universo privo di
gravità, per cui è possibile uno spostamento dell’attenzione dalla forza di
gravità e dalla sua incidenza sul moto del laboratorio a quadri di
riferimento che si muovono liberamente grazie alla loro inerzia, non spinti
né attratti da alcuna forza e che pertanto continuano a procedere sempre
in avanti nello stesso stato di moto uniforme inerziale. Una volta acquisito
il pieno controllo su questo spostamento e sull’ibridazione che ne
scaturisce tra il linguaggio della gravitazione e quello in termini di quadri
inerziali, e delle immagini mentali associate all’uno e all’altro, che risultano
interscambiabili senza che ciò incida sulle previsioni formulate, è possibile
ritornare al livello di maggiore complessità ed esprimere in modo più
profondo e preciso il principio della relatività: “ogni legge fisica deve
essere formulata in termini di misurazioni effettuate in un quadro di
riferimento inerziale. Poi, una volta enunciata di nuovo in termini di
misurazioni effettuate in qualsiasi altro quadro inerziale, la legge fisica
deve assumere esattamente la stessa forma matematica e logica del
quadro originario. In altre parole, le leggi della fisica non devono fornire
alcun mezzo per distinguere un quadro di riferimento inerziale (uno stato
di moto uniforme) da un altro”.
3
LA FORZA E L’EFFICACIA
DELLE IMMAGINI
46
GALILEO: IL SIDEREUS NUNCIUS
Il Sidereus Nuncius non segna soltanto la nascita della
scienza moderna: esso può essere considerato anche la
fase iniziale di quella che possiamo chiamare una
“strategia dello sguardo” da parte della ricerca.
Pubblicato a Venezia il 12 marzo 1610 presuppone
l’alleanza di naturale e artificiale, il potenziamento
dell’occhio con strumenti tecnologici. Nei mesi
precedenti, Galileo si era infatti dedicato al
perfezionamento tecnico del cannocchiale, ideato nel
1608 in Olanda da Hans Lippershey, e nella sua opera
è assai scrupoloso nel definire le caratteristiche
fondamentali del suo strumento.
GALILEO: IL SIDEREUS NUNCIUS
Quando lo volge al cielo, scopre qualcosa che gli permette di
smontare e rivoluzionare la conoscenza del suo tempo: e la cosa
interessante è che egli correda i resoconti delle sue osservazioni
con disegni tratti direttamente dall’osservazione col telescopio:
alla comunicazione attraverso la scrittura abbina dunque,
rinforzandola considerevolmente e rendendola assai più
immediata e diretta, quella per immagini, attraverso riproduzioni
estremamente accurate, da lui stesso disegnate, della superficie
della luna nelle diverse fasi d’illuminazione solare, per dimostrare
che la superficie lunare non è affatto liscia, uniforme e di sfericità
esattissima ma al contrario scabra e disuguale, con rilievi di
diverse altezze, piena di cavità e di sporgenze non altrimenti che
la faccia stessa della terra.
GALILEO: IL SIDEREUS NUNCIUS
Il ricorso a queste figure risponde alla seconda componente della
strategia di Galileo: quello di rendere il più possibile capillarmente
diffusa e interattiva la visione risultante da questa alleanza tra
l’occhio e il canocchiale, coinvolgendo il senso comune nella
rivoluzione epistemologica che ne scaturiva. Con questa sua
rivoluzione Galileo dunque non solo vede, ma vuole far vedere a
chiunque sia interessato che il mondo è diverso da quella che la
conoscenza fino a quel momento disponibile ci proponeva. Il 1610
può quindi essere considerato, come ha sottolineato Pietro Greco,
l’anno d’inizio della stagione in cui la verità si può vedere, e non
solo dedurre con logica astratta, anziché matematizzata.
P. Greco, L’astro narrante. La luna nella scienza e nella letteratura italiane,
Springer, Milano, 2009.
LE FIGURE DEL SIDEREUS NUNCIUS
KIP THORNE: INTERSTELLAR
Questa “strategia dello sguardo” di Galileo è stata
ripresa e riproposta, valendosi dei più aggiornati mezzi
messi a disposizione dallo sviluppo tecnologico, da Kip
Thorne, uno dei più autorevoli fisici contemporanei,
collega e amico di Stephen Hawking.
È grazie ai suoi studi sulla forza delle onde gravitazionali
e su quali indizi possiamo cercare dalla Terra che è stato
possibile sviluppare l’esperimento che ha permesso di
confermare la previsione di Einstein dell'esistenza delle
onde gravitazionali - sottili increspature nello spaziotempo prodotte da oggetti massicci che sfrecciano nel
cosmo.
KIP THORNE: INTERSTELLAR
Alla sua attività di ricercatore autorevole e impegnato Kip Thorne
ha abbinato la funzione di rigoroso divulgatore scientifico e,
soprattutto, di attivo ideatore e realizzatore di una nuova forma di
“strategia dello sguardo”, basata sull’alleanza di scienza e
fantascienza, di ricerca scientifica e cinema.
Egli è infatti stato dapprima il consulente scientifico di Robert
Zemeckis per il film Contact (in cui la scienziata Ellie Arroway,
interpretata da Jodie Foster, riesce a viaggiare attraverso un
tunnel spaziotemporale) e poi la mente rigorosa dietro
l’impressionante rappresentazione di viaggi interspaziali, buchi
neri, relatività nei piani temporali e molto altro offerta da
Interstellar, film di fantascienza made in USA e ambientato in un
ventunesimo secolo alternativo in cui la terra è devastata da
terribili piaghe atmosferiche.
KIP THORNE: INTERSTELLAR
Questo film era in cantiere già dal 2006, quando la Paramount
Pictures l'aveva affidato a Steven Spielberg, per consegnarlo
successivamente nel 2013 nelle mani di Christopher Nolan che
l’ha portato a compimento nel 2014 vincendo il premio Oscar
2015 per i migliori effetti speciali. Con l’aiuto decisivo di Thorne
sul piano teorico e delle tecnologie più avanzate che gli hanno
consentito di realizzare questi effetti Nolan è riuscito a costruire
un universo visivamente elegante, straordinario e potente,
giocando con cognizione di causa con la relatività generale, le
leggi fisiche della gravità e dello spazio-tempo, e fornendo una
descrizione estremanente curata di molti dettagli scientifici. Il
senso complessivo dell’operazione è stato spiegato da Thorne in
un libro con introduzione di Nolan, uscito in concomitanza con il
film, dal titolo The science of Intestellar, pubblicato solo negli Stati
Uniti, dove vengono descritte con precisione e rigore tutte le teorie
utilizzate nella sceneggiatura.
KIP THORNE: INTERSTELLAR
L’obiettivo è quello di spiegare che gli effetti visivi proposti per la
prima volta nella pellicola, soprattutto per quanto riguarda
wormholes, buchi neri, viaggi interstellari, si fondano sulle più
avanzate teorie scientifiche di cui disponiamo e ci forniscono una
rappresentazione accurata delle leggi fisiche che governano il
nostro universo e dei fenemeni davvero sorprendenti che esse
rendono possibile
Proprio richiamandosi a questa pubblicazione e facendo un
consuntivo della sua opera, Nolan può dunque affermare: "I miei
film sono sempre legati a standard elevati perché sollevano
problemi che non sono presenti nei lavori degli altri registi, il che
mi va bene. Kip Thorne, l'astrofisico che ha collaborato alla
sceneggiatura di Interstellar, ha scritto un libro sulla scienza del
film in cui spiega ciò che è reale e ciò che è mera speculazione,
perché ovviamente larga parte del plot è speculazione”.
CUNICOLO SPAZIO-TEMPORALE
CUNICOLO SPAZIO-TEMPORALE
CUNICOLO SPAZIO-TEMPORALE
CUNICOLO SPAZIO-TEMPORALE
KIP THORNE: INTERSTELLAR
Al di là del valore artistico del film, sul quale si è molto
discusso, quello che è importante sottolineare è che con
questa collaborazione a un’opera cinematografica comunque
ardita e coraggiosa Thorne si propone come erede della
“strategia dello sguardo”, inaugurata da Galileo con il
Sidereus Nuncius. Il suo proposito infatti è manifestamente
quello di dilatare e potenziare la capacità di vedere e di
immaginare degli spettatori, contribuendo a metterli in
condizione, anche in questo caso, di vedere la verità
scientifica, anziché limitarsi a dedurla e a comprenderla con
la logica astratta e con la capacità di astrazione della mente.
4
LA CONCEZIONE DELLO
SPAZIO E DEL TEMPO
NELLA TEORIA PIÙ BELLA
66
Nonostante la sua bellezza questa teoria, che assunse la
sua forma definitiva nel 1915, recava con sé un difetto di
fondo che non poteva essere ignorato agli occhi degli
scienziati: non aveva (ancora) alcuna verifica empirica.
Questo difetto fu superato nel giro di quattro anni. Nel 1919,
infatti, un astronomo inglese, Arthur Eddington, grazie a
un’eclisse, verificò che la luce di una stella lontana è deviata
dal campo gravitazionale del Sole proprio dell’angolo
previsto dalla relatività generale del tedesco Albert Einstein e
non dell’angolo previsto dalla teoria della gravitazione
universale dell’inglese Isaac Newton. Il 7 novembre il Times
di Londra, non senza rammarico, riconobbe in prima pagina:
“Rivoluzione nella scienza. Nuova teoria dell’universo.
Demolita la concezione di Newton”. Quello stesso giorno
Einstein divenne il fisico di gran lunga più famoso del
pianeta. Un mito, che ancora oggi risulta del tutto
inossidabile.
LE FORZE FITTIZIE
Per chi è a bordo di una vettura che sta accelerando e si versa un
bicchiere d’acqua la situazione non è la medesima di chi si trova
fermo a casa propria o a bordo di un aeroplano che vola a velocità
costante. L’acqua, infatti, non cadrebbe regolarmente, ma
formerebbe un arco la cui forma sarebbe determinata dalla
direzione e dall’intensità dell’accelerazione. Questo esperimento
molto semplice che ognuno può fare viaggiando in macchina
rileva senza ambiguità che l’auto non si sta muovendo a velocità
costante, ma sta accelerando.
Se si postula invece che la vettura sia ferma bisogna postulare
l’esistenza di una forza misteriosa che spinge le cose a volte
verso il davanti e a volte verso il dietro della vettura medesima.
Forse di questo genere, che si manifestano solo in sistemi di
riferimento accelerati, sono chiamate fittizie e sono proporzionali a
m, a prescindere da come il sistema di riferimento acceleri e da
come l’oggetto si stia muovendo.
LA GRAVITÀ COME FORZA FITTIZIA
In questo caso la “forza di gravità” percepita da chi sta all’interno
della capsula è un esempio per eccellenza di forza fittizia, ma per
lui non ha nulla di fittizio: per lui è una forza reale, così come c’è
un pavimento reale e un soffitto reale ed è autentica la distinzione
tra su e giù.
A meno di riuscire a dare un’occhiata all’esterno della capsula
(cosa che violerebbe le premesse di questo esperimento mentale)
il viaggiatore non ha alcun modo di distinguere se la capsula sia in
accelerazione costante nello spazio vuoto o se sia immobile
all’interno del campo gravitazionale terrestre. Le due situazioni
sono indistinguibili.
Un sistema di riferimento accelerato non è di conseguenza
assolutamente distinguibile da un sistema stazionario immerso in
un campo gravitazionale.
LA GRAVITÀ COME FORZA FITTIZIA
Prima che il razzo che tira la capsula con una forza costante,
dando luogo a un’accelerazione costante, si metta in moto
l’occupante della capsula fluttua al suo interno e per lui non c’è
alcuna ragione per distinguere pavimento e soffitto.
Appena il razzo comincia a esercitare la sua spinta una delle
pareti della capsula si avvicina a lui che ci va a urtare rimanendoci
incollato, perché l’accelerazione costante dell’abitacolo ha rotto la
simmetria tra le pareti e ha messo fine alla possibilità di fluttuare
all’interno.
Se inoltre l’occupante gettasse in aria una matita questa
“cadrebbe” sul pavimento: questa situazione, vista dall’esterno, si
spiega che il pavimento si muove verso la matita fino alla loro
collisione, mentre dall’interno
essa è l’effetto della forza
gravitazionale.
LA GRAVITÀ COME FORZA FITTIZIA
Se ora l’occupante lascia andare due oggetti di peso molto
differente, come una matita e un’ipotetica palla di cannone, li
vedrebbe cadere fianco a fianco e colpire il pavimento nello
stesso istante.
Per gli osservatori esterni questo sarebbe ovvio: i due oggetti non
si muovono, mentre è il pavimento che si sta muovendo “verso
l’alto” per venire loro incontro: è quindi evidente che li colpirà nello
stesso istante.
Ma dal punto di vista dell’occupante della capsula il fenomeno si
verifica perché la gravità possiede la proprietà fondamentale che
Galileo fu il primo a dimostrare: cioè che tutti gli oggetti, quale che
sia la loro massa, cadono con la stessa accelerazione. Per lui
quindi la gravità non ha nulla di fittizio, ma è una forza reale.
IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
Einstein chiamò “principio di equivalenza” questa nuova versione
radicalmente estesa del principio di relatività. Con questo voleva
dire che c’era un’impossibilità di distinguere la gravità
dall’accelerazione.
Supponiamo ora che la capsula sia sospesa 100 km sopra la
Terra mantenuta perfettamente immobile da un meccanismo. Per
l’occupante la forza gravitazionale permea la sua capsula
esattamente come lo farebbe sulla superficie della Terra con
l’unica differenza che a quella altitudine la gravità e un po’ minore.
Ma se a un tratto il meccanismo di ferma e lascia andare la
capsula che comincia a precipitare tutti gli oggetti al suo interno
cominciano a cadere nello stesso modo e con la stessa velocità.
Per l’occupante non esiste più un pavimento né un soffitto: egli
sperimenta l’assenza di peso, la sensazione di gravità zero e dato
che tutto sta cadendo verso la Terra alla stessa velocità per lui
nulla sta cadendo e tutto (compreso lui stesso) sta fluttuando.
IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
È qui che interviene quello che Einstein definì il pensiero più felice
della sua vita: ossia che il campo gravitazionale, ha un’esistenza
solo relativa”, dove “relativa” significa qui che l’esistenza del
campo dipende dal sistema di riferimento in cui si è collocati, e in
particolare che in almeno un sistema di riferimento questo campo
non esiste per nulla.
Giunto a questo punto, proprio come aveva fatto nel 1905 con la
relatività ristretta, Einstein estese questo principio in modo da
ritenerlo valido non per la sola meccanica, ma per ogni tipo di
esperimento fisico: “Un sistema di riferimento accelerato non è
distinguibile, per mezzo di qualunque esperimento fisico, da un
sistema di riferimento non accelerato immerso in un campo
gravitazionale. Non si capisce infatti perché si dovrebbe
assumere, senza alcuna necessità, un tipo di relatività per gli
effetti meccanici e un tipo differente per il resto della fisica.
EFFETTI GRAVITAZIONALI SULLA LUCE
Immaginiamo ora che l’occupante della nostra capsula in
movimento accelerato accenda una torcia elettrica che emette un
raggio di luce perfettamente orizzontale, cioè parallela al
“pavimento” dell’abitacolo.
Gli osservatori all’esterno diranno che questo raggio si sposta in
direzione costante rispetto alle stelle lontane mentre la capsula
che lo circonda “sale” a velocità sempre maggiore. Da questa
accelerazione “verticale” costante della capsula segue che il suo
occupante all’interno vedrà il raggio di luce abbassarsi verso il
pavimento con rapidità sempre maggiore mentre attraversa la
capsula a una velocità orizzontale costante. In altre parole: per lui
il raggio di luce seguirà una curva e non una linea dritta.
EFFETTI GRAVITAZIONALI SULLA LUCE
Per il principio di equivalenza questo fenomeno che si osserva in
un sistema accelerato come la capsula dovrà osservarsi anche in
una laboratorio sulla terraferma immerso in un campo
gravitazionale.
Ciò condusse Einstein a fare previsioni di alcuni fenomeni celesti
fino ad allora neppure ipotizzati, come la minuscola deflessione
dei raggi luminosi provenienti da una stella lontana nel loro
passaggio vicino al Sole, il cui campo gravitazionale è forte.
Nel 1919, durante un’eclissi totale, una spedizione inglese guidata
dal fisico Arthur Eddington osservò effettivamente, da due isole
diverse nell’oceano Atlantico meridionale, questo fenomeno,
fornendo una precisa conferma sperimentale alla teoria di
Einstein.
È una semplificazione impressionante del mondo. Lo spazio,
come detto, non è qualcosa di diverso dalla materia, è una
delle componenti materiali del mondo, è un’entità reale,
come il campo elettromagnetico, che ondula, si flette,
s’incurva, si storce.
Noi non siamo contenuti in un’invisibile scaffalatura rigida:
siamo immersi in un gigantesco mollusco flessibile (la
metafora è di Einstein). Il Sole piega lo spazio intorno a sé e
la Terra non gli gira intorno perché tirata da una misteriosa
forza a distanza, ma perché sta correndo diritta in uno spazio
che si inclina: è la natura curva dello spazio a far ruotare la
Terra. I pianeti girano intorno al Sole e le cose cadono
perché lo spazio è incurvato intorno a loro.
Fonte: Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle
cose, Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.
Le proprietà di uno spaziotempo curvo, in qualunque
dimensione, sono descritte da un certo oggetto matematico,
che oggi chiamiamo la “curvatura di Riemann”.
Einstein, dopo avere imparato, con molta fatica, la
matematica di Riemann (1826-1866), esposta in una
ponderosa tesi di dottorato, di quelle che sembrano
completamente inutili, scrive un’equazione per cui questa
curvatura è proporzionale all’energia della materia. Cioè lo
spazio si incurva di più là dove ci sia più materia.
Questa equazione è l’analogo delle equazioni di Maxwell, ma
per la gravità invece che per l’elettricità.
Fonte: Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.
Ma non è solo lo spazio che s’incurva, anche il tempo.
Einstein predice che il tempo sulla Terra passi più veloce in
alto e più lento in basso. Si misura ed è vero. Perché?
Perché anche il tempo non è qualcosa di universale e fisso,
è qualcosa che si allunga e si accorcia secondo la presenza
di masse vicine: la Terra, come tutte le masse, distorce lo
spaziotempo rallentando il tempo nelle sue vicinanze.
Fonte: Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle
cose, Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.
IL PARADOSSO DEI GEMELLI
Supponiamo di essere invitati a imbarcarci su una navicella
spaziale che parte nell'anno 2015 e ritorna nel 2035. In pratica,
stante il fenomeno della dilatazione dei tempi, ci viene offerta
l'opportunità di scegliere quanto velocemente vogliamo
«raggiungere» l'anno terrestre 2035, il che determinerà la nostra
velocità rispetto alla Terra. Se siamo d'accordo nell'aspettare dieci
anni, cioè nel voler comprimere venti anni in dieci, dobbiamo
viaggiare a una velocità pari all'86% di quella della luce. Per
ridurre la durata a due soli anni, invece, occorre raggiungere il
99,5% della velocità della luce.
Possiamo notare come, a mano a mano che ci si avvicina alla
velocità della luce, il «viaggio» fra gli anni terrestri 2015 e 2035 si
accorcia (misurato da Terra il viaggio dura sempre vent'anni). Al
limite, nel caso in cui viaggiassimo esattamente a velocità c, il
viaggio sarebbe istantaneo.
Tutte le stelle finiscono per spegnersi quando hanno bruciato
l’idrogeno di cui dispongono: il combustibile che le fa
bruciare. Il materiale che resta non è più sostenuto dalla
pressione del calore e si schiaccia sotto il suo stesso peso.
Quando questo succede a una stella abbastanza grande, la
materia si schiaccia moltissimo e lo spazio si curva così
fortemente da sprofondare dentro un vero e proprio buco.
Così nascono i buchi neri.
L’UNIVERSO È UNA TRE-SFERA
Sulla superficie della Terra, se mi metto a camminare
sempre diritto, non vado avanti all’infinito: torno al punto
di partenza.
Il nostro Universo potrebbe essere fatto nello stesso
modo: se parto con un’astronave e viaggio sempre nella
stessa direzione, faccio il giro dell’Universo e torno sulla
Terra.
Uno spazio tridimensionale fatto così, finito ma senza
bordi, è chiamato “tre-sfera”.
La 2-sfera, disegnata con un taglio che la divide in due parti
Così come la 2-sfera può essere immaginata come 2 dischi (cioè
due circonferenze piene) con i bordi in corrispondenza, la 3-sfera
può essere immaginata come 2 bocce (cioè due sfere piene) con
i bordi in corrispondenza.
Proiezione stereografica
degli elementi della
3-sfera:
paralleli (in rosso),
meridiani (in blu ) e
ipermeridiani (in verde).
Tutte le curve sono cerchi
(alcuni di raggio infinito,
quindi rette) e in
proiezione
appaiono intersecarsi
sempre ad angolo retto.
TEORIA DELLA RELATIVITÀ E MECCANICA QUANTISTICA
Agli occhi di Einstein la sua teoria presenta tuttavia un
problema di fondo.
La mia equazione, dirà, è fatta per metà di marmo
pregiato e per metà di legno scadente. La prima è la
componente dell’equazione che descrive la gravitazione
come un campo. Un campo continuo. La seconda è
invece la componente che descrive la materia come
entità discreta e, quindi, discontinua.
Il problema posto dal fisico tedesco quando descrive la duplice
natura della sua formula può essere riassunto in questo modo. C’è
una parte dell’equazione (che Einstein definisce marmo pregiato) che
descrive il campo gravitazionale: un’entità diffusa nello spazio in
modo continuo. L’altra parte dell’equazione (il legno scadente) è la
massa, ovvero l’insieme di quelle unità discrete, le particelle, il cui
comportamento viene descritto, con grande precisione, dalla
meccanica quantistica e dalle teorie quantistiche di campo a essa
correlate. Einstein, con la sua spiegazione nel 1905 dell’effetto
fotoelettrico e la scoperta dei “quanti di luce” (i fotoni) e della loro
ambigua dualità (si comportano sia da onde che da corpuscoli), è
stato uno dei padri fondatori della fisica quantistica. La teoria dei
quanti è stata formalizzata nella seconda parte degli anni ‘20 del
secolo scorso. Da quel momento la fisica poggia su due pilastri: la
relatività generale e la meccanica quantistica. E tuttavia le due grandi
teorie non risultano, a tutt’oggi, conciliabili.
Fonte: Pietro Greco, Relatività generale: l’idea più felice compie cent'anni, ‘Scienza in
rete’, 25 novembre 2015.
Molti fisici teorici, ancora oggi, pensano che occorre rimetterli
in fase, quei due pilastri divergenti, se si vuole evitare che
l’intero e maestoso edificio della fisica crolli su se stesso
(come diceva amaramente Einstein pochi mesi prima di
morire, nell’ultima lettera scritta all’amico di penna,
l’ingegnere triestino Michele Besso). Il che significa che l’una
o l’altra o entrambe le teorie (la relatività generale e la
meccanica quantistica) sono incomplete e, dunque, da
modificare.
Ebbene, per quarant’anni lo stesso Einstein si è impegnato
in questo tentativo e ha cercato una teoria unitaria – una
teoria unitaria di campo continuo – che trasformasse il legno
scadente in marmo pregiato. Non c’è riuscito. Ma ancora
oggi quello della conciliazione tra le due teorie è il più grande
problema aperto della fisica.
Fonte: Pietro Greco, Relatività generale: l’idea più felice compie cent'anni, ‘Scienza in
rete’, 25 novembre 2015.
Perché poi Einstein consideri marmo pregiato la descrizione
del campo continuo e legno scadente la descrizione della
materia discreta è tema troppo complesso per raccontarlo in
poco tempo.
Qui ci limitiamo a dire che, malgrado Einstein abbia piena
percezione di aver tagliato il traguardo più alto nella storia
della fisica e, forse, dell’intera cultura umana, resta lucido. E
umile. Riconosce i meriti, ma anche i limiti della sua teoria.
Come abbiamo detto, questa lucida analisi lo porterà a
cercare per il resto della sua vita, con la stessa
determinazione che lo aveva portato a spalancare la porta
dell’ufficio dell’amico Marcel e a chiedere aiuto, una teoria
ancora più generale della relatività generale. Una nuova
teoria dello spazio e del tempo fatta tutta di marmo pregiato.
Una teoria del tutto di campo continuo, in grado di unificare
in maniera completa e organica tutte le forze conosciute
dell’universo. Questo obiettivo non riuscì però a centrarlo.
Certo, a differenza di Einstein, oggi la gran parte dei
teorici sembra più propenso a “sacrificare” il continuo e a
“salvare” il discreto. Ovvero a trasformare il marmo
pregiato in un altro materiale simile a quello che Einstein
considerava legno scadente. In ogni caso c’è chi giura
che risolvendolo il problema della compatibilità tra
relatività generale e meccanica dei quanti si darebbe
soddisfazione anche al problema della “singolarità
iniziale” posto da Hawking (e da tanti altri).
Non c’è modo migliore, per festeggiare i cento anni della
relatività generale, che verificare come essa non sia
affatto una teoria superata, ma una teoria viva. Che
entra nel merito delle questioni aperte.
Fonte: Pietro Greco, Relatività generale: l’idea più felice compie cent'anni, ‘Scienza in
rete’, 25 novembre 2015.
Dal punto di vista quantistico lo spazio è creato dall’interagire di
quanti individuali di gravità, è il tessuto risultante dal pullulare
continuo della trama di relazioni prodotta da queste interazioni.
I quanti non abitano lo spazio, abitano l’uno nei paraggi dell’altro e
lo spazio è il tessuto delle loro relazioni di vicinanza.
La stessa cosa va detta a proposito del tempo, che a livello
fondamentale non c’è: le cose cambiano solo in relazione l’una
all’altra. È il tempo che nasce come conseguenza di queste
interazioni. Come lo spazio, il tempo deve emergere dal campo
gravitazionale quantistico.
Il mondo descritto dalla meccanica quantistica è lontano da quello
che ci è familiare. Non c’è più lo spazio che “contiene” il mondo e
non c’è più il tempo “lungo il quale” avvengono gli eventi. Ci sono
processi elementari in cui quanti di spazio e materia interagiscono
tra loro in continuazione.
Fonte: Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2014. p. 159.
Se pensiamo a un processo qualunque, per esempio lo scontro di
due palle da biliardo sul tavolo verde, per trattare questo processo
in gravità quantistica bisogna includere in esso lo spazio in cui le
due palle sono immerse per tutto il tempo trascorso fra l’inizio del
lancio e quella che vogliamo considerare la fine del processo, vale
a dire la piccola porzione finita del grande “mollusco” di Einstein
che riguarda il processo medesimo.
La meccanica quantistica implica che fra il bordo iniziale di questa
porzione dello spaziotempo, dove entrano le due palle, e il bordo
finale, dove escono, non ci sono uno spaziotempo preciso e un
percorso definito delle palle. Ci sarà invece una “nuvola”
quantistica, nella quale “esistono insieme” tutti i possibili
spazitempi e tutti i possibili cammini. E le probabilità di vedere
uscire le palle in un modo o nell’altro sarà calcolata sommando
tutti i possibili “spazitempi”.
Fonte: Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2014. p. 159.
Alanis Morissette 1998