LA VIOLENZA

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LA VIOLENZA
IL FEMMINICIDIO
LA DIMOSTRAZIONE CHE L’UOMO SE LA PRENDE CON I
PIU’ DEBOLI…
Femminicidio è un termine che tristemente e
prepotentemente è entrato nella quotidianità . I dati in Italia
sono infatti impietosi perché ogni anno quasi duecento donne
vengono uccise, una ogni tre giorni.
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Molti sono gli interrogativi che sorgono,ma più di tutti si dovrebbe analizzare, se si vuole
seriamente comprendere il fenomeno, il ruolo della donna, il ruolo dei mezzi di
comunicazione di massa e, non per ultimo, il ruolo dell’uomo nella società di oggi.
L’attenzione che i mass media hanno negli ultimi anni rivolto al tema della violenza sulle
donne è certamente cresciuto tanto che la cronaca quasi quotidianamente ci bombarda con
notizie di questo tipo. La figura della donna compare nei telegiornali, per esempio,
prevalentemente come vittima di casi di cronaca nera. Esse appaiono esseri fragili, esposte
alla violenza e al sopruso, cioè con una identità opposta all’immagine giovane e splendente
offerta dalla pubblicità e dall’intrattenimento.
I mass media giocano un ruolo essenziale in questa costruzione del ruolo della donna perché
offrono schemi per interpretare la realtà nonché la stessa violenza sulle donne. Il loro potere
è tale che si è indotti a pensare che influiscano anche sulle politiche di lotta a tale fenomeno
perché posso indurre i cittadini a chiedere determinati interventi anziché altri.
Ci si deve interrogare quindi sul forte potere dei media e chiedersi se i fatti di violenza sono
trattati per rendere più chiara la comprensione del fenomeno e poterlo prevenire o se l’uso
di temi e linguaggi allarmistici serva a colpire l’attenzione per vendere più copie o aumentare
l’audience. Molte volte capita che sia dato riscontro eccessivo a omicidi compiuti magari da
immigrati sfruttando il facile e superfluo legame tra il fenomeno dell’immigrazione e la
sicurezza che viene percepita.
IL BULLISMO
LA PIAGA TRA I GIOVANI…
Il bullismo è uno squilibrio di potere, persistente nel tempo, in
un dato gruppo in cui si possono riconoscere i ruoli dominanti
del persecutore e dei suoi sostenitori, quelli marginali della
vittima e dei suoi difensori e infine gli spettatori.
• Il fenomeno è cambiato nel tempo poiché in passato il bullo apparteneva
ad una realtà socio-economica e culturale deprivata, mentre adesso
coinvolge anche adolescenti che appartengono a contesti famigliari di un
certo ceto.
• Sia gli adulti, che il gruppo dei pari possono imparare ad osservare alcuni
comportamenti che potrebbero degenerare in atti di bullismo, come lo
scherzo, è importante, infatti, osservare e monitorare come si scherza e
capire che tipo d'interazione si crea quando lo scherzo diventa troppo
prolungato ed insiste su determinate caratteristiche. Bisognerebbe evitare
di liquidare ogni episodio con "E' solo uno scherzo".
• E' anche fondamentale svelare episodi di prepotenza accentuata o
apparentemente insignificante che possono, però, provocare umiliazione
che dipende molto dal soggetto, dalle esperienze e dalla forza, dalle sue
insicurezze.
Un altro segnale importante è il carisma, che è il tipico comportamento spavaldo e
sicuro che sfoggia il bullo nei confronti delle persone adulte con un ruolo autorevole,
come ad esempio, si rivolge ai professori con maggiore disinvoltura, tende a contestare
oltre che a chiedere e si assume responsabilità mostrando indifferenza e
menefreghismo.
I fattori che possono portare ad un comportamento bullistico sono: la famiglia, la
personalità, la cultura, il clima scolastico, sia della classe che dell'istituto, i problemi
d'integrazione e il meccanismo di disimpegno morale, ovvero un meccanismo per cui ci
si autogiustifica e autorizza ad un certo comportamento, con una distorsione delle
conseguenze e disumanizzazione della vittima.
Attraverso il disimpegno morale la vittima si autoassolve perché "la vittima se lo
merita".
Si può correggere questo comportamento analizzando e comprendendo il vissuto, il
contesto e le esperienze del persecutore; si può attaccare il disimpegno morale con il
senso di colpa, la vergogna e l'empatia.
GUERRE RELIGIOSE
UCCIDENDOSI A VICENDA PER VEDERE CHI HA IL MIGLIORE AMICO IMMAGINARIO
LA RELIGIONE PIU’ PACIFICA
LE GUERRE RELIGIOSE SONO SEMPRE ESISTITE NELLA
STORIA DELL’UOMO, MA PARLIAMO DELLE PIU’
ATTUALI
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l giorno d'oggi non si può ancora pensare di essersi liberati finalmente delle guerre di
religione. Anche se nell'Europa occidentale, che ne era stata dilaniata, non ci sono più,
ciò non vuol dire che sia altrettanto nel resto del globo. Le recenti guerre dei Balcani ci
hanno fatto vedere che le guerre di religione sono ancora presenti, anche nel cuore
dell'Europa. I serbi, ortodossi, non hanno forse massacrato i kosovari o nel precedente
conflitto i bosniaci, musulmani e i croati, cattolici? Ma negli ultimi tempi assume
sempre un maggiore risalto nelle prime pagine dei nostri quotidiani il problema del
terrorismo islamico, da ultimo il ritrovamento di un enciclopedia in 6 cd- rom del
perfetto terrorista islamico. Ma cosa spinge le frange più estremiste all'interno
dell'islamismo (non voglio accusare gli islamici in blocco di essere assassini come non
volevo fare altrettanto con i cristiani delle guerre di religione, visto che è chiaro che il
fanatismo va insieme all'estremismo e non alla fede) ad uccidere gli infedeli? Maometto
in fondo non aveva detto che bisognava uccidere l'infedele, aveva solo affermato che
bisognava combattere l'impurità dentro di noi, per essere fedeli (islamico = fedele),
quindi la gihad era proprio la guerra interiore che ciascuno combatteva per essere un
migliore musulmano. Però lo stesso Maometto aveva investito alcune autorità religiose,
i muezzin, del potere di proclamare fatve, cioè comandamenti, indicazione da seguire.
Così nel periodo di espansione degli arabi, un califfo ha pensato bene di far proclamare
una fatva funzionale al suo progetto di conquista: la guerra santa andava combattuta
non nel foro interiore, ma in quello esteriore.
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BASTA
NON NE
POSSIAMO
PIU’
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