Uno sguardo sui principali autori
e sulle dottrine filosofiche, teologiche e scientifiche
dal IV al XVI secolo
…heri dicebamus I
 Nello scorso Anno Accademico abbiamo insieme percorso
un itinerario difficile e nello stesso tempo entusiasmante:
abbiamo esplorato gli antichi Miti e accolto il lento
protendersi della Ragione filosofica da quei Miti e
Racconti.
 Abbiamo ammirato l’acume scientifico dei primi sapienti
che si facevano le domande fondamentali sull’uomo e sul
mondo, e -come cuore del corso- abbiamo trattato i grandi
filosofi greci, che si sono posti i quesiti fondamentali sulla
Natura e sull’Uomo, sull’Essere, sul Bene, sul Vero, i
famosi concetti trascendentali …
…heri dicebamus II
 Abbiamo insieme attraversato il lungo cammino della
grande Filosofia antica del nostro Occidente, incontrando
figure gigantesche come quelle di Eraclito, Parmenide,
Socrate, Platone, Aristotele, Epicuro …
 … avvicinandoci progressivamente al punto di cesura
decisivo tra un prima e un poi, alla nascita di Gesù di
Nazaret, detto il Cristo, che divide il tempo e la storia.
 Abbiamo un poco sorvolato i primi quattro secoli, ma ecco
che ora ci viene incontro un gigante, sant’Agostino
(d’Ippona o da Tagaste), che però noi qui -in sede
filosofica- chiameremo semplicemente Agostino.
Agostino: biografia I
(354-430)
 Aurelio Agostino nasce a Tagaste (una città dell’attuale Algeria
non distante dal confine tunisino).
 Studia a Tagaste, Madaura e Cartagine. A diciannove anni è
riconosciuto eccellente retore, iniziando a fare il “professore” di
grammatica e retorica latine. Conosce una donna a Cartagine
(Floria Emilia, come suggerisce Jostein Gaarder in Vita brevis?) e
con lei ha un figlio, Adeodato (dato da Dio).
 Parte per l’Italia e va a Roma nel 383 e poi a Milano, dove si
compie il grande cambiamento, dopo l’incontro con il vescovo
Ambrogio. A Cassiciaco fonda il primo gruppo di studio e
meditazione sulla Scrittura con un gruppo di amici, tra i quali il
suo biografo Possidio.
Agostino: biografia II
 Nel 387 torna in Africa, dopo la morte della madre
Monica. A Tagaste fonda un cenobio per studiare le
Scritture, si trasferisce per un breve periodo a
Cartagine e poi ad Ippona, dove è ordinato sacerdote.
 Nel 395 è nominato vescovo di quella città, l’attuale
Hannàba in Algeria.
 Muore durante l’assedio di Ippona da parte dei Vandali
di Genserico.
 La considerazione e l’importanza di Agostino sarà
immensa fino a oggi, sia in ambito cristiano sia extra.
Agostino: formazione
 A diciannove anni Agostino è già considerato vir
eloquentissimus atque doctissimus, in realtà essendo
un ottimo retore e grammatico latino.
 Uomo vivacissimo e inquieto conosce un cambiamento
quando incontra la filosofia ciceroniana dell’Ortensio,
opera perduta, che lo avvicina al pensiero greco-latino.
 Lo colpisce come un dardo che dà una ferita
inguaribile il problema del male, cui dedicherà molti
sforzi di riflessione teologica e filosofica. Il male come
dimensione generale della vita umana: metafisica,
fisica e morale.
Agostino: manicheo!
 Il tema del male gli fa credere alla veridicità della
dottrina del sacerdote orientale Mani, che riteneva vi
fossero due principi originari: quello del Bene e quello
del Male perennemente in lotta.
 Agostino approfondisce il tema acquisendo coscienza
che il principio stesso del male è nell’uomo, nella
sua possibilità di scelta, nella sua libertà.
 Ecco che Agostino coglie nel primato della
spiritualità la chiave fondamentale di lettura
dell’essere umano, ereditando la lezione platonica
tramite la dottrina di Plotino.
Agostino: il dubbio e Dio
 1200 anni prima di Cartesio, Agostino indica,
dubitando, la dottrina psicologica del soggetto,
dell’uomo che fonda la sua stessa ragion d’essere sul
dubbio, sulla riflessione intorno alla verità.
 Il coglimento della verità, così come in Platone (con
la reminiscenza) e Plotino (con l’illuminazione), dà ad
Agostino la certezza che la verità si fondi sulla sua
eternità trascendente, illuminata dal Verbo stesso di
Dio, ratio superior: “(…) noli de te exire, in teipsum
redi, quia in interiore homine habitat veritas (…)”.
Agostino: filosofia e religione
 L’illuminazione divina è per Agostino l’inizio di ogni
sapienza: tutto deriva da Dio, soprattutto la verità, che
si può manifestare, sia nella sua veste religiosa della
fede, sia nella sua veste intellettiva della ragione.
 Con uno dei suoi aforismi, che spesso si configurano
come ossimori, Agostino afferma che il cristianesimo è
la vera filosofia: con ciò egli non intende dire che il
cristiano debba rinunziare alla riflessione razionale,
ma che questa è illuminata dalla fede nelle cose celesti
che riguardano Dio e che sono state rivelate all’uomo
dalla Scrittura e dalla Persona di Gesù Cristo.
Agostino: la sapienza vera
 San Bonaventura da Bagnoregio avrebbe intitolato 900 anni
dopo Agostino la sua opera maggiore: Itinerarium mentis in
Deum, Itinerario della mente verso Dio: è la posizione
agostiniana.
 Tutte le discipline della scienza umana, per Agostino,
debbono essere al servizio della ricerca di Dio, che nella sua
essenza resta inaccessibile, ma a cui ci si può avvicinare se
gli occhi della ragione si alleano alla visione di fede.
 Nulla del mondo sfugge alla scienza divina e pertanto,
trattando della scienza divina, si possono conoscere anche
le cose del mondo.
Agostino: Dio-Trinità
 Ma Dio, che “è colui che è” (ejeh asher ejeh, Esodo 3, 14), e anche
l’ipsum esse subsistens, cioè l’essere stesso sussistente, vere esse
enim semper eodem modo esse, il vero essere che è sempre nello
stesso modo, impassibile ed immobile, ma che nel contempo
contiene la dinamicità che è propria dell’anima umana, unica sua
analogia accessibile all’uomo stesso.
 L’anima, infatti, agisce sia come memoria, sia come intelligenza,
sia come volontà, e pertanto Dio stesso può essere detto nella sua
unica natura come mens, notitia et amor, Padre Figlio e Spirito.
 Deus, per Agostino, non è solo il Padre, ma la Natura stessa di
Dio vivente nelle tre Persone: e in questo il nostro grande padre
latino si differenzia da molta teologia greco-alessandrina
(Cirillo, in parte Origene stesso, Eutiche, etc.).
Agostino:
la creazione, il tempo e l’anima I
 Per Agostino Dio è l’essere, l’intelligenza e la volontà
per sé sussistenti, uno e unitrino, atto d’essere
atemporale.
 La creazione è invece vestigium Dei, libero atto d’amore
creativo. Ciò che è nel e del mondo deriva il suo essere e il
suo esistere dalla libera volontà creatrice di Dio; tutto ciò
che esiste o che può esistere secondo una ratio seminalis di
Dio stesso, da lui deriva e ha l’essere.
 Ogni essere creato da Dio è limitato e finito: dall’Infinito e
dall’Incondizionato di Dio deriva il finito e il condizionato
delle creature, tra le quali l’uomo.
Agostino:
la creazione, il tempo e l’anima II
 Il tempo stesso è con-creato con le creature che stanno
dentro al tempo (forse qui non siamo tanto distanti da
alcune teorie astrofisiche contemporanee), e quindi il
tempo ha un inizio e una fine, ma il tempo esiste solo in
quanto presente, poiché il passato e il futuro non esistono
più o non esistono ancora: pertanto, per Agostino si può
dire che solo alla mente esiste un presente del passato come
memoria e un presente del futuro come attesa e speranza.
 È l’anima che percepisce il tempo come durata,
comprendendo confusamente che questa durata è dentro
l’atemporalità dell’eterno, cioè di Dio.
Agostino: il male e la libertà
 Per Agostino il male esiste, ma il male non ha l’essere,
essendo l’essere solo di Dio, perché il male è una
mancanza, una privazione (defectio boni, mancanza di
bene) e l’uomo lo può declinare in tre modi:
 - male metafisico: defectio boni, cioè non-essere.
 - male fisico: cui l’uomo si deve adattare cercando i
rimedi della ragione naturale,
 - male morale: esso deriva dall’esercizio del libero
arbitrio che però per Agostino è limitato, e vedremo
più avanti questo difficile tema.
Agostino:
la grazia e la libertà nell’uomo I
 L’occasione per trattare il tema in tutta la sua profondità
per Agostino è la cosiddetta “polemica antipelagiana”, dal
nome di un monaco irlandese che aveva una visione
antropologica e teologica molto diversa dal maestro
numida.
 Pelagio riteneva che l’uomo stesso con le sue opere avrebbe
deciso della propria salvezza, mentre Agostino era più
propenso alla centralità della Grazia divina, che ogni anima
credente deve umilmente chiedere a Dio per la propria
salvezza.
 Il rapporto tra grazia e opere risale a san Paolo (Lettera ai
Romani) di cui Agostino era attento interprete: il tema è
quello della debolezza umana e dell’umiltà che Agostino
predica come virtù somma, e quindi dell’affidamento a Dio.
Agostino:
la grazia e la libertà nell’uomo II
 Grazia e Libertà sono i temi che resteranno nella
discussione teologico-morale fino a Lutero e ai nostri
giorni.
 Agostino, fondamentalmente pessimista sulla natura
umana, ritiene che solo la fede nell’imperscrutabile e libera
volontà di Dio possa trovarsi la salvezza, non data (o non
solo) per atto di giustizia e riparazione, ma gratia gratis
data, per infinità bontà del Creatore stesso.
 Per Agostino, solo il sacrificio sulla croce di Gesù Cristo ha
potuto dare soddisfazione all’infinita offesa inferta a Dio
dall’uomo che gli ha preferito nel tempo i beni finiti
piuttosto che Lui stesso. L’unico sacrificio di espiazione e
soddisfazione degno dell’infinità divina.
Agostino: le “due città” e la storia
 Nella vita dell’uomo, nella storia umana vi è una continua
tensione, fra la “città dell’uomo” (civitas terrena) che egli ha
costruito nella storia (civiltà, regni, battaglie, conquiste,
sconfitte, etc.) e la “città di Dio” (Civitas Dei), preparata per
l’uomo, ma che attende dall’uomo una sua disposizione
spirituale ad accedervi.
 Nella grande opera omonima Agostino traccia una specie di
teologia della storia o teodicea, per rappresentare la
possibilità che nella Chiesa universale di Cristo, cioè nella
“chiamata di tutti i popoli e genti di ogni tempo e luogo” si
possa realizzare alla fine la ricongiunzione e la
riconciliazione tra “le due città” (mundus reconciliatus),
nella vita eterna.
L’eredità di Agostino
 Non è facile dire qui quale e quanta sia l’eredità di Agostino nel tempo,
e nel nostro tempo in particolare.
 Se lo si considera come pensatore cristiano, si tratta indubbiamente del
più grande Padre latino della Chiesa; se lo si considera come filosofo, si
tratta forse del maggior pensatore neo-platonico, ma caratterizzato da
una personalità così autonoma e particolare che la dizione “pensatore
neo-platonico” sembra molto riduttiva.
 Se infine lo si considera come “pensatore” tout court, si tratta della
figura iniziale e forse più importante della cultura occidentale ai suoi
primordi, e dell’autore di una sintesi insuperata tra cultura greco-latina
e cultura biblica, fonti immortali per tutti e per ciascuno di noi.
 La sua eredità odierna, peraltro ripresa in molti autori contemporanei e
nella ricerca antropologica (Husserl, Jung, etc.), nonché dal papa
Benedetto XVI, è fortemente attuale e meritevole di grande attenzione,
per la perspicacia profondissima delle sue riflessioni sulla struttura
naturale (psicologia) dell’uomo e sul suo rapporto con la trascendenza.
Agostino: le opere principali e
alcuni studi
 Opere di Sant’Agostino: De Civitate Dei, De Trinitate, Confessiones,






De Doctrina Christiana, De libero arbitrio, Soliloquia, Commentarium
ad Johannem, Expositio super Psalmos, De immortalitate animae,
Litteras, Contra accademicos, etc. edizione latino-italiana, diretta da
A. Trapè, cura di vari, ed. Città Nuova, Roma 1965 e sgg., e sul web
in www.augustinus.it
Opere politiche, ne Il pensiero politico cristiano, vol II, a cura di G.
Barbero, Utet, Torino 1965
La vita di sant’Agostino, scritta da Possidio, trad. it. A cura di M.
Pellegrino, “Verba seniorum”, 4, Alba 1955
M. Pellegrino, Le “Confessioni” di Sant’Agostino, Studium, Roma
1956
A. Pincherle, Sant’Agostino, Laterza, Bari 1939
H. Marrou, Sant’Agostino, Mondadori, Milano 1965
P. Brown, Agostino, Einaudi, Torino 1971
Proclo I
(412-485)
 L’impero romano d’Occidente, con la morte di
Agostino si avviava al declino. In Oriente brillava
ancora la luce della filosofia neo-platonica, di cui
Proclo fu sommo esponente.
 Nato a Costantinopoli, studio ad Alessandria e ad
Atene con insigni maestri della tradizione platonica
così come la portarono avanti Plotino e Porfirio,
Olimpiodoro, Plutarco e Siriano.
 Da Plotino, Proclo prese alcuni principi fondamentali:
- la provenienza di tutti gli esseri dall’Uno,
Proclo II
- l’Uno è oltre l’essere delle cose,
- L’Uno è oltre il tutto, oltre ogni distinzione di generi e
specie,
- L’Uno è inconoscibile e ineffabile,
- dell’Uno non può dirsi e predicarsi alcunché, poiché
ogni predicazione porta limitazione …
Dell’Uno, quindi, si può dire solo mediante negazioni:
l’Uno non è … non è … non è, applicando una teoria
riflessiva del silenzio, detta apofatica.
Proclo III
 Dall’Uno tutto procede in modo triadico, perché l’Uno
permane in sé, pur generando ciò che appare all’essere,
il molteplice fuori di sé, ma che deve ritornare all’Uno
per i suoi limiti.
 La processione avviene secondo una certa scalarità per
cui ogni essere deriva dal superiore e produce
l’inferiore in un rapporto di causalità e partecipazione
(sembra il contrario dell’evoluzione darwiniana!), ma il
tutto è per poi essere ricongiunto all’Uno, in un
sommo atto di intuizione estatica, che supera ogni
discorso (diànoia) e ogni intellezione umana (nòesis).
La chiusura delle scuole filosofiche
 Nel 529 l’imperatore Giustiniano ordinò la chiusura
di tutte le scuole filosofiche di Atene. Per l’impero esse
sostenevano dottrine incompatibili con quella
cristiana, che era diventata, con Teodosio I, religio
principis et imperii.
 In ogni caso la tradizione filosofica classica,
soprattutto quella platonica, sopravvisse e si innestò
comunque nel filone filosofico-religioso cristiano.
 Un’opera fondamentale di quest temperie fu la raccolta
denominata corpus dyonisianum, di autore ignoto, ma
solitamente attribuita a un Dionigi l’Areopagita.
Il corpus dionysianum
 È composto da quattro trattati di enorme importanza

teologico-filosofica:
De coelesti hierarchia,
De ecclesiatica hierarchia,
De divinis nominibus,
De mystica theologia.
L’ispirazione di questi testi è senz’altro platonicoplotiniana, ponendo il tema dell’Uno come fonte di ogni
essere, di cui si può dire solo negando ogni possibilità di
definizione, essendo possibile solo l’illuminazione della
manifestazione dell’Uno (teofania) che esprime il
molteplice delle cose del mondo e dell’uomo stesso.
Da sant’Agostino a Boezio
 In Occidente la teologia e la filosofia agostiniana si
diffondono sempre di più e vengono raccolte nel VI secolo
in particolare da Severino Boezio.
 Amico e consigliere di re Teodorico, cadde in disgrazia per
un supposto accordo con il basileus di Costantinopoli e fu
imprigionato. In carcere scrisse la grande opera De
consolatione philosophiae, che segna l’inizio della
riflessione filosofica alto-medievale.
 Boezio si occupò anche dei testi aristotelici traducendo
l’Organon, cioè le Categorie, il De interpretatione, gli
Analitici primi e secondi e i Topici. Spiegare la Logica e la
Metafisica platonico-aristotelica furono la sua missione
filosofica più ambiziosa, che gli riuscì solo in parte.
Severino Boezio
(480-526)
 Nel De consolatione philosophiae Boezio invita alla
contemplazione di Dio in questa vita nel mondo, che è
come un inserto nell’eternità (interminabilis vitae tota
simul et perfecta possessio).
 Straordinaria e insuperabile è la sua definizione
antropologica dell’uomo: “persona est rationalis
naturae individua substantia”, la persona è una
sostanza individuale di natura intellettuale.
Dalla rinascita carolingia al XII sec.
 A volte si sente parlare di “secoli bui” con riferimento a
quel periodo che gli storici, nell’arbitraria
classificazione a posteriori, chiamano “Medioevo”. Vi è
da chiedersi “Medioevo” rispetto a chi, a cosa?
Certamente rispetto agli studiosi degli ultimi duecento
anni, che si sentono in grado quasi di dominare il
passato … e alcuni aggiungono “secoli bui”.
 Ma “bui” perché? Se il Medioevo ha avuto pensatori
come Boezio, come Abelardo, come Anselmo, come
Tommaso, come Bonaventura?
I secoli VII-XII
 Forse si possono individuare due linee di pensiero
nella christianitas medievale, quella degli “agostinisti”
intrisi di pessimismo antropologico, come Pier
Damiani e san Bernardo, e altri pensatori più
fiduciosi nella ragione umana e nella possibilità
autoredentiva dell’uomo, come Abelardo, i Vittorini
e i filosofi della scuola di Chartres.
 In questi secoli, comunque, il minimo comun
denominatore è quello teologico, per cui la filosofia
occidentale è del tutto assorbita nella riflessione
teologica, come stiamo constatando.
Giovanni Scoto Eriugena
(810-877)
 Dotto e pensatore ardito del IX secolo, agostiniano nella struttura
del pensiero, Giovanni Scoto Eriugena non fu considerato
molto ortodosso dalla Chiesa, perché considerava la ragione
come ausilio indispensabile della fede: fede e ragione non
potevano essere disgiunte nella vita spirituale dell’uomo.
 Egli sosteneva che “senza la ragione la fede è lenta, ma senza la
fede la ragione è vuota”. Ben si capisce come ci si stia muovendo
verso altri lidi intellettuali, che troveranno un paio di secoli dopo
emuli straordinari come Anselmo d’Aosta e Abelardo, sia pure su
fronti diversi.
 Per Giovanni Scoto Eriugena ”Dio è creatura increata creante e il
mondo naturale è natura creata creante“ (evoluzionismo in
nuce).
Il problema degli universali
 La domanda derivava dalla tradizione aristotelica così come
l’aveva trasmessa Porfirio (nell’Isagoge): le idee universali che
abbiamo delle cose corrispondono alle cose stesse come concrete
e reali? Il dibattito fu accanito tra tesi estreme: tra il realismo (cf.
Gerberto d’Aurillac) che sosteneva come le idee universali
fossero realtà in sé, e il nominalismo (cf. Roscellino di
Compiegne, aristotelico, maestro di Abelardo) che sosteneva
l’opposto, che cioè le idee sono solo i nomi che diamo alle cose.
Berengario di Tours propose invece la tesi intermedia della
dialettica tra i nomi/idee e le cose stesse.
 Intanto nella Chiesa reagivano personaggi come Pier Damiani
che trovava inaccettabile inquadrare le realtà del mondo in
concetti logici che pretendessero di comprendere l’infinità di
Dio-Creatore.
La “Scuola di Chartres”
 Il XII secolo vide uno straordinario risveglio spirituale,
scambi tra mondi diversi (anche per le Crociate); fu allora
che fiorirono diverse scuole teologico-filosofiche, come
quella di Chartres.
 Alcuni nomi: Adelardo di Bath, che conobbe Euclide
tramite gli arabi; Bernardo e Thierry di Chartres,
Gilberto Porrettano, Guglielmo di Conches, Alano di
Lilla …
 Questi autori sostenevano che la scienza nutrita dalla
ragione non è che la spiegazione con linguaggio umano del
linguaggio divino, che altrimenti resterebbe
incomprensibile all’uomo.
Pietro Abelardo
(1079-1142)
 Troppo nota è la sua storia dolorosa e intensa con Eloisa,
perché ivi ci soffermiamo. Qui parliamo della
sottolineatura potente della ragione, che Abelardo,
forse con forza maggiore di altri, sostenne al prezzo di
scontri ed esili.
 Per Abelardo la logica della ragione era precisazione di
termini, liberazione da oscurità incomprensibili, chiarezza.
 … ma diceva: “Io non voglio essere filosofo contraddicendo
san Paolo; né voglio esser un Aristotele per separami da
Cristo”.
San Bernardo di Chiaravalle
(1091-1159)
 Fu l’avversario per eccellenza di Abelardo. Ma Bernardo faceva
parte di un contesto monastico che si opponeva a quella che
veniva ritenuta un’eccessiva sottolineatura della ragione a scapito
della fede in Dio.
 In un certo senso troviamo su fronti opposti Reims, Laon, Parigi
e Chartres, da un lato e Citeux, Clairvaux e Signy dall’altro, le
città mercantili e universitarie vs. i monasteri benedettini nelle
varie congregazioni nascenti (Cistercensi, etc.).
 Per Bernardo in Abelardo c’è l’usurpazione totale del ruolo della
fede da parte della ragione, poiché l’uomo non può “levarsi
superbamente faccia a faccia con Dio in un’intuizione solamente
intellettuale”…
I “Vittorini”
 Se san Bernardo tendeva a privilegiare la fede per amore di
Dio sul sapere razionale, come in un perenne moto
dialettico, nell’Abbazia parigina di San Vittore, si cercò di
conciliare fede e ragione.
 I due maggiori rappresentanti di tale tendenza furono Ugo,
sassone e Riccardo, scozzese.
 Da loro pervenne la sintesi che meglio rappresenta la
collaborazione e quasi la fusione di ragione e fede, di mente
e cuore, il progresso spirituale rappresentato dai tre
momenti: cogitatio, meditatio, contemplatio, cioè i gradi
che innalzano le creature al Creatore. Riccardo addirittura
parla di: dilatatio mentis, sublevatio mentis e infine di
alienatio mentis.
Anselmo d’Aosta I
(1033-1109)
 Nato a Pavia, Anselmo fu monaco a Bec in Normandia, e
poi consacrato vescovo di Canterbury; non ebbe vita facile
con i potenti del tempo (re Guglielmo II).
 Scrisse alcune opere che furono fondamentali per la ricerca
filosofica e teologica successiva: Monologion, Proslogion,
De Veritate, De libertate arbitrii, Cur Deus homo, etc..
 Il suo attributo di “padre della Scolastica” deriva dal fatto
che per primo concepì la possibilità di una teologia come
scienza.
Anselmo d’Aosta II
 Fides quaerens intellectum, era il suo motto, cioè un
atteggiamento di apertura alla potenzialità conoscitiva della
ragione, ma illuminata dalla fede: non solo ratio e non solo
auctoritas, dunque. Vi è per Anselmo una ratio fidei, cioè una
possibilità di sviluppare la conoscenza tramite l’affidamento alla
fede, che non riduce la ragione, bensì la rinforza.
 Ciò è possibile perché la ragione umana stessa è parte, se pure
sbiadita e indebolita, della Ragione divina, che governa tutte le
cose.
 È la debolezza della ragione umana che dice perché essa stessa
debba operare indefinitamente senza la pretesa di comprendere
totalmente quella divina.
 Ragione e fede sono dunque per Anselmo due momenti di un
unico processo conoscitivo, che cresce in funzione del’armonia
che l’anima umana riesce e dar loro.
Anselmo d’Aosta III
 Anselmo si impegnò a riflettere sull’esistenza di Dio in
modo originale, sia rispetto ai predecessori, sia rispetto
ai pensatori successivi, come san Tommaso d’Aquino.
 Se vi sono, dice Anselmo, cose buone che conosciamo,
non vi può essere che un Summum Bonum che tutte
le ricomprende e riassume, come Bene in sé.
 Summe Bonum è anche Summe Magnum, e infine
Esse Summum Omnium.
 Questo Essere è dunque Id quo magis cogitari
nequit, Ciò di cui non si può pensare nulla di più
grande, l’Essere Assoluto, cioè Dio stesso.
Anselmo d’Aosta IV
 La cosiddetta “prova ontologica” dell’esistenza di Dio
suscitò non poche perplessità successive.
 Sostenitori della prova ontologica anselmiana nella
storia della filosofia furono san Bonaventura,
Leibniz e Hegel: per costoro l’esse in mente coincide
con l’esse in re. La realtà corrisponde alla razionalità.
 Altri, da Gaunilone di Tours (monaco benedettino), a
san Tommaso d’Aquino a Kant, tale ragionemotivazione non si reggeva sul piano razionale, perché
non sarebbe possibile un passaggio dall’ordine logico
all’ordine ontologico, così tout court.
Il XIII secolo
 Secolo fondamentale, è il periodo di Tommaso e Bonaventura,




il secolo della grande filosofia e teologia “scolastica”.
La grande novità culturale è costituita dalla scoperta dell’opera
integrale di Aristotele, di fisica, metafisica, politica e morale.
Fonti importanti della riscoperta aristotelica furono gli arabi
Avicenna e Averroè.
… ma fu Tommaso d’Aquino a tentare di utilizzare la ragione
aristotelica nella teologia e filosofia cristiane.
I due ordini mendicanti fondati al tempo, rispettivamente da
Francesco d’Assisi e Domenico Guzman, i francescani e i
domenicani si riferirono alla tradizione agostiniana, più
platonica, e a quella aristotelica, mediante Tommaso.
Le filosofie araba ed ebraica
 Le relazioni tra la filosofia araba e quella cristiana sono
indubbie: infatti furono i cristiani di Siria (cf. Scuola di
sant’Efrem il Siro di Nisibis di Edessa) a tradurre in
arabo le opere di Aristotele e degli altri antichi filosofi
(Platone). Non a caso l’imperatore Zenone la chiuse
per il suo “nestorianesimo” (visione teologica che
considerava solo la natura umana di Gesù Cristo).
 Le tendenze filosofiche arabe, in qualche modo
influenzate, oltreché dalle dottrine islamiche, dalle
opere della classicità filosofica greco-antica si possono
dividere in orientali e occidentali.
Alfarabi (sufita) e Avicenna
 Alfarabi di Bagdad (950 ca) era un platonico-aristotelico
classico, accettando egli dai due grandi greci anche la
divisione dei saperi, a partire dalla teologia o metafisica,
secondo la quale Dio stesso muove tutto (primo motore
non mobile). L’intelletto umano, invece, procede da Dio
stesso per illuminazione.
 Avicenna (Ibn Sina, 980-1037) fu il massimo filosofo
musulmano orientale. Persiano di nascita scrisse la sua
opera maggiore in arabo (Sufficientiae, cioè aš-Šifa), nella
quale comprese logica, fisica, matematica, scienze naturali,
psicologia e metafisica.
Avicenna I
 Avicenna divise i temi in: logica, propedeutica alla
filosofia, filosofia speculativa (fisica, matematica e
teologia) e filosofia pratica (etica, economia e politica), e la
teologia in prima (quella di derivazione greca) e seconda
(di derivazione islamica).
 La sua gnoseologia è aristotelica, ma anche platonica (e
potremmo dire quasi agostiniana e pre-cartesiana), perché
ammette la possibilità della coscienza di sé anche
prescindendo dall’esperienza.
 Per lui tutti gli esseri sono necessari anche se, in sé,
contingenti: io nasco per decisone altrui, e quindi sono
necessitato a nascere, ma poi muoio, e dunque la mia è una
struttura ontologica contingente.
Avicenna II
 La serie delle cause non è però infinita, cosicché si deve
giungere ad una causa-incausata, a un essere necessario e
non contingente.
 In questa prospettiva Avicenna è aristotelico, attribuendo
solo all’essere necessario l’essenza in sé e per sé, e all’essere
contingente l’essenza per analogia.
 Egli segue Aristotele anche nella teoria della potenza e
dell’atto, come principio di mutamento in altro in quanto
altro, distinguendo tra potenza attiva (agente) e passiva nel
paziente: ciò si manifesta dalla potenza pura, materia
prima fino all’atto puro, l’essere necessario.
Avicenna III
 Solo Dio è l’Essere necessario, che crea
incessantemente, Egli è il Bene assoluto, agente
dall’eternità mediante una Intelligenza prima, che
possiede essenza ed esistenza, e altre dieci Intelligenze
in grado di colmare tutte le gradazioni dell’essere che
le separa dall’Uno, da Dio stesso.
 La Decima Intelligenza è quella che dà la forma
corporeitatis a tutti gli esseri che esistono come
emanazioni, a partire dall’intelletto umano.
Algazali I
(1058-1111)
 Algazali fu un pensatore, potremmo dire, ortodosso
dell’Islam, poiché si oppose sia ad Alfarabi sia ad
Avicenna. Era soprattutto un teologo, e quindi legato a
una visione del mondo e del rapporto con Dio di tipo
fideistico. La sua Destructio philosophorum provocò
più tardi la reazione di Averroè con la Destructio
destructionis philosophorum.
 Per Algazali il mondo è stato creato da Dio dal nulla,
per cui il succedersi degli eventi è dovuto solamente
all’onnipotenza di Dio stesso.
Algazali II
 Filosofo (suo malgrado in qualche modo), teologo e
sufi, fu uno scrittore mistico e spirituale.
 Da Bagdad, dove studiava e insegnava, si portò in Siria
per condurre una vita ascetica e contemplativa,
condividendola a volte con dei discepoli.
 Il suo ritiro e scuola sufistica fu a Tus, e la sua ricerca
fu essenzialmente mistica: potremmo pensarlo come
un emulo dei Padri del deserto della tradizione
cristiana dei primi quattro secoli dopo Cristo.
Averroè I
(1126-1196)
 Averroè o Ibn Rušd, studiò a Cordoba teologia,
giurisprudenza, medicina, matematica e filosofia.
 Dedicò la sua vita di studio a commentare
essenzialmente i testi aristotelici, dividendoli in tre
parti: a) i commentari minori, dove le sue tesi si
mescolano a quelle del maestro di Stagira, b) i
commentari maggiori dove si distingue meglio il suo
pensiero, c) i piccoli commenti, destinati ad allievi e
studenti.
Averroè II
 Per Averroè Dio estrae le forme delle cose materiali
dalla potenza della materia pura, e quindi propone una
creazione, una generazione di ogni cosa determinata.
 Circa l’anima spirituale, o intelletto agente, Averroè
non ammette la sopravvivenza individuale al corpo,
ma il ricongiungimento all’Intelletto agente universale,
tesi questa combattuta da Tommaso d’Aquino.
 Il più importante contributo di Averroè lo troviamo
probabilmente nel suo studio del rapporto tra teologia
e filosofia.
Averroè III
 Egli teorizzò una sorta di “doppia verità” delle cose,
che la filosofia e la teologia comprendono
diversamente: a) la filosofia con il suo metodico
procedere logico e scientifico, b) la teologia con la
metafore e il sapere allegorico.
 Non vi è una gerarchia tra i due saperi, ma una
integrazione che permette all’intelletto umano una più
completa conoscenza delle opere dell’intelligenza
divina: mentre il Corano si esprime per essere
compreso dall’uomo comune, il testo filosofico va oltre
l’allegoria cogliendo la verità intelligibile.
La Kabbala e la filosofia ebraica
 La filosofia ebraica può essere fatta iniziare da Filone
Alessandrino (ca 25 a.C. - ca 40 d.C.), che cercò di
conciliare la tradizione giudaica con la filosofia greca,
specialmente di tradizione platonica.
 La qabbālāh, cioè la “tradizione” propose la teoria
emanazionista di stampo neoplatonico, con un inizio
risalente al X secolo e uno sviluppo fino al XIV,
soprattutto per merito del filosofo giudeo-spagnolo
chiamato Avicebron (testi kabbalistici: lo Jezirah, la
Creazione, e lo Zohar, lo Splendore).
Avicebron (Salomon Ibn Gabirol) I
(1021-1070)
 La sua opera principale Fons vitae, fu scritta in arabo, e
perciò fu ritenuto al suo tempo arabo.
 La sua impostazione filosofica è senz’altro
neoplatonica, concependo l’esistenza di tutti gli esseri
come “emanazioni divine”, per cui l’unica possibilità di
accedere alla nozione di Dio è la via dell’intuizione
estatica.
 Dio, per Avicebron, crea attraverso l’Anima del
mondo che procede da lui, ed è materia e forma della
creazione.
Avicebron (Salomon Ibn Gabirol) II
 Avicebron sostenne la “natura ilemorfica” delle
creature (composizione di materia e forma), e quindi il
loro limite, rispetto alla semplicità e unitarietà
ontologica di Dio.
 Questa natura, però, è graduata nelle varie forme
dell’essere: ad esempio la forma corporeitatis
dell’uomo comprende, sia la vita vegetativa (in comune
con il mondo vegetale) sia la vita sensitiva (in comune
con la vita animale), sia vita intellettiva (tipica
dell’uomo).
 Bonaventura da Bagnoregio riprese alcuni suoi temi.
Mosè Maimonide I
(1135-1204)
 Nel suo trattato forse più importante, La guida dei
perplessi, di impostazione aristotelica, egli cerca di
dare alla teologia una base razionale filosofica.
 Ciò che nella Bibbia si mostra in contrasto con le
acquisizioni della ragione e della scienza, deve essere
interpretato in maniera allegorica, ma nella
concezione di “Dio” Maimonide si avvicina a Platone,
concependo la Divinità come “onnipotenza” assoluta e
quindi in grado di creare dal nulla.
Mosè Maimonide II
 Maimonide ebbe non pochi problemi dai suoi
correligionari, che lo ritenevano troppo razionalista,
ma la sua ricerca procedette, in parte ispirata dagli
scritti di Alfarabi e Avicenna, anticipò alcune
determinazioni teoriche di Tommaso d’Aquino, come
sul tema delle prove dell’esistenza di Dio, anche se
scegliendo prevalentemente affermazioni “negative”,
cioè “Dio non è …, non è …, non è …, non è …, per cui,
non essendo ciò che l’intelligenza umana può dire,
supera infinitamente ogni concetto dicibile”.
Filosofia araba e aristotelica in
Occidente
 Nel XII e XIII molti centri culturali cristiani, ebraici e
arabi presenti sul territorio europeo, dalla Spagna
all’Italia favorirono il lavoro di capaci e tenaci
traduttori per la traduzione in latino -anche attraverso
un passaggio nelle nascenti lingue “volgari”- delle
opere dei filosofi arabi di cui abbiamo parlato, e delle
opere di Aristotele.
 Centri come Toledo, Padova, Oxford o la Palermo di
Federico II di Svevia, operarono alacremente sui testi
antichi di origine siriaca, araba e greca.
La reazione ecclesiastica
 Anche se molti lavori di traduzione avvenivano in ambienti
ecclesiastici, la prevalenza delle dottrine aristoteliche (ad
es. la Fisica aristotelica vs. il Timeo platonico) non mancò
di preoccupare gli ambienti ufficiali della Chiesa cattolica
nelle sue varie articolazioni, reagisce, con divieti e
proibizioni delle dottrine aristoteliche, ritenute troppo
razionaliste.
 Pensatori come Avicenna, Averroè, e al-Gazzālī, dal 1223 al
1263, furono messi all’indice dai papi Gregorio IX,
Innocenzo IV e Urbano IV. Ma ciò non sortì grandi effetti,
perché stava per iniziare la stagione della grande
“scolastica” con Tommaso d’Aquino, che già stava studiando
e producendo testi fondamentali per la teologia e la
filosofia del tempo, e oltre.
Origine e strutture delle università
dell’Occidente medievale I
 Il lungo lavoro di ripresa e assorbimento della grande
filosofia greco-araba creò le condizioni per la
fondazione di Studia e di Universitates studiorum atti a
sviluppare liberamente gli studi nuovi, mediante
forme di associazionismo libero e diverso dalla
tradizione monastica e abbaziale.
 Centri come Bologna, Parigi, Oxford, Colonia
diventano luoghi di irradiazione formidabile delle idee
e degli autori più controversi, soprattutto della
tradizione aristotelica.
Origine e strutture delle università
dell’Occidente medievale II
 Accanto agli studi teologici e filosofici si sviluppa la
Facultas artium, nella quale si organizzano liberamente i
corsi di medicina e diritto, secondo i propri iura et
libertates e senza condizionamenti ecclesiastici (cf. scuola
di medicina di Salerno).
 Tra i grandi centri universitari si devono annoverare fin
dalle origini Parigi, Bologna, Padova, Tolosa, Oxford,
Colonia.
 Si iniziò, da Parigi a Oxford a Bologna a comporre la
possibilità di studiare ancora i Padri (Agostino in primis),
insieme con le nuove dottrine provenienti dalla tradizione
greco-araba, anche se nel XIII sec. si realizzò il progressivo
distacco della filosofia dalla teologia.
Filosofia e Teologia nel XIII secolo I
 Il fondo platonico-agostiniano di questi saperi permase dai
tempi dei Padri fino al XIII secolo.
 Il tema era quello tra fede e intelletto: l’intelletto, creato
da Dio, non può che essere, secondo questa impostazione
teoretica, il mezzo che permette alla verità, e alla verità
della fede, di estrinsecarsi.
 Intelletto e fede sono perciò strettamente connessi, perché il
primo è illuminato dalla fede e questa è aiutata
dall’intelletto.
 La novità è dunque costituita da una sorta di affrancamento
dell’intelletto dalla fede, con la ripresa scolastica
dell’aristotelismo.
Filosofia e Teologia nel XIII secolo
II
 La filosofia, fino ad allora quasi sinonimico procedere della
dottrina della fede, la teologia, inizia un percorso
autonomo, affidato alla pura ragione naturale.
 Iniziano a quel punto due itinerari, che possiamo così
definire: a) prosecuzione della tradizione platonicoagostiniana di una teologia filosofica cristiana, facente capo
a Bonaventura da Bagnoregio; b) inizio della scolastica,
basata su una forma di aristotelismo cristianizzato ad opera
di Tommaso d’Aquino.
 Francescani e domenicani, gli ordini mendicanti fondati da
Francesco d’Assisi (1182-1226) e Domenico Guzman
(1170-1221), sono dunque i protagonisti del rinnovamento
del pensiero cristiano del XIII secolo.
L’agostinismo francescano
 Prima di Bonaventura, vanno annoverati alcuni maestri insigni
come Guglielmo di Auxerre, Guglielmo di Alvernia e
Alessandro di Hales.
 Il compito affidato a costoro dalle autorità ecclesiastiche fu
quello di “depurare” in qualche modo le dottrine aristoteliche
alla luce della tradizione agostiniana: la principale mediazione
riguardò il tema dell’anima spirituale.
 Costoro accolsero la definizione di anima forma corporis, ma
mantennero anche la nozione platonico-agostiniana di un’anima
come entità autonoma dal corpo.
 I concetti di intelletto possibile e di intelletto agente di
derivazione aristotelica furono declinati in linguaggio
agostiniano come ratio inferior e ratio superior.
Bonaventura da Bagnoregio I
(1221-1274)
 Nel pieno dell’ascesa dell’aristotelismo, paladino della
ragione naturale, Bonaventura si erse come paladino della
nobile tradizione derivante dalla sintesi agostiniana del
pensiero platonico, trasmesso negli ultimi otto secoli.
 Allievo di Alessandro di Hales a Parigi, divenne magister
stimato e onorato, al punto da assurgere alla posizione di
“padre generale” dell’Ordine francescano.
 Bonaventura continuò la sua ricerca lungo la traccia delle
Confessiones agostiniane e del Proslogion di Anselmo,
attendendo a un itinerario della mente verso Dio, affidato
primariamente alla preghiera e alla contemplazione del
Sommo bene.
Bonaventura da Bagnoregio II
 Itinerarium mentis in Deum è infatti il titolo della sua
opera maggiore, con la quale Bonaventura descrive il
“viaggio dell’anima” verso Dio unitrino.
 Dalla contemplazione del mondo, l’anima si ritira in se
stessa, e poi procede verso l’alto, cercando l’impronta
(vestigium) di Dio e la sua luce trinitaria.
 L’uomo può accogliere Dio nella propria anima (è la
capacitas Dei agostiniana), nelle sue facoltà operative di
intelletto e volontà.
 L’anima infine conosce la luce divina tramite la scientia e la
sapientia, che corrispondono alla ratio inferior e alla ratio
superior di Agostino.
Bonaventura da Bagnoregio III
 Per Bonaventura la conoscenza certa (certitudinis
cognitio) è possibile solo se l’intelletto è illuminato
dalla luce divina, con le sue rationes aeternae. La luce
del Verbo è la stessa logica umana argomentante.
 L’argomento dell’esistenza di Dio in Bonaventura è
rigorosamente anselmiano,e perciò è indubitabile la
sua presenza come creatore e come luce di verità.
 Alla fine, dunque, la stessa filosofia, che comunque ha
un suo procedimento autonomo, altro non è che
espressione del Verbo come medium omnium
scientiarum, e principium essendi et cognoscendi.
I domenicani, Alberto Magno e
Tommaso d’Aquino
 Mentre i francescani difendevano l’agostinismo spirituale e
filosofico, i padri domenicani si proposero di recuperare la
filosofia aristotelica entro uno schema che scongiurasse il
rischio di un panteismo di stampo neoplatonico.
 Le due più autorevoli figure di quelle cultura furono
Alberto Magno e Tommaso d’Aquino.
 Il primo fu a Parigi e poi a Colonia, dove fu anche maestro
di Tommaso. Alberto e Tommaso dissero sempre che nei
temi di fede avrebbero seguito Agostino, ma nelle “cose
della fisica” Aristotele sarebbe stato il loro maestro.
Roberto Grossatesta
(1168-1253)
 Della scuola di Oxford il francescano Roberto
Bighead fu molto importante per i suoi studi di ottica,
di astronomia e fisica. La sua intuizione della luce
come origine e fonte della materia lo colloca tra i primi
che intuirono in qualche modo l’ipotesi di una
fondazione dell’universo dalla luce, che si estrinseca
secondo leggi matematiche.
 Per Grossatesta la matematica è la fonte descrittiva
della natura, ma va sperimentata nell’ambiente fisico,
per poter essere considerata veritativa.
Ruggero Bacone
(1214-1292)
 Anche questo studioso, come il suo predecessore
oxfordiano diede una grande importanza alla matematica.
 Ruggero Bacone considera l’ottica matematica come fonte
di tutte le possibilità di misurazione della natura
(tradizione agostiniana), ma l’esperienza deve confermare
tutto ciò che gli assiomi matematici pretendono
dimostrare.
 Il sapere per Bacone salva gli uomini dalla malvagità della
menzogna e dell’ignoranza, e quindi collabora alla
costruzione della respublica fidelium.
Raimondo Lullo I
(1232-…)
 L’impegno di studio e ricerca di Raimondo Lullo è dedito
per tutta la vita alla scoperta e all’applicazione di un
metodo, o di una “scienza generale applicabile a tutte le
conoscenze con dei principi generalissimi in cui è contenuto
il principio delle scienze particolari come il particolare
nell’universale”.
 Egli desidera spiegare concetti e temi della conoscenza
mediante una simbologia alfanumerica, che riesca ad
evitare l’equivocità del discorso logico-argomentativo.
 Egli chiama questo metodo ars combinatoria, volendo, in
definitiva, far coincidere la logica con la metafisica, cioè
con il rispecchiamento concettuale preciso del reale stesso.
Raimondo Lullo II
 Egli ritiene che questo metodo sia in grado di dare
conto di tutta la realtà, così come è conosciuta e creata
da Dio stesso. Per rinforzare il suo metodo Raimondo
ricorre esplicitamente alle dottrine anselmiane e
agostiniane, e in ultima analisi platoniche, della scala
degli esseri, che derivano dal grado superlativo
appartenente solo a Dio.
 In definitiva, Lullo sogna di ricondurre a unità un
sapere che l’aristotelismo averroista, a suo parere, stava
conducendo verso una dicotomia “pericolosa” tra
scienza e fede, tra filosofia e teologia.
Sigieri di Brabante I
(1240-1284)
 Maestro “delle arti”, cioè filosofo, autorevole mentore
dell’aristotelismo averroista presente a Parigi nel XIII
secolo, fu Sigieri di Brabante.
 Per lui non faceva problema dirsi e operare come
“filosofo” poiché tale sapere doveva essere distinto e
distante dalla teologia: la sua tesi, spiccatamente
averroistica sosteneva che tutto derivasse da Dio come
prima causa, causante un’Intelligenza prima, a sua
volta causa del molteplice, che si genera e si coorrompe
in un eterno e ciclico ritorno.
Sigieri di Brabante II
 In contrasto con Tommaso d’Aquino, Sigieri sostiene la
pura realtà della potenza e dell’atto, negando ogni
differenziazione tra essenza ed esistenza.
 Per lui esiste ed è solo la materia come principio di
individuazione che è forma sostanziale. Ogni intelligenza
separata è unica, questo come in Tommaso, dottrina
condannata nel 1277 dal vescovo di Parigi Stefano Tempier.
 Si distacca dall’averroismo per la dottrina dell’intelletto, che
egli ritiene, non solo unico come possibile, ma anche
individualizzabile, pur restando distinto dall’anima
vegetativa . Solo Dio è intelletto agente, cosicché quello
umano può congiungersi ad esso tramite una graduale
crescita spirituale.
Tommaso d’Aquino
(1225-1274)
 Tommaso, figlio del conte d’Aquino nasce a
Roccasecca (Latina) e studia, fattosi domenicano,
prima a Napoli e poi a Parigi e a Colonia con Alberto
Magno. Diventa magister a Parigi nel 1257, dove torna
nel 1269. Nel frattempo sviluppa in Italia molte sue
opere usufruendo delle traduzioni delle opere di
Aristotele dal greco di frate Guglielmo di Moerbecke,
suo amico. Nel 1270 insegna all’università di Napoli:
chiamato al secondo Concilio di Lione, muore in
viaggio nell’abbazia di Fossanova a 49 anni.
Tommaso d’Aquino. Le fonti
 Il pensiero di Tommaso d’Aquino non è riconducibile
a una mera revisione dell’aristotelismo tornato in auge,
poiché è molto di più e molto altro: infatti nella sua
elaborazione teoretica convergono, non solo le tesi del
grande Stagirita, ma anche quelle di Agostino,
Gregorio Magno, Boezio, lo pseudo-Dionigi, il liber de
causis (Proclo?), Avicenna e altri.
 In ogni caso l’aristotelismo fu senz’altro la fonte
principale dell’elaborazione tommasiana: fisica e
metafisica, teologia, logica e teoria della scienza
risentirono fortemente di tutti questi afflati.
Tommaso d’Aquino. Metafisica:
Materia e Forma, Potenza e Atto
 Il tema principale della metafisica tommasiana, da cui
partiamo nella nostra trattazione, è la distinzione
radicale tra essenza ed atto d’essere (cioè
esistenza).
 Materia e forma, negli essere molteplici
costituiscono la sostanza, o essenza, cui si aggiunge
l’atto d’essere o esistenza.
 Nelle sostanze materiali vi è poi la potenza e l’atto,
cioè il poter essere qualcosa e l’esserlo effettivamente
(cf. il marmo e la statua compiuta).
Tommaso d’Aquino. Metafisica: le
Sostanze spirituali
 Le sostanze spirituali (intelligenze pure o angeli),
invece, sono forme pure senza materia, ma non sono
atti puri, in sé, poiché anch’esse mostrano la
composizione di essenza e atto d’essere, in quanto
sostanza. Esse sono infatti create da Dio, che
solamente è Atto puro d’essere.
 L’atto, dunque, prevale anche sulla forma, è l’ipsum
esse, è la radice di ogni realtà, esistenzialità purissima,
principio formale e sostanziale di ogni cosa e di tutte le
cose.
Tommaso d’Aquino: l’esistenza di
Dio I
 Per Tommaso la dimostrazione anselmiana
dell’esistenza di Dio non è plausibile, poiché non
distingue l’esse in intellectu dall’esse in re: egli infatti
giudica indebito il passaggio tra il pensare una cosa e
l’esistenza di essa come necessaria. Per Tommaso
bisogna passare attraverso la considerazione del
sensibile, a posteriori, per mostrare anche l’esistenza di
Dio.
 Egli dunque propone cinque “cause” cosmologico
metafisiche, correlate e armonicamente strutturate
come un percorso.
Tommaso d’Aquino: l’esistenza di
Dio II
 La prima via si desume dal moto: ora, siccome tutto ciò
che si muove è mosso da una causa, esisterà una causa
prima che ha dato origine al moto, poiché non è possibile
andare indietro all’infinito: questo primo motore è Dio.
 La seconda via si desume dalla causa efficiente: anche in
questo caso, come nel precedente, vi deve essere una
causa prima, che è Dio.
 La terza via concerne le nozioni di possibile e di
necessario: le cose che vediamo possono essere o non
essere, cioè contingenti, non avendo in sé la ragione della
propria esistenza: un tempo dunque non avevano
l’esistenza, e perciò …
Tommaso d’Aquino: l’esistenza di
Dio III
 … devono aver avuto una causa necessaria, sempre
esistente, indipendente da altre cause (causa sui), e questa
causa non può che essere Dio, che è l’essere per sé
necessario.
 La quarta via si desume dai gradi che si riscontrano nelle
cose: vi sono il più e il meno, il più e il meno perfetto, il
minore e il maggiore dell’essere, del bene, del vero, del
bello, e perciò vi è il fondamento di questi valori
(trascendentali) che è Dio stesso.
 La quinta via si desume dal governo delle cose e dalla
finalità di ciascuna e di tutte: ogni cosa non può che
tendere al suo fine, per cui il “Fine ultimo” consiste in Chi
ha dato ordine a tutti i fini, cioè Dio.
Tommaso d’Aquino: la Creazione e
la Natura. Ragione e Fede
 Per Tommaso le cinque vie mostrano l’esistenza di Dio, ma
anche che Egli è il Creatore del mondo, anche se filosoficamente
non si può mostrare né l’eternità né la creazione del mondo.
 La filosofia, invece, può mostrare che tutte le creature sono
nature reali (Aristotele), non “partecipazione di forme eterne”
(Platone): esse sono rette dal principio di causalità, in un
contesto di mutue relazioni,e costituiscono il contesto della
filosofia naturale.
 Anche se tutte le creature sono sostenute nel loro essere e nel
loro operare da Dio, ciascuna di esse è causa prossima, reale e
concreta di se stessa: Tommaso rifugge dallo “spiritualismo
idealista platonico-agostiniano”, dando senso a una natura che
esiste certamente in quanto creata da Dio, ma dotata di un
“destino” proprio.
Tommaso d’Aquino: l’Uomo,
l’Anima, l’Intelletto
 Le creature dotate di materia e forma (materia signata
quantitate), per Tommaso, sono gli uomini.
 Egli va oltre la posizione agostiniana che riteneva
l’anima razionale entitativamente separabile dalla
forma sostanziale del corpo, sostenendo che l’anima è
la forma sostanziale del corpo, ma che, in quanto
operativamente razionale, non necessita degli organi
corporei, e pertanto è immortale.
 L’anima e il corpo sono dunque nella vita umana un
sun-òlon, un sinolo, per poi separarsi all’atto della
morte corporea.
Tommaso d’Aquino: la Conoscenza
 Per Tommaso la psicologia (scienza del pensiero pensante)
e la gnoseologia (teoria della conoscenza) dipendono dal
flusso causato dalla sensazione derivante dall’organo di
senso esterno, unificata e interpretata dal senso interno
presente nell’intelletto.
 Non vi sono dunque illuminazioni divine nella conoscenza,
ma processi naturali che permettono lo sviluppo della
conoscenza delle cose esterne, mediante l’intelletto agente
di ciascun uomo.
 L’intelletto è quindi una facoltà individuale dell’uomo, che
funziona di per sé senza bisogno di una continua
illuminazione divina (Agostino e Avicenna).
Tommaso d’Aquino: la Morale
 L’intelletto umano, insieme con la volontà, è la fonte
dell’azione umana libera, cui spetta la conoscenza del bene
e il suo tendere verso il bene stesso (sinderesi).
 L’intelletto è ratio causa libertatis, mentre il senso morale
è un’impronta divina nell’anima umana: lex naturalis est
nihil aliud quam participatio legis aeternae in rationali
creatura.
 La legge naturale (divina) è conosciuta tramite una
particolare disposizione presente nella ragione umana, la
sinderesi, cioè la capacità di tendere al bene di “chi è
intelligente”, esercitata attraverso la volontà.
 Subordinata alla legge naturale è la legge umana positiva (le
leggi scritte).
Tommaso d’Aquino: la Politica
 Anche per quanto concerne l’arte della politica Tommaso si
collega alla visione aristotelica: homo non solum animal
rationale, sed etiam animal sociale est.
 Pertanto, l’uomo si deve occupare della politica, come
“bene comune”, che deve essere perseguito nell’ordine
terreno delle cose, con razionalità e misura.
 Tommaso non prefigura forme di società democratiche,
attribuendo al princeps/potestas publica una specie di
delega razionale di governo, ma certamente in vista di una
gestione equa e giusta. Una sorta di welfare ante litteram?
Tommaso d’Aquino: Filosofia e
Teologia I
 Tommaso, con la ripresa e la valorizzazione piena delle
dottrine aristoteliche, in questo modo sottolinea il valore
della ragione, autonoma nel suo proprio ambito e non in
contrasto con l’insegnamento rivelato.
 Egli distingue in modo rigoroso la filosofia dalla
teologia, attribuendo alla prima una sorta di primazia
metodologica, utile, anzi indispensabile, anche per la
teologia: in questo senso va inteso il suo detto Philosophia
ut ancilla Theologiae.
 Il punto di aggancio tra i due saperi è la teologia naturale,
che, sulla base del dato rivelato, pone temi accessibili anche
alla pura ragione.
Tommaso d’Aquino: Filosofia e
Teologia II
 Temi come la spiritualità e l’immortalità dell’anima,
preambula fidei, scientia Dei che può essere declinata
anche come scientia humanissima et rationalis.
 Infatti, proprio l’utilizzo dei concetti metafisici, sostanza e
accidente, potenza e atto, materia e forma, essenza ed
esistenza, mette Tommaso nelle condizioni di poter trovare
un equilibrio tra l’aristotelismo come filosofia razionale e la
dottrina cristiano-cattolica.
 L’impostazione tommasiana, soprattutto nelle sue
declinazioni più pedisseque non mancherà di creare non
poche polemiche e battaglie teoretiche, che incontreremo.
Tommaso d’Aquino: l’Analogia
 La gnoseologia di Tommaso si basa fortemente sul principio di
analogia (che fu particolarmente studiato dal nostro grande
conterraneo padre Cornelio Fabro).
 Tale principio prevede si possa conoscere comparando le cose e
gli esseri, cioè gli enti; egli distingue l’analogia in due grandi
strutture: a) l’analogia di attribuzione, con la quale si conosce
ciò che può essere correlato a un analogato principale, ad
esempio vita-vivente, dove vita è il termine di paragone; b)
l’analogia di partecipazione (di proporzionalità, secondo il
padre Giovanni Cavalcoli), mediante la quale si conoscono gli
enti nel loro rapporto di grado, ad esempio uomo-Dio (anima
spirituale-Dio) dove Dio stesso è l’analogato principale e
fondante di tutta la realtà, in questo caso umana, pur nella sua
irriducibile distanza e differenza ontologica.
L’influenza successiva di Tommaso
d’Aquino
 L’eredità di Tommaso d’Aquino, nonostante le “vulgate”
della tarda scolastica tomista, stancamente ripetitiva e
ormai messa in crisi dalla rivoluzione filosofica del XVI
secolo, con una ripresa del platonismo e i prodromi della
rivoluzione scientifica, resta nei secoli, e fino ai nostri
giorni immensa, e oggi addirittura in ripresa.
 Tommaso d’Aquino è tuttora attuale con il suo metodo, con
il suo umanesimo razionale, con la sua epistème
metafisica, con la sua morale naturale, davvero prezioso
come ricerca per i nostri tempi difficili.
Tommaso d’Aquino: le opere
principali e alcuni studi
 Summa theologica, testo lat. e trad. a cura di T. Centi O.P., EDB








Bologna 1970
Summa contra Gentiles, a cura di A. Puccetti, Sei Ed., Torino 1930
De ente et essentia, testo lat. e trad. a cura di T. Centi O.P., EDB
Bologna 1972
De unitate intellectus contra averroistas, a cura di B. Nardi, Sansoni,
Firenze 1938
Opuscoli e testi filosofici scelti e annotati, a cura di B. Nardi, Laterza,
Bari 1916
Scritti politici, a cura di A. Passerin d’Entreves, Zanichelli, Bologna1946
M. D. Chenu, Tommaso d’Aquino, Cei, Milano 1967
S. Vanni Rovighi, Introduzione a Tommaso d’Aquino, Laterza Roma-Bari
1973
A. D. Sertillanges, San Tommaso d’Aquino, Ed. Paoline, Roma 1957
Il XIV secolo e la crisi della
Scolastica
 Nel XIV secolo, se da un lato i regni europei si consolidano, nelle
città cominciano a svilupparsi i ceti produttivi borghesi (si pensi
alla nascita delle corporazioni a Firenze). Il Papato, con
Bonifacio VIII si propone sempre di più come teocrazia. Vi è un
gran movimento, che quasi prelude a ciò che un secolo più tardi
si svilupperà come “umanesimo”.
 I Francescani e i Domenicani, oltre a rilanciare l’azione della
Chiesa cattolica si scontrano, sia al proprio interno (i Francescani
tra i conventuali e gli spirituali), sia tra di loro.
 I più noti rappresentanti del movimento degli spirituali furono
Gioacchino da Fiore, con il suo messianismo escatologico,
Ubertino da Casale e il più famoso Jacopone da Todi. Costoro
riprendono pienamente lo spiritualismo agostiniano (teoria
dell’illuminazione) rappresentando un baluardo contro il
nascente razionalismo aristotelico-tommasiano.
La “mediazione” di Enrico di Gand
e di Egidio Romano
 In questo nascente conflitto teoretico e spirituale si ersero tra
altre ( ad es. il cardinale francescano Matteo d’Acquasparta,
Ruggero di Marston) due figure eminenti come Enrico di Gand
(1223-1293) e Egidio Romano (1243-1316).
 Enrico, pur mantenendo un fondamento agostinianoavicennista nel suo pensiero, ammise la libertà di Dio creatore,
ma anche l’autonomia dell’essere umano che èd otato di facoltà
conoscitive autonome.
 Egidio, si adoperò per una conciliazione tra il tomismo
aristotelico e l’agostinismo platonico.
 Come si vede il dibattito era vivissimo e tutt’altro che scontato,
potremmo dire, alla faccia di coloro che parlano del Medioevo
come di un periodo di “secoli bui”.
Giovanni Duns Scoto I
(1266-1308)
 Fu Giovanni Duns Scoto un pensatore straordinario.
Studiò a Oxford e a Parigi dove pure insegnò. Duns Scoto
cercò di porre all’attenzione dei contemporanei, sia i valori
della ricerca razionale, sia la dottrina della fede religiosa.
 Due sono infatti i piani dell’indagine, quello filosofico
e quello teologico: in questo ambito di confronto, per
Giovanni, il platonismo agostiniano mediato tramite la
razionalità aristotelico-tomista, e quest’ultimo tramite le
dottrine di Avicenna, possono trovare una conciliazione,
come si deve trovare tra teorie che guidano alla verità e
teorie che guidano alla prassi virtuosa del bene, cioè a una
moralità rispettosa della legge naturale-divina.
Giovanni Duns Scoto II
 Giovanni tenta di salvare in tal modo il tomismo da un
aristotelismo eccessivamente razionalistico e negatore dei
principi fondamentali del cristianesimo. Dio creatore,
libertà e volontà, individualità dell’essere umano e
provvidenza.
 Duns Scoto cerca di mettere in relazione l’efficacia della
ricerca sperimentale aristotelica, con l’esigenza di
salvaguardare la spiritualità dell’anima che tramite
l’intelletto apprende le cose del mondo perché è messa in
grado di farlo dalla propria intrinseca struttura spirituale.
 Ma per Giovanni, la conoscenza degli enti non avviene per
analogia come per Tommaso, in quanto non si può risalire
all’Essere dagli esseri/enti, ma al contrario è dall’Essere che
si deduce l’esistenza di tutti gli enti/esseri.
Giovanni Duns Scoto III
 Perciò Giovanni, constatando l’assoluta libertà di Dio, non
accettò l’ipotesi aristotelico-tomista di un’essenza staccata
dall’individualità: per Duns Scoto si deve dunque parlare di
differenza ontologica tra individuo e individuo: non dunque
“umanità”, che resta un concetto astrattamente metafisico,
ma quest’uomo qui, Pietro, quell’uomo, Carlo, quell’altro …:
questa cosa e non l’altra, che Giovanni chiama appunto
haecceitas, cioè questità.
 L’ecceità non è dunque un universale, ma un particolare,
che esiste per volontà di Dio. Necessità, volontarismo e
individualità sono in questo modo salvaguardati. Giovanni
fu proclamato “Beato” da Giovanni Paolo II.
Guglielmo d’Occam I
(1295-1350 ca)
 Francescano, Guglielmo d’Occam fu oltremodo polemico
verso l’aristotelismo e soprattutto l’averroismo. Studiò a
Oxford, dove forte era l’eredità teoretica di Ruggero Bacone
e di Duns Scoto. Fu sottoposto ad processo inquisitoriale
per sospetto d’eresia, perché vicino al capo degli frati
francescani “spirituali” Michele da Cesena. Sparì dalla
circolazione dopo essersi rifugiato a Monaco presso
Ludovico il Bavaro a Monaco dove incontrò Marsilio da
Padova e Giovanni di Jandun. Scrisse moltissimo e mori in
un anno imprecisato forse di peste, durante l’epidemia che
sconvolse l’Europa tra il 1348 e il 1350.
Guglielmo d’Occam II
 Guglielmo oppose al concetto del Dio dei filosofi, di
origine greca, il “pensiero di pensiero”, un Dio che è
volontà e libertà, onnipotenza e infinitezza.
 Dio per lui può fare tutto quello che non è contradditorio,
per cui non vi è legge di natura necessaria, perché è tutta
continuamente a disposizione della volontà di Dio (in
questo senso si pensi alla “miracolistica di Lourdes”), e
quindi, per Guglielmo, nulla si può dare se non per volontà
di Dio.
 Diceva: “Entia non sunt multiplicanda praeter
necessitatem”, gli enti esistono solo se necessari: si tratta
del famoso detto che dettò il motto del “rasoio di Occam”.
Guglielmo d’Occam III
 Per Occam le creature di Dio sono solo “enti individuali”,




non c’è posto per i generi e le specie aristotelico-tomiste.
Per lui non vi è neppure la struttura comune che Duns
Scoto aveva chiamato formalitates communes, che poi
sarebbero state individualizzate nell’haecceitas, la questità.
L’universale per Occam è una fictio, una costruzione della
mente, che serve solo a catalogare e a classificare.
Generi e specie universali sono solo “termini” che vengono
utilizzati come strutture di relazione descrittiva.
La conoscenza si fonda, per Guglielmo, sull’intuizione
immediata del concreto individuo quale si presenta alla
mente dell’osservatore, il quale dà un nome alla cosa.
Guglielmo d’Occam IV
 Gli universali,i generi e le specie sono solo una
terminologia intenzionale, non descrittiva e
definitoria: infatti per Occam solo il soggetto e il
predicato di una frase hanno un significato
rispondente alla realtà, come “categoremi”.
 Dire che “Pietro è un uomo, ma anche un animale”, non
significa dire che Pietro possiede l’umanità o
l’animalità, né che l’uomo o l’animale sono una parte di
Pietro: significa semplicemente che Pietro è creatura
tale per cui si attagliano gli attributi di “uomo” e di
“animale”.
Guglielmo d’Occam V
 Non vi è dunque, per Guglielmo, inerenza tra l’attribuzione
e il soggetto, ma semplice accostamento, né si può dire che
gli effetti prodotti siano originati da specifiche cause
(prodromi di Hume!). Per l’Occam l’effetto non è dovuto
necessariamente a una causa efficiente, ma a una catena
teoricamente infinita di atti e di fatti che concorrono alla
costruzione dell’effetto stesso: perciò la causa ultima e
visibile è solo “occasione” dell’effetto.
 Tali teorie, fondamentalmente “” ebbero effetti notevoli
anche sul pensiero socio-pvolontaristicheolitico di stampo
anglosassone, con la rigorosa distinzione tra ciò che
concerne la Chiesa e ciò che riguarda il potere civile.
L’occamismo, i “fisici parigini”, i
“logici nuovi”, i “calculatores”
Ne ricordiamo tre, tra non pochi studiosi del tempo.
 Nicola d’Autrecourt: nato attorno al 1300, studiò teologia e arti alla
Sorbonne, e fu inquisito per il suo scetticismo antimetafisico radicale e
sottoposto al giudizio papale; come Guglielmo d’Occam si rifugiò
presso Ludovico il Bavaro.
 Giovanni Buridano: nato verso la fine del XIII sec. nell’Artois, morì
verso il 1360. Maestro alla scuola delle arti a Parigi, si occupò di logica,
di filosofia della natura e di etica. Criticò la fisica aristotelica del moto,
e seguì l’Occam in logica, manifestando una linea scettica. Celebre è
l’apologo dell’asino indeciso che a lui si riferisce.
 Nicola Oresme: nato verso la metà del XIV sec., fu maestro delle arti a
Parigi. Studioso di matematica e delle “calculationes”, nonché della
geometria euclidea, Nicola applicò le figure geometriche all’indagine
delle qualità fisiche. Ipotizzò, tra i primi, (dopo Roberto Grossatesta)
l’eliocentrismo. Morì nel 1382.
La politica. Dante, Occam,
Marsilio da Padova, Giovanni di
Jandun
 Citiamo questi quattro autori per non dimenticare
l’importanza di quella che oggi chiameremmo “riflessione
politologica”.
 Questi tre autori, così diversi tra loro, posero come tema
centrale la distinzione radicale tra potere spirituale della
Chiesa e gestione del potere temporale, da affidare a
strutture civiche laiche, fossero l’impero o le autorità
comunali.
 Dante, Guglielmo d’Occam, Marsilio da Padova e
Giovanni di Jandun testimoniarono l’esistenza di un tema
e problema che nei secoli successivi e fino quasi ai giorni
nostri avrebbe avuto grande importanza.
La mistica. Meister Eckhart I
(1250-1325 ca)
 Maestro Johannes Eckhart, domenicano della Turingia, studiò
a Strasburgo e a Colonia. Divenne maestro di sacra teologia e
insegnò a Parigi. Subì vari processi ecclesiastici perché sospettato
di eresia, e molte sue tesi vennero condannate.
 Scrisse molte opere esegetiche e trattati filosofico-teologici, tra i
quali ricordiamo l’Opus tripartitum.
 Insieme con Eckhart vanno ricordate anche altre figure
contemporanee, come Enrico Seuse, Johannes Tauler, o le
badesse Hadewijck e Gertrud der Grosse. Si tratta della
“mistica renana”, assai diversa da quella precedente di un Pier
Damiani, san Bernardo o dei “Vittorini”, più orientata a un neoplatonismo filtrato da Plotino e lo Scoto Eriugena.
La mistica. Meister Eckhart II
 Dopo la separazione tra ragione e fede, per Eckhart Dio è
raggiungibile solo attraverso la fede, mediante la ricerca
interiore. Poiché di Dio nulla si può dire, Dio è al di là di
tutto, ma tutto è un aspetto di Dio, tutto deriva da lui, che
decide creando e mantenendo nell’essere ogni cosa in piena
libertà.
 L’anima, per Meister Eckhart, deve farsi assolutamente
povera per tornare a Dio, anche al di fuori della Chiesa,
sempre meno povera ed evangelica; l’anima deve fare
spazio dentro se stessa, fino allo svuotamento del sé.
 La mistica spirituale di Eckhart ebbe seguito,
filosoficamente nelle successive riflessioni di Nicola
Cusano,e religiosamente nella successiva Riforma
protestante.
La “nuova età”. Pre-umanesimo in
Petrarca e Coluccio Salutati
 Il XIV secolo è una fucina di novità straordinarie sotto il
profilo filosofico e culturale in generale.
 Firenze è un luogo cruciale, nel quale avviene una ripresa
di tematiche platoniche e agostiniane, contro un
aristotelismo teologico, già irrigiditosi in schemi che
cominciavano a risultare insufficienti a rappresentare la
molteplice realtà, contraddittoria e cangiante, per cui l’arte,
la poesia, la mistica platonico-agostiniana sembrava più
adatta.
 L’attribuzione del merito di questa rinascita va riconosciuto
al Petrarca (1304-1374) e al Cancelliere della Repubblica
Coluccio Salutati (1331-1406).
Umanesimo e Rinascimento I
 Si è soliti accreditare una storiografia che concepisce l’apertura
umanistica dell’Umanesimo, tra la fine del XIV e i primi anni del
XV secolo, come cesura radicale nei confronti dei valori culturali,
filosofici, estetici e morali del Medioevo.
 Come sempre accade nelle vicende umane, non è mai del tutto
così, perché i passaggi tra una sensibilità precedente e una
successiva, sono sempre graduali e contradditori.
 Ad esempio, se si tratta dell’attenzione all’uomo, cifra portante
dell’Umanesimo, non si può negare che altrettale attenzione
fosse portata dai grandi esponenti della cultura medievale, che
abbiamo fin qui studiato. Altrettanto si può dire dell’attenzione
ai “classici”. Su questo tema, piuttosto, si può dire che la novità
dell’Umanesimo va attribuita a una maggiore attenzione
filologica al testo, come è testimoniato dallo stesso Petrarca
Umanesimo e Rinascimento II
 … e poi da autori come Lorenzo Valla , Erasmo da
Rotterdam, Angelo (Ambrogini) Poliziano, Leon
Battista Alberti, e altri, soprattutto i grandi artisti e
scienziati del Rinascimento (Raffaello, Piero della
Francesca, Masaccio, Michelangelo, Leonardo,
Galileo, …), ma anche “scienziati” della politica come
Macchiavelli e Guicciardini.
 La filologia torna ad essere parte importante di una
scienza ermeneutica che permette un approccio
scientifico ai testi classici, con minori edulcoramenti
di tipo teologico o concordismi strumentali.
Interpretazioni del Rinascimento
 Abbiamo appena detto che tra Medioevo, Umanesimo e
Rinascimento vi sono certamente elementi di rottura, ma anche
di profonda continuità.
 Ma gli elementi di rottura non sono certo rinvenibili nella
sostanziale continuità dell’amore e dello studio dei classici
greco-latini della letteratura e della filosofia … mentre quelli di
rottura appartengono piuttosto allo sviluppo degli studi
scientifici, che favorirono il distacco progressivo del sapere
teologico da quello filosofico, e successivamente avrebbero
favorito il distacco di quest’ultimo dal sapere scientifico.(basti
solo ricordare il lungo percorso che da Robert Bighead, Nicola
Oresme e Niccolò Copernico, portò all’affermazione
dell’eliocentrismo e ai successivi approfondimenti e scoperte di
Galileo e di Keplero!).
Platonismo e Aristotelismo
 I due grandi mentori del pensiero antico, Platone e
Aristotele, sono sempre presenti nella riflessione e nella
ricerca della cultura europea.
 A partire dalla fine del XIV e con il XV sec. nelle università
dominava l’aristotelismo scolastico, ma fuori, nei circoli
intellettuali e nelle corti era tornato fortemente in auge il
platonismo, che meglio si attagliava a stili e ad approcci alla
vita più aperti e meno dogmatici. Petrarca, abbiamo visto,
fu uno dei sostenitori di tale linea, derivando lungo la linea
platonico-plotiniano-agostiniana una nuova sensibilità
estetica e filosofica.
Marsilio Ficino
(1433-1499)
 Marsilio tradusse molti testi platonici e plotiniani, redigendo anche
un’opera importante, la Theologia platonica de immortalitate
animarum”, contro gli sviluppi naturalistici dell’aristotelismo. Vi è una
tradizione antichissima che riguarda la rivelazione del Verbo-Lògos,
risalente ai profeti orientali, come Zoroastro, a Ermete Trismegisto, a
Platone e poi alla dottrina cristiana, così come commentata e trasmessa
dai Padri greci, da Dionigi l’Areopagita, e infine da Agostino.
 Una pia philosophia che diventa anche docta religio, affine e
convergente con il cristianesimo, affermante il primato dello spirito
sulle cose terrene, della trascendenza sul mondo sensibile, di Dio cui
l’uomo può accedere con una progressiva ascesa dell’intelletto e della
volontà (atto d’amore-eros).
 Per Marsilio, dunque, vi è un primato del bene sull’’essere” e dell’amore
sul conoscere: il mondo tutto appare come manifestazione della
bellezza e del’amore di Dio stesso per l’uomo.
Giovanni Pico della Mirandola
(1463-1494)
 Umanista di cultura vastissima, Pico della Mirandola visse a
contato con gli ambienti più vivaci della cultura italiana, da
Firenze (Marsilio Ficino e Savonarola) a Padova. Studiò la
filosofia araba e d ebraica, soprattutto l’interpretazione
kabbalistica delle Scritture. La Kabbala è un testo composto
verso VIII/IX sec. improntato a un cert neoplatonismo alla
numerologia (ghematria).
 Pratico di testi ermetici e di magia, concepì l’uomo (cf. Orazione
sulla dignità dell’uomo) come massima opera del Creatore,
superiore e compendio di tutte le creature, cui è affidato un
mandato sul mondo e un impegno a sviluppare tutti propri
talenti in libertà e rispetto, potendo “degenerare nelle cose
inferiori, o rigenerarti nelle cose divine”.
 Il primo messaggio dell’Umanesimo europeo, quello di Pico.
L’aristotelismo
 La visione aristotelica del mondo continuò a dominare
nelle accademie universitarie per i secoli dal XII al XVII,
anche se molte altre suggestioni, come il recupero del
“divino Platone” riprendevano quota negli studi e nella
considerazione generale. Nuove traduzioni di Aristotele
aiutavano a comparare meglio le dottrine dei Due grandi
Greci.
 Si trovò interesse sempre maggiore per gli scritti etici e
politici dello Stagirita, lasciando con il tempo sempre più
sullo sfondo gli scritti fisici e metafisici: si era oramai alla
vigilia della rivoluzione filosofica e scientifica del XVI
secolo! All’orizzonte stavano apparendo le sagome di
Galileo Galilei e di Cartesio (Renè Descartes), che
studieremo il prossimo anno.
Pietro Pomponazzi I
(1462-1525)
 Insegnò le dottrine aristoteliche a Padova, Ferrara e
Bologna. È celebre soprattutto l’opuscolo De immortalitate
animae, nel quale Pomponazzi spiegò l’impossibilità di
dimostrare l’immortalità dell’anima con la filosofia
aristotelica. L’anima umana, in quanto collegata al sistema
neuro-vegetativo, è in sé e per sé mortale, anche se odorat
(profuma) di immortalità.
 L’anima è dunque un oggetto conoscibile solo in parte dalla
scienza, perché la credenza della sua immortalità è affidata
alla fede. All’uomo è comunque conveniente un
comportamento virtuoso, non in funzione di un primo o di
una punizione ultraterrena, ma perché ciò è bene in sé e
premio in sé.
Pietro Pomponazzi II
 Pomponazzi fu ritenuto ai suoi tempi il teorico della mortalità
dell’anima.
 Nelle altre sue opere, come il De naturalium effectuum
admirandorum causis sive de incantationibus e nel De fato,
Pomponazzi sostenne che la stragrande maggioranza delle cause
presenti e osservabili sono naturali, nel senso che derivano da
intelligenze ed influenze fisiche e cosmiche.
 Il razionalismo del Pomponazzi è dunque ancora del tutto intriso
di culture legate all’astrologia, alla magia, all’esoterismo, dove
aristotelismo e platonismo quasi si mescolano, prima della
rivoluzione filosofica e scientifica, improntata al naturalismo
meccanicistico e naturalistico, che si sta preparando.
 Nel De fato, Pietro tratta il rapporto esistente tra provvidenza,
fato e libero arbitrio, concludendo che ogni vita e vitaab aeterno
umana è sottoposta a un destino necessario, definito da Dio.
Niccolò Cusano
(1401-1464)
 Nato a Kues nel dipartimento della Mosella in Francia,
studiò a Heidelberg e a Padova, e infine a Colonia dove di
divenne magister di sacra teologia. Niccolò Cusano ebbe
incarichi importanti all’interno della Chiesa, sia di carattere
teologico, sia diplomatico, partecipando attivamente alla
preparazione del Concilio di Firenze-Ferrara (1437).
 Fu nominato cardinale e consacrato vescovo di Bressanone
nel 1450. Scrisse varie opere filosofico-teologiche di grande
importanza, come il De docta ignorantia, i De pace fidei, il
Complementum theologicum, il De visione Dei, e, verso la
fine, il De apice theoriae.
Niccolò Cusano: la “dotta
ignoranza” I
 La riflessione del cardinale di Cusa si concentra, in termini oggi potremmo dire
di grande modernità, sui limiti del pensiero umano e sulle possibilità della
conoscenza.
 L’ottimismo gnoseologico dell’aristotelismo, con Niccolò Cusano, subisce una
critica radicale. Egli si sofferma sulla questione della conoscibilità dell’infinito,
e nega questa possibilità per l’intelletto umano. I suoi esempi di tipo
matematico-geometrico, interessano anche i ricercatori dei nostri giorni. Ad
esempio l’infinità dei lati di una circonferenza, in quanto punti matematici (cf.
l’esempio del poligono, che partendo dalla figura dell’ottagono inscritto nel
cerchio acquisisce sempre più lati senza mai riuscire a coincidere con il cerchio
stesso, oppure dalla doppia linea di numeri, la prima di interi 1 ,2, 3e ss …, la
seconda dei numeri pari doppi dei primi, 2, 4, 6, e ss …, costituenti due infiniti
diversi, di cui non si può dire quale sia più grande …).
 L’infinito è dunque l’assoluto, che nulla ha al di fuori di sé.
Niccolò Cusano: la “dotta
ignoranza” II
 L’infinito, in quanto negazione di tutte le determinazioni finite, è
anche al di là degli opposti come minimo e massimo nelle grandezze, e
dunque costituisce il punto dove gli opposti coincidono, la
coincidentia oppositorum.
 Anche l’assoluto sfugge alla conoscenza dell’intelletto umano, poiché
“noi non possiamo connettere insieme i contraddittori che distano
all’infinito”, e dunque vi è una sorta di coincidentia contradictorium.
 In Cusano si nota la profonda influenza delle dottrine di Proclo e di
Dionigi l’Areopagita, che gli diedero un’impronta legata a una “teologia
negativa”: se non si può conoscere né l’infinito, né l’assoluto, non si può
conoscere neppure Dio, di cui si possono solo predicare le
caratteristiche che “non ha”.
 La docta ingnorantia, dunque, permette di intelligere
incomprehensibiliter, una critica radicale alla gnoseologia classica.
Niccolò Cusano: conoscere come
congettura
 Non è possibile, di conseguenza, per Niccolò, conoscere nella loro
intrinseca verità neppure gli Enti razionali finiti, cioè gli esseri e
le cose del mondo, poiché essi sono nella loro verità solamente
nella mente di Dio, che li crea. Solo per immagine razionale
l’uomo può conoscerli e definirli in qualche modo.
 Ma tra gli enti reali creati da Dio e gli enti razionali, così come i
primi possono essere conosciuti dall’uomo, resta un abisso
incolmabile, solo in parte superabile con un’analogia, che resta
però sfuggente partecipazione della verità.
 Anche la matematica come costruzione convenzionalecongetturale dell’uomo è solo uno strumento conoscitivo, se pure
elevatissimo (il più elevato per Cusano), per la conoscenza delle
cose, nei limiti dell’intelletto umano.
Niccolò Cusano: Dio e mondo
 Il sistema aristotelico-tolemaico è superato da Cusano in
una visione dell’universo complicata e implicata in Dio
stesso, e dunque complessa, da comprendere, sia pure
imperfettamente, non da spiegare.
 Dio è per l’universo principio e fine, così come il
numero 1 è per sistema numerico, unità e infinità nel
contempo.
 La mediazione tra Dio e mondo è per Cusano Cristo
incarnato, massimo assoluto e massimo limite, teandrico,
divino-umano che sintetizza il Tutto. La discesa del Lògos
divino in Cristo-Gesù ridà all’uomo tutta la dignità di
essere a immagine di Dio Creatore.
Niccolò Cusano:
una nuova cosmologia
 Cusano mostra di intuire l’infinità dell’universo partendo
dai suoi assunti circa i rapporti tra finito e infinito: tutti i
parametri geocentrici per la conoscenza del mondo sono
eliminati, perché insufficienti e fuorvianti per l’intelletto
umano.
 Non vi è più la gerarchia aristotelico-tolemaica nella visione
del cosmo, perché non vi è misura, né un massimo né un
minimo nella concezione del Cusano. E neppure un centro
e una periferia. Sembra quasi di sentir echeggiare le ultime
teorie cosmologiche di un Paul Davies, (cf. Sull’orlo
dell’infinito) o di Stephen Hawking (cf. Dal big bang ai
buchi neri).
Niccolò Cusano: la tolleranza
 Il cardinale di Cusa, di fronte al nuovo “nemico” costituito dai
Turchi musulmani che nel 1453 avevano conquistato
Costantinopoli, si oppose alla proposta di una crociata,
suggerendo di avviare un dialogo per stabilire una pacifica
convivenza in nome della fede in Dio (de pace fidei). Il suo
discorso è aperto a tutte le religioni conosciute, poiché coglie
una profonda unità nella fede nell’unico Dio, pure nella
differenza dei riti.
 Unità nella fede in Dio e rispetto per la diversità delle
declinazioni cultuali e delle confessioni religiose, in ciò il Cusano
è un precursore di percorsi di dialogo che iniziarono molto vicino
ai nostri tempi, prima con Giovanni XXIII e Paolo VI e
successivamente con papa Wojtyla e Ratzinger, sia pure con stili
molto diversi.
 Nicola Cusano, perciò, è un po’ nostro contemporaneo.
Filosofia della natura
e nuova scienza: Paracelso
 La ripresa del platonismo congiunto al pitagorismo, rimette al
centro della ricerca filosofica e scientifica la matematica
come scienza della natura (cf. proxime Keplero e Galilei).
 Personaggi come Paracelso (1493-1541), cioè Filippo Teofrasto
Bombast von Hohenheim, filosofo e medico, sono
emblematici di quel tempo, studiò medicina in Italia e si stabilì a
Basilea, dove entrò in rapporto con Erasmo da Rotterdam. In
Paracelso confluirono diversi e elementi neoplatonici,
astrologici, magici e alchimistici. Egli riteneva che vi fosse una
corrispondenza fra dimensioni cosmiche e le parti del corpo
umano, per cui occorreva connettere tutte le conoscenze fisiche
del mondo e anatomiche dell’uomo per potere, con probità,
proprietà e preparazione, esercitare l’arte medica.
Gerolamo Cardano e altri
(1501-1576)
 Classico rappresentante del naturalismo rinascimentale, filosofo e inventore,
Gerolamo Cardano riteneva la natura fosse retta da forze spirituali naturali,
per cui ogni movimento deve essere interpretato alla luce del rapporto unitàmolteplicità, derivando quest’ultima nozione dall’Uno che è Dio stesso.
 Per Cardano l’esperienza del molteplice deve essere mediata dal sapere
matematico, che la rende meno approssimativa. Sue opere importanti furono il
De subitlitate e il De rerum varietate.
 Altri autori come il Giovanni Battista della Porta (1535-1615) e Cornelio
Agrippa di Nettesheim (1486-1535), insieme con chi abbiamo citato furono
fondamentali per preparare un percorso nuovo alla filosofia e alla scienza,
combattendo le dottrine aristoteliche degli elementi, recuperando dottrine più
antiche di carattere vitalistico, ilozoistico e atomistico, e preparando la strada
alla riflessione filosofico-scientifica successiva di Bernardino Telesio,
Tommaso Campanella e Giordano Bruno.
Bernardino Telesio
(1509-1588)
 Con Bernardino Telesio abbiamo una delle prime compiute espressioni di
filosofia della natura del Rinascimento, prima di Bruno. In La natura secondo i
suoi propri princìpi, Telesio propone come elementi fondativi di ogni moto
naturale, le nature agenti, come il caldo e il freddo, o l’inerzia e l’oscurità per
quanto riguarda la materia.
 Tutto ciò spiega, come il moto non sia causato da agenti esterni, ma da
intrinseche forze che operano nel sole e nei cieli, operando pure sulla terra.
 Non vi è dunque una scalarità dell’essere tra gli “enti”, né distinzione sostanziale
tra organico e inorganico, ma solo una diversità di sentire più o meno.
 L’uomo mantiene comunque una posizione preminente, voluta da Dio e infusa
in ogni singola persona: l’uomo infatti si eleva sugli altri animali perché è in
grado di superare l’appetito sensibile, per desiderare beni spirituali e perfino
l’immortalità, sviluppando così una sorta di morale naturale connessa con le
cose divine.
Tommaso Campanella I
(1568-1639)
 Seguace di Telesio, suo conterraneo, Tommaso Campanella
entrò giovanissimo nell’ordine domenicano e studiò a Napoli. Si
interessò prestissimo a pratiche magico-astrologiche, e fu più
volte processato per ipotesi di eresia. Coinvolto nella rivolta
antispagnola del 1599, viene arrestato e incarcerato per lunghi
anni. Scarcerato nel 1629, papa Urbano VIII gli fa conferire il
titolo di magister. Di nuovo perseguitato dal governo spagnolo,
fugge a Parigi dove gli vengono riconosciuti grandi onori negli
ambienti della nuova filosofia e dove si occupa delle sue maggiori
pubblicazioni. Ivi muore nel 1639.
 Tra le sue opere più importanti ricordiamo il De sensu rerum sive
de magia, la Philosophia realis, la Città del sole, l’Apologia pro
Galileo, l’Atheismus triumphatus e una imponente Theologia.
Tommaso Campanella II
 Campanella sostiene che il linguaggio di Dio nella natura è
diverso da quello delle Sacre scritture, e perciò bisogna
procedere con un’analisi separata dalla dottrina religiosa o
dall’indagine teologica. Cita l’esempio di un Cristoforo
Colombo che secondo lui capì, della natura, più cose di
Agostino (!!!).
 Di Telesio, frate Tommaso accoglie gli insegnamenti sui
principi attivi naturali (caldo, freddo, organicità della
natura, etc.). Ogni essere possiede una perceptio passionis,
consapevolezza di sentire, che gli dà una sapientia
intuitiva. Questa conoscenza è comunque sempre scientia
sui, cioè sapere su di sé, siccome si viene, conoscendo,
modificati dalla conoscenza stessa.
Tommaso Campanella III
 Il sensus inditus o cognitio sui, è sempre alla base di ogni
conoscenza. Qui Campanella anticipa alcune tesi cartesiane,
sulle tracce di Agostino (“non posso ingannarmi se non sono”) e
psicologiche contemporanee (una certa psicanalisi?).
 Tutte le cose,comunque, hanno ricevuto da Dio la capacità di
autoconservarsi e di amare se stesse, conseguendo il fine proprio.
 Dio, che è, per Campanella, nella sua divina Trinità, come
Possanza Prima, Sapienza Prima e Amor Primo, a tutti e a
tutto provvede.
 E tra tutte le creature, in forza dello spirito diffuso, spicca l’uomo
il quale è dotato da Dio di una mens, che è l’anima immortale,
abitante nello spirito (platonismo e dottrine cristiane in questo
quadro teoretico si incontrano).
Tommaso Campanella: La Città del
sole I
 Tra le opere di Campanella ci soffermiamo brevemente su
“La città del sole”, perché parte di una sorta di genere
letterario di gran momento, come vedremo.
 Si tratta di un ripensamento de La Repubblica di Platone,
nella quale vengono ripresi i temi principali come la
comunanza dei beni, la comunanza sessuale, una sorta di
religione naturale, che comunque prevede la presenza di un
Dio provvidente e l’immortalità dell’anima.
 Al vertice è posto un Sovrano, che è servito da tre
“primalità” mutuate dalla S. ma Trinità: Pon, Sin e Mor. Il
Sovrano è la sapienza metafisica e teologica, conoscendo la
radice ultima della realtà, ma anche tutte le arti liberali e
meccaniche, e dunque è depositario del sapere, supportato
dalla tre “potenze” su nominate.
Tommaso Campanella: La Città del
sole II
 Il sapere è fondato su un’educazione non rigidamente
collegata alle dottrine scolastiche e agli schemi libreschi,
bensì all’osservazione della natura e al lavoro.
Un’educazione resa accessibile a tutti e non solo a pochi
privilegiati.
 L’utopia di Tommaso trae senso dall’aspettativa che egli
aveva di una generale palingenesi, politica, scientifica,
religiosa e morale, tale da rinnovare la vita degli uomini su
tutta la terra “un solo ovile sotto un solo pastore” (ahi
quanto attuale!).
 In realtà il Campanella non vuole sostituire il cristianesimo
con la religione naturale, ma mostrare come il
cristianesimo sia la più naturale delle religioni.
La nuova scienza
 Con prodromi che abbiamo visto manifestarsi fin dai due
secoli precedenti, dal XVI secolo si afferma sempre più una
metodologia e un approccio epistemologico al sapere che si
può definire “nuova scienza”. Essa avrà poi nel prosieguo
ulteriore spinta dai grandi pensatori e scienziati del secolo
successivo (Bacon, Descartes, Galileo, Newton …).
 La cifra teoretica unificante è sicuramente un deciso
ritorno al platonismo come concezione in grado di
unificare i saperi, sostenendo una profonda corrispondenza
tra la mente umana e la natura tutta. Una notevole spinta
in questo senso fu data anche dalla riscoperta dei grandi
classici della scienza matematica dell’antichità. Di seguito
daremo di tutto ciò una sommaria nozione.
La crisi
della cosmologia aristotelica
 La concezione della struttura cosmologica aristotelico-
tolemaica, così come era stata tramandata, accolta
pienamente nell’accademia europea a partire dal XIII secolo
entra in crisi, a partire dalla constatazione di una rigidità e
di uno schematismo che mal si attagliava alle riflessione e
scoperte che stavano emergendo. Abbiamo già visto come
diversi pensatori del Duecento e Trecento già mettessero in
dubbio quelle ipotesi (Grossatesta, l’Oresme e altri).
 La visione del mondo e della terra in particolare era
caratterizzata da pregiudizi e leggende, come quella
sull’inabitabilità di intere zone del pianeta.
La rivoluzione copernicana e
le scoperte geografiche
 È proprio questa concezione del mondo che viene messa in crisi dalla
“rivoluzione scientifica” che ha inizio nel XVI secolo!
 In questo secolo innanzitutto risalta la rivoluzione copernicana
(Niccolò Copernico, 1473-1543)nella cosmologia e astronomia: si passa
all’eliocentrismo!
 E poi le grandi scoperte geografiche, opera di navigatori coraggiosi
come Colombo, Vespucci, Caboto, Vasco de Gama, Magellano, che
contribuirono a fugare, rendendole leggendarie, opinioni consolidate
sulla non raggiungibilità di certi luoghi della terra.
 Una ulteriore riflessione si poneva sul piano antropologico ed etico: se
cioè le popolazioni autoctone incontrate dagli esploratori europei
fossero da definire “selvaggi” (corrispettivo di “barbari” di greca
memoria!), o possedessero essi stessi una religione naturale, una
morale e uno stile di vita plausibile, anche alla luce della dottrina
cristiana. La definizione di “barbari” veniva posta in discussione.
Le arti meccaniche e Leonardo
 Detto degli esploratori e navigatori, un altro capitolo
concerne i meccanici, i tecnici, i medici.
 Ad esempio, si può citare il grande medico Andrea Vesalio
(1515-1564), che a Padova condusse straordinarie ricerche
sull’anatomia umana fondata sulla dissezione dei cadaveri.
La sua opera monumentale, il De corporis humani fabrica,
restò a lungo un caposaldo della dottrina anatomica.
 Non può che essere Leonardo da Vinci (1452-1519) il
mentore di questo nuovo approccio alla scienza fisica, alla
meccanica e alle sue applicazioni, talmente conosciuto da
non richiederci qui altro che un cenno.
Il contributo scientifico
del Rinascimento
 Di solito si pensa al Rinascimento come a una fase storica
caratterizzata soprattutto dal rilancio delle discipline
umanistiche e dell’arte. Certamente questo è vero, basta
pensiamo al novero impressionante di artisti e letterati sommi di
quel periodo.
 Peraltro il ‘500 è stato anche un secolo nel quale esoterismo,
magia, alchimia e astrologia hanno conosciuto la massima
considerazione.
 Il XVI secolo è anche il periodo nel quale l’ontologia e la fisica
aristotelica viene superata, ma con il risultato paradossale di un
ritorno alla magia e all’esoterismo più spinto, come si dice sopra.
 Siccome non si è più in grado di sapere ciò che è reale e ciò che è
possibile, nel Rinascimento vige il detto che “tutto è possibile”.
Le “meraviglie della natura”
e la riscoperta dei classici
 Se vi è un rovescio della medaglia del detto rinascimentale
appena trattato, vi è anche un “dritto”, cioè l’enorme curiosità
dell’Homo rinascimentalis.
 Abbiamo già fatto cenno alle scoperte geografiche: l’America
scoperta ed esplorata, la circumnavigazione dell’Africa e della
terra intera, la raccolta di disegni botanici (cf. Albrecht Dürer,
1471-1528) e faunistici di ogni parte del mondo, di disegni degli
esseri umani incontrati dai viaggiatori e dai primi missionari,
della loro anatomia (cf. Leonardo!) …
 La varietas rerum impressiona e colpisce l’Uomo rinascimentale
e lo induce a riflettere ancora più a fondo su se stesso e sul
mondo. I testi degli antichi matematici (Erone, Archimede,
etc.) sono riscoperti e studiati da ricercatori come Francesco
Maurolico (1494-1575) e Pierre Fermat (1601-1665).
Politica e religione
nel Rinascimento I
 Abbiamo già detto di Campanella, ma anche altri autori
vanno segnalati in un periodo in cui la Chiesa e l’Impero,
come istituzioni, cominciavano a vivere situazioni molto
critiche. Infatti stavano formandosi gli stati moderni
(Francia, Spagna, Austria, etc.), che richiedevano ben altre
e diverse filosofie politiche.
 In questo nuovo contesto, sia le ricerche e le tesi di Niccolò
Macchiavelli (1469-1527), sia le utopie, come quelle del
Campanella di cui abbiamo già parlato, e di Thomas
More (1478-1535).
 Infine, fu la Riforma protestante, luterana e calvinista,
che pose le basi per una trasformazione profondissima del
rapporto tra politica, religione e popolo.
Politica e religione
nel Rinascimento II
 Da un lato possiamo considerare la teoria politica del
Macchiavelli, improntata a un realismo che a volte è stato
interpretato in forma di cinismo, la politica come valore
assoluto, dall’altro si deve tenere conto delle teorie utopistiche
(dal greco “nessun luogo”), che propongono ipotesi di governo
assolutamente opposte.
 In realtà il Macchiavelli rappresenta la realtà del tempo così
com’era, mentre autori come il Campanella e il More
desiderano porre al centro del loro interesse la possibilità di una
diversa forma di governo, più umana, comunitaria e
solidale. Il More, ad esempio, in questo molto vicino al monaco
domenicano, propone, nel suo capolavoro De optimo reipublicae
statu deque nova insula Utopia, forme di convivenza più
rispettose della comune umanità.
La Riforma
 La Riforma protestante fu l’ultimo straordinario atto
rivoluzionario di una critica ai comportamenti della Chiesa
cattolica romana, che ebbe inizio fin dal XIV secolo con
predicatori, teologi e riformatori, tra i quali vanno
ricordato John Wyclif (1320-1384), inglese e Jan Hus (13691415), boemo.
 Costoro predicavano una Chiesa diversa da quella
realizzatosi storicamente nella gerarchia, una Chiesa
capace di tornare alla “purezza delle origini”, capace di
uscire dallo “stato di peccato” nel quale secondo loro si era
venuta a trovare, e sempre di più nel tempo. Certamente
molti esempi concreti rinforzavano queste tesi.
Martin Lutero
(1483-1546)
 Martin Luther entrò in monastero da una famiglia
contadina. Agostiniano studiò teologia a Erfurt,
influenzato dall’occasionalismo occamiano. Frate Martino
fu profondamente influenzato da una visione del mondo
che era, insieme, spiritualista nella tradizione agostiniana,
e profondamente concreta e terragna, nella sua divisione
tra le cose del cielo e le cose della vita umana.
 Insegnò teologia a Wittemberg, che fu poi teatro delle sue
iniziali prese di posizione anticattoliche, con la
pubblicazione delle novantacinque tesi della Riforma.
Martin Lutero: Dio e l’uomo
 Il tema di Dio tormentava fortemente il frate agostiniano:
nonostante sostenne ogni forma di acculturazione terrena,
come con la traduzione in tedesco delle Bibbia (decisione
epocale per lo sviluppo della cultura popolare germanica),
Lutero riteneva che la dimensione della Fede (in questo
senso profondamente occamista) fosse tutt’altra rispetto
alla cultura dell’uomo e del mondo.
 La Fede può essere data solo dalla Grazia divina. La Fede,
per Lutero, non è raggiungibile attraverso il misticismo, ma
solo attraverso la pratica religiosa e l’approccio alla Sacra
Scrittura. Sola Gratia, sola Fides, sola Scriptura.
Martin Lutero:
la giustificazione per fede I
 Per frate Martino solo la fede (sola fide) può salvare l’uomo,
derivando tale profonda convinzione soprattutto dalla studio
delle lettere paoline, in particolare la Lettera ai Romani, e
dall’impostazione agostiniana.
 La fede per Lutero opera anche senza le opere, in una visione
profondamente “antipelagiana”, deterministica e in qualche
modo fatalistica.
 La Fede insieme con la Sacra scrittura, accessibili ambedue a
chiunque si abbandoni a Dio e a Cristo, sono la via della salvezza,
l’unica.
 Martin Lutero, perciò, si scagliò contro la tradizione delle
indulgenze, quando affisse alla porta della chiesa di Wittemberg
le sue tesi nel 1517. Per lui le indulgenze erano opera del demonio,
non vie per la salvezza.
Martin Lutero:
la giustificazione per fede II
 Nel 1519 Martin Lutero dovette difendere a Lipsia le sue tesi
davanti al teologo Johannes Eck (teologo cattolico e
professore a Ingolstadt, 1486-1543) quando osò addirittura
manifestare apertamente una certa adesione alle posizioni
di Wyclif e Hus, rischiando molto.
 Lutero si avvalse del suo amico e sodale Filippo
Melantone (1497-1560), umanista e professore di greco
all’università di Wittemberg, per sistematizzare il suo
pensiero. La supremazia della fede comportava per Lutero
l’abolizione del clero e di cinque dei sette sacramenti,
accettando solo il Battesimo e l’Eucaristia, in ricordo della
cena del Signore.
 Il servizio religioso diventava quindi un atto comunitario al
quale partecipava l’intero sacerdozio di tutti i credenti.
Martin Lutero:
la giustificazione per fede III
 Lutero apportò una modifica alla dottrina tomista della
transustaziazione una modifica, nel senso che nel
sacramento eucaristico vi era sì la presnza reale mistica di
Cristo, ma il pane e il vino non si trasformano nel corpo e
nel sangue di Cristo. Tale posizione si comprende per la
distanza che Lutero manteneva dalla ontologia e dalla
metafisica aristotelico-tomista, che in qualche modo dava
un senso filosofico alla transustaziazione, con i concetti di
sostanza, materia e forma.
 La Riforma non aboliva dunque ogni retaggio cattolico, ma
lo semplificava rendendolo oggetto di una sorta di
“sacerdozio del popolo”.
Martin Lutero: il libero arbitrio
 Un tema fondamentale che interessò il frate riformatore fu
la grande questione, posta già dal suo maestro Agostino,
del libero arbitrio. Martino preferì l’impostazione più
radicale, che negava ogni possibilità di scelta all’uomo, e su
ciò conflisse aspramente con Erasmo (da Rotterdam, 14691536), il quale invece sosteneva la possibilità ampia per
l’uomo di potere decidere di sé e delle proprie azioni.
 Servo arbitrio, dunque, per Lutero, delle passioni e della
povertà dell’uomo, mentre per Erasmo poteva darsi, sia
pure nei limiti dell’essere umano, il libero arbitrio.
 Accanto al servo arbitrio, Lutero considerava come
ineluttabile a una sorta di predestinazione del destino di
ogni anima umana, sia pure mitigata dal sacrificio di Cristo,
che è tale da poter salvare ogni anima che chieda la grazia.
Martin Lutero: la Chiesa
Giovanni Calvino
 La Chiesa, così come era intesa nella tradizione cattolica
era dunque da Lutero scalzata da una nuova liturgia, anche
se il cambiamento avvenne molto lentamente,
mantenendosi a lungo i vecchi riti anche nelle aree dove il
nuovo credo protestante stava affermandosi.
 Accanto a Lutero dobbiamo ricordare Jean Cauvin, o
Giovanni Calvino (1509-1564), che fu anche più radicale di
Lutero nel cambiamento, che egli guidò da Ginevra, sua
città. Egli peraltro diede la maggiore sistemazione teorica
alla Riforma con il suo trattato Christianae religionis
institutio del 1536.
Giordano Bruno I
(1548-1600)
 Filippo Bruno, nato a Nola entrò a diciotto anni
nell’ordine domenicano e prese il nome di Giordano.
Studiò i platonici e gli aristotelici, ma da spirito ribelle,
incorse presto nei rigori del sant’Uffizio. Riparò a Roma e
poi in Liguria e a Lione e a Ginevra, dove si fece in qualche
modo protestante e studiò teologia.
 Stette per due anni a Tolosa insegnando filosofia, e
successivamente si stabilì a Parigi. Dove pubblicò Il
candelaio e il De compendiosa architectura et complemento
Artis Lulli. In Inghilterra pubblicò il Sigillus sigillorum e i
dialoghi italiani: La cena delle ceneri, il De la causa,
principio e uno, il De l’infinito, universo e mondi, lo Spaccio
della bestia trionfante, e il De gli eroici furori.
Giordano Bruno II
 Tornato a Parigi nel 1585, frate Giordano, riprese una vita
raminga, a Magonza, Marburgo, Wittemberg, Praga,
Francoforte sul Meno, Zurigo, e di nuovo a Francoforte
dove pubblicò, tra le altre opere, il De immenso et
innumerabilibus, seu de universo et mundis.
 Nel 1591, fidandosi della benevolenza papale tornò in Italia,
a Venezia, ospite del nobile Giovanni Mocenigo, che invece
lo denunziò all’Inquisizione. Fu arrestato nel 1592, e si disse
pentito, ma ciò non valse a nulla, perché fu tradotto a Roma
nel 1593. dopo otto anni di prigione, questa volta
rifiutandosi di ritrattare, frate Giordano Bruno fu arso
vivo a Roma, il 17 febbraio 1600 in Campo de’ Fiori.
Giordano Bruno: la concezione
copernicana dell’universo
 Frate Giordano non solo accettò le ipotesi
cosmologiche di Copernico ma, basandosi anche sulle
teorie di Cusano, propose la possibilità di infiniti
mondi.
 Così la terra, distrutto il cosmo aristotelico, diviene un
corpo celeste come tanti altri, in mondi infiniti e
abitati. È superata la distinzione tra fisica celeste e
fisica terrestre, ma soprattutto si è aperta all’uomo la
vista su un universo infinito. L’intuizione di frate
Giordano, oltre le ipotesi di Niccolò Copernico, è di
una possibilità “dell’infinito universo e mondi”.
Giordano Bruno:
il problema dell’infinito
 Infinito per Bruno è il mondo, adeguato all’infinita
potenza di Dio. Negare l’infinità del primo è negare
l’infinità del Secondo, e quindi …
 Dio, per frate Giordano, è l’infinito Tutto,
l’assolutamente Tutto in cui coincidono Potenza e Atto,
assoluta Unità in cui gli Opposti si annullano.
 L’anima del mondo è intelletto universale che è causa
efficiente dell’universo e dei diversi mondi. Cioè Dio,
fabro del mondo.
 Tradizione magica, neoplatonica, avicennistica,
averroistica, cusaniana, quasi tutte le teorie classiche si
mediano e si mescolano nella sua visione.
Giordano Bruno: la logica
 Se l’universo nella sua unità deve essere letto e concepito
secondo la sua struttura, secondo Bruno va compreso nel
processo che porta dalle ombre della verità alle idee che
rispecchiano la sua struttura.
 I segni che rispecchiano le idee sono le basi dell’ars
combinatoria di ascendenza lulliana, contrattopsta
all’astrattezza della logica aristotelica e scolastica. L’arte
combinatoria si congiunge con l’arte della memoria, la
quale, risalendo dal molteplice ai più profondi princìpi,
costruisce un sapere unitario e completo.
 Una concezione sostanzialmente platonica dell’universo,
ove le strutture ideali che lo reggono sono le vere
strutture della realtà.
Giordano Bruno: etica e religione
 Bruno difende la bontà della natura e dell’opera dell’uomo.
Questi, nei suoi eroici furori, liberato dalle passioni, tutto si
converte verso Dio, diviene Dio.
 L’uomo dunque conquista la sua libertà, perché “comprende
l’interna simmetria insita nelle cose e ha sentimento della divina
armonia”.
 Vera religione è saper cogliere Dio dentro e dietro le
parvenze del molteplice, giungendo alla radicale unità del
tutto.
 Religione tutta filosofica quella di frate Giordano, radicalmente
distinta dalle religioni storiche, compresa quella cristiana. Bruno
non tralasciava l’esigenza di raccontare la religione tramite i miti
scritturistici, ma … l’uomo deve poter … che cosa?
… e la storia continua
… se vogliamo proceder insieme anche il prossimo Anno Accademico,
sperando e credendo che sarà possibile ripartire da chi venne dopo frate
Giordano, che sacrificò se stesso.
Allora incontreremo altri personaggi e idee, gli inglesi Bacon, Hobbes,
Locke, Hume e Berkeley, il francese grandissimo Descartes e
Pascal, il tedesco Leibniz, il portoghese ebreo olandese Spinoza, e i
filosofi dell’Illuminismo: Voltaire, Montesquieu, Diderot,
D’Alembert, Morelly, Rousseau, Vico, e poi il grande uomo dell’etica
Immanuel Kant, e Schleiermacher, gli idealisti Hegel, Fichte e
Schelling, e poi Schopenhauer, Feuerbach, Marx e Nietzsche;
Comte, Kierkegaard, e Bergson. Heidegger, Husserl, Jaspers e
Wittgenstein. Freud e Jung. Croce e Gentile.
Non dimenticheremo Pareyson, Gadamer, Ricoeur … il padre Cornelio
Fabro da Flumignano (Friuli), fino al nostro pensiero attuale …