Il PAESE INVISIBILE Mafia e questione meridionale FRASCA MATTEO Introduzione A partire dalla piaga del fenomeno mafioso, se ne analizzano le origini toccando le problematiche della “Questione meridionale” con riferimento ad autori della letteratura italiana che hanno affrontato queste tematiche e, all’estero, hanno aderito alle correnti realiste e naturaliste, promuovendo una poesia di denuncia sociale. Mappa dei collegamenti ITALIANO: verga e il verismo, cenni sul naturalismo RAGIONERIA: I finanziamenti Etimologia Il metodo I traffici STORIA: La “Questione meridionale” DIRITTO: La magistratura FINANZA PUBBLICA: Le spese e le entrate pubbliche Gli eroi della mafia MAFIA Rapporti tra cosche Mafia e Chiesa Organizzazione di una cosca Origini TECNICA: I fidi INGLESE: Financing and payment methods MATEMATICA: Funzioni in due variabili INFORMATICA: i sistemi operativi Italiano Verga e il Verismo Zola e il Naturalismo Tomasi di Lampedusa Financing the transactions Export financing Factoring Leasing Payment methods Cheque Credit card Bank transfer Bill of exchange Cash with order Cash on delivery Open account il naturalismo Definizione Caratteristiche Le regole Émile Zola Caratteristiche Concepisce l'arte come studio scientifico e impersonale della natura. E' volto allo studio e alla rappresentazione della realtà umana nei suoi aspetti più concreti e a volte brutali (bassifondi delle grandi città, l'esistenza miserabile delle classi operaie). Gli autori si sforzano di essere aperti alle realtà, in particolare alla realtà dell'improvviso sviluppo della borghesia industriale che apre le porte al problema sociale delle masse operaie. La natura è assunta non solo come oggetto della riflessione filosofica ma anche e soprattutto come punto di riferimento determinante e assoluto per quanto riguarda la vita e gli interessi dell'uomo. Ripudio della metafisica ma anche del realismo perché si limita a riprodurre un'immagine fedele della natura, affondando in una visione pessimistica e materialistica del mondo. Il linguaggio deve essere realistico quando non addirittura mimetico. Fiducia nella scienza e nel progresso. I fenomeni psicologici e sociali sono considerati prodotti dall'attività biologica fisiologica e psicologica dell'individuo e dei rapporti tra gli individui. Scriveva Hippolyte Taine che l'individuo è la risultante del concorso di tre fattori determinanti: - l'ambiente (mileu) - il momento storico (moment historique) - la razza d'appartenenza (race). Una visione fortemente negativa della realtà sociale attuale (nuova società industrializzata) è associata ad un ottimismo fondato sul progresso della scienza. Émile Zola Émile Zola è il personaggio più importante del Naturalismo. Scrive il ciclo dei "Rougons-Macquart" in cui vuole dimostrare il peso dell'eredità sulle azioni umane. Si propone un analisi scientifica delle realtà più povere della sua epoca,( i minatori, il sobborgo, la prostituzione...) e per essere più realistico possibile va a vivere coi protagonisti dei suoi lavori. Crede che la letteratura abbia un scopo morale e sociale molto importante, è convinto della possibilità di diffondere le suo idee socialista di rivolta e cambiamento coi suoi libri. È per la sua fiducia negli sconvolgimenti storici che talvolta deve rinunciare all'impersonalità nei romanzi per lanciare i suoi messaggi umanitari con le parole dei suoi personaggi. Le regole Il naturalismo applica alla letteratura il metodo sperimentale che è alla base del movimento filosofico del positivismo: l'opera narrativa diventa così un laboratorio per l'osservazione fredda e distaccata della realtà, di cui lo scrittore, al pari di uno scienziato, deve registrare impassibilmente i fenomeni: il narratore non interviene né si manifesta nel racconto (scompare il suo punto di vista). Si deve limitare ad osservare e a riportare il punto di vista dei suoi personaggi. Questo movimento letterario respinge ogni eccesso della fantasia e del sentimento; l'obiettivo finale è quello di avere un'opera d'arte oggettiva, in cui l'autore si limita ad una narrazione impassibile delle varie vicende della vita quotidiana. Il fattore dominante è quindi rappresentato dal canone dell'impersonalità dell'opera d'arte. L'opera dello scrittore deve sottolineare la dipendenza dell'uomo dalle condizioni ambientali: l'attenzione è puntata non tanto sulla natura quanto sulla società, intesa come meccanismo di sopraffazione e di abbrutimento dei singoli. Fondamentale è la tesi che il male e la malattia siano causa del deterioramento delle strutture sociali. Il romanziere naturalista deve «affondare il suo bisturi» nella società umana indagandone le passioni e i comportamenti e risalendo alla cause che li determinano. Il naturalismo privilegia il romanzo in quanto solo nel romanzo possono essere distesamente affrontate le condizioni umane. Il romanzo sperimentale mette in luce le manifestazioni passionali e intellettuali dell'individuo e rappresenta l'uomo nell'ambiente sociale che lui stesso ha creato trasformandolo incessantemente e lasciandosi a sua volta trasformare. Definizione Il naturalismo è un movimento letterario che si sviluppa in Francia nella seconda metà del XIX secolo, con lo scrittore-scienziato Émile Zola. Il naturalismo trova le sue radici nel realismo ma ne diventa un tipo d’esasperazione. Tomasi di Lampedusa, “Il Gattopardo” “Il Gattopardo” è un romanzo storico ambientato in Sicilia all’epoca della fine del dominio Borbonico e mette in scena il forte contrasto tra “vecchio” e “nuovo” incarnato dai due protagonisti, il principe Fabrizio Salina e il nipote Tancredi. E’ il secondo che comprende quanto veramente sta succedendo alla società: nonostante tutto sembra in fase di cambiamento, in realtà ogni cosa rimarrà com’era nella tradizione, è dunque necessario un intervento per dirigere i mutamenti verso i propri interessi. Nonostante l’impianto sia storico il libro è tutto impregnato da una sensibilità decadente che maschera i temi del nichilismo e della morte. Anche per quanto riguarda la narrazione si ammette che nonostante l’impianto naturalistico, tutto sia comunque filtrato dagli occhi del protagonista. Verga e il Verismo L’importanza dell’opera L’ideologia Lo stile narrativo Il ciclo dei vinti I Malavoglia Le novelle Il verismo Differenze fondamentali naturalismo Libertà tra verismo e Il ciclo dei Vinti Il ciclo di romanzi si ispira al modello diffusa dai “RougonsMacquart” di Zola. Verga intende disegnare un quadro completo della società italiana, passando in rassegna tutte le classi, senza tuttavia un intento scientifico come era quello dell’autore francese. Verga vuole focalizzare la sua attenzione sui Vinti mettendo il luce le leggi materialistiche che muovono il volere dell’uomo. Il Ciclo doveva essere composto da cinque romanzi “I Malavoglia”, “Mastro Don Gesualdo”, “La duchessa di Leyra”, “L’onorevole Scipioni”, “L’uomo di lusso”, solo i primi due saranno portati a termine. L’ideologia La società umana è dominata dal meccanismo della “lotta per la vita” (Darwin) in cui il più forte schiaccia il più debole. Gli uomini non sono mossi da ideali ma da interessi economici (Mastro Don Gesualdo). Come ogni legge naturale,anche quella della lotta per la sopravvivenza è immutabile ed universale, dunque non vi sono alternative al tipo di società vigente, né nel passato, né nel futuro (pessimismo). Lo stile narrativo Alla mancanza di fiducia nella possibilità di modificare la realtà, dominata da una legge naturale immutabile, corrisponde la mancanza di un intervento del narratore nel romanzo a suggerire comportamenti, giudicare azioni e pensieri dei personaggi. Il narratore si cala completamente nel personaggio, parlando la sua lingua, pensando con la sua mentalità, agendo secondo i suoi principi.(“regressione”). Il narratore non informa sul carattere dei personaggi e sulla loro vita prima dell’inizio della storia. Tutto è raccontato dalla voce della logica popolare, basata sull’utile e l’interesse personale, priva di sensibilità e altruismo. Il verismo Il verismo non può propriamente essere definito una corrente letteraria con una linea di pensiero e un programma proprio, come lo era il Romanticismo o il Naturalismo francese. Nulla accomuna gli scrittori che di solito si tende a collocare in questo “stile” se non un gusto di fondo perla rappresentazione del reale e un interesse verso il popolo, le classi inferiori e gli ambienti rurali. Si tende addirittura a definire veriste le sole personalità di Verga, Capuana e De Roberto. Differenze fondamentali tra verismo e naturalismo DIFFERENZE FORMALI Il narratore di Zola racconta la vicenda dal punto di vista dell’autore, intervenendo spesso con giudizi morali, mentre Verga si eclissa nel personaggio, attraverso la “regressione” Non è difficile comprendere la distanza tra narratore e autore, attraverso gli inrterventi di quest’ultimo sulla realtà che narra. DIFFERENZE IDEOLOGICHE Zola crede nella funzione progressiva della letteratura, che per Verga non può nulla per modificare la legge della lotta per la vita. L’intellettuale deve farsi attivo portavalori del popolo cui spetta il compito di cambiare la società (Zola). L’intellettuale deve limitarsi a “trarsi fuori del campo della lotta per studiarla senza passione e rendere la scena nettamente coi colori adatti” (Verga). Le novelle L’importanza delle novelle consiste nel fatto che esse fanno come da “schizzi preparatori” per i romanzi del Ciclo dei Vinti. La prima raccolta “Vita dei campi” (1880) risente ancora di un sentimentalismo romantico e di una mitizzazione dell’ambiente rurale, anche se già è applicata la tecnica dell’impersonalità. Più coerenti alla “conversione” verghiana al Verismo sono le “Novelle Rusticane” (1883), ambientate in una Sicilia rurale e aspra, governata dalla legge dell’utile che causa miseria e soffoca i sentimenti. Le raccolte di novelle degli ultimi anni della produzione di Verga poco hanno di originale e segnano più che altro una regressione dell’autore, che si limita prevalentemente alla rielaborazione di racconti già stesi. Libertà Questa novella, contenuta nella raccolta ‘NOVELLE RUSTICANE ’ è ispirata ad un fatto storico del 1860, quando, dopo il proclama di Marsala, a Bronte, in un paese vicino all’Etna, la folla è presa da una euforia omicida e compie una rivolta massacrando i possidenti e i borghesi con il fine di instaurare un ordine sociale dove “se non c’ era più il perito per misurare la terra e il notaio per metterla sulla carta, ognuno avrebbe fatto a riffa e a raffa !”. Per fare questo i paesani ammazzano “i cappelli” ,vale a dire i rappresentanti dell’alta società e della classe dirigente, come il reverendo, lo speziale, il figlio del notaio, la baronessa. Ad ogni uccisione di un ricco sono gridate parole di “rancore socio- economico”che recriminano i loro comportamenti passati, quando essi si arricchirono sulle spalle dei poveri e le ragioni di questi ultimi. Le particolarità di questa rivolta sono l’aspetto irrazionale e la disorganizzazione, l’astrazione delle prospettive post-rivoluzione, anzi, l’assenza di tali prospettive che si risolvono con la resa dei rivoltosi. Non solo i paesani sono catturati dai garibaldini ma essi non pongono nemmeno resistenza, rimanendo paralizzati dalla paura e muoiono in una condizione opposta a quella degli eroi, i quali vengono a mancare con onore. Invece le lacrime che scendono dagli occhi dei rivoltosi prima di essere fucilati sono la dimostrazione di un pentimento che nasce dalla consapevolezza della loro situazione di inferiorità nei confronti di alcune classi sociali che li hanno sempre controllati e che hanno dettato le regole fino ad allora. Dato che non sono capaci di cambiare questa subordinazione e di sostenerne il cambiamento, essi rimangono in tale condizione. Viceversa, sono resi secolarmente deboli e abituati a quella realtà sociale, che non riescono e non vogliono nel profondo di loro stessi, cambiare. Tutto il brano è caratterizzato dalla tecnica espressiva propria di Verga, cioè l’ impersonalità che fa apparire il racconto come proveniente dalla voce del popolo, dai viottoli del paese dove esso si svolge. Contemporaneamente, traspare il conservatorismo dell’ autore, il quale, propone una storia in cui i contadini siciliani non riescono, per vari motivi ad attuare un ribaltamento delle loro condizioni sociali, neppure quando agiscono con la forza. Il finale propone una visione della società in cui i contadini non possono fare a meno del notaio, del perito, del prete, così come i “padroni” non possono sopravvivere senza il lavoro dei contadini. L’importanza dell’opera Grazie alla lucida analisi delle problematiche della Sicilia contadina post-unitaria, condotta nelle pagine dei “Malavoglia”, Verga ci permette di ricostruire un quadro dettagliato delle condizioni di vita di un mondo lontano dalle ricche terre piemontesi, unito all’Italia solo sulla carta, in realtà ancora governato da una mentalità ottusa di stampo monarchico e tradizionalista. I Malavoglia Sono il primo dei cinque romanzi del “Ciclo de Vinti”, scritto nel 1881. Raccontano la drammatica vicenda di una famiglia scossa dall’irruzione del progresso dinamico e feroce nel quotidiano statico e tradizionalista. Viene completamente smantellato il mito di un mondo rurale idillico e fiabesco, in favore di una società retta dalla legge dell’utile. Nonostante sia ormai del tutto impregnato da un pessimismo immutabile, l’autore non rinuncia ad alcuni valori ideali che proietta in personaggi privilegiati, ma sempre tristemente schiacciati dall’interesse e dal progresso (alla divisione dei personaggi in “buoni” e “cattivi” corrisponde un tipo di narrazione bipolare). L’azione ha luogo nel 1863, nella Sicilia post-unitaria che viene a conoscenza delle trasformazioni e delle “modernità” della società italiana (leva obbligatoria, tasse, treno, telegrafo…). Nonostante questi cambiamenti tuttavia i valori che muovono la società rimangono gli stessi e le classi che la compongono, seppur scosse dal cambiamento si mantengono per tutta la vicenda. Mafia e Chiesa Nei primi contrasti tra mondo contadino e proprietari terrieri dei Fasci Siciliani la Chiesa ha preso le parti del potere al governo con eccezionali episodi sporadici di sodalizi (solo verbali comunque) tra clero e rivoltosi. La mafia in particolare, negli anni in cui le ribellioni si facevano più sanguinolente e maggiormente coatte dal punto di vista ideologico, fu sempre usata (in collaborazione con gli eserciti regolari) come silenziosa e infallibile arma contro la minaccia socialista. Solo don Luigi Sturzo, nominato capo del nascente PPI, si impegnò per alleviare le condizioni di vita degli strati più disagiati della popolazione attraverso la creazione di una Cassa Rurale Cattolica (vi furono però episodi in cui la Cassa si legò ai gabellotti mafiosi nella lotta contro la “concorrenza” delle cooperative socialiste). In generale il motto di quegli anni fu universalmente “IN NOME DELLA LOTTA ANTICOMUNISTA, TUTTO E’ GIUSTIFICABILE”. Nel secondo dopoguerra la lotta fu condotta da una sinistra scarna e minoritaria, qui nacque la tuttora diffusa opinione “La mafia è un’invenzione dei comunisti”. A seguito dei violenti e numerosi attentati degli anni ‘80 e ‘90 vi fu una più netta presa di posizione del clero, aumentarono gli episodi di “martirio” e furono emesse le prime condanne: “Il Vangelo è assolutamente incompatibile con la mafia e chi collabora con essa o ne è parte, è dichiarato fuori dalla comunione della Chiesa”. I traffici La prima mafia era “rurale”, legata cioè alla realtà agricola del Sud, dove in cambio di protezione dispensava impieghi, sicurezza economica e una relativa pace sociale. All’incirca negli anni della Seconda Guerra Mondiale, la malavita cominciò ad interessarsi al nuovo business dell’industrializzazione, che assicurava capitali più facilmente accumulabili e monetizzabili. Nei primi anni Cinquanta le organizzazioni scatenarono lotte per il controllo di nuovi affari clandestini ma redditizi come la prostituzione, il contrabbando, le scommesse clandestine. Negli anni Sessanta con lo spostamento dei clan nelle grandi città, la mafia mise le mani sugli appalti pubblici, controllando piani regolatori e speculando indisturbatamente nel settore edile. Risalgono agli anni Settanta le aperture verso traffici estremamente lucrosi: l’organizzazione si preoccupò di investire nuovi capitali in settori pericolosi quanto proficui come quello delle armi o della droga. La mafia nella storia Mafia e stato liberale: dopo l’unità d’Italia Mafia e Fascismo: il prefetto Mori Seconda Guerra Mondiale:lo sbarco Il dopoguerra: l’emigrazione Gli anni sessanta, la prima Antimafia Gli anni ottanta, i pentiti I grandi attentati Le stragi In concomitanza con l’inizio delle operazioni speciali e dei maxiprocessi per mafia sono proliferati gli attentati a membri di clan, uomini di polizia,magistrati, giudici e perfino giornalisti coinvolti nella lotta. Un esempio sono le uccisioni dei procuratori della repubblica Costa e Chinnici, del segretario regionale La Torre e del generale dei carabinieri Dalla Chiesa. Più recenti i casi dei giudici Falcone e Borsellino, uccisi nel 1992. La strategia dell’eliminazione fisica degli uomini di giustizia, per quanto efficace si rivelerà alla lunga controproducente in quanto lo scalpore provocato dalle stragi aiuterà una più rapida riorganizzazione degli organi statali preposti alla lotta contro le cosche. Il pentitismo Per contenere la furia della criminalità organizzata, ormai radicata in tutto il mondo, lo Stato si impegnò a incentivare nuove azioni investigative. A questo proposito furono create la DIA (Direzione Investigativa Anticrimine) e la DNA (Direzione Nazionale Antimafia) che ottennero successi con l’arresto di numerosi capimafia. Un ruolo importante fu ricoperto inoltre dai pentiti, ex mafiosi che accettano di collaborare con la giustizia in cambio di riduzioni di pena o immunità (anche se a volte essi si sono rivelati strumenti stessi delle lotte tra clan) La commissione Antimafia Nel 1962, al dilagare costante e terribile del problema, lo Stato Italiano rispose per la prima volta con la costituzione di una Commissione parlamentare Antimafia. Il compito affidato fu quello di indagare sui numerosi intrecci della criminalità organizzata con alcuni ambienti politici. Lo sbarco angloamericano Raggiunta attraverso i servizi segreti nelle sue ramificazioni oltreoceaniche, la mafia venne usata nel 1943 dagli Americani per mettere a segno il loro sbarco in Italia. Essi la utilizzarono come elemento di stabilizzazione e controllo del territorio offrendole in cambio posti prestigiosi nelle amministrazioni locali. E’ in questo momento che l’Onorata Società comincia ad occuparsi sempre più tenacemente di questioni politiche, senza mai tuttavia esporsi in prima persona. La mafia esportata Il problema assunse enorme risonanza, anche internazionale soprattutto a seguito delle vicende si Salvatore Giuliano che nel 1947 organizzò la prima grande strage documentata della storia della mafia. Nello stesso periodo i centri delle attività illegali furono spostati dalle campagne alle grandi città e, attraverso la sicura rete delle emigrazioni negli Stati Uniti, si stabilì un legame di sangue con le organizzazioni d’oltremare. L’impresa di Mori Il primo attacco serio al potere mafioso venne mosso negli anni Venti, quando il prefetto Mori venne inviato in Sicilia. L’azione contro la mafia servì al fascismo come schermo per colpire gli oppositori del regime. Il male non fu comunque estirpato alla sua radice, in quanto prosperava efficacemente a causa delle condizioni di estrema povertà in cui versava il Sud, dove realmente mancavano alternative legali di occupazione e sostentamento. Mafia e stato liberale L’Italia fu unita nel 1861 ma il meridione non se ne sentì mai veramente parte: nelle campagne siciliane, calabresi, pugliesi continuarono a governare sistemi arretrati di tipo baronale e feudale che favorirono lo sviluppo capillare e clandestino delle grandi cosche mafiose. Lo stato liberale non riuscì a fronteggiare il fenomeno, che anzi si potenziò con l’inserimento di “uomini d’onore” nella amministrazione periferica del Regno, distorta a fini privati in un intreccio di favoritismi e corruzione. L’elevato tasso di emigrazione, diretta in particolar modo verso gli Stati Uniti fece sì che il fenomeno assumesse dimensioni internazionali. Famiglia di emigranti MAFIA Fenomeno criminoso, localizzato in Sicilia (e col tempo diffusosi in tutto il mondo), basato su una complessa e organizzata rete di complicità, ricatti, delitti e violenze in genere a sfondo economico, che si pone come organizzazione sostitutiva e concorrente rispetto all’autorità legale per realizzare un “ordine” fondato su “accordi tra amici”. Il metodo Le cosche operanti in una zona si propongono di ottenere prestigio mantenendosi ai margini della legge, per questo agiscono con estorsioni, intimidazioni, ricatti, senza mai temere la giustizia statale in quanto costantemente protetti da un velo di omertà. Il colpo di lupara è tristemente sopravvissuto ai tempi come tipico mezzo di persuasione o regolamento di conti tra clan. Palermo, 28-8-1982, attentato incendiario alla cereria F.lli Gange Rapporti tra cosche L’organizzazione tra le varie “famiglie” è assicurata da una commissione (“cupola”) formata dai capifamiglia più influenti o dai loro rappresentanti che decidono la strategia dell’intera organizzazione, mantengono i rapporti internazionali, suddividono tra le cosche le varie attività e si assumono all’occorrenza i diritti di un tribunale supremo e inappellabile nei confronti degli affliati. Tipico anche il fenomeno delle guerre tra clan, quando due o più famiglie entrano in contrasto per assicurarsi il settore più vantaggioso di un mercato. Nei periodi di lotta tra le famiglie si inserisce l’affascinante e ambigua personalità del confidente. Etimologia arabo Mahyas, millanteria Estensione di un termine già usato dal 1860 in un rione palermitano con il significato di valentia, superiorità, coraggio, perfezione (opinione dello storico Pitré) Nel dramma di Rizzotto I mafiusi della Vicaria (1863), il guappo, l’uomo d’onore che si contrappone alle istituzioni vigenti Dall’ Origini La mafia siciliana nacque agli inizi dell’800 come polizia privata dei proprietari terrieri. Col tempo gli affiliati si organizzarono in cosche autonome e, affrancatisi dal potere baronale, divennero una vera e propria istituzione criminale segreta e alternativa allo Stato. La mafia ha trovato terreno fertile in quelle regioni in cui la figura dello Stato è meno radicata nella società e dove la miseria e la fame, a volte troppo trascurate dai governi settentrionalisti fanno si che i più disperati accettino la benevolente protezione di un padrino. Non sempre infatti la “Questione meridionale” è stata affrontata con le dovuta misure dalla politica interna italiana. La “Questione meridionale” Definizione Il dominio Spagnolo I Borboni L’Ottocento Dopo l’Unità Il governo Giolittiano Il regime Il dopoguerra La crisi degli anni ’70 Gli anni Ottanta La situazione oggi Palermo Definizione A partire dall’Unità d’Italia si denomina “questione meridionale” un grave problema sociale della penisola che trova origine nel differente sviluppo storico-economico delle regioni del Mezzogiorno. Si tratta in sostanza di una questione di zone deboli, dove lo scarso sviluppo dei comuni, un fiacco tessuto cittadino e l’incancellabilità del feudalesimo hanno impedito la maturazione di un moderno e democratico modello economico, politico e sociale. Il dominio Spagnolo Instaurandosi all’inizio del XVI secolo nel Sud Italia, gli Spagnoli non si preoccuparono di restaurare e riunificare il mercato (anche essendo la Spagna un paese in decadenza commerciale). Tutto ciò causò problemi di sovrappopolazione nelle città, entroterra arretrati, analfabetismo, mafia, renitenza alla leva e carenza di spirito associativo. I Borboni Sotto il dominio dei Borboni cominciarono i primi tentativi di riammodernamento che troveranno seguito nei provvedimenti dei successivi governi francesi. Si cercò più che altro di incoraggiare il formarsi di piccole proprietà contadine, onde colpire i grossi prestigi feudali (questione demaniale) L’Ottocento Mentre in Europa fiorivano le nuove industrie, il Meridione versava ancora in condizioni di degrado agricolo e scarsissima se non nulla iniziativa nel settore del secondario. Si tentò dunque di creare poli di sviluppo con l’inserimento di imprenditori stranieri al fine di incentivare la nascita di un ceto medio che sapesse organizzare un decollo industriale. Dopo l’Unità d’Italia La questione meridionale diviene un problema nazionale. La destra al potere ne ha una visione moralisticopedagogica (“educazione” delle masse) e nazionalisticorepressiva (a seguito dei moti del brigantaggio e per l’imposta sul macinato). Quando il malcontento si ricoprì di vesti ideologiche ben precise, furono usati strumenti di repressione per soffocare il malcontento. Di fatto l’amministrazione piemontese aveva soffocato la debole industria che faticosamente nasceva, imponendo riforme fiscali inadeguate. Il governo Giolittiano All’inizio del Novecento furono istituite una serie di leggi speciali per Napoli, la Sicilia, la Calabria, senza tuttavia che la questione interessasse una pianificazione legislativo-finanziaria globale che impegnasse l’intera nazione. I tassi di emigrazione e analfabetismo toccarono vette elevatissime e nemmeno le imprese coloniali, che volevano esportare all’estero i problemi socio-economici della nazione riuscirono a risollevare la situazione. Il regime Nel primo dopoguerra il problema meridionale era stato completamente assorbito dalla dimensione generale della questione agricola e dalla crisi economica. Il fascismo considerò antinazionale e antiunitario il discutere di una “questione meridionale”, dunque il dibattito e gli sforzi vennero sospesi e i meridionalisti costretti al silenzio o all’emigrazione. Il secondo dopoguerra La “questione meridionale” tornò in primo piano e fu inserita all’interno del piano di ricostruzione socioeconomico nazionale. A metà degli anni ‘50 nacque il grandioso fenomeno della migrazione interna: migliaia di meridionali si stabilirono al Nord in cerca di lavoro. L’intervento dello stato mirò a questo punto alla realizzazione di poli di sviluppo nel Sud, ma finì con il creare nuovi squilibri tra zone industrializzate e zone depresse e disabitate. Il tutto originò una serie di disordini sociali e, nelle aree più avanzate la speculazione edilizia favorì la crescita del fenomeno mafioso. La crisi degli anni ‘70 La crisi economica degli anni Settanta mise in discussione l’intero piano di intervento statale, basato sulla logica della creazione di poli di sviluppo ormai soprannominati “Cattedrali nel deserto”. La situazione oggi L’ipotesi che la diffusione e la modernità del terziario al Nord potessero favorire un trasferimento delle industrie nel mezzogiorno è ormai decisamente da scartare:gli stabilimenti continuano infatti a proliferare nelle aree tradizionali del settentrione. La “questione meridionale” è dunque tuttora di grande attualità e legata ai tristi temi di sempre: arretratezza delle infrastrutture, disoccupazione, malavita, clientelismo nella politica. Gli anni Ottanta In questi anni si allargò ulteriormente il divario tra settentrione e meridione, principalmente a causa dei programmi di ammodernamento delle industrie al Nord e dello sviluppo in queste regioni de terziario. Organizzazione di una cosca Padrino Soldati (sicari, guappi, picciotti) “La mafia è un albero che ha le radici in alto” Le famiglie sono legate da patti di parentela ma soprattutto di fedeltà e protezione di stampo feudale. Il padrino è personalmente legato ai subalterni, cui offre protezione in cambio di favori e obbedienza cieca. Per questa struttura gerarchica poco evoluta ed estremamente “familiare” la mafia è spesso paragonata ad una piovra. Gli eroi della mafia Falcone e Borsellino: due nomi, un solo luogo del nostro immaginario collettivo, a testimonianza di una tragedia che ha colpito tutti, un intero popolo. E' difficile scindere questo binomio, impossibile parlare di Giovanni, senza immediatamente ricordare Paolo. Nella nostra mente si è insediato un automatismo che sarà difficile rimuovere. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano uniti in vita, legati da un “mestiere” che per loro era missione: liberare la società civile dall'oppressione di una “mala pianta”- la mafia - che nasce, vive e prospera nello stesso umore nutritivo prodotto dalla Sicilia. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono ora inscindibili nella nostra memoria. Come accade per quanti diventano simbolo contro la loro stessa volontà, eroi soltanto per aver voluto esercitare il diritto di affermare le proprie idee, per aver rifiutato la via facile dell'accomodamento e del quieto vivere. La loro fine, orribile e tragica, li ha fusi insieme. Così che oggi, quasi naturalmente, il viaggiatore che si avvicini alla Sicilia sentirà i loro nomi prima ancora di mettere piede nell'Isola. Al momento dell'atterraggio sarà la voce del comandante ad informare che “tra pochi minuti atterreremo all'aeroporto Falcone - Borsellino”. I siciliani, i siciliani onesti amano quei magistrati caduti a meno di due mesi l'uno dall'altro. I mafiosi li rispettano, come li temevano quando erano vivi. (...) I colpi subiti dai collaboratori di giustizia, i pentiti. “Invenzione” di Giovanni Falcone, quando nessuno osava soltanto pensare alla eventualità che uno strumento rivelatosi essenziale contro il terrorismo potesse risultare praticabile nella lotta alla mafia. Falcone portò in Italia un Buscetta pentito che doveva aprire la strada al ripensamento di tanti altri boss come Salvatore Contorno, Nino Calderone e Francesco Marino Mannoia. Bastò questo per segnare tanti punti, innanzitutto l'esito del primo maxiprocesso: una disfatta per Cosa Nostra. Già, il maxiprocesso. Fu forse allora che Falcone e Borsellino firmarono la loro condanna a morte. Cosa Nostra capì che non ci poteva essere convivenza tra i propri interessi e quei due magistrati che parlavano in palermitano, capivano il linguaggio cifrato del “baccaglio” mafioso, si muovevano perfettamente a loro agio tra ammiccamenti, sguardi, segni apparentemente enigmatici, bugie e “tragedie” inesistenti, ordite semmai dal nulla per giustificare reazioni cruente. I due ex ragazzi della Kalsa, che in gioventù avevano giocato al calcio con coetanei poi “arruolati” dai boss, si ritrovavano insieme a contrastare un mondo che conoscevano e capivano perfettamente per averne trafugato, a suo tempo, la chiave di lettura. Per questo poterono dialogare coi collaboratori, riuscirono ad ottenerne la fiducia offrendo in cambio la semplice “parola d'onore” che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarli. Eppure Falcone e Borsellino non dovevano vedersela solo coi “bravi ragazzi” che maneggiano pistole, eroina e tritolo. La storia della vita e della morte di questi due eroi siciliani non lascia spazio a dubbi e ambiguità: Giovanni e Paolo non erano molto amati neppure nelle stanze che contano. Ovvio, si trattava di ostilità che si manifestava in modo diverso. Eppure quella ostilità pesava esattamente quanto le pallottole. A Giovanni Falcone fu riservata prima la tagliente ironia del Palazzo di Giustizia di Palermo, poi la saccente campagna di stampa contro la presunta smania di protagonismo, quindi un vero e proprio “sbarramento” che gli avrebbe precluso il naturale ruolo di coordinatore delle inchieste sulla mafia. Analoghe difficoltà avrebbe poi incontrato Borsellino durante la sua permanenza a Palermo, dopo l'esperienza di Marsala, nella stanza di procuratore aggiunto. Una marcia lenta - quella di Falcone - verso la delegittimazione, fino al tritolo di Capaci, passando per l'inquietante avvertimento dell'Addaura (attentato fallito del giugno 1989) che si saldava con le “bordate” anonime degli scritti del “Corvo”. Quando Falcone salta in aria, Paolo Borsellino capisce che non gli resterà troppo tempo. Lo dice chiaro: “Devo fare in fretta, perché adesso tocca a me”. Nessuna fantasia di tragediografo ha mai prodotto nulla di simile. A rileggere, oggi, gli ultimi movimenti, le ultime parole di Paolo Borsellino, ci si imbatte in un uomo cosciente della propria fine imminente, perfettamente consapevole persino del possibile movente, eppure incapace di tirarsi indietro. Forse speranzoso di potercela fare, forse rassegnato ad una morte che in cuor suo “doveva” al suo amico Giovanni. (...) LA MAGISTRATURA La funzione giurisdizionale: GIURISDIZIONE CIVILE. PENALE E Principi generali relativi alla funzione giurisdizionale: L’indipendenza della magistratura ordinaria. Il consiglio superiore della magistratura: COMPOSIZIONE, L’indipendenza dei singoli giudici: GIUDICI DI CARRIERA E L’organizzazione della magistratura ordinaria: IL La funzione della corte di cassazione. L’interpretazione della legge. La giurisprudenza. I problemi della giustizia: I GIUDICI E I POLITICI, LA LENTEZZA DEI AMMINISTRATIVA. GIUDICE NATURALE, GIUSTO PROCESSO, OBBLIGO DELLA MOTIVAZIONE, GRADI DEL PROCESSO, SENTENZA DEFINITIVA. Magistratura ordinaria e magistrature speciali: I GIUDICI SPECIALI. FUNZIONI. GIUDICI ONORARI, L’INAMOVIBILITÅ, LA RESPONSABILITÅ DEI GIUDICI. PUBBLICO MINISTERO, PROCESSI. LE SPESE E LE ENTRATE PUBBLICHE LE SPESE PUBBLICHE: 1. 2. 3. 4. 5. Nozione di spesa pubblica Classificazione delle spese pubbliche Effetti economici delle spese redistributive La spesa pubblica in Italia Il controllo di efficienza della spesa pubblica LE ENTRATE PUBBLICHE: I. II. III. IV. V. VI. VII. Nozione di entrata pubblica Classificazione delle entrate pubbliche Il patrimonio degli enti pubblici La valorizzazione del patrimonio pubblico Prezzi privati, prezzi pubblici, prezzi politici Imposte, tasse e contributi. Le entrate parafiscali I FINANZIAMENTI Il fabbisogno finanziario delle imprese I versamenti dei soci I finanziamenti di terzi creditori La locazione finanziaria Lo smobilizzo dei crediti verso i clienti Il factoring Il sostegno pubblico delle imprese L’impresa consegue l’equilibrio finanziario quando è sempre in grado di far fronte con le le proprie entrate agli obblighi di pagamento assunti e alle esigenze di far investimento che via via si manifestano I versamenti dei soci possono essere: a capitale sociale, in conto capitale e in conto finanziamento. Mentre i versamenti di terzi creditori si distinguono in debiti di regolamento e debiti di finanziamento. Gli investimenti in beni strumentali sono spesso finanziati con l’accensione di prestiti a medio/lungo termine che comportano la disponibilità di tali beni anche senza acquistarli. Un esempio è la locazione finanziaria. Il sostegno pubblico alle imprese viene dato attraverso incentivi pubblici di natura finanziaria come: i contributi in conto esercizio, contributi in conto impianti e contributi in conto capitale. I FIDI BANCARI Il fido bancario è l’importo massimo che una banca concede, sotto qualunque forma, ad un cliente che ne abbia fatto richiesta, dopo averne accertato le capacità reddituali, la consistenza patrimoniale e le doti morali. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Classificazione dei fidi: Fidi assistiti da garanzie reali Fidi basati su elementi personali Fidi di cassa Fidi firma Fidi diretti Fidi indiretti Fidi generali Fidi particolari Regole tecniche e amministrative per i fidi FUNZIONI IN DUE VARIABILI Insiemi a 2 dimensioni e intorni Punti interni, punti esterni, e punti di frontiera rispetto a un dato insieme Definizione e generalità Dominio Rappresentazione grafica Curve di livello Funzioni lineari in due variabili Significato geometrico delle derivate parziali prime Ricerca di estremi liberi Ricerca di estremi vincolati Moltiplicatore di Lagrange DATE LE VARIABILI X,Y,Z, SI DICE CHE Z è FUNZIONE DELLA VARIABILI X ED Y QUANDO TRA LE TRE VARIABILI ESISTE UNA RELAZIONE PER EFFETTO DELLA QUALE A OGNI VALORE DATO ALLA X E A OGNI VALORE DATO ALLA Y; ENTRO CERTI LIMITI,CORRISPONDE UN SOLO VALORE PER Z. SI CHIAMA LINEA O CURVA DI LIVELLO LA PROIEZIONE ORTOGONALE, NEL PIANO CARTESIANO A DUE DIMENSIONI, DELLA CURVA CHE SI OTTIENE INTERSECANDO LA WSUPERFICIE Z= F(X,Y) CON UN PIANO Z =K SIGNIFICATO GEOMETRICO:LE DERIVATE PARZIALI PRIME, ESPRIMONO LA PENDENZA DELLE CURVE CHE SULLA SUPERFICIE RAPPRESENTATIVA ELLUNZIONE SI OTTENGONO NELLE DUE SEZIONI PERPENDICOLARI CHE SI RICAVANO MEDIANTE PIANI PERPENDICOLARI AD OY E OX I SISTEMI OPERATIVI Il sistema operativo è un insieme di programmi che governa e controlla l’uso delle componenti del sistema di elaborazione permettendo all’utente un utilizzo trasparente ed efficace delle risorse disponibili. Struttura e funzionamento Tipi di sistemi operativi Interrupt Gestione del processore Politiche di schedulazione Procedure di sincronizzazione e comunicazione tra processi I sistemi operativi si dividono in monoprogrammazione e in multiprogrammazione. I sistemi operativi in monoprogrammazione permettono l’esecuzione di un solo programa utente alla volta. I sistemi in multiprogrammzione sono sistemi operativi che permettono di allocare più programmi in memoria centrale e di ripartire fra questi l’uso delle risorse Poi vi sono i sistemi in time-sharing che sono nati per ovviare al problema dei sistemi in multiprogrammazione che è quello dimonopolizzare la cpu quando un programma non ha richieste di input output. L’interrupt è il meccanismo mediante il quale vengono comunicati alla cpu alcuni eventi ben precisi.